CRISTIANISMO XENOFOBO TRA SIONISMO E ANTISEMITISMO
di Roberto Santoro*
Lo scorso 5 febbraio la stazione ferroviaria di Luton è in preda al caos. Circa 3.000 sostenitori della English Defense League (EDL) si sono dati appuntamento nella città del Berdfordshire inglese per una street parade anti-islamica. Si affrontano nelle strade con centinaia di manifestanti delle organizzazioni musulmane e del movimento Unite Against Fascism, antagonisti di sinistra e no-global. Luton, governata dai laburisti e fino al 2005 sede della Vauxall Motors (una controllata di GM), ha una popolazione di 185.000 abitanti, a fronte di una comunità islamica di 27.000 persone. E’ il posto perfetto per far capire agli inglesi che il modello multiculturale è franato, che le enclave musulmane rappresentano un pericolo crescente, perché sottraggono ai nativi lavoro, assistenza sanitaria, welfare. Su questi presupposti la EDL ha costruito la sua fortuna, crescendo in pochi anni da centinaia a migliaia di aderenti.
Due anni fa, alcuni gruppi islamici avevano contestato una parata militare del Royal Anglian Regiment di ritorno dall’Iraq al grido di “ecco i macellai di Bassora”. E’ stata la molla che ha fatto nascere il gruppo Unites Peoples of Luton, antesignano dell’EDL. Alla manifestazione del 5 in giro circolano molte croci di San Giorgio, si vede gente incappucciata che sventola cartelli dai toni violentemente anti-islamici, belle ragazze bionde e sorridenti, tanti disoccupati, insomma il “popolo” inglese, la working class o ciò che ne resta. Tutta gente convinta di essere stata abbandonata dalla politica, frustrata dai benpensanti della middle class che li considera dei razzisti, impaurita dalla predicazione degli imam che svuota i quartieri bianchi trasformandoli in ghetti separati dal resto della città.
I militanti dell’EDL non si sentono dei fascisti, come vengono dipinti dalla stampa. Uno dei leader ha partecipato al rogo del ritratto di Hitler, un altro spiega che l’organizzazione è aperta a gay ed ebrei, ai bianchi come agli afro, perché il problema non è la “razza” ma il fatto che la minoranza musulmana in Gran Bretagna si sente e si comporta già da maggioranza. Il nazionalismo dell’EDL ha dunque dei tratti originali che hanno permesso in poco tempo all’organizzazione di conquistarsi un certo consenso nell’opinione pubblica, a differenza dell’estrema destra e dei gruppi neonazisti, da sempre schiacciati ai margini della democrazia britannica.
Gli “intellettuali” dell’EDL si muovono e comunicano su Internet grazie a Facebook e ai social network, organizzano cortei e manifestazioni nelle principali città inglesi, si affidano ai “soldati” del movimento, gli hooligan, abituati allo scontro, anche quello fisico, con gli avversari e la polizia. L’EDL viene considerato un gruppo di proscrizione del più noto British National Party (BNP), il partito dell’ultradestra di Nick Griffin, che sembrava aver ripreso quota dopo anni di purgatorio politico, conquistando due seggi al parlamento europeo. Ma il BNP è stato velocemente ridimensionato dopo l’exploit alle europee, arretrando ulteriormente anche per colpa dei debiti e dei problemi finanziari. L'EDL invece è in netta crescita. In generale, si può dire che l’estrema destra britannica non ha né i numeri né la forza per rappresentare un'alternativa ai partiti tradizionali, eppure le questioni poste in campo dagli "arrabbiati" hanno smosso le acque e costretto i "grandi" a dare delle risposte.
Il primo ministro conservatore David Cameron ha posto nuovi vincoli alle politiche migratorie, dicendo chiaramente che il numero degli immigrati nel Regno Unito è diventato “troppo alto” e che i nuovi arrivati molto spesso “portano disagi”. Una retorica utile a sottrarre voti alla destra nazionalista, cercando il consenso delle classi popolari. Gli scontri di Luton sono quindi un campanello d’allarme per la stabilità della democrazia inglese ma non si può dire che in Gran Bretagna ci sia un revival neofascista. Se mai, il successo di gruppi come l’EDL dimostra che l’islamofobia è la vera questione dirimente nel Paese, come ha denunciato la baronessa Warsi, musulmana e ministro senza portafoglio del governo Cameron.
Nel maggio scorso, il centro islamico di Bury Park Road, la più importante istituzione musulmana di Luton, è stato dato alle fiamme. Nel corso dell’anno sono stati sventati altri piani per colpire le moschee arrestando bombaroli e “lupi solitari” pronti ad agire. Contemporaneamente, sotto la spinta della paura di nuovi attacchi terroristici e dell’estremismo islamico, la società inglese è diventata una delle più “controllate” al mondo, prefigurando scenari orwelliani in cui, in cambio di maggiore sicurezza, le autorità sacrificano il diritto inalienabile alla privacy della cittadinanza. La discussione sul "pericolo musulmano" infiamma gli animi e smuove le coscienze, ma la minaccia alle libertà personali e dell’individuo posta da uno stato spione non suscita lo stesso ardore polemico.
Le spinte reazionarie della nuova costituzione ungherese, il revancismo e l’idea di una “Grande Ungheria”, la nostalgia asburgica, divengono ancora più preoccupanti se pensiamo che nella vicina Austria i due partiti dell’estrema destra, il Partito della libertà (FPO) e l'Alleanza per il futuro dell’Austria (BZO), assieme, fanno il 30 per cento dell’elettorato. Jorg Haider, il controverso uomo politico morto in un incidente d’auto nel 2008, aveva rapidamente trasformato l'FPO nel secondo partito austriaco, ma poi, preoccupato di dover cedere la leadership al giovane Heinz Christian “HC” Strache, nel 2005 aveva fondato il BZO, dandogli un connotato più “liberale” e meno estremista.
Strache invece punta sul nazionalismo duro e puro, descrivendo le donne coperte dal velo come “femmine ninja”. Nel frattempo, i gruppetti neonazi dissacrano le tombe nei cimiteri musulmani. A Braunau, città che diede i natali ad Adolf Hitler, di recente è stata scoperta pubblicamente una svastica per festeggiare il compleanno del fuhrer. Strache, che in passato ha frequentato circoli estremisti, ha ricevuto anche la “benedizione” dal grande burattinaio del neonazismo europeo, quell’Herbert Schweiger, già guardia del corpo di Hitler nelle Waffen SS Panzer Division Leibstandarte, che oggi dalla sua casetta inerpicata sulle Alpi annuncia che è arrivato il momento per l’apparizione di un nuovo fuhrer in Europa. “I giudei di Wall Street sono i veri responsabili della crisi economica attuale - spiega - Oggi viviamo una situazione simile a quella del 1929 quando il 90% delle ricchezze era nelle mani degli ebrei. Hitler aveva la soluzione giusta”. Quando Strache ha vinto le elezioni, l’inglese Nick Griffin si è detto “impressionato” dal risultato, “avete mostrato di saper combinare i principi del nazionalismo con un grande successo elettorale”.
Bisogna dire però che il fascismo non è mai stato un fenomeno univoco ma, come ha scritto Roger Scruton, “un amalgama di concezioni disparate”. Per cui non è corretto affermare che in Europa assistiamo a un rigurgito monolitico dei vecchi totalitarismi. Oltre a dover ripensare parole come “xenofobia” e “razzismo” in uno scenario molto diverso da quello degli anni Trenta - legato alla realtà emersa dopo l’11 Settembre, agli enormi fenomeni di mobilità messi in moto dalla globalizzazione, alla delusione per il processo di integrazione europeo e all’insorgere di sentimenti anti-politici nei popoli del vecchio continente - bisogna ammettere che i moderni partiti populisti, anti-islamici e nazionalisti, non sono uguali fra loro.
Ciò che abbiamo detto per l'Austria e l'Ungheria non vale per il Freedom Party olandese di Geert Wilders, anti-islamico fino al midollo ma amico dello stato di Israele; il compianto politico conservatore Pym Fortuyn e la scrittrice di origine somala Ayaan Hirsi Ali hanno aspramente criticato l’irredentismo del Vlaams Belang belga; e così via (alle manifestazioni dell'EDL si sventolano le bandiere dello stato ebraico). Ad unire tutte queste forze, se mai, è l’abilità di pescare il consenso delle masse popolari impoverite dalla crisi economica e spaventate dalla immigrazione. Tra questi uomini circola un sentimento anti-egalitario, anti-illuministico, ostile alla democrazia, in cui il culto del leader si mescola all’amore per i simboli patriottici, all’appello verso l'azione ed una vita energica.
Ma proprio l'eccesso di leaderismo appare come uno degli elementi di maggiore debolezza di queste formazioni. E’ utile chiedersi se lo straordinario risultato elettorale ottenuto di recente dal partito dei “Veri Finnici” in Finlandia, una formazione di estrazione agraria e cristiana passato da 6 a 36 seggi in parlamento, sopravviverà alla verve del suo leader, Timo Soini. Una domanda che potrebbe valere anche per Geert Wilders o per altri leader europei su cui si sono accesi i riflettori e la curiosità di un elettorato stufo di subire ma impaurito dal cambiamento.
Dal 2008, un po' come negli anni Trenta, l’Europa è stata investita da una profonda crisi economica che stavolta ha finito per mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Unione. Come allora, i sistemi democratici occidentali sono attraversati da pulsioni anti-politiche che si rivolgono sia contro l'euro-casta al potere a Bruxelles, sentita (giustamente) come un'entità lontana e opprimente, sia contro i partiti tradizionali delle varie nazioni europee, liberal-conservatori e social-democratici. La sottovalutazione di una serie di temi (percepiti come prioritari dalle classi popolari, dall’immigrazione alla sicurezza) da parte dell’establishment politico, delle elites accademiche, intellettuali e mediatiche, ha favorito l'ascesa di “uomini nuovi” capaci di parlare al popolo nella sua lingua, orientandolo ideologicamente e manovrandolo attraverso una sapiente quanto semplificata retorica.
Il multiculturalismo è tramontato nell'indifferenza delle classi dirigenti europee, incapaci di riformarlo e di ottenere una vera integrazione tra fedi e culture diverse, un fallimento sancito senza versare una lacrima dal cancelliere tedesco Angela Merkel, dal premier conservatore inglese David Cameron, dal presidente francese Nicolas Sarkozy. La globalizzazione capitalista, con i suoi fenomeni speculativi, di cui a pagare i danni sono sempre stati i più poveri e i non garantiti, non è stata mitigata, favorendo l'avanzata delle "estreme" che oggi si ergono a paladine del vecchio welfare "rubato" ai nativi dagli immigrati. Gli elementi distorsivi del libero mercato che hanno portato al crack del 2008 non sono stati sanati e l’Occidente resta esposto a nuove temibili crisi di rigetto del capitalismo, con la differenza che stavolta potrebbe non esserci la BCE a garantire il salvataggio delle economie in fallimento. La guerriglia scoppiata ad Atene quando Bruxelles ha imposto una cura da cavallo alla Grecia per evitare il default è una conseguenza diretta dei tagli e del rigore che viene richiesto ai popoli europei, mentre a livello centrale si chiudono gli occhi sul problema delle grandi speculazioni finanziare capaci di gettare sul lastrico intere economie.
L’islamofobia, infine, non stata un’invenzione degli xenofobi ma un problema generato dal rifiuto dei valori occidentali da parte dei nuovi arrivati, che ha impedito l'integrazione e favorito la nascita di enclave separate dal tessuto urbano, come avviene nelle grandi città del Nord Europa. Sarebbe stupido, in nome di un malinteso ideale laico (laicista), prendersela con milioni di persone di fede musulmana che vivono pregano e lavorano in pace, cercando di entrare nel nostro sistema e di accettarne le regole. Ma dopo gli attentati islamisti di Londra e Madrid non tutte le forze politiche, in particolare a sinistra, hanno saputo riconoscere il pericolo, né hanno posto al vertice dell’agenda la questione della sicurezza, intesa come difesa della democrazia liberale dai suoi nemici. Chi l'ha fatto, invece, spesso ha confuso i sintomi con i rimedi, esagerando nei modi e nei toni la risposta, e mettendo a repentaglio la privacy e le libertà individuali in cambio di una pericolosa "società del controllo".
Come negli anni Trenta, la crisi economica, l'identificazione di una minoranza sociale come unica portatrice di tutti i mali, l'ascesa di leader populisti più amici di se stessi che del proprio popolo, sembra spianare la strada a nuove "dittature democratiche" che sfruttano i meccanismi liberali per imporsi politicamente (elezioni, parlamentarismo, presidenzialismo, eccetera). Una risorgenza su vasta scala del terrorismo islamico in Europa, così come una seconda grave crisi economica, potrebbero generare una escalation di violenza, razzismo e ribellismo sociale in grado di riesumare icone e organizzazioni politiche sconfitte dalla storia ma sempre pronte a tornare sulla scena "in guisa di farsa". Il tracollo dell'Unione europea non farebbe altro che accelerare questo decorso.
In realtà quelli che stiamo evocando sono scenari verosimili ma eccessivamente pessimistici. Le odierne democrazie europee non sono paragonabili alla Repubblica di Weimar. Il moderno liberalismo, pur con tutte le sue debolezze e contraddizioni, possiede una serie di anticorpi in grado di rigettare vecchi mali cronici della storia del nostro continente. Negli anni Venti l’Europa usciva da un conflitto che aveva fatto dieci milioni di morti. La miseria, il revancismo, la violenza organizzata dalle milizie paramilitari che si fecero sponsor dei nuovi tiranni, rendono la “Guardia Magiara” ungherese di oggi, piuttosto che le “Camicie Verdi” della Lega Nord, dei gruppi tutto sommato folcloristici ed apparentemente innocui.
Un altro caso di scuola, da questo punto di vista, è proprio l’Italia. La Lega Nord delle origini era un movimento percorso da spinte secessioniste e sovversive, capace di raccogliere consenso e personale politico sia dall'estrema destra che dalla sinistra, cioè da tutti i delusi e i convertiti della politica italiana degli anni settanta. Ancora oggi, la Lega conserva alcuni tratti di quell’estremismo politico, ben visibili nella mole di Mario Borghezio, l’europarlamentare inventore dei “Volontari Verdi”. Borghezio, che ha dichiarato di aver militato nel movimento “Giovane Europa” fondato da Jean Thiriart (riconducibile all’ideologia della “terza posizione” e al nazionalismo rivoluzionario degli “strasseriani”), è stato rieletto alle Europee del 2009 con circa 50.000 preferenze. Ma riflettendoci su, questo leghista hard è stato confinato a Bruxelles per una sorta di contrappasso, mentre in Italia la Lega Nord diventava una forza sempre più "responsabile" e "di governo", assumendo anch'essa, come il Fronte Nazionale francese, dei tratti meno esasperati, parole d’ordine e classi dirigenti più presentabili (si pensi a Luca Zaia, l'attuale governatore della Regione Veneto). Di questo processo di sdoganamento della Lega va dato atto al premier Silvio Berlusconi, che ha permesso di seguire un percorso del genere anche alla destra e all'estrema destra italiana (da Fini a Storace), riammesse nel gioco democratico e contente di parteciparvi dopo gli anni bui del dissenso e dell'ostracismo della Prima Repubblica.
Se il trend dovesse essere quello che abbiamo descritto, se cioè i partiti liberali e conservatori in Europa riuscissero ad assorbire le spinte delle estreme, delle formazioni ultranazionaliste e cristianiste, senza restarne vittima ma anzi sfruttando alcune di queste parole d’ordine in maniera più "morbida" e compatibile con la democrazia, le cose continueranno ad andare come sono sempre andate: una Unione fatta di stati che procedono in ordine sparso ma si compattano davanti all’urto della crisi economica; una generale mancanza di scopi ideali ed un relativismo che impediscono di fare i conti con i valori e le origini della nostra civiltà; l'assimilazione, a metà fra l'impaurito e il coatto, delle comunità immigrate venute a vivere nel vecchio continente. Non è un bel vedere, bisogna ammetterlo.
Sic stantibus, la distanza e l’indifferenza della gente verso il ceto politico e i partiti tradizionali rimarranno immutate, con l'effetto di spingere il centrodestra a dire qualcosa “più di destra” e il centrosinistra qualcosa “più di sinistra”, un fenomeno di cui possiamo scorgere i segni nell’azione di governo dei più grandi Paesi europei. Le vecchie appartenenze ideologiche non sono andate in soffitta e la storia, a differenza di ciò che si pensava fino a pochi anni fa, non è finita. Certo, la tenuta e lo sviluppo della civiltà democratica e liberale in Occidente continua ad essere a rischio, com'è sempre stato, ma non così tanto da crollare come avvenne nella prima metà del XX secolo.
Pubblichiamo d'appresso una breve indagine sul fenomeno delle nuove destre populiste in Europa. L'autore, che è un conservatore liberale, ritiene che l'avanzata xenofoba non sia una reale minaccia, ma solo un fenomeno "innocuo e folkloristico". Noi dissentiamo. La crisi sistemica che attanaglia l'Europa è un carburante che alimenta un flusso reazionario che è invece di lunga durata.
Regno Unito: English Defense League
Lo scorso 5 febbraio la stazione ferroviaria di Luton è in preda al caos. Circa 3.000 sostenitori della English Defense League (EDL) si sono dati appuntamento nella città del Berdfordshire inglese per una street parade anti-islamica. Si affrontano nelle strade con centinaia di manifestanti delle organizzazioni musulmane e del movimento Unite Against Fascism, antagonisti di sinistra e no-global. Luton, governata dai laburisti e fino al 2005 sede della Vauxall Motors (una controllata di GM), ha una popolazione di 185.000 abitanti, a fronte di una comunità islamica di 27.000 persone. E’ il posto perfetto per far capire agli inglesi che il modello multiculturale è franato, che le enclave musulmane rappresentano un pericolo crescente, perché sottraggono ai nativi lavoro, assistenza sanitaria, welfare. Su questi presupposti la EDL ha costruito la sua fortuna, crescendo in pochi anni da centinaia a migliaia di aderenti.
Due anni fa, alcuni gruppi islamici avevano contestato una parata militare del Royal Anglian Regiment di ritorno dall’Iraq al grido di “ecco i macellai di Bassora”. E’ stata la molla che ha fatto nascere il gruppo Unites Peoples of Luton, antesignano dell’EDL. Alla manifestazione del 5 in giro circolano molte croci di San Giorgio, si vede gente incappucciata che sventola cartelli dai toni violentemente anti-islamici, belle ragazze bionde e sorridenti, tanti disoccupati, insomma il “popolo” inglese, la working class o ciò che ne resta. Tutta gente convinta di essere stata abbandonata dalla politica, frustrata dai benpensanti della middle class che li considera dei razzisti, impaurita dalla predicazione degli imam che svuota i quartieri bianchi trasformandoli in ghetti separati dal resto della città.
I militanti dell’EDL non si sentono dei fascisti, come vengono dipinti dalla stampa. Uno dei leader ha partecipato al rogo del ritratto di Hitler, un altro spiega che l’organizzazione è aperta a gay ed ebrei, ai bianchi come agli afro, perché il problema non è la “razza” ma il fatto che la minoranza musulmana in Gran Bretagna si sente e si comporta già da maggioranza. Il nazionalismo dell’EDL ha dunque dei tratti originali che hanno permesso in poco tempo all’organizzazione di conquistarsi un certo consenso nell’opinione pubblica, a differenza dell’estrema destra e dei gruppi neonazisti, da sempre schiacciati ai margini della democrazia britannica.
Gli “intellettuali” dell’EDL si muovono e comunicano su Internet grazie a Facebook e ai social network, organizzano cortei e manifestazioni nelle principali città inglesi, si affidano ai “soldati” del movimento, gli hooligan, abituati allo scontro, anche quello fisico, con gli avversari e la polizia. L’EDL viene considerato un gruppo di proscrizione del più noto British National Party (BNP), il partito dell’ultradestra di Nick Griffin, che sembrava aver ripreso quota dopo anni di purgatorio politico, conquistando due seggi al parlamento europeo. Ma il BNP è stato velocemente ridimensionato dopo l’exploit alle europee, arretrando ulteriormente anche per colpa dei debiti e dei problemi finanziari. L'EDL invece è in netta crescita. In generale, si può dire che l’estrema destra britannica non ha né i numeri né la forza per rappresentare un'alternativa ai partiti tradizionali, eppure le questioni poste in campo dagli "arrabbiati" hanno smosso le acque e costretto i "grandi" a dare delle risposte.
Il primo ministro conservatore David Cameron ha posto nuovi vincoli alle politiche migratorie, dicendo chiaramente che il numero degli immigrati nel Regno Unito è diventato “troppo alto” e che i nuovi arrivati molto spesso “portano disagi”. Una retorica utile a sottrarre voti alla destra nazionalista, cercando il consenso delle classi popolari. Gli scontri di Luton sono quindi un campanello d’allarme per la stabilità della democrazia inglese ma non si può dire che in Gran Bretagna ci sia un revival neofascista. Se mai, il successo di gruppi come l’EDL dimostra che l’islamofobia è la vera questione dirimente nel Paese, come ha denunciato la baronessa Warsi, musulmana e ministro senza portafoglio del governo Cameron.
Nel maggio scorso, il centro islamico di Bury Park Road, la più importante istituzione musulmana di Luton, è stato dato alle fiamme. Nel corso dell’anno sono stati sventati altri piani per colpire le moschee arrestando bombaroli e “lupi solitari” pronti ad agire. Contemporaneamente, sotto la spinta della paura di nuovi attacchi terroristici e dell’estremismo islamico, la società inglese è diventata una delle più “controllate” al mondo, prefigurando scenari orwelliani in cui, in cambio di maggiore sicurezza, le autorità sacrificano il diritto inalienabile alla privacy della cittadinanza. La discussione sul "pericolo musulmano" infiamma gli animi e smuove le coscienze, ma la minaccia alle libertà personali e dell’individuo posta da uno stato spione non suscita lo stesso ardore polemico.
Ungheria: Fidesz e JobbikDall’altra parte dell’Europa c’è l’Ungheria e qui la musica cambia. Nelle ultime settimane il parlamento, dominato dal partito di maggioranza Fidesz, ha modificato unilateralmente la Costituzione. Se pure indirettamente, si è deciso di vietare l’aborto. I matrimoni gay sono solo fantascienza. In compenso nella nuova carta costituzionale c'è un riferimento diretto alla “Santa Corona d’Ungheria”, il simbolo nazionale dello stato medievale magiaro, usato durante i regimi di Miklos Horthy e Ferenc Szalas alleati della Germania nazista. La carta fa appello al principio di autodeterminazione delle minoranze magiare che vivono nei Paesi confinanti, in Romania, Slovacchia, Croazia, nella Vojvodina serba e in Ucraina. Una forma di revancismo che il primo ministro ungherese, Victor Orban, sa coniugare abilmente con un europeismo spinto, quando accusa Bruxelles di aver rallentato il processo di allargamento della Ue.
Così, mentre si fa garante per l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’area Schengen, Orban elegge il cristianesimo a religione di stato, l’unica, mentre la Ue va nella direzione opposta. Non è detto che in materia religiosa il relativismo di Bruxelles sia la strada giusta da seguire, ma Sarkozy e la Merkel hanno pesantemente criticato la nuova carta ungherese, accusando Orban di voler limitare la libertà di stampa, mentre i giornali conservatori tedeschi definivano il documento “un corpo alieno nella famiglia delle costituzioni europee”. In Ungheria la nostalgia post-imperiale per il vecchio e cattolicissimo impero asburgico si mescola a rigurgiti particolaristici e tensioni ideologiche che sembrano riprodurre pericolosamente i germi del passato nazista.
A fianco del conservatore Fidesz c’è il terzo partito ungherese, il Jobbik. Bollato come “fascista” dalla stampa occidentale, il Jobbik si difende proclamandosi conservatore, pro-cristiano e difensore dei valori e degli interessi della nazione ungherese. Quando il primo ministro Orban ha proposto un curioso disegno di legge per permettere alle madri di famiglia di votare al posto dei loro figli minorenni, i deputati del Jobbik si sono opposti spiegando che questo avrebbe favorito elettoralmente la minoranza Rom, che ha tassi di procreazione più alti.
Se la prima generazione di leader politici del Jobbik era fatta di “combattenti per la libertà” come Gergely Pongratz (i Corvin Koz di Pongratz distrussero una dozzina di carri armati sovietici nella rivolta del ’56 ), le nuove leve sembrano più inclini alle sirene dell’antisemitismo. L’avvocatessa Cristina Morvai, che è il sesto politico più popolare in Ungheria e candidata presidente del Jobbik, durante l’operazione “Piombo Fuso” condotta nel 2009 da Israele contro Gaza, ebbe a dire che “Il solo modo per parlare con gente come voi (gli israeliani, ndr) è comportarsi come fa Hamas. Io spero che riceviate ‘i baci’ di Hamas per ognuna delle vittime che avete provocato”. Gabor Vona, il leader trentenne del Jobbik, ha promesso di indossare l’uniforme della "Guardia Magiara", una milizia paramilitare di stampo neofascista creata nel 2007, se fosse stato eletto al parlamento ungherese. Gli è stato impedito e lui l’ha descritto come un atto di disobbedienza civile.
Così, mentre si fa garante per l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’area Schengen, Orban elegge il cristianesimo a religione di stato, l’unica, mentre la Ue va nella direzione opposta. Non è detto che in materia religiosa il relativismo di Bruxelles sia la strada giusta da seguire, ma Sarkozy e la Merkel hanno pesantemente criticato la nuova carta ungherese, accusando Orban di voler limitare la libertà di stampa, mentre i giornali conservatori tedeschi definivano il documento “un corpo alieno nella famiglia delle costituzioni europee”. In Ungheria la nostalgia post-imperiale per il vecchio e cattolicissimo impero asburgico si mescola a rigurgiti particolaristici e tensioni ideologiche che sembrano riprodurre pericolosamente i germi del passato nazista.
A fianco del conservatore Fidesz c’è il terzo partito ungherese, il Jobbik. Bollato come “fascista” dalla stampa occidentale, il Jobbik si difende proclamandosi conservatore, pro-cristiano e difensore dei valori e degli interessi della nazione ungherese. Quando il primo ministro Orban ha proposto un curioso disegno di legge per permettere alle madri di famiglia di votare al posto dei loro figli minorenni, i deputati del Jobbik si sono opposti spiegando che questo avrebbe favorito elettoralmente la minoranza Rom, che ha tassi di procreazione più alti.
Se la prima generazione di leader politici del Jobbik era fatta di “combattenti per la libertà” come Gergely Pongratz (i Corvin Koz di Pongratz distrussero una dozzina di carri armati sovietici nella rivolta del ’56 ), le nuove leve sembrano più inclini alle sirene dell’antisemitismo. L’avvocatessa Cristina Morvai, che è il sesto politico più popolare in Ungheria e candidata presidente del Jobbik, durante l’operazione “Piombo Fuso” condotta nel 2009 da Israele contro Gaza, ebbe a dire che “Il solo modo per parlare con gente come voi (gli israeliani, ndr) è comportarsi come fa Hamas. Io spero che riceviate ‘i baci’ di Hamas per ognuna delle vittime che avete provocato”. Gabor Vona, il leader trentenne del Jobbik, ha promesso di indossare l’uniforme della "Guardia Magiara", una milizia paramilitare di stampo neofascista creata nel 2007, se fosse stato eletto al parlamento ungherese. Gli è stato impedito e lui l’ha descritto come un atto di disobbedienza civile.
Austria: Partito della libertà (FPO) e Alleanza per il futuro dell’Austria (BZO)
Le spinte reazionarie della nuova costituzione ungherese, il revancismo e l’idea di una “Grande Ungheria”, la nostalgia asburgica, divengono ancora più preoccupanti se pensiamo che nella vicina Austria i due partiti dell’estrema destra, il Partito della libertà (FPO) e l'Alleanza per il futuro dell’Austria (BZO), assieme, fanno il 30 per cento dell’elettorato. Jorg Haider, il controverso uomo politico morto in un incidente d’auto nel 2008, aveva rapidamente trasformato l'FPO nel secondo partito austriaco, ma poi, preoccupato di dover cedere la leadership al giovane Heinz Christian “HC” Strache, nel 2005 aveva fondato il BZO, dandogli un connotato più “liberale” e meno estremista.
Strache invece punta sul nazionalismo duro e puro, descrivendo le donne coperte dal velo come “femmine ninja”. Nel frattempo, i gruppetti neonazi dissacrano le tombe nei cimiteri musulmani. A Braunau, città che diede i natali ad Adolf Hitler, di recente è stata scoperta pubblicamente una svastica per festeggiare il compleanno del fuhrer. Strache, che in passato ha frequentato circoli estremisti, ha ricevuto anche la “benedizione” dal grande burattinaio del neonazismo europeo, quell’Herbert Schweiger, già guardia del corpo di Hitler nelle Waffen SS Panzer Division Leibstandarte, che oggi dalla sua casetta inerpicata sulle Alpi annuncia che è arrivato il momento per l’apparizione di un nuovo fuhrer in Europa. “I giudei di Wall Street sono i veri responsabili della crisi economica attuale - spiega - Oggi viviamo una situazione simile a quella del 1929 quando il 90% delle ricchezze era nelle mani degli ebrei. Hitler aveva la soluzione giusta”. Quando Strache ha vinto le elezioni, l’inglese Nick Griffin si è detto “impressionato” dal risultato, “avete mostrato di saper combinare i principi del nazionalismo con un grande successo elettorale”.
Bisogna dire però che il fascismo non è mai stato un fenomeno univoco ma, come ha scritto Roger Scruton, “un amalgama di concezioni disparate”. Per cui non è corretto affermare che in Europa assistiamo a un rigurgito monolitico dei vecchi totalitarismi. Oltre a dover ripensare parole come “xenofobia” e “razzismo” in uno scenario molto diverso da quello degli anni Trenta - legato alla realtà emersa dopo l’11 Settembre, agli enormi fenomeni di mobilità messi in moto dalla globalizzazione, alla delusione per il processo di integrazione europeo e all’insorgere di sentimenti anti-politici nei popoli del vecchio continente - bisogna ammettere che i moderni partiti populisti, anti-islamici e nazionalisti, non sono uguali fra loro.
Ciò che abbiamo detto per l'Austria e l'Ungheria non vale per il Freedom Party olandese di Geert Wilders, anti-islamico fino al midollo ma amico dello stato di Israele; il compianto politico conservatore Pym Fortuyn e la scrittrice di origine somala Ayaan Hirsi Ali hanno aspramente criticato l’irredentismo del Vlaams Belang belga; e così via (alle manifestazioni dell'EDL si sventolano le bandiere dello stato ebraico). Ad unire tutte queste forze, se mai, è l’abilità di pescare il consenso delle masse popolari impoverite dalla crisi economica e spaventate dalla immigrazione. Tra questi uomini circola un sentimento anti-egalitario, anti-illuministico, ostile alla democrazia, in cui il culto del leader si mescola all’amore per i simboli patriottici, all’appello verso l'azione ed una vita energica.
Ma proprio l'eccesso di leaderismo appare come uno degli elementi di maggiore debolezza di queste formazioni. E’ utile chiedersi se lo straordinario risultato elettorale ottenuto di recente dal partito dei “Veri Finnici” in Finlandia, una formazione di estrazione agraria e cristiana passato da 6 a 36 seggi in parlamento, sopravviverà alla verve del suo leader, Timo Soini. Una domanda che potrebbe valere anche per Geert Wilders o per altri leader europei su cui si sono accesi i riflettori e la curiosità di un elettorato stufo di subire ma impaurito dal cambiamento.
Dal 2008, un po' come negli anni Trenta, l’Europa è stata investita da una profonda crisi economica che stavolta ha finito per mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Unione. Come allora, i sistemi democratici occidentali sono attraversati da pulsioni anti-politiche che si rivolgono sia contro l'euro-casta al potere a Bruxelles, sentita (giustamente) come un'entità lontana e opprimente, sia contro i partiti tradizionali delle varie nazioni europee, liberal-conservatori e social-democratici. La sottovalutazione di una serie di temi (percepiti come prioritari dalle classi popolari, dall’immigrazione alla sicurezza) da parte dell’establishment politico, delle elites accademiche, intellettuali e mediatiche, ha favorito l'ascesa di “uomini nuovi” capaci di parlare al popolo nella sua lingua, orientandolo ideologicamente e manovrandolo attraverso una sapiente quanto semplificata retorica.
Il multiculturalismo è tramontato nell'indifferenza delle classi dirigenti europee, incapaci di riformarlo e di ottenere una vera integrazione tra fedi e culture diverse, un fallimento sancito senza versare una lacrima dal cancelliere tedesco Angela Merkel, dal premier conservatore inglese David Cameron, dal presidente francese Nicolas Sarkozy. La globalizzazione capitalista, con i suoi fenomeni speculativi, di cui a pagare i danni sono sempre stati i più poveri e i non garantiti, non è stata mitigata, favorendo l'avanzata delle "estreme" che oggi si ergono a paladine del vecchio welfare "rubato" ai nativi dagli immigrati. Gli elementi distorsivi del libero mercato che hanno portato al crack del 2008 non sono stati sanati e l’Occidente resta esposto a nuove temibili crisi di rigetto del capitalismo, con la differenza che stavolta potrebbe non esserci la BCE a garantire il salvataggio delle economie in fallimento. La guerriglia scoppiata ad Atene quando Bruxelles ha imposto una cura da cavallo alla Grecia per evitare il default è una conseguenza diretta dei tagli e del rigore che viene richiesto ai popoli europei, mentre a livello centrale si chiudono gli occhi sul problema delle grandi speculazioni finanziare capaci di gettare sul lastrico intere economie.
L’islamofobia, infine, non stata un’invenzione degli xenofobi ma un problema generato dal rifiuto dei valori occidentali da parte dei nuovi arrivati, che ha impedito l'integrazione e favorito la nascita di enclave separate dal tessuto urbano, come avviene nelle grandi città del Nord Europa. Sarebbe stupido, in nome di un malinteso ideale laico (laicista), prendersela con milioni di persone di fede musulmana che vivono pregano e lavorano in pace, cercando di entrare nel nostro sistema e di accettarne le regole. Ma dopo gli attentati islamisti di Londra e Madrid non tutte le forze politiche, in particolare a sinistra, hanno saputo riconoscere il pericolo, né hanno posto al vertice dell’agenda la questione della sicurezza, intesa come difesa della democrazia liberale dai suoi nemici. Chi l'ha fatto, invece, spesso ha confuso i sintomi con i rimedi, esagerando nei modi e nei toni la risposta, e mettendo a repentaglio la privacy e le libertà individuali in cambio di una pericolosa "società del controllo".
Come negli anni Trenta, la crisi economica, l'identificazione di una minoranza sociale come unica portatrice di tutti i mali, l'ascesa di leader populisti più amici di se stessi che del proprio popolo, sembra spianare la strada a nuove "dittature democratiche" che sfruttano i meccanismi liberali per imporsi politicamente (elezioni, parlamentarismo, presidenzialismo, eccetera). Una risorgenza su vasta scala del terrorismo islamico in Europa, così come una seconda grave crisi economica, potrebbero generare una escalation di violenza, razzismo e ribellismo sociale in grado di riesumare icone e organizzazioni politiche sconfitte dalla storia ma sempre pronte a tornare sulla scena "in guisa di farsa". Il tracollo dell'Unione europea non farebbe altro che accelerare questo decorso.
In realtà quelli che stiamo evocando sono scenari verosimili ma eccessivamente pessimistici. Le odierne democrazie europee non sono paragonabili alla Repubblica di Weimar. Il moderno liberalismo, pur con tutte le sue debolezze e contraddizioni, possiede una serie di anticorpi in grado di rigettare vecchi mali cronici della storia del nostro continente. Negli anni Venti l’Europa usciva da un conflitto che aveva fatto dieci milioni di morti. La miseria, il revancismo, la violenza organizzata dalle milizie paramilitari che si fecero sponsor dei nuovi tiranni, rendono la “Guardia Magiara” ungherese di oggi, piuttosto che le “Camicie Verdi” della Lega Nord, dei gruppi tutto sommato folcloristici ed apparentemente innocui.
Francia: il Fronte nazionale
C’è anche un altro fattore che non va sottovalutato. Per decenni l’estrema destra europea ha scontato l’opposizione di un “fronte repubblicano” (composto dai partiti tradizionali, liberali e socialisti) che faceva da argine ogni volta in cui le estreme minacciavano la democrazia attraverso il voto. Paradigmatico il caso francese, quando Chirac fu eletto con una percentuale bulgara per sconfiggere il “Napoleone” del Fronte Nazionale, Jean Marie Le Pen. Così l’estrema destra francese è rimasta per molto tempo relegata nell’angolo dell'agone politico. Aveva i numeri ma non la legittimazione democratica per farsi valere.
Da quando alla guida partito è arrivata Marine, la figlia del patriarca, anche la "pericolosità" del Fronte si è progressivamente attutita. Nonostante abbia affermato che gli islamici oranti nelle piazze della Repubblica rappresentino una forma di occupazione simile a quella del nazismo, Marine Le Pen è riuscita a imporsi con una strategia più soft, in cui, attorno al core-bussiness del contrasto all'immigrazione, si sviluppano altre battaglie chiave come quella per il welfare ai francesi e un ritorno al protezionismo economico. Se da una parte questa impostazione ha costretto il presidente Sarkozy a rincorrere il Fronte sul tema dell’immigrazione (le recenti polemiche sul Trattato di Schengen con l’Italia), dall’altra ha rimesso in discussione l'utilità del “fronte repubblicano” considerando che, in un contesto in cui le differenze tra l’UMP e il Fronte tendono a scolorire, e nel più completo immobilismo delle sinistre, il “neofascismo” appare come uno spauracchio, un modo per rileggere la storia con gli occhiali di una volta ma senza confrontarsi con il composito mondo delle nuove destre di oggi.
Da quando alla guida partito è arrivata Marine, la figlia del patriarca, anche la "pericolosità" del Fronte si è progressivamente attutita. Nonostante abbia affermato che gli islamici oranti nelle piazze della Repubblica rappresentino una forma di occupazione simile a quella del nazismo, Marine Le Pen è riuscita a imporsi con una strategia più soft, in cui, attorno al core-bussiness del contrasto all'immigrazione, si sviluppano altre battaglie chiave come quella per il welfare ai francesi e un ritorno al protezionismo economico. Se da una parte questa impostazione ha costretto il presidente Sarkozy a rincorrere il Fronte sul tema dell’immigrazione (le recenti polemiche sul Trattato di Schengen con l’Italia), dall’altra ha rimesso in discussione l'utilità del “fronte repubblicano” considerando che, in un contesto in cui le differenze tra l’UMP e il Fronte tendono a scolorire, e nel più completo immobilismo delle sinistre, il “neofascismo” appare come uno spauracchio, un modo per rileggere la storia con gli occhiali di una volta ma senza confrontarsi con il composito mondo delle nuove destre di oggi.
Italia: la Lega nord
Un altro caso di scuola, da questo punto di vista, è proprio l’Italia. La Lega Nord delle origini era un movimento percorso da spinte secessioniste e sovversive, capace di raccogliere consenso e personale politico sia dall'estrema destra che dalla sinistra, cioè da tutti i delusi e i convertiti della politica italiana degli anni settanta. Ancora oggi, la Lega conserva alcuni tratti di quell’estremismo politico, ben visibili nella mole di Mario Borghezio, l’europarlamentare inventore dei “Volontari Verdi”. Borghezio, che ha dichiarato di aver militato nel movimento “Giovane Europa” fondato da Jean Thiriart (riconducibile all’ideologia della “terza posizione” e al nazionalismo rivoluzionario degli “strasseriani”), è stato rieletto alle Europee del 2009 con circa 50.000 preferenze. Ma riflettendoci su, questo leghista hard è stato confinato a Bruxelles per una sorta di contrappasso, mentre in Italia la Lega Nord diventava una forza sempre più "responsabile" e "di governo", assumendo anch'essa, come il Fronte Nazionale francese, dei tratti meno esasperati, parole d’ordine e classi dirigenti più presentabili (si pensi a Luca Zaia, l'attuale governatore della Regione Veneto). Di questo processo di sdoganamento della Lega va dato atto al premier Silvio Berlusconi, che ha permesso di seguire un percorso del genere anche alla destra e all'estrema destra italiana (da Fini a Storace), riammesse nel gioco democratico e contente di parteciparvi dopo gli anni bui del dissenso e dell'ostracismo della Prima Repubblica.
Se il trend dovesse essere quello che abbiamo descritto, se cioè i partiti liberali e conservatori in Europa riuscissero ad assorbire le spinte delle estreme, delle formazioni ultranazionaliste e cristianiste, senza restarne vittima ma anzi sfruttando alcune di queste parole d’ordine in maniera più "morbida" e compatibile con la democrazia, le cose continueranno ad andare come sono sempre andate: una Unione fatta di stati che procedono in ordine sparso ma si compattano davanti all’urto della crisi economica; una generale mancanza di scopi ideali ed un relativismo che impediscono di fare i conti con i valori e le origini della nostra civiltà; l'assimilazione, a metà fra l'impaurito e il coatto, delle comunità immigrate venute a vivere nel vecchio continente. Non è un bel vedere, bisogna ammetterlo.
Sic stantibus, la distanza e l’indifferenza della gente verso il ceto politico e i partiti tradizionali rimarranno immutate, con l'effetto di spingere il centrodestra a dire qualcosa “più di destra” e il centrosinistra qualcosa “più di sinistra”, un fenomeno di cui possiamo scorgere i segni nell’azione di governo dei più grandi Paesi europei. Le vecchie appartenenze ideologiche non sono andate in soffitta e la storia, a differenza di ciò che si pensava fino a pochi anni fa, non è finita. Certo, la tenuta e lo sviluppo della civiltà democratica e liberale in Occidente continua ad essere a rischio, com'è sempre stato, ma non così tanto da crollare come avvenne nella prima metà del XX secolo.
Fonte: L'Occidentale del 2 maggio 2011
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