Il vertice FMI conclusosi sabato a Washington |
NASCE UN NUOVO G7 SULLE CENERI DI QUELLO VECCHIO, L'ITALIA E' FUORI
Apprendiamo che a margine dei lavori del vertice del Fondo Monetario Internazionale conclusosi sabato scorso negli USA, Giulio Tremonti, in sede di conferenza stampa, ha affermato che in Italia, più che paese con alta disoccupazione ci sarebbe una specie di piena occupazione.
Tremonti ha quindi affermato: «In Italia ci sono 4 milioni di immigrati, tra cui moltissimi giovani che lavorano da mattina a sera e anche di notte. L'Italia è un Paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone, evidentemente non c'è domanda per questi tipi di lavoro da parte di altri... Non mi risulta che tra i giovani immigrati ci sia disoccupazione, è tutta gente che lavora tantissimo». E a chi gli chiede se sia il caso di chiudere all'immigrazione o se i giovani italiani debbano adeguarsi, Tremonti replica secco: «Escludo la prima ipotesi».
Tremonti si sa, ama le battute, al pari di Berlusconi, e come quest'ultimo a volte esagera. Ci vuole una bella faccia tosta per sostenere che in Italia non esiste la piaga sociale della disoccupazione, portando come controprova che gli immigrati "che lavorano dalla mattina alla sera". Una persona seria dedurrebbe da questo fatto non che le statistiche sono false, ma che c'è un'evidente discrasia tra la qualità dell'offerta di lavoro e la domanda, che quindi il mercato del lavoro assorbe solo forza lavoro a basso costo e a condizioni semi-schiavistiche. Che date l'estrema flessibilità e precarietà del mercato del lavoro, il capitale incontra solo i più deboli e ricattabili, ovvero gli immigrati. Dietro alla battuta si nasconde tuttavia una precisa concezione e una ancor più precisa politica. In barba ai suoi pistolotti contro la globalizzazione dei mercati, Tremonti ne esalta due degli aspetti più brutali e ingiusti, ovvero la spinta all'abbassamento delle retribuzioni e quella alla demolizione dei diritti sindacali (e umani) dei salariati.
Tuttavia, Tremonti il demagogo, nella conferenza stampa che ha chiuso il lavori del G20, è andato oltre. A chi gli chiedeva come mai l'Italia non fosse stata inserita nel ristretto Club dei paesi del G20 a grandi dimensioni e quindi a rischio sistemico (questa lista comprende: USA, Cina, Germania, Francia, Gran Bretagna, Giappone e India), Tremonti, con toni da vate, ha risposto: «Io dico: non ci dispiace affatto che l'Italia non sia nella lista dei sette grandi monitorati». (Il Sole 24 Ore del 17 aprile)
Sembra che i giornalisti economici si siano fatti una sonora risata. Quel che è effettivamente accaduto al g20 in questione è la formalizzazione di una cabina di regia di sette grandi potenze, economiche e politiche, mondiali (un nuovo G7, o G8 se ci mettiamo la Russia), e l'Italia è stata bellamente esclusa —ciò rappresentando una evidente sconfitta per il governo e per lui medesimo. Davanti a questa esclusione Tremonti che fa? Invece di dire le cose come stanno, si da alla battuta, ad uso e consumo del popolino, a cui tutto si può e si deve dare a bere. Invece di spiegare che il G20 ha registrato, anche sul piano formale, la nascita del cosiddetto "nuovo ordine multipolare", Tremonti la butta sul cazzeggio.
La nostra lettura è sbagliata?
Con parole sfumate, ecco quanto scrive Mario Platero:
«Non sfugge tuttavia una componente diabolica di questa operazione, gestita,ci è stato detto, sotto una forte influenza francese: sembra una lista dei cattivi da cui è meglio stare fuori, ma in realtà è già compiuta una preselezione per identificare due velocità all'interno del G20». (Il Sole 24 Ore, 17 aprile).
Che questa lettura —ovvero la definitiva esclusione dell'Italia dal Club dei sette grandi, e ciò vale anche per Russia e Brasile— sia corretta lo dimostra anche la mossa che ha preceduto quella al G20 e che riguarda la crisi libica. Il Vertice convocato da Obama per discuterne ha visto infatti entrarci oltre agli USA, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania (che pure si era astenuta sulla 1973 in sede di Consiglio di sicurezza). L'Italia è quindi oramai esclusa dal giro dei grandi. In questo ha certo un peso che essa sia governata dal tandem Berlusconi-Tremonti. Non si chieda dunque a questi due ceffi di darne spiegazione. Essi sono buona parte del problema, non la soluzione.
Tremonti si sa, ama le battute, al pari di Berlusconi, e come quest'ultimo a volte esagera. Ci vuole una bella faccia tosta per sostenere che in Italia non esiste la piaga sociale della disoccupazione, portando come controprova che gli immigrati "che lavorano dalla mattina alla sera". Una persona seria dedurrebbe da questo fatto non che le statistiche sono false, ma che c'è un'evidente discrasia tra la qualità dell'offerta di lavoro e la domanda, che quindi il mercato del lavoro assorbe solo forza lavoro a basso costo e a condizioni semi-schiavistiche. Che date l'estrema flessibilità e precarietà del mercato del lavoro, il capitale incontra solo i più deboli e ricattabili, ovvero gli immigrati. Dietro alla battuta si nasconde tuttavia una precisa concezione e una ancor più precisa politica. In barba ai suoi pistolotti contro la globalizzazione dei mercati, Tremonti ne esalta due degli aspetti più brutali e ingiusti, ovvero la spinta all'abbassamento delle retribuzioni e quella alla demolizione dei diritti sindacali (e umani) dei salariati.
Tuttavia, Tremonti il demagogo, nella conferenza stampa che ha chiuso il lavori del G20, è andato oltre. A chi gli chiedeva come mai l'Italia non fosse stata inserita nel ristretto Club dei paesi del G20 a grandi dimensioni e quindi a rischio sistemico (questa lista comprende: USA, Cina, Germania, Francia, Gran Bretagna, Giappone e India), Tremonti, con toni da vate, ha risposto: «Io dico: non ci dispiace affatto che l'Italia non sia nella lista dei sette grandi monitorati». (Il Sole 24 Ore del 17 aprile)
Sembra che i giornalisti economici si siano fatti una sonora risata. Quel che è effettivamente accaduto al g20 in questione è la formalizzazione di una cabina di regia di sette grandi potenze, economiche e politiche, mondiali (un nuovo G7, o G8 se ci mettiamo la Russia), e l'Italia è stata bellamente esclusa —ciò rappresentando una evidente sconfitta per il governo e per lui medesimo. Davanti a questa esclusione Tremonti che fa? Invece di dire le cose come stanno, si da alla battuta, ad uso e consumo del popolino, a cui tutto si può e si deve dare a bere. Invece di spiegare che il G20 ha registrato, anche sul piano formale, la nascita del cosiddetto "nuovo ordine multipolare", Tremonti la butta sul cazzeggio.
La nostra lettura è sbagliata?
Con parole sfumate, ecco quanto scrive Mario Platero:
«Non sfugge tuttavia una componente diabolica di questa operazione, gestita,ci è stato detto, sotto una forte influenza francese: sembra una lista dei cattivi da cui è meglio stare fuori, ma in realtà è già compiuta una preselezione per identificare due velocità all'interno del G20». (Il Sole 24 Ore, 17 aprile).
Che questa lettura —ovvero la definitiva esclusione dell'Italia dal Club dei sette grandi, e ciò vale anche per Russia e Brasile— sia corretta lo dimostra anche la mossa che ha preceduto quella al G20 e che riguarda la crisi libica. Il Vertice convocato da Obama per discuterne ha visto infatti entrarci oltre agli USA, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania (che pure si era astenuta sulla 1973 in sede di Consiglio di sicurezza). L'Italia è quindi oramai esclusa dal giro dei grandi. In questo ha certo un peso che essa sia governata dal tandem Berlusconi-Tremonti. Non si chieda dunque a questi due ceffi di darne spiegazione. Essi sono buona parte del problema, non la soluzione.
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