Pietro Ingrao |
Quando invece l'autocritica è dovuta
di Piemme
Invece indicare dove si è sbagliato, anzitutto dove certa sinistra del vecchio PCI ha sbagliato, è oggigiorno più importante che mai. E ci stupisce che uno come Tronti che ha ha sempre sottolineato la centralità della funzione del soggetto politico, voglia sorvolare sulle immense responsabilità che il PCI ha portato per come sono andate a finire le cose in questo paese. Tronti, nei suoi interventi, non cessa di sottolineare che occorre un cambiamento radicale, e che per ciò serve un progetto nuovo e una forza politica nuova. La qualcosa è giusta. Ma oltre all'invocazione, qual'è il progetto? E che tipo di forza politica occorre, se davvero si parla di sovvertire?
E' qui che cade l'asino o, se si vuole, che la montagna della sovversione partorisce l'ennesimo topolino di sinistra. Leggete cosa afferma Tronti rispetto a Bersani, il PD, Vendola e Sel.
«Come si esce da questa situazione? Bersani può rappresentare un'inversione di tendenza nel Pd rispetto al corso veltroniano? E che strada prenderà Nichi Vendola, con Sel e le sue fabbriche?
La situazione è certamente complessa e difficile da gestire. Bisogna lavorare dentro un progetto che non può più accettare che un Paese come il nostro, politico per eccellenza, sia l'unico in Europa senza una grande forza della sinistra. Come non è accettabile l'idea che in Italia ci sia solo un Pd che si definisce di "centro-sinistra", e una sinistra piccola non sufficiente per giocare un ruolo politico generale. Il progetto è dunque quello di ricostruire questa grande forza. Bersani sta facendo un lavoro che anch'io guardo con favore perché intanto rifiuta l'idea del partito personale. Per quanto mi riguarda ho raccomandato di cominciare a togliere il nome dei leader dai simboli di partiti e dalla scheda elettorale per tornare a partiti che non siano di un capo ma di un progetto, con un programma, un gruppo dirigente riconoscibile ed autorevole. E dobbiamo andare alle elezioni così, con la gente che deve scegliere appunto una forza politica e non un leader. Questo è fondamentale soprattutto per la sinistra che non può affidarsi ad una persona sola. Anche Vendola, che io ritengo essere una grande risorsa, deve pensarsi come un elemento di forza all'interno di una sinistra più grande, e non come qualcosa che mette in gioco unicamente la sua persona. Le stesse Fabbriche di Nichi dovrebbero contribuire a questo. L'esperimento può essere anche positivo, come sono positive tutte le aggregazioni di base, però bisogna portarle verso l'alto, ad una forma di riorganizzazione della politica di sinistra che si dichiari alternativa non solo al berlusconismo ma a quello che gli sta dietro, e cioé al bipolarismo, alla logica del maggioritario, con un ritorno dei partiti in parlamento, capaci di giocare la loro presenza attraverso le proprie idee e i propri militanti». (Umbrialeft.it del 28 febbraio 2011)
Ora, a parte che non ha molto senso chiedere al Pd e a Sel, a Bersani e a Vendola —che son dentro fino ai capelli al bipolarismo e ai sistemi plebiscitari e bonapartisti di costituzione della rappresentanza politica e istituzionale (liste personali o oligarchiche, primarie, partiti di plastica o liquidi, ecc.— pare a voi che qui si esca da questo letamaio solo tornando al proporzionale? O solo difendendo la Costituzione? Non diciamo nulla sulla gravissima crisi sociale ed economica? Sull'Unione europea oligarchica e monetarista? Sulla sovranità politica e monetaria perduta? E sul debito pubblico? E su politiche di fuoriuscita dal capitalismo?
Si capisce perché Tronti non ponga il problema dell'autocritica, perché resta impigliato nella tradizione della sinistra storica, di cui recupera la centralità della politica, ma di una politica che di davvero sovversivo aveva ben poco.
Caro Pietro, acciuffiamo la luna
Per il 96° compleanno di Pietro ingrao
di Mario Tronti*
Carissimo Pietro, è lontano, lontanissimo, quel giorno del 1936, quando, davanti al pericolo reale della dittatura franchista, decidesti il corso della tua vita con quel «no, non ci sto». Il centro sperimentale e la tua passione per il cinema vennero messi da parte e ci fu la scoperta della tua esistenza, la volontà di partecipare - sentirti esprimere con queste parole è una boccata d'ossigeno - alla lotta di classe. Sei tornato a raccontare in modo intenso queste vicende nella bellissima conversazione apparsa, qualche giorno fa, sul Corriere della sera. E' stata una fortuna per il paese Italia, per la causa dei lavoratori, come si chiamava una volta, e per tutti noi, quella scelta. Hai dato tanto, e con tanta forza e passione, che puoi essere soddisfatto, di te e della tua opera. Non è un caso che riesci a raccontare il tuo passato con una memoria serena, anche se inquieta.
Tu ritorni spesso, quasi con dolore e comunque con rammarico, sui tuoi errori. Ma vedi, Pietro, io trovo qui, un di più, non dovuto, di autocritica. Abbiamo sbagliato tutti, molte volte. Ma non sottolinerei, oggi, più di tanto, questo punto. Già siamo oppressi dal senso comune corrente, intellettuale e quasi ormai popolare, di essere stati noi, del movimento operaio di impronta comunista, gli autori di una storia sbagliata. Mentre i nostri avversari, e qualcuno dei nostri concorrenti, avevano visto giusto e capito tutto fin dall'inizio. Io credo che se dobbiamo rimproverarci qualcosa, questo sta nel campo di ciò che non abbiamo fatto, più che nel campo di ciò che abbiamo fatto male. E' quando ci siamo autolimitati nelle nostre ambizioni di trasformare le cose in grande, proprio nel momento in cui avevamo la forza per realizzarle, quelle cose. E' quando abbiamo abbassato la guardia, assunto una funzione subalterna, acconciandoci al piccolo cabotaggio del compromesso, inseguendo le contingenze e rimanendone alla fine prigionieri, non guardando più né indietro né in avanti. E' quando abbiamo subito l'ossessione, che vedo ancora maledettamente presente in quello che resta di una sinistra maggioritaria, di farci legittimare da quelli che esattamente dovevamo combattere. Ecco, questi sono gli errori che tu non hai commesso. Puoi andarne fiero: e vivere con tranquillità, direi, se possibile, con una olimpicità goethiana, quella che abbiamo chiamato la tua età dei patriarchi.
In realtà, hai cominciato a volere la luna, quando - come dici appunto nell'intervista - la lotta di classe è diventata il punto centrale della tua vita. La domanda è questa: si può consigliare questo preciso, ben determinato e, vorrei dire, realistico volere la luna a un ventenne o a una ventenne di oggi, l'età che tu avevi allora? Recita la litania: è cambiato tutto. Tutto è cambiato, tranne una cosa: quelli che comandavano ai tempi del tuo nonno Francesco, siciliano di Girgenti e garibaldino, o appena più vicino, ai tempi del mio nonno Domenico, crepato in un ospizio per poveri vecchi in quel di Tivoli, quelli, quelli stessi, comandano ancora. Allora avevano in proprietà un pezzo di terra, adesso sono proprietari del mondo, materiale e virtuale. Io penso che il problema nostro, che dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni, è di capire e di sapere qual è la forma della lotta di classe con cui abbiamo a che fare oggi, per orientarci a pensare e per disporsi ad agire. Non è la vecchia forma, è la forma nuova, indotta da immani trasformazioni, che hanno sradicato e stravolto e alla fine mascherato le figure sia dei padroni che dei lavoratori, ma non le hanno soppresse, queste figure antagoniste, tanto meno le hanno sostituite, come si dice, con un interesse ormai comune. Quello che è in modo impressionante difficile oggi è il processo di riconoscimento delle contraddizioni reali e fondamentali. Perché tutte quelle che appaiono sono contraddizioni reali ma non fondamentali. Ci vuole una lama acuminata di pensiero forte e la scelta di una postazione di vita, di vita quotidiana, propria, che ti permetta la coltivazione di un punto di vista inassimilabile, inassorbibile, indisponibile.
Oggi non mancano, come vediamo ad occhio nudo, le rivolte, il tumulto, le emergenze, i barconi inzeppati di dannati della terra è uno spettacolo su cui vorresti chiudere gli occhi, non manca, purtroppo, la guerra. Ma io mi chiedo: perché abbiamo bisogno di queste cose per accorgerci, solo allora, che così questo mondo non va e che bisognerebbe di nuovo, anche qui in forme nuove, sovvertirlo? Mi pare di aver capito una cosa, che ritengo preziosa, e che ogni giorno pazientemente metto in pratica, guardandomi intorno: è che proprio nel tran tran del giorno per giorno, è quando non succede niente, quando tutto è apparentemente tranquillo, e l'ordine sembra perfetto - se ci pensiamo bene è poi il più gran tempo, il tempo normale - è lì che si esprime la vera subdola violenza del dominio. E' quando non te ne accorgi, e ti illudi di essere libero, è allora che sei veramente sottomesso. Tra i pensieri folli che spesso mi vengono, oggi molto attuali, uno è questo: beati quei popoli che hanno da buttar giù dal trono un tiranno. L'invisibile tirannide che ci opprime, giorno per giorno, ora per ora, in questi nostri meravigliosi giardini democratici d'Occidente, come la buttiamo giù?
E allora, di nuovo, se abbiamo qualcosa da rimproverarci, è questa qui: che lasciamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, una condizione di vita, individuale e sociale, e uno stato interiore, che con una parola a me, ma so anche a te, cara, possiamo definire spirituale, peggiore di tutto quanto noi abbiamo vissuto. Difficile perdonarci questa colpa. I potenti, i ricchi, i sovrapposti, i possessori delle nostre vite, non si sono mai sentiti così bene al sicuro come in questo tempo. Lo dimostrano il peso della loro arroganza, la volgarità della loro egemonia, le certezze della loro indiscutibile ragione. E' qui che va posta la domanda: dove abbiamo sbagliato? Una domanda per tutti, uomini e donne, credenti e non credenti, rivoluzionari e riformisti. Non ci si può sottrarre. Non per disperarsi, tanto meno per rassegnarsi. Al contrario, per riacciuffare il filo della lotta decisiva, come tu volevi "acciuffare" la luna dietro i monti di Lenola.
Va bene, Pietro, mi avevano chiesto di scrivere una lettera per il tuo novantaseiesimo, a nome di quella piccola comunità che è il tuo Crs, a nome di tutti, a nome del suo direttore, Walter Tocci, a nome mio. L'ho fatto, nell'unico modo in cui si può fare rivolgendosi a te, non con i convenevoli, piuttosto conversando, ricordando, riflettendo, pensiero poetante....
* FONTE: Il manifesto, 31 marzo 2011
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