Fulvio Grimaldi ai tempi della difesa della Jugoslavia durante i bombardamenti NATO nel 1999 |
di Annalisa D.
riceviamo e pubblichiamo
Sono tra coloro che hanno sempre seguito le giuste battaglie politiche e di controinformazione di Fulvio Grimaldi. Quando ho potuto ho partecipato alle sue iniziative e le ho sostenute, tra cui quelle in difesa di Cuba, paese di cui Grimaldi è da tempi non sospetti strenuo difensore.
Frequentando l'Associazione di Amicizia Italia-Cuba, con cui Grimaldi ha spesso collaborato (e viaggiato) vengo a sapere che i rapporti di amicizia si sono guastati. Resto di stucco e chiedo ai compagni il perché. «Perché adesso si è messo anche lui a gettare fango su Cuba e il suo governo». «Ma che dici? non posso crederci!», rispondo. «vai, vai, vai a leggere sul suo blog».
Vado quindi sul blog di Grimaldi alla ricerca della "pistola fumante" e dopo un viaggio a ritroso mi imbatto in un pezzo, come sempre ben scritto, dal titolo «Fratelli coltelli. Una rivoluzione al bivio», in cui le prime righe suonano: «Se, cubanofili o cubanofobi, vi prende la fregola di sapere subito quanto di straordinario e inedito sta accadendo nell’isola, andate più sotto».
E si legge: «?Que linda es Cuba? Ai cubani le critiche piacciono poco. Forse perché sanno di essere i migliori. Ma anche in paradiso a volte c’è qualcosa da ridire. Specie se non facciamo i chierichetti del governo cubano, ma gli amici del suo popolo. Ricordo quel responsabile della gioventù comunista, a Caimito, venuto a trovare la nostra brigata di lavoro, cui chiesi ragione dei fedeli che affollavano le chiese millenariste evangeliche, dai Testimoni di Jehova agli Avventisti del Settimo Giorno, alla Chiesa di Dio, ai battisti, in una Cuba che soleva impartire ai suoi giovani la più rigorosa e felice istruzione rivoluzionaria. Cosa cercava quella gente, tanta, nei templi di queste astute avanguardie della corruzione ideologica e dell’infiltrazione di valori reazionari? Un po’ infastidito, il giovanotto mi rispose con uno slogan: “A Cuba c’è libertà di religione”. Problema risolto».
Solo una critica alla politica religiosa del governo, considerata troppo blanda? Per niente.
Più sotto leggo:
«Obiettivi comprensibili, quelli della sospensione del blocco e delle angherie collegate, nel paese in preda a una crisi economica e sociale gravissima, in massima parte dovuta all’embargo, ma anche a inefficienze e corruttele proprie dello Stato che non ha più saputo gestire e motivare i suoi apparati pubblici: un’agricoltura a ramengo, lo zucchero importato, sacche di povertà in crescita, l’industria di base mai decollata, un decimo della popolazione senza lavoro, l’assurda doppia valuta, per poveri e per ricchi, l’emergere, in una società che si voleva senza classi, di un ceto parassita arrampicato sul turismo. Roba contro cui in passato, finchè poteva, Fidel aveva tuonato e rituonato. Ma poi erano arrivati la malattia e il fratello giovinetto Raul. E si sono allargate le maglie: la libreta, che garantiva l’essenziale per la sopravvivenza alimentare, in corso di smantellamento, l’omogeneità dei salari all’interno di una scala ristrettissima abolita, il ritorno progressivo alla proprietà privata, una generazione nuova di dirigenti annichilita e sostituita dai militari del giro di Raul.
Esempio che ancora oggi sconcerta: la cacciata su due piedi, con motivazioni tardive e tanto infamanti quanto risibili, di due massimi dirigenti, universalmente amati e rispettati, individuati come successori al vertice: il miglior ministro degli esteri mai spuntato in Latinoamerica, Felipe Perez Roque, per vent’anni segretario di Fidel, e il vicepresidenfe Carlos Lage, che aveva salvato il paese dalla catastrofe del periodo especial. Si arrivò a dire che i due in disgrazia avevano firmato una lettera di autoaccusa. Era un falso. Sembrava essere tornati alle famigerate purghe degli anni’30 in Urss. Di quell’URSS così incombente a Cuba fino al 1989 e per la quale il Che nutriva comprensibili diffidenze. E poi, uno dopo l’altro, altri ministri tirati via, come le ciliege. Hugo Chavez, che di Perez Roque aveva una stima sconfinata, ne rimase sbigottito – questo lo so da fonte diretta - e i frequenti e affettuosi incontri con Fidel non furono sostituiti da quelli con il nuovo presidente. La prova che quell’autoaccusa non era mai stata firmata la conserva il presidente venezuelano».
Esempio che ancora oggi sconcerta: la cacciata su due piedi, con motivazioni tardive e tanto infamanti quanto risibili, di due massimi dirigenti, universalmente amati e rispettati, individuati come successori al vertice: il miglior ministro degli esteri mai spuntato in Latinoamerica, Felipe Perez Roque, per vent’anni segretario di Fidel, e il vicepresidenfe Carlos Lage, che aveva salvato il paese dalla catastrofe del periodo especial. Si arrivò a dire che i due in disgrazia avevano firmato una lettera di autoaccusa. Era un falso. Sembrava essere tornati alle famigerate purghe degli anni’30 in Urss. Di quell’URSS così incombente a Cuba fino al 1989 e per la quale il Che nutriva comprensibili diffidenze. E poi, uno dopo l’altro, altri ministri tirati via, come le ciliege. Hugo Chavez, che di Perez Roque aveva una stima sconfinata, ne rimase sbigottito – questo lo so da fonte diretta - e i frequenti e affettuosi incontri con Fidel non furono sostituiti da quelli con il nuovo presidente. La prova che quell’autoaccusa non era mai stata firmata la conserva il presidente venezuelano».
Un attacco a tutto campo quindi, micidiale. Un attacco che si presenta come di sinistra, "rivoluzionario", all'attuale gruppo dirigente.
Non che voglia nascondere i problemi della società cubana. Anch'io ho delle perplessità. Non penso tuttavia che Grimaldi abbia ragione. Cuba patisce ancora l'embargo, il governo è davanti a difficoltà oggettive enormi, facile prendersela col governo. Peggio ancora lo è insinuare che con l'arrivo di Raul si starebbe tradendo la rivoluzione socialista.
Presa dallo sconcerto, e dallo sconforto, ho espresso questi sentimenti ad un'altra compagna dell'Associazione, la quale ha cercato di convincermi che «... la vera causa dell'attacco di Grimaldi non è Cuba, ma che noi non lo abbiamo difeso e sostenuto nella sua battaglia contro Bertinotti e il quotidiano Liberazione, quando si è incatenato sotto la redazione di Viale del Policlinico, dopo che egli aveva perso la causa intentata contro il giornale».
Vera o no questa spiegazione, è proprio una brutta storia.
Voglio credere che per quanto sbagliate, le critiche di Grimaldi siano sincere. Del resto ho sempre pensato che la sua battaglia contro la direzione bertinottiana del PRC, che lo licenziò in tronco a causa delle sue posizioni antiamericane e antisioniste, fosse allora più che legittima, sacrosanta.
1 commento:
Salve
tempo fa scrissi a Grimaldi le mie preoccupazioni su cosa si profilerà al momento della morte di Castro e lui mi ha risposto sottolineando la forza del popolo nel credere fermamente alla loro rivoluzione ...e tutto ciò avveniva poco dopo la causa persa....ma mi chiedo anche perchè non è stato sostenuto dall' associazione per Cuba...perchè il suo sfogo personale sarà anche esagerato ma è comprensibile visto quanto combattiamo ogni giorno per far prevalere un'informazione altra.
Grazie Stefania Brunini
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