[ 5 febbraio 2019 ]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Lo spunto per questo articolo mi è venuta da un “social”. Un contatto, sovranista, aveva pubblicato il link del sito di Magistratura Democratica, per mostrare come tanti dei problemi attribuiti alla giustizia in Italia avessero origine in quella corrente giudiziaria e in quelle posizioni. Il motivo scatenante era probabilmente la notizia, ampiamente diffusa, e di non poco conto, che i tre giudici del Tribunale dei ministri che contro le indicazioni del Pubblico ministero di Catania, avevano deciso di procedere contro Matteo Salvini per il presunto “sequestro” dei migranti della nave Diciotti, erano iscritti a Magistratura Democratica.
E, in effetti, il sito di quella corrente della magistratura era pieno di articoli e di argomenti che giustificavano il rivolgersi delle critiche verso la giustizia a questa corrente dei magistrati. Dal tema del prossimo congresso, che si svolgerà a marzo, “Il giudice nell’epoca dei populismi”, con tanto di vignetta di Vauro con giudice che mette la toga ad un naufrago, allo sgombero del Cara, all’attualità dell’antifascismo, alle preoccupazioni per il caso Battisti, alla critica al decreto sicurezza e contro l’estensione della legittima difesa, ai minori stranieri non accompagnati, alla sicurezza dei carcerati, all’”ospite straniero” e tutti gli argomenti che costituiscono la vulgata dell’identità del giudice “di sinistra”.
Io, in effetti, mi sono chiesto per anni, nel corso degli eventi che hanno segnato gli ultimi decenni della storia italiana, che fine avessero fatto i giudici di Magistratura Democratica. Che fine avessero fatto quando il Pm Di Pietro e il pool di Milano istituiva quel processo farsa chiamato Mani Pulite, dove i giudici di Milano raccoglievano fatti corruttivi e concussivi di alcune centinaia di esponenti politici, raccogliendoli presso di sé con la tecnica dell’avocazione in ragione della loro primazia nella conduzione del processo di Tangentopoli, in modo tale da includere gli uni e da escludere gli altri, invocando per alcuni il principio del “non sapeva” e per altri il principio del “non poteva non sapere”; quando si sottraevano alla ispezione ministeriale inviata dal ministro Castelli con la surreale spiegazione di non avere un archivio dei loro procedimenti; quando non avevano niente da dire sugli undici mesi in carcere senza un interrogatorio di Lorenzo Necci, poi liberato e vittima di un incidente sospetto, subito seguito dal furto dei suoi documenti nella sua abitazione. Quando non avevano niente da dire sulla svolta maggioritaria del sistema elettorale nel 1994; quando non avevano niente da dire sulla persecuzione giudiziaria di Berlusconi; quando non avevano niente da dire sulle strane procedure di alcune procure che, in attesa dell’autorizzazione a procedere verso qualche parlamentare o ministro, producevano fughe di documenti processuali con la complicità di qualche organo di stampa; oppure, pubblicavano intercettazioni non autorizzate su qualche politico con la scusa che il sorvegliato era l’interlocutore al telefono; quando, oggi, non hanno niente da dire sulle pesantissime censure operate dalle proprietà dei social media nei confronti di esponenti cattolici o non liberal-progressisti, come se Facebook o altri social media fossero degli organi di stampa privati e non dei servizi di pubblico interesse; quando non hanno niente da dire se il ministro Orlando istituisce un organo di controllo dei social media formato da 150 associazioni conformi alla sua visione del mondo; quando i magistrati compiono interpretazioni creative della legge riguardo alla fecondazione eterologa, al riconoscimento dei figli nati dalla “gravidanza per altri”…(!!!) o pubblici ufficiali disattendono la legge sulla concessione della residenza; quando la magistratura realizza una plateale difformità nel giudizio riguardo all’uso dei fondi pubblici fra Margherita e Lega nord; quando il Global Compact prevede di punire opinioni critiche rispetto all’immigrazione, alla faccia dell’articolo 21 della nostra Costituzione; e in tanti altri casi che la memoria collettiva potrebbe richiamare.
Berlusconi risolve in modo semplicistico la questione: “ I giudici comunisti…”; ma io, che da quella definizione non mi sono ancora dissociato, e non ho tuttora seri motivi per dissociarmi, provo un certo disagio quando la mia identità politica viene associata a questi politicanti del diritto, a questi soggetti che hanno deciso di far strame dello stato di diritto in Italia.
Eppure l’attribuzione di Berlusconi non è infondata. Chi ha l’età per ricordare sa bene che Magistratura Democratica non è nata in modo estemporaneo, né come corrente del Pci o dei suoi eredi politici; ma come una corrente di orientamento marxista all’interno della magistratura. I maggiori esponenti di magistratura democratica fra gli anni ’70 e ’80 (credo di ricordare Ferrajoli, Bevere, Canosa, Marrone fra gli altri) erano oltre che magistrati o studiosi del diritto anche militanti politici a tutto tondo, che la loro militanza fosse sancita da una appartenenza di partito oppure no. E il loro ruolo era stato importante nella lotta contro i licenziamenti politici, nella tutela dell’ambiente e in molte altre battaglie di rilevante significato popolare.
Tuttavia, la corrente di Magistratura Democratica ha vissuto sicuramente molte vicissitudini, travagli e cambiamenti negli anni successivi a quella epoca.
Per capire come si posiziona oggi Magistratura Democratica nello scenario
presente, credo che sia decisivo considerare la posizione che ha assunto
all’interno dello scontro globale oggi in atto, quello fra globalismo guidato
dalla finanza e resistenze nazionali e sovranitarie. In tal senso, considero
fondamentale per la comprensione il documento per il congresso del “Gruppo
Europa”, approvato al XIX congresso di Magistratura Democratica, tenutosi a
Roma fra il 31 gennaio e il 3 febbraio del 2013, di cui qui si può leggere il
testo integrale
Presento il testo accompagnato da commenti brevi, contrassegnati dalle parentesi quadre e in colore azzurro, e da commenti più lunghi, sempre in azzurro.
XIX CONGRESSO DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA: QUALE GIUSTIZIA AL TEMPO DELLA CRISI
Come cambiano diritti, poteri e giurisdizione
Roma, 31 gennaio/3 febbraio 2013
DOCUMENTO PER IL CONGRESSO DEL GRUPPO EUROPA
a cura di Valeria Piccone, Papi Bronzini e Giovanni Diotallevi
Le due fasi della riforme istituzionali dell’Unione europea
Il complesso e certamente non lineare percorso di revisione istituzionale in Europa può essere distinto in due fasi: la prima, segnata da una progettualità ambiziosa e da una linea di continuità con gli elementi evolutivi del processo di integrazione europea, ma costantemente frenata o da dissensi tra gli stati e dalla loro indisponibilità a cedere maggiori porzioni di sovranità o da inattese frenate dovute alle resistenze popolari ed alle difficoltà di coinvolgere l’opinione pubblica continentale; la seconda, connotata da spinte improvvise dettate dall’emergenza e dominata dai tentativi di superare ostacoli giuridici ed istituzionali ad una gestione immediata ed efficace della crisi, senza però un disegno unitario e prospettico sulle mete da raggiungere.
Il primo itinerario di mutamenti istituzionali, iniziato proprio al volgere del millennio con la decisione del Consiglio europeo di Colonia di nominare una Convenzione per la redazione di una Carta dei diritti fondamentali, prosegue poi con la redazione ad opera di una seconda Convenzione di un “ Trattato- costituzione”, respinto nel 2005 nei due referendum popolari in Francia ed il Olanda, e si conclude con la ratifica e poi l’entrata in vigore il I dicembre 2009 del Trattato di Lisbona che, pur non utilizzando il termine “ Costituzione”, recepisce tutte le principali e più significative migliorie che la seconda Convenzione aveva previsto.
Si muove, infatti, dall’importante promozione del ruolo del Parlamento europeo con la sanzione della codecisione come regola ordinaria di approvazione della legislazione Ue, alla soppressione della divisione in “pilastri” dell’ordinamento, alla conferita obbligatorietà della Carta dei diritti e alla previsione dell’adesione dell’Ue alla Cedu, nonché all’istituzione di due nuovi organi che si volevano rappresentativi di istanze unitarie e comuni come la Presidenza Ue e il Responsabile per la politica estera, sino ad arrivare ad un significativo incremento della partecipazione democratica mediante la previsione della possibilità di lanciare una ICE ( iniziativa del cittadino europeo), cioè una raccolta di firme su scala continentale per proporre un’azione legislativa alla Commissione (una sorta di referendum propositivo, sconosciuto in genere negli stessi ordinamenti interni).
[Va precisato che, al di là dell’entusiasmo di Magistratura Democratica, l’ ICE non è affatto un referendum propositivo, ma una proposta di legge di iniziativa popolare, simile a quella dell’ordinamento italiano, con l’aggravante che non deve essere promossa da partiti o da associazioni (a Bruxelles amano la spontaneità), e che dell’iniziativa di legge popolare ha lo stesso destino]
Da quel momento si sono avuti
una serie di tentativi di rattoppare l’originaria carenza di elementi di
coesione e solidarietà interna tra i paesi aderenti alla moneta unica e di
promuovere tra mille difficoltà, ripensamenti e ostacoli, anche di ordine
costituzionale, un primo nucleo di un governo economico per lo meno nella eurozone,
capace di irradiare politiche economiche e fiscali (nonché sociali, almeno
riguardo ad alcuni trattamenti “minimi” di base, secondo le aspirazioni del
Trattato di Amsterdam) convergenti ed unitarie.
[come l’ Esm e il Fiscal Compact “rattoppino la carenza di elementi di coesione e solidarietà” è una bella astrazione, ma “almeno paghino una bella indennità di disoccupazione..!” dicono a MD ]
L’esplodere della crisi dell’euro e le ricadute sul diritto dell’Unione
Dall’esplodere della caso Grecia l’Unione ha adottato svariati strumenti di diritto europeo ed internazionale come il six pack e il two pack ( con il Patto euro-plus del Marzo del 2011) una revisione semplificata del Trattato ( l’art. 136 del TFUE, onde consentire ai paesi dell’euro di varare misure per rafforzare la moneta unica)
[già…]
e da ultimo ben due Trattati internazionali come il Fiscal compact e il Trattato sull’ESM (sottoscritto da soli 25 paesi esclusi la Gran Bretagna e la Repubblica ceca) , introducendo nuovi organismi inediti ( come il Board dell’ESM composto dai Governatori delle Banche centrali) e regole d’emergenza.
Si sono così delineate importanti fratture sia nel diritto dell’Unione che nella stessa geometria del processo di integrazione. E’ emersa ancor più radicalmente che nel passato l’indisponibilità britannica [ perfida Albione…!] a far compiere all’Unione significativi passi in avanti rispetto al quadro di Lisbona, rendendo inevitabile il ricorso al diritto internazionale per evitare l’immobilismo e con esso la resa all’assalto dei mercati.
Tuttavia, più in generale, la crisi improvvisa ed imprevista dell’euro ha mostrato una profonda divisione di interessi tra paesi che hanno la moneta unica (che è divenuta ben presto il baricentro di tutti gli sforzi degli organi comunitari) e che coloro che ne sono al di fuori ( anche se non hanno abdicato all’intenzione di entrarvi come la Polonia): i primi sono avvinti in un comune destino che, spinto paradassalmente dalla speculazione, li conduce, in molti casi obtorto collo, verso una più stretta integrazione, i secondi diventano sempre più estranei all’agenda delle istituzioni Ue. Inoltre si è a questa aggiunta un’altra divisione piuttosto netta tra paesi del nord, solidi economicamente e che godono ancora di robusti sistemi di tutela sociale incentrate sulle cosidette politiche attive per il lavoro e su tassi di indebitamento sotto controllo ed un sud-europa in estrema difficoltà in termini di competitività economica, di solidità di bilancio ed anche di “ tenuta” dei sistemi sociali molto sperequati, inefficienti e poco inclusivi.
La risposta a tale divario è stata ricercata selettivamente [ perché secondo MD data la struttura istituzionale della Ue e dell’ Eurozona si sarebbero potute fare delle scelte keinesiane…] nelle politiche di austerity e di risanamento, non affiancate però da strumenti di sorta ( se non il classico Fondo sociale) per aiutare la crescita economica e lo sviluppo e la tenuta dei livelli occupazionali.
[per la cronaca il Fondo Sociale Europeo che la Ue versa all’ Italia per il periodo 2014-2020 consiste in 10,17 miliardi di euro, rispetto agli oltre 100 che l’ Italia versa alla Ue nello stesso periodo. Un bell’aiuto, non c’è che dire…]
L’abbandono della cornice del diritto dell’Unione attraverso la necessitata porta stretta del diritto internazionale ha portato sostanzialmente alla sterilizzazione delle prerogative del Parlamento europeo su materie oggi nevralgiche che assegnano – soprattutto per i paesi dell’eurozona –poteri penetranti di controllo sui bilanci nazionali ed anche sulle connesse politiche economiche interne in primis al Consiglio ed alla Commissione: il già previsto potere di coordinamento, prima con il varo del cosiddetto “ semestre europeo” poi con il Fiscal compact ha visto un deciso irrobustimento nel quadro delle politiche di salvaguardia dell’euro e di aiuti ai paesi in difficoltà all’insegna del rigore di bilancio e del rispetto delle indicazioni sovranazionali che assumono carattere sempre più perentori.
Quale paese a rischio di default potrebbe oggi permettersi di ignorare quelle Raccomandazioni annuali (in vista dei Piani nazionali di riforma) che sino al 2009 sembravano avere carattere meramente indicativo e comunque venivano interpretate all’insegna della massima elasticità , visto che dal loro rispetto può dipendere il suo salvataggio? I nuovi meccanismi costruiti attorno alla vigilanza dei bilanci nazionali e nella gestione di nuovi organi di gestione della crisi dal “Fondosalvastati” all’ESM ruotano attorno ad una nuova centralità intergovernativa ed, al suo interno, sul pluspotere di diritto (come nelle quote del Board dell’ESM) e di fatto detenuto da Francia e Germania, [menomale se ne sono accorti] mentre talvolta si utilizzano strumentalmente, pur in un contesto formalmente di diritto internazionale, gli altri organi dell’Unione più connotati in senso sovranazionale come il Parlamento europeo ( chiamato a collaborare con quelli nazionali per conferire efficacia alle misure disposte nei confronti di paesi in difficoltà) , alla Commissione, cui spetta un ruolo quasi da “gendarme dei conti pubblici”, alla Corte di giustizia cui si chiede di verificare i piani di rientro dal deficit dei singoli paesi.
Come ha scritto Jürgen Habermas a proposito del Fiscal compact, per la prima volta nel processo di integrazione rilevanti cessioni di sovranità dagli Stati all’Unione non sono stati accompagnati da un incremento del potere di partecipazione e controllo dei cittadini europei, visto che l’organo a mandato universale deputato ad esprimere tale potere è stato in sostanza esautorato dai nuovi meccanismi della governance della eurozona.
Le occasioni “ costituenti” della crisi: verso un salto federale?
Ma sarebbe un gravissimo errore vedere solo questo lato della vicenda: sotto l’incedere della crisi l’Europa si è comunque mossa, evitando la catastrofe, scegliendo strade inedite (anche a causa dell’incompletezza del disegno istituzionale terminato con Lisbona), ha creato nuovi organi e nuovi meccanismi sia pure con legami troppo deboli con il diritto comunitario, non si è arresa al diktat della Gran Bretagna di ridimensionare l’Unione ad uno spazio di libero mercato. Gli Stati che hanno seguito il nuovo sentiero dell’integrazione sono stati gettati in un orizzonte di tipo nuovo, verso una comune governance sia sul fronte fiscale, che delle politiche economiche che sociali.
E’ ormai tramontata per sempre l’idea che, rimanendo nell’euro, i Paesi possano fare da soli, sabotare la disciplina sovranazionale, ignorare i piani comuni: questi possono e debbono essere certamente cambiati, resi più equi e solidaristici, [già, come…?...] ma il pensiero sovranista in questo momento è null’altro che un pensiero della catastrofe, della resa alla speculazione, del ritorno regressivo ad un costituzionalismo in “ paese solo”….
[Questa del “costituzionalismo in un paese solo” è una frase molto rivelatrice. In primo luogo, è sorprendente che una associazione di magistrati che ha fatto della tutela delle garanzie e dei diritti del singolo il baricentro della sua funzione dica “Beh, in fondo cosa sono le Costituzioni dei singoli paesi…” (!!!) In realtà, il significato da attribuire a questa frase è il seguente: essendo stati i giuristi europeisti sconfitti dai giuristi sovranisti sul tema della compatibilità fra Costituzione e Trattati europei (con speciale riferimento, fra gli altri, agli interventi di Luciano Barra Caracciolo), Magistratura “ Democratica” (scusate per le virgolette, ma qualche volta ci vogliono) tenta di aggirare l’ostacolo dicendo “Beh, in fondo, le singole Costituzioni…] (!!!)
…del tutto inefficace ed escludente, rovinoso per i più deboli posto che i più ricchi e potenti certamente non rimarrebbero mai imbrigliati nelle follie di governi populisti che mirano al default.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il silenzio dei giuristi.
Riflessioni su alcune
tesi congressuali di Magistratura Democratica
Lo spunto per questo articolo mi è venuta da un “social”. Un contatto, sovranista, aveva pubblicato il link del sito di Magistratura Democratica, per mostrare come tanti dei problemi attribuiti alla giustizia in Italia avessero origine in quella corrente giudiziaria e in quelle posizioni. Il motivo scatenante era probabilmente la notizia, ampiamente diffusa, e di non poco conto, che i tre giudici del Tribunale dei ministri che contro le indicazioni del Pubblico ministero di Catania, avevano deciso di procedere contro Matteo Salvini per il presunto “sequestro” dei migranti della nave Diciotti, erano iscritti a Magistratura Democratica.
E, in effetti, il sito di quella corrente della magistratura era pieno di articoli e di argomenti che giustificavano il rivolgersi delle critiche verso la giustizia a questa corrente dei magistrati. Dal tema del prossimo congresso, che si svolgerà a marzo, “Il giudice nell’epoca dei populismi”, con tanto di vignetta di Vauro con giudice che mette la toga ad un naufrago, allo sgombero del Cara, all’attualità dell’antifascismo, alle preoccupazioni per il caso Battisti, alla critica al decreto sicurezza e contro l’estensione della legittima difesa, ai minori stranieri non accompagnati, alla sicurezza dei carcerati, all’”ospite straniero” e tutti gli argomenti che costituiscono la vulgata dell’identità del giudice “di sinistra”.
Io, in effetti, mi sono chiesto per anni, nel corso degli eventi che hanno segnato gli ultimi decenni della storia italiana, che fine avessero fatto i giudici di Magistratura Democratica. Che fine avessero fatto quando il Pm Di Pietro e il pool di Milano istituiva quel processo farsa chiamato Mani Pulite, dove i giudici di Milano raccoglievano fatti corruttivi e concussivi di alcune centinaia di esponenti politici, raccogliendoli presso di sé con la tecnica dell’avocazione in ragione della loro primazia nella conduzione del processo di Tangentopoli, in modo tale da includere gli uni e da escludere gli altri, invocando per alcuni il principio del “non sapeva” e per altri il principio del “non poteva non sapere”; quando si sottraevano alla ispezione ministeriale inviata dal ministro Castelli con la surreale spiegazione di non avere un archivio dei loro procedimenti; quando non avevano niente da dire sugli undici mesi in carcere senza un interrogatorio di Lorenzo Necci, poi liberato e vittima di un incidente sospetto, subito seguito dal furto dei suoi documenti nella sua abitazione. Quando non avevano niente da dire sulla svolta maggioritaria del sistema elettorale nel 1994; quando non avevano niente da dire sulla persecuzione giudiziaria di Berlusconi; quando non avevano niente da dire sulle strane procedure di alcune procure che, in attesa dell’autorizzazione a procedere verso qualche parlamentare o ministro, producevano fughe di documenti processuali con la complicità di qualche organo di stampa; oppure, pubblicavano intercettazioni non autorizzate su qualche politico con la scusa che il sorvegliato era l’interlocutore al telefono; quando, oggi, non hanno niente da dire sulle pesantissime censure operate dalle proprietà dei social media nei confronti di esponenti cattolici o non liberal-progressisti, come se Facebook o altri social media fossero degli organi di stampa privati e non dei servizi di pubblico interesse; quando non hanno niente da dire se il ministro Orlando istituisce un organo di controllo dei social media formato da 150 associazioni conformi alla sua visione del mondo; quando i magistrati compiono interpretazioni creative della legge riguardo alla fecondazione eterologa, al riconoscimento dei figli nati dalla “gravidanza per altri”…(!!!) o pubblici ufficiali disattendono la legge sulla concessione della residenza; quando la magistratura realizza una plateale difformità nel giudizio riguardo all’uso dei fondi pubblici fra Margherita e Lega nord; quando il Global Compact prevede di punire opinioni critiche rispetto all’immigrazione, alla faccia dell’articolo 21 della nostra Costituzione; e in tanti altri casi che la memoria collettiva potrebbe richiamare.
Berlusconi risolve in modo semplicistico la questione: “ I giudici comunisti…”; ma io, che da quella definizione non mi sono ancora dissociato, e non ho tuttora seri motivi per dissociarmi, provo un certo disagio quando la mia identità politica viene associata a questi politicanti del diritto, a questi soggetti che hanno deciso di far strame dello stato di diritto in Italia.
Eppure l’attribuzione di Berlusconi non è infondata. Chi ha l’età per ricordare sa bene che Magistratura Democratica non è nata in modo estemporaneo, né come corrente del Pci o dei suoi eredi politici; ma come una corrente di orientamento marxista all’interno della magistratura. I maggiori esponenti di magistratura democratica fra gli anni ’70 e ’80 (credo di ricordare Ferrajoli, Bevere, Canosa, Marrone fra gli altri) erano oltre che magistrati o studiosi del diritto anche militanti politici a tutto tondo, che la loro militanza fosse sancita da una appartenenza di partito oppure no. E il loro ruolo era stato importante nella lotta contro i licenziamenti politici, nella tutela dell’ambiente e in molte altre battaglie di rilevante significato popolare.
Tuttavia, la corrente di Magistratura Democratica ha vissuto sicuramente molte vicissitudini, travagli e cambiamenti negli anni successivi a quella epoca.
Presento il testo accompagnato da commenti brevi, contrassegnati dalle parentesi quadre e in colore azzurro, e da commenti più lunghi, sempre in azzurro.
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XIX CONGRESSO DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA: QUALE GIUSTIZIA AL TEMPO DELLA CRISI
Come cambiano diritti, poteri e giurisdizione
Roma, 31 gennaio/3 febbraio 2013
DOCUMENTO PER IL CONGRESSO DEL GRUPPO EUROPA
a cura di Valeria Piccone, Papi Bronzini e Giovanni Diotallevi
Le due fasi della riforme istituzionali dell’Unione europea
Il complesso e certamente non lineare percorso di revisione istituzionale in Europa può essere distinto in due fasi: la prima, segnata da una progettualità ambiziosa e da una linea di continuità con gli elementi evolutivi del processo di integrazione europea, ma costantemente frenata o da dissensi tra gli stati e dalla loro indisponibilità a cedere maggiori porzioni di sovranità o da inattese frenate dovute alle resistenze popolari ed alle difficoltà di coinvolgere l’opinione pubblica continentale; la seconda, connotata da spinte improvvise dettate dall’emergenza e dominata dai tentativi di superare ostacoli giuridici ed istituzionali ad una gestione immediata ed efficace della crisi, senza però un disegno unitario e prospettico sulle mete da raggiungere.
Il primo itinerario di mutamenti istituzionali, iniziato proprio al volgere del millennio con la decisione del Consiglio europeo di Colonia di nominare una Convenzione per la redazione di una Carta dei diritti fondamentali, prosegue poi con la redazione ad opera di una seconda Convenzione di un “ Trattato- costituzione”, respinto nel 2005 nei due referendum popolari in Francia ed il Olanda, e si conclude con la ratifica e poi l’entrata in vigore il I dicembre 2009 del Trattato di Lisbona che, pur non utilizzando il termine “ Costituzione”, recepisce tutte le principali e più significative migliorie che la seconda Convenzione aveva previsto.
Si muove, infatti, dall’importante promozione del ruolo del Parlamento europeo con la sanzione della codecisione come regola ordinaria di approvazione della legislazione Ue, alla soppressione della divisione in “pilastri” dell’ordinamento, alla conferita obbligatorietà della Carta dei diritti e alla previsione dell’adesione dell’Ue alla Cedu, nonché all’istituzione di due nuovi organi che si volevano rappresentativi di istanze unitarie e comuni come la Presidenza Ue e il Responsabile per la politica estera, sino ad arrivare ad un significativo incremento della partecipazione democratica mediante la previsione della possibilità di lanciare una ICE ( iniziativa del cittadino europeo), cioè una raccolta di firme su scala continentale per proporre un’azione legislativa alla Commissione (una sorta di referendum propositivo, sconosciuto in genere negli stessi ordinamenti interni).
[Va precisato che, al di là dell’entusiasmo di Magistratura Democratica, l’ ICE non è affatto un referendum propositivo, ma una proposta di legge di iniziativa popolare, simile a quella dell’ordinamento italiano, con l’aggravante che non deve essere promossa da partiti o da associazioni (a Bruxelles amano la spontaneità), e che dell’iniziativa di legge popolare ha lo stesso destino]
Viene, tuttavia, solo marginalmente
toccata dalla Riforma la parte più complessa dell’ordinamento europeo
riguardante l’euro, il coordinamento delle politiche economiche e sociali, in
una parola, la governance economica, nella convinzione
o, forse, nella azzardata scommessa che il quadro legale varato a Maastricht ed
ad Amsterdam sia sufficiente per realizzare gli ambiziosi programmi della
Agenda di Lisbona e che il consolidamento ottenuto degli organi sovranazionali
(Parlamento, Commissione e Corte di giustizia) sia comunque idoneo a conferire
un carattere unitario ed efficiente anche per una moneta ed ad una Banca “senza
stato”.
[Aggiungiamo qui un primo commento. Se considerassimo questa distinzione di due fasi come un tentativo di storicizzare la costruzione europea dovremmo definirla “di pura fantasia”. Sul piano reale, degli avvenimenti storici, dobbiamo individuare una prima fase progressiva, o keinesiana, che va dai trattati di Roma (1957) alla creazione dello Sme nel ‘’79, una fase “padronale”, che va dal 1979 al ’99, in cui si affermano le tesi monetariste in coincidenza di analoghe svolte negli Usa e nel Regno Unito, ma in cui i singoli paesi mantengono la possibilità di svalutare la propria moneta nazionale), e una fase, quella successiva al ’99, che io chiamerei nazi-tecnocratica, in cui la moneta unica e la libera circolazione dei capitali si affiancano alla completa assenza di strumenti di solidarietà fra paesi. In termini più soft, Stefano Fassina e molti altri paragonano questa fase a quella ottocentesca del Gold Standard, una volta fatta l’importante specificazione che i capitali non avevano nell’ ‘800 la stessa fluidità di oggi, e quindi il vincolo che la libera circolazione dei capitali esercita sulle politiche economiche nazionali è estremamente più forte.
Il discorso di magistratura Democratica va dunque inteso così: “Assunto come positivo il processo di creazione di un super stato europeo, riconosciamo una fase, quella che va dalla carta dei Diritti di Nizza del 2000 fino al Trattato di Lisbona del 2009, in cui si manifestano elementi giuridici e istituzionali suscettibili di un loro possibile uso democratico, e la fase successiva in cui questi elementi sembrano vanificarsi”]
[Aggiungiamo qui un primo commento. Se considerassimo questa distinzione di due fasi come un tentativo di storicizzare la costruzione europea dovremmo definirla “di pura fantasia”. Sul piano reale, degli avvenimenti storici, dobbiamo individuare una prima fase progressiva, o keinesiana, che va dai trattati di Roma (1957) alla creazione dello Sme nel ‘’79, una fase “padronale”, che va dal 1979 al ’99, in cui si affermano le tesi monetariste in coincidenza di analoghe svolte negli Usa e nel Regno Unito, ma in cui i singoli paesi mantengono la possibilità di svalutare la propria moneta nazionale), e una fase, quella successiva al ’99, che io chiamerei nazi-tecnocratica, in cui la moneta unica e la libera circolazione dei capitali si affiancano alla completa assenza di strumenti di solidarietà fra paesi. In termini più soft, Stefano Fassina e molti altri paragonano questa fase a quella ottocentesca del Gold Standard, una volta fatta l’importante specificazione che i capitali non avevano nell’ ‘800 la stessa fluidità di oggi, e quindi il vincolo che la libera circolazione dei capitali esercita sulle politiche economiche nazionali è estremamente più forte.
Il discorso di magistratura Democratica va dunque inteso così: “Assunto come positivo il processo di creazione di un super stato europeo, riconosciamo una fase, quella che va dalla carta dei Diritti di Nizza del 2000 fino al Trattato di Lisbona del 2009, in cui si manifestano elementi giuridici e istituzionali suscettibili di un loro possibile uso democratico, e la fase successiva in cui questi elementi sembrano vanificarsi”]
L’euforia sull’essere l’Unione uscita
dal guado istituzionale con le nuove regole del Trattato di Lisbona è però
durata pochi mesi. […]
Sul piano generale l’Unione nel suo
complesso è sembrata nel 2008 e 2009 sopportare molto meglio rispetto
agli USA l’impatto della crisi economica internazionale grazie al suo sistema
di welfare ed al modello sociale europeo inteso come
linea di convergenza delle esperienze nazionali più virtuose contraddistinto (
per dirla con le note parole del Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman
nell’articolo “Salvare l’Europa”) da tutele nel contratto incentrate sul
divieto del licenziamento ingiustificato e da tutele del mercato che culminano
nel diritto ad un reddito minimo a garanzia della dignità della persona (e che
quindi contribuiscono sinergicamente a conferire una certa sicurezza ai
soggetti anche in caso di turbolenza economica).
Tuttavia l’illusione è durata poco:
la crisi si è ben presto manifestata nel vecchio continente come una crisi del
debito sovrano generata anche dalla mancata predisposizione di una rete di
solidarietà e di protezione dei paesi in situazione di difficoltà . L’attacco
speculativo all’euro si è alimentato da un lato delle gravissime
disfunzioni istituzionali politiche e sociali di alcuni paesi -dalle menzogne
della Grecia sullo stato dei propri conti, alla bolla speculativa spagnola,
agli enormi sprechi connessi a corruzione ed evasione fiscale generalizzata
dell’Italia, alle estrosità finanziarie delle banche irlandesi — […!] dall’altro
delle carenze regolative nella costruzione monetaria dell’euro il cui organo
direttivo, la BCE, non gode delle prerogative che hanno le altre Banche
centrali [quali dovrebbero essere…? Il fatto che non acquisti direttamente i
titoli emessi dagli stati è un incidente di percorso, una dimenticanza…? ] ed
il cui statuto limita l’azione al controllo della sola stabilità dei
prezzi.
[come l’ Esm e il Fiscal Compact “rattoppino la carenza di elementi di coesione e solidarietà” è una bella astrazione, ma “almeno paghino una bella indennità di disoccupazione..!” dicono a MD ]
L’esplodere della crisi dell’euro e le ricadute sul diritto dell’Unione
Dall’esplodere della caso Grecia l’Unione ha adottato svariati strumenti di diritto europeo ed internazionale come il six pack e il two pack ( con il Patto euro-plus del Marzo del 2011) una revisione semplificata del Trattato ( l’art. 136 del TFUE, onde consentire ai paesi dell’euro di varare misure per rafforzare la moneta unica)
[già…]
e da ultimo ben due Trattati internazionali come il Fiscal compact e il Trattato sull’ESM (sottoscritto da soli 25 paesi esclusi la Gran Bretagna e la Repubblica ceca) , introducendo nuovi organismi inediti ( come il Board dell’ESM composto dai Governatori delle Banche centrali) e regole d’emergenza.
Si sono così delineate importanti fratture sia nel diritto dell’Unione che nella stessa geometria del processo di integrazione. E’ emersa ancor più radicalmente che nel passato l’indisponibilità britannica [ perfida Albione…!] a far compiere all’Unione significativi passi in avanti rispetto al quadro di Lisbona, rendendo inevitabile il ricorso al diritto internazionale per evitare l’immobilismo e con esso la resa all’assalto dei mercati.
Tuttavia, più in generale, la crisi improvvisa ed imprevista dell’euro ha mostrato una profonda divisione di interessi tra paesi che hanno la moneta unica (che è divenuta ben presto il baricentro di tutti gli sforzi degli organi comunitari) e che coloro che ne sono al di fuori ( anche se non hanno abdicato all’intenzione di entrarvi come la Polonia): i primi sono avvinti in un comune destino che, spinto paradassalmente dalla speculazione, li conduce, in molti casi obtorto collo, verso una più stretta integrazione, i secondi diventano sempre più estranei all’agenda delle istituzioni Ue. Inoltre si è a questa aggiunta un’altra divisione piuttosto netta tra paesi del nord, solidi economicamente e che godono ancora di robusti sistemi di tutela sociale incentrate sulle cosidette politiche attive per il lavoro e su tassi di indebitamento sotto controllo ed un sud-europa in estrema difficoltà in termini di competitività economica, di solidità di bilancio ed anche di “ tenuta” dei sistemi sociali molto sperequati, inefficienti e poco inclusivi.
La risposta a tale divario è stata ricercata selettivamente [ perché secondo MD data la struttura istituzionale della Ue e dell’ Eurozona si sarebbero potute fare delle scelte keinesiane…] nelle politiche di austerity e di risanamento, non affiancate però da strumenti di sorta ( se non il classico Fondo sociale) per aiutare la crescita economica e lo sviluppo e la tenuta dei livelli occupazionali.
[per la cronaca il Fondo Sociale Europeo che la Ue versa all’ Italia per il periodo 2014-2020 consiste in 10,17 miliardi di euro, rispetto agli oltre 100 che l’ Italia versa alla Ue nello stesso periodo. Un bell’aiuto, non c’è che dire…]
L’abbandono della cornice del diritto dell’Unione attraverso la necessitata porta stretta del diritto internazionale ha portato sostanzialmente alla sterilizzazione delle prerogative del Parlamento europeo su materie oggi nevralgiche che assegnano – soprattutto per i paesi dell’eurozona –poteri penetranti di controllo sui bilanci nazionali ed anche sulle connesse politiche economiche interne in primis al Consiglio ed alla Commissione: il già previsto potere di coordinamento, prima con il varo del cosiddetto “ semestre europeo” poi con il Fiscal compact ha visto un deciso irrobustimento nel quadro delle politiche di salvaguardia dell’euro e di aiuti ai paesi in difficoltà all’insegna del rigore di bilancio e del rispetto delle indicazioni sovranazionali che assumono carattere sempre più perentori.
Quale paese a rischio di default potrebbe oggi permettersi di ignorare quelle Raccomandazioni annuali (in vista dei Piani nazionali di riforma) che sino al 2009 sembravano avere carattere meramente indicativo e comunque venivano interpretate all’insegna della massima elasticità , visto che dal loro rispetto può dipendere il suo salvataggio? I nuovi meccanismi costruiti attorno alla vigilanza dei bilanci nazionali e nella gestione di nuovi organi di gestione della crisi dal “Fondosalvastati” all’ESM ruotano attorno ad una nuova centralità intergovernativa ed, al suo interno, sul pluspotere di diritto (come nelle quote del Board dell’ESM) e di fatto detenuto da Francia e Germania, [menomale se ne sono accorti] mentre talvolta si utilizzano strumentalmente, pur in un contesto formalmente di diritto internazionale, gli altri organi dell’Unione più connotati in senso sovranazionale come il Parlamento europeo ( chiamato a collaborare con quelli nazionali per conferire efficacia alle misure disposte nei confronti di paesi in difficoltà) , alla Commissione, cui spetta un ruolo quasi da “gendarme dei conti pubblici”, alla Corte di giustizia cui si chiede di verificare i piani di rientro dal deficit dei singoli paesi.
Come ha scritto Jürgen Habermas a proposito del Fiscal compact, per la prima volta nel processo di integrazione rilevanti cessioni di sovranità dagli Stati all’Unione non sono stati accompagnati da un incremento del potere di partecipazione e controllo dei cittadini europei, visto che l’organo a mandato universale deputato ad esprimere tale potere è stato in sostanza esautorato dai nuovi meccanismi della governance della eurozona.
Le occasioni “ costituenti” della crisi: verso un salto federale?
Ma sarebbe un gravissimo errore vedere solo questo lato della vicenda: sotto l’incedere della crisi l’Europa si è comunque mossa, evitando la catastrofe, scegliendo strade inedite (anche a causa dell’incompletezza del disegno istituzionale terminato con Lisbona), ha creato nuovi organi e nuovi meccanismi sia pure con legami troppo deboli con il diritto comunitario, non si è arresa al diktat della Gran Bretagna di ridimensionare l’Unione ad uno spazio di libero mercato. Gli Stati che hanno seguito il nuovo sentiero dell’integrazione sono stati gettati in un orizzonte di tipo nuovo, verso una comune governance sia sul fronte fiscale, che delle politiche economiche che sociali.
E’ ormai tramontata per sempre l’idea che, rimanendo nell’euro, i Paesi possano fare da soli, sabotare la disciplina sovranazionale, ignorare i piani comuni: questi possono e debbono essere certamente cambiati, resi più equi e solidaristici, [già, come…?...] ma il pensiero sovranista in questo momento è null’altro che un pensiero della catastrofe, della resa alla speculazione, del ritorno regressivo ad un costituzionalismo in “ paese solo”….
[Questa del “costituzionalismo in un paese solo” è una frase molto rivelatrice. In primo luogo, è sorprendente che una associazione di magistrati che ha fatto della tutela delle garanzie e dei diritti del singolo il baricentro della sua funzione dica “Beh, in fondo cosa sono le Costituzioni dei singoli paesi…” (!!!) In realtà, il significato da attribuire a questa frase è il seguente: essendo stati i giuristi europeisti sconfitti dai giuristi sovranisti sul tema della compatibilità fra Costituzione e Trattati europei (con speciale riferimento, fra gli altri, agli interventi di Luciano Barra Caracciolo), Magistratura “ Democratica” (scusate per le virgolette, ma qualche volta ci vogliono) tenta di aggirare l’ostacolo dicendo “Beh, in fondo, le singole Costituzioni…] (!!!)
…del tutto inefficace ed escludente, rovinoso per i più deboli posto che i più ricchi e potenti certamente non rimarrebbero mai imbrigliati nelle follie di governi populisti che mirano al default.
[ovvero, esporterebbero i capitali, ma non esistono le clausole di salvaguardia…? E non possono essere modificate…? ]
Occorre quindi praticare davvero le occasioni costituenti della crisi.- come ha scritto Barbara Spinelli [toh…?...] - fare di essa un bivio necessario, una presa di coscienza autocritica del sistema Europa, moneta compresa.
Oggi finalmente è entrato in agenda il tema dell’Europa politica e costituzionale, che non è più appannaggio di élites culturali essendo visibile la sua intima connessione con il benessere dei cittadini europei e l’effettività dei loro diritti fondamentali non più tutelabili negli asfittici confini nazionali:
[effettivamente, lo volevo dire io: non vi pare che le economie della Svizzera, della Corea del Sud, e di tutti i paesi mondiali che non hanno l’ Euro siano, come dire: un po’ asfittiche…? (!!!)]
quali passi possono pragmaticamente essere compiuti per avvinarci il più possibile a questa meta recuperando o rettificando quanto si è costruito in questi due anni vissuti pericolosamente, dai primi elementi di un controllo sulla Banche europee alla cooperazione rafforzata sulla Tobin tax europea, all’interpretazione adeguatrice che dello Statuto della BCE di fatto ci ha offerto il suo Governatore? […]
Grandi questioni si aprono per la sfera pubblica europea, in primis quella dell’eurozone e, fra questi:
a) come possono i Trattati internazionali essere fatti rientrare nell’alveo del diritto dell’Unione (con la piena operatività della Carta dei diritti), considerando anche il veto perdurante della Gran Bretagna ed in questo quadro che ruolo assegnare al Parlamento europeo;
b)come può completarsi la costruzione di un governo economico, che dal piano fiscale a quello bancario si estenda alle politiche economiche e sociali;
Occorre quindi praticare davvero le occasioni costituenti della crisi.- come ha scritto Barbara Spinelli [toh…?...] - fare di essa un bivio necessario, una presa di coscienza autocritica del sistema Europa, moneta compresa.
Oggi finalmente è entrato in agenda il tema dell’Europa politica e costituzionale, che non è più appannaggio di élites culturali essendo visibile la sua intima connessione con il benessere dei cittadini europei e l’effettività dei loro diritti fondamentali non più tutelabili negli asfittici confini nazionali:
[effettivamente, lo volevo dire io: non vi pare che le economie della Svizzera, della Corea del Sud, e di tutti i paesi mondiali che non hanno l’ Euro siano, come dire: un po’ asfittiche…? (!!!)]
quali passi possono pragmaticamente essere compiuti per avvinarci il più possibile a questa meta recuperando o rettificando quanto si è costruito in questi due anni vissuti pericolosamente, dai primi elementi di un controllo sulla Banche europee alla cooperazione rafforzata sulla Tobin tax europea, all’interpretazione adeguatrice che dello Statuto della BCE di fatto ci ha offerto il suo Governatore? […]
Grandi questioni si aprono per la sfera pubblica europea, in primis quella dell’eurozone e, fra questi:
a) come possono i Trattati internazionali essere fatti rientrare nell’alveo del diritto dell’Unione (con la piena operatività della Carta dei diritti), considerando anche il veto perdurante della Gran Bretagna ed in questo quadro che ruolo assegnare al Parlamento europeo;
b)come può completarsi la costruzione di un governo economico, che dal piano fiscale a quello bancario si estenda alle politiche economiche e sociali;
[già, come fare…?]
c) come si può corredare gli impulsi unitari sul piano finanziario e bancario con interventi che aiutino lo sviluppo e l’innovazione del “ sistema Europa” attraverso piani ad hoc sostenuti economicamente dall’Unione (project bond, eurobond, Union bond…)
c) come si può corredare gli impulsi unitari sul piano finanziario e bancario con interventi che aiutino lo sviluppo e l’innovazione del “ sistema Europa” attraverso piani ad hoc sostenuti economicamente dall’Unione (project bond, eurobond, Union bond…)
[la Germania è sicuramente molto interessata alla questione…]
d) quale strada, per introdurre davvero standard minimi di trattamento sociale in modo che le politiche di risanamento dei bilanci pubblici interni non si traducano, come spesso sta accadendo, in riduzione di tutele sociali e nella compressione del welfare europeo.
[ovvero: le politiche austeritarie imposte ai paesi europei comportano deindustrializzazione e disoccupazione, ma almeno una indennità di disoccupazione uguale per tutti…! (e magari poi sono contrari al reddito di cittadinanza introdotto dal governo giallo-verde…)]
Il primo report della Commissione europea sul raggiungimento degli obiettivi sociali della Strategia 20-20 segnala in tutti i paesi iniziative di tale natura che stanno portando all’incremento (anche di notevole entità in alcuni Stati) di coloro che sono a rischio di povertà.
d) quale strada, per introdurre davvero standard minimi di trattamento sociale in modo che le politiche di risanamento dei bilanci pubblici interni non si traducano, come spesso sta accadendo, in riduzione di tutele sociali e nella compressione del welfare europeo.
[ovvero: le politiche austeritarie imposte ai paesi europei comportano deindustrializzazione e disoccupazione, ma almeno una indennità di disoccupazione uguale per tutti…! (e magari poi sono contrari al reddito di cittadinanza introdotto dal governo giallo-verde…)]
Il primo report della Commissione europea sul raggiungimento degli obiettivi sociali della Strategia 20-20 segnala in tutti i paesi iniziative di tale natura che stanno portando all’incremento (anche di notevole entità in alcuni Stati) di coloro che sono a rischio di povertà.
[ma che combinazione…]
Non può pensarsi ad un governo economico d’Europa senza che questa svolta e “ cambio di passo” faccia al tempo stesso cessare il pericolo di social dumping , evitabile solo conferendo certezza ed esigibilità sovranazionale a tutti i diritti socio-economici protetti dalla Carta dei diritti .
Se si intende salvaguardare il modello sociale europeo occorre accettare il piano costruttivo di una sua reale definizione a livello sovranazionale, il che vuol dire superare il particolarismo che ha sempre segnato le esperienze nazionali in questo settore.
[…]
La questione della carta dei Diritti di Nizza
In ultima analisi Magistratura Democratica aderiva al progetto europeista intorno all’anno 2000, cioè proprio all’inizio della sua fase più antipopolare e autoritaria. Lo faceva ipotizzando che la Carta dei Diritti di Nizza, e il suo successivo recepimento da parte del Trattato di Lisbona, che le assegnava lo stesso rango dei trattati europei, consegnassero ai magistrati un nuovo ruolo nella difesa dei diritti individuali e sociali, ruolo che evidentemente, nella loro visione, avrebbe potuto compensare l’annullamento degli strumenti nazionali di politica economica che la moneta unica, la libera circolazione dei capitali e le regole fiscali europee congiuntamente operavano.
Se questo è vero, viene spontanea una domanda: ma Magistratura Democratica, crede veramente, intende veramente farsi interprete della Carta dei Diritti di Nizza…? Perché se così non fosse, si rivelerebbe che il richiamo a tale Carta è solo strumentale alla rivendicazione di un ruolo di maggiore protagonismo dei magistrati rispetto alle legislazioni nazionali; si rivelerebbe cioè come una aspirazione di casta.
Guardiamo dunque alla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue, che a partire dall’ articolo 6 del Trattato dell’ Unione Europea rivisto a Lisbona, è pienamente parte dei trattati europei.
All’ articolo 2 si proclama il “diritto alla vita”per ogni individuo. E’ compatibile questa affermazione con la pratica dell’ eutanasia estesa anche ai sani con le cliniche della morte svizzere (che sono fuori dell’ Unione Europea, ma alle quali ricorrono cittadini dell’ Unione Europea) oppure all’affermazione olandese del diritto a “considerare conclusa la propria esperienza vitale”, perciò, ancora, a praticare l’eutanasia sui sani? E’ compatibile tale pratica con l’art. 25 sui diritti degli anziani ad una vita dignitosa e indipendente? E’ compatibile con l’art. 34 sulla sicurezza sociale e abitativa? Quando mai Magistratura Democratica ha iniziato una lotta contro queste aberrazioni…? E cosa ha detto Magistratura Democratica sulla questione dell’aborto “a nascita parziale”, con la quale, per difendere la libera scelta della donna, si pone fine dopo il 6° mese alla vita del bambino (o del feto, a vostra discrezione) che se “abortito” per via cesarea avrebbe una vita autonoma…?
All’articolo 3 si proclama il diritto all’integrità fisica e psichica, il divieto di pratiche eugenetiche e di fare del corpo umano o delle sue parti fonte di lucro. E’ compatibile questo con gli interventi ormonali sui bambini volti a rinviare lo sviluppo puberale al fine di consentire il cambio di sesso? Il divieto di pratiche eugenetiche riguarda o non riguarda la selezione degli embrioni per l’inseminazione artificiale? Il divieto di fare di parti del corpo umano una fonte di lucro vale anche per organizzazioni come Planned Parenthood? Non ho sentito i giuristi di Magistratura Democratica festeggiare per la fine delle sovvenzioni statali a Planned Parenthood decisa da Trump. Il divieto di fare del corpo umano una fonte di lucro vale anche per la pratica della c.d. “gestazione per altri”, e anche quando chi vi ricorre è un personaggio dello spettacolo o un ex-parlamentare, o quei casi si devono considerare esenti? Eppure notizie di stampa li indicano come estremamente lucrosi…
E fra i diritti del bambino affermati all’art. 24, non rientra quello di vivere con i propri genitori naturali…? E il “preminente diritto del bambino” viene tutelato anche nella “gestazione per altri”…? E il diritto alla proprietà (art. 17) vale anche per i depositi dei cittadini cancellati dalle regole europee sul bail-in…?
Sono tutte domande alle quali magistratura Democratica non potrebbe rispondere.
In conclusione
Magistratura Democratica aderiva al progetto di costruzione europea proprio nella sua fase più reazionaria e antipopolare. Lo faceva con la dichiarata intenzione di usare gli spazi aperti dalla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue e dal suo inserimento nei Trattati come leva di un autonomo intervento “progressivo” del magistrato rispetto alle legislazioni nazionali. Ma questo richiamo alla “Carta dei Diritti” era puramente strumentale, in quanto l’ideologia dominante in MD non è quella del diritto “progressivo” (mi scuseranno i giuristi per queste definizioni senz’altro improprie) ma quella del diritto “evolutivo”, ovvero dell’adeguamento della giurisprudenza alle mutevoli pretese dei mercati, e oggi dunque, alle pressanti esigenze del capitalismo su base transnazionale.
L’adesione ideologica alla Ue e l’ideologia del diritto “evolutivo” ne fanno oggi in Italia un efficace strumento di ordine della globalizzazione capitalistica.
Non può pensarsi ad un governo economico d’Europa senza che questa svolta e “ cambio di passo” faccia al tempo stesso cessare il pericolo di social dumping , evitabile solo conferendo certezza ed esigibilità sovranazionale a tutti i diritti socio-economici protetti dalla Carta dei diritti .
Se si intende salvaguardare il modello sociale europeo occorre accettare il piano costruttivo di una sua reale definizione a livello sovranazionale, il che vuol dire superare il particolarismo che ha sempre segnato le esperienze nazionali in questo settore.
[…]
La questione della carta dei Diritti di Nizza
In ultima analisi Magistratura Democratica aderiva al progetto europeista intorno all’anno 2000, cioè proprio all’inizio della sua fase più antipopolare e autoritaria. Lo faceva ipotizzando che la Carta dei Diritti di Nizza, e il suo successivo recepimento da parte del Trattato di Lisbona, che le assegnava lo stesso rango dei trattati europei, consegnassero ai magistrati un nuovo ruolo nella difesa dei diritti individuali e sociali, ruolo che evidentemente, nella loro visione, avrebbe potuto compensare l’annullamento degli strumenti nazionali di politica economica che la moneta unica, la libera circolazione dei capitali e le regole fiscali europee congiuntamente operavano.
Se questo è vero, viene spontanea una domanda: ma Magistratura Democratica, crede veramente, intende veramente farsi interprete della Carta dei Diritti di Nizza…? Perché se così non fosse, si rivelerebbe che il richiamo a tale Carta è solo strumentale alla rivendicazione di un ruolo di maggiore protagonismo dei magistrati rispetto alle legislazioni nazionali; si rivelerebbe cioè come una aspirazione di casta.
Guardiamo dunque alla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue, che a partire dall’ articolo 6 del Trattato dell’ Unione Europea rivisto a Lisbona, è pienamente parte dei trattati europei.
All’ articolo 2 si proclama il “diritto alla vita”per ogni individuo. E’ compatibile questa affermazione con la pratica dell’ eutanasia estesa anche ai sani con le cliniche della morte svizzere (che sono fuori dell’ Unione Europea, ma alle quali ricorrono cittadini dell’ Unione Europea) oppure all’affermazione olandese del diritto a “considerare conclusa la propria esperienza vitale”, perciò, ancora, a praticare l’eutanasia sui sani? E’ compatibile tale pratica con l’art. 25 sui diritti degli anziani ad una vita dignitosa e indipendente? E’ compatibile con l’art. 34 sulla sicurezza sociale e abitativa? Quando mai Magistratura Democratica ha iniziato una lotta contro queste aberrazioni…? E cosa ha detto Magistratura Democratica sulla questione dell’aborto “a nascita parziale”, con la quale, per difendere la libera scelta della donna, si pone fine dopo il 6° mese alla vita del bambino (o del feto, a vostra discrezione) che se “abortito” per via cesarea avrebbe una vita autonoma…?
All’articolo 3 si proclama il diritto all’integrità fisica e psichica, il divieto di pratiche eugenetiche e di fare del corpo umano o delle sue parti fonte di lucro. E’ compatibile questo con gli interventi ormonali sui bambini volti a rinviare lo sviluppo puberale al fine di consentire il cambio di sesso? Il divieto di pratiche eugenetiche riguarda o non riguarda la selezione degli embrioni per l’inseminazione artificiale? Il divieto di fare di parti del corpo umano una fonte di lucro vale anche per organizzazioni come Planned Parenthood? Non ho sentito i giuristi di Magistratura Democratica festeggiare per la fine delle sovvenzioni statali a Planned Parenthood decisa da Trump. Il divieto di fare del corpo umano una fonte di lucro vale anche per la pratica della c.d. “gestazione per altri”, e anche quando chi vi ricorre è un personaggio dello spettacolo o un ex-parlamentare, o quei casi si devono considerare esenti? Eppure notizie di stampa li indicano come estremamente lucrosi…
E fra i diritti del bambino affermati all’art. 24, non rientra quello di vivere con i propri genitori naturali…? E il “preminente diritto del bambino” viene tutelato anche nella “gestazione per altri”…? E il diritto alla proprietà (art. 17) vale anche per i depositi dei cittadini cancellati dalle regole europee sul bail-in…?
Sono tutte domande alle quali magistratura Democratica non potrebbe rispondere.
In conclusione
Magistratura Democratica aderiva al progetto di costruzione europea proprio nella sua fase più reazionaria e antipopolare. Lo faceva con la dichiarata intenzione di usare gli spazi aperti dalla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue e dal suo inserimento nei Trattati come leva di un autonomo intervento “progressivo” del magistrato rispetto alle legislazioni nazionali. Ma questo richiamo alla “Carta dei Diritti” era puramente strumentale, in quanto l’ideologia dominante in MD non è quella del diritto “progressivo” (mi scuseranno i giuristi per queste definizioni senz’altro improprie) ma quella del diritto “evolutivo”, ovvero dell’adeguamento della giurisprudenza alle mutevoli pretese dei mercati, e oggi dunque, alle pressanti esigenze del capitalismo su base transnazionale.
L’adesione ideologica alla Ue e l’ideologia del diritto “evolutivo” ne fanno oggi in Italia un efficace strumento di ordine della globalizzazione capitalistica.
18 commenti:
Non comprendo perché Chiavacci usa la dizione "indennità di disoccupazione" che invece nel documento riportato non è MAI usata (ho usato la funzione ricerca del browser per maggiore certezza).
Parlano genericamente di welfare. E questo modello di welfare a cui fa riferimento MD sotto sotto sembra lo stesso portato avanti dai giallo-verdi con il loro pseudo-reddito-di-cittadinanza, ovvero risolvere il problema con qualche forma di interinale ispirandosi alla legge Hartz IV. Certo MD lo fa in modo molto generico e vago ed invocando il solito "più europa", ma anche Grillo adesso vuole un basic income europeo che, udite udite, è di pochissimi spiccioli come si poteva perfettamente prevedere. Troppo pochi per garantire qualsivoglia dignità personale che andrebbe integrato per necessità con l'interinale di cittadinanza già approvato.
Se magari in MD sono contrari al RdC forse è solo per motivi appartenenza a gruppi politici diversi e non certo per in contenuti.
Giovanni
Che la magistratura in questo paese sia SEMPRE stato un problema è evidente a tutti; solo che non si poteva dire perchè sennò si appariva berlusconiani. I magistrati SONO parte dell'establishment, del deep state italo-eurista, hanno una funzione regressiva, e quelli di MD sono i battistrada delle peggiori forze reazionarie.
Occorre affrontare di petto il problema: separazione delle carriere, rafforzamento dei poteri ispettivi, decisioni su sanzioni e licenziamenti da parte di non magistrati, proibizione di estendere a loro piacimento le norme, intervento su quel porto delle nebbie che è la Cassazione, trasparenza sulla situazione economico-patrimoniale dei magistrati e dei loro familiari, separazione tra gestione organizzativa e giudiziaria nei tribunali ecc. Altrimenti questi faranno sempre il bello ed il cattivo tempo in barba a qualunque decisione popolare
@giovanni
Anch'io, "in mancanza di meglio..." sono a favore di reddito di cittadinanza, indennità di disoccupazione, "interinali di cittadinanza" o qualunque forma di tutela minima di chi è senza lavoro. Il problema è che una associazione di magistrati "di sinistra", e una volta perfino marxisti, invece di criticare le possenti politiche austeritarie dell' Unione Europea si accontenti di auspicare degli "standard minimi di trattamento sociale", che io identifico in qualche erogazione monetaria a favore dei disoccupati.
@unknown Io, che non sono un giurista, credo che uno strumento fondamentale per impedire l'autonomizzazione della magistratura sarebbe prevedere un terzo grado "politico" accanto al terzo grado della Cassazione. Considerando che il detentore della interpretazione autentica è sempre il parlamento, si potrebbe pensare cioè alla possibilità di ricorrere in terzo grado a un organo nominato dal parlamento quando il contenzioso sia relativo alla interpretazione usata dalla magistratura. Questa possibilità non eliminerebbe l'autonomia nell'interpretazione della magistratura, ma ne ridimensionerebbe il ruolo. Certamente, alcune delle misure che tu individui potrebbero essere utili, ma quella cui io penso mi sembrerrebbe di importanza strategica, e mi piacerebbe sentire l'opinione di qualche giurista.
Grazie per l'attenzione.
A.C.
Magistratura Democratica è una componente della magistratura italiana che nasce fondamentalmente per istituzionalizzare uno strumento che già esisteva per la difesa del proletariato e delle sue avanguardie più combattive come “soccorso rosso”. Ma anche essa, come tutte le organizzazioni politiche o no di ispirazione marxista, con il crollo dell’esperienza del socialismo reale (1989) sposa e abbandona definitivamente la tesi della fine dell’ideale comunista e abbraccia fideisticamente la teoria della fine della storia e delle ineludibilità del modello e del sistema liberal-capitalista. Dopo la trentennale deriva liberale del Paese compiuta anche dalla componente di Magistratura Democratica che l’ha condotta a schierarsi al fianco e a favore dell’Europa contro il populismo e il patriottismo. Meravigliarsi di questo equivale a stupirsi che la notte sia buia e che in essa tutti i gatti appaiano neri. Questo stupore è rappresentativo della cifra del totale scollamento e del divorzio politico culturale tra “l’intellighenzia” (ex e nuova) di sinistra e le aspirazioni e i bisogni del popolo e la realtà che la circonda e la pervade un fatto che ne determina ancora l’incapacità e l’impossibilità di dotarsi di una nuova narrazione politica e sociale di libertà e giustizia (che io chiamo comunismo). Quando si conduce una giusta polemica e critica politica della componente di Magistratura Democratica e si utilizza per farlo tra le argomentazioni un rimbrotto specioso e controproducente come quello che essa non ha avuto “niente da dire sulla persecuzione giudiziaria di Berlusconi” si vanificano e si rendono secondarie tutte le altre argomentazioni portate a sostegno e a riprova della drammatica involuzione di questa componente perché quanto scritto in merito a Berlusconi è la cartina al tornasole che esplicita e fa trasparire e sottintendere tutta la sudditanza e la conversione culturale nonché politica di questa nuova sinistra (è nei particolari che si nasconde il diavolo) alla concezione e alla visione liberale seppur integrata ed arricchita con elementi di un imprecisato e generico socialismo patriottico. Una opzione politica che la storia della socialdemocrazia ci ha già consegnata come fallace, perdente, inutile e dannosa in quanto liberalismo + socialismo è un ossimoro che non potrà mai da nessuno essere coniugato perché uno può “vivere” solo se l’altro “muore”.
pasquino55
@ A.C.
Uno strumento che potrebbe essere adottato rapidamente, senza bisogno di modifiche legislative, è quello del preambolo del testo di legge che contenga le motivazioni della legge, in modo da ridurre alla radice le possibilità di "libera" interpretazione dei giudici. Ad oggi l'interpretazione autentica va fatta con legge ordinaria! Una follia! Mentre un qualunque giudice che si alza la mattina, per il solo fatto di aver superato un concorsino, si ritiene investito della facoltà di produrre normativa.
Ma non è sufficiente sottrarre ai giudici la fantasia interpretativa. Senza sottrarsi al principio che "cane non mangia cane", ovvero alla medievale prassi per cui i magistrati possono essere giudicati solo da loro pari, avremo comportamenti come quello mostrato in TV a "Chi l'ha visto" in merito alla sentenza di appello Vannini: il presidente che minaccia i presenti, i familiari della vittima in subbuglio per la sentenza, di "vedersi a Perugia", certo che tanto avrebbe ragione lui. Questa immunità di fatto e di diritto dà ai magistrati l'impressione di essere intoccabili, anzi non l'impressione: la certezza, qualunque cosa facciano. Perchè mai i medici o i dipendenti della PA debbono pagarsi di tasca loro l'assicurazione RC in caso di danni arrecati agli utenti dei loro servizi e, per gli errori dei giudici, dobbiamo pagare noi cittadini?
Io invece penso che le tre cose nominate siano diverse e non tutte sono accettabili.
Penso che ciò che auspica MD sia più assimilabile ad un interinale per poveracci che ad un indennità di disoccupazione.
Se stanno guidando altri e non possiamo farci nulla almeno possiamo fare la distinzione fra cose diverse nel difficile sforzo di ristabilire quella chiarezza teorica mancante ma necessaria per qualsiasi cambiamento.
Giovanni
Ringrazio gli intervenuti perché hanno avuto l'interesse e la pazienza di leggere il mio articolo- sperando, ovviamente, che l'abbiano letto tutto.
Pasquino55 dice: "Magistratura Democratica è una delle componenti marxiste che, al momento della caduta del socialismo reale abbandona ogni idea di trasformazione dell'esistente e si arrende all'ineludibilità del sistema liberal-capitalista. Perciò, meravigliarsi di questo equivale a stupirsi che la notte sia buia e che in essa tutti i gatti appaiono neri".
Purtroppo non è così. Anche se così fosse, si tratterebbe di indagare i passaggi teorici attraverso i quali una generazione di giuristi marxisti passano armi e bagagli al liberalismo. Ma, ripeto, non è così. Come conto di spiegare in un articolo successivo, se avrò il tempo di scriverlo, i prodromi di questo passaggio sono molto precedenti. Gli elementi di questo passaggio sono già presenti negli articoli che Luigi Ferrajoli (che io ritengo uno dei massimi teorici di Magistratura Democratica, per lo meno dei più consapevoli del significato strategico del passaggio dalla lotta per il potere alla strategia del garantismo), scrive per Unità Proletaria fra il '77 e l' 81, e in particolare uno particolarmente meritevole di interesse, "Ortodossia marxista e partito operaio".
Perciò indagare sulla trasformazione di questa corrente, a prevalente orientamento marxista, in liberali, è indagare sui limiti della nostra identità, e in particolare analizzare, per rescinderli, gli elementi liberali della nostra cultura.
A partire da questo. Pasquino55 ne deduce la dimostrazione del "totale scollamento e tra “l’intellighenzia” (ex e nuova) di sinistra e le aspirazioni e i bisogni del popolo e la realtà che la circonda" e "l’impossibilità di dotarsi di una nuova narrazione politica e sociale" che chiama comunismo. Conferma questa valutazione con il richiamo, nell'articolo, alla "persecuzione giudiziaria di Berlusconi", e ne deduce " la sudditanza e la conversione culturale nonché politica di questa nuova sinistra alla concezione e alla visione liberale seppur integrata ed arricchita con elementi di un imprecisato e generico socialismo patriottico".
(continua) A.C.
(continua)
Devo precisare che io scrivo a titolo personale e che le mie posizioni non esprimono quelle di P 101, del cui dibattito conto che il mio intervento faccia parte.
Tuttavia, poiché, come tu dici, "il diavolo si nasconde nei dettagli", questa osservazione relativa alla persecuzione di Berlusconi parla con precisione di te. La "persecuzione di Berlusconi" ( e a quella io aggiungerei le campagne o persecuzioni di Rizzoli, Barilla, Ferrero, Riva (forse ricordi i 5 milioni di tonnellate di acciaio sequestrate dalla magistratura a Taranto)) non sono state dovute alle sue abitudini sessuali, al suo "controllo" sui media, o all'evasione fiscale, ma alla sua pretesa di dare una rappresentanza alla grande borghesia italiana, quella rappresentata dalle altre famiglie prima indicate. Cioè, è stata una grande battaglia della finanza sovranazionale contro il capitalismo "familiare" italiano. Quella contro Berlusconi, che oggi lo ha ridotto ad un burattino delle forze europeiste, è stata una grande battaglia strategica che ha privato di ogni sostegno della grande borghesia ogni possibilità di resistenza italiana alla sudditanza europea, che fa sì che oggi Confindustria sia completamente europeista e che le forze organizzate che si oppongono ai vincoli europei siano confinate ai lavoratori autonomi che votano lega e ai piccoli borghesi o ai disoccupati che votano 5 stelle. Tu dici, giustamente, che liberalismo e socialismo sono incompatibili, e che l'uno elimina l'altro. E' vero, e io credo in una misura ancora più radicale di quella che tu sottintendi. Ma l'esistenza di forze socialiste non annulla l'esistenza di forze liberali. Mi piacerebbe che qualcuno rileggesse l' "Analisi delle classi nella società cinese" di Mao del '26 per vedere con quale attenzione e cura studiava le varie sezioni della borghesia cinese per definire alleati e nemici della rivoluzione. Era un liberale anche Mao...?
Io credo invece che fondare un socialismo del XXI secolo abbiamo bisogno di liberarci del liberalismo che ha appestato la cultura della sinistra europea dalla II internazionale in poi, e quella comunista italiana dal Patto di Salerno in poi.
A.C.
@unknown
No, non sono d'accordo. Anche in assenza del "preambolo", sono presenti i documenti delle discussioni in commissione e in aula, e per gli articoli della Costituzione, il dibattito in Costituente. Nel modo che tu ipotizzi ci si continua ad affidare al giudizio interpretativo del magistrato. Invece la mia proposta affida ad un intervento diretto di una commissione parlamentare "per le interpretazioni" l'intervento diretto sui processi, in parallelo e in alternativa a quello della Cassazione. E' una riforma istituzionale, non una modifica delle modalità di redazione delle leggi. Senza un intervento di questa pesantezza (ma del tutto coerente con il principio liberale della divisione dei poteri) non si risolve il problema dell'autonomizzarsi della magistratura dal potere legislativo. Poi senz'altro sono necessarie altre misure, ma senza riforme di questa incidenza non credo che i progressi siano significativi.
@giovanni
Senz'altro le modalità con cui si realizza un intervento di welfare minimo non sono indifferenti, ma non sono al momento in grado di farne una analisi seria.
A.C.
"non sono al momento in grado di farne una analisi seria"
Questa purtroppo non è solo la tua posizione, ma è la posizione di tutta l'intellettualità di sinistra al gran completo. Posizione che esprime paralisi ed al tempo stesso nasconde una certa illusoria speranza a cui a sinistra ci aggrappa troppo spesso.
Io penso invece che un giudizio possa essere almeno abbozzato ed è negativo. Basta pensare ad esempio che mai le pensioni sociali erano state subordinate all'isee, il PD ci aveva già provato con la reversibilità fallendo mentre i gialloverdi ci sono riusciti. Mi sembra che procedano sullo stesso solco delle richieste di PD/MD.
Purtroppo la sinistra è attratta dai criteri di povertà come le falene sono attratte dalla luce (rubo la metafora a Visalli anche se temo che in fondo sia un po' falena anche lui).
Nel frattempo procede la proposta di legge di riduzione della rappresentanza parlamentare, ed oggi il pedante retwitta questo.
Tutte cose che il PD avrebbe voluto fare ma non ci è riuscito. Un giudizio si può e si deve dare, chiaro e forte. Ma nessuno lo darà, se non quando sarà troppo tardi.
Giovanni
Ed aggiungo. Qua finisce che posto di "magistratura democratica" prima o poi ci ritroveremo "magistratura a cinque stelle" (M5S è legalista da sempre), cambiano i suonatori ma la musica è sempre la stessa.
Giovanni
"persecuzioni di Rizzoli, Barilla, Ferrero, Riva"
Questo è giusto. Ci aggiungerei anche il caso Lockeed, una tangentopoli ante litteram. E fra questi il caso di Crociani.
Presidente di finmeccanica che poi fugge all'estero per salvarsi, in Messico. Guarda caso sempre finmeccanica sotto tiro.
Certo sono una famiglia degna di Dynasty ma gli scontri interni al potere non possono certo lasciarci indifferenti, anzi.
Giovanni
Quando A. Chiavacci, per difendere la tua posizione in merito alla persecuzione di Berlusconi, affermi “questa osservazione relativa alla persecuzione di Berlusconi parla con precisione di te. La "persecuzione di Berlusconi" ( e a quella io aggiungerei le campagne o persecuzioni di Rizzoli, Barilla, Ferrero, Riva (forse ricordi i 5 milioni di tonnellate di acciaio sequestrate dalla magistratura a Taranto)) non sono state dovute alle sue abitudini sessuali, al suo "controllo" sui media, o all'evasione fiscale, ma alla sua pretesa di dare una rappresentanza alla grande borghesia italiana, quella rappresentata dalle altre famiglie prima indicate. Cioè, è stata una grande battaglia della finanza sovranazionale contro il capitalismo "familiare" italiano. Quella contro Berlusconi, che oggi lo ha ridotto ad un burattino delle forze europeiste, è stata una grande battaglia strategica che ha privato di ogni sostegno della grande borghesia ogni possibilità di resistenza italiana alla sudditanza europea” stai compiendo una operazione culturale marcatamente e smaccatamente liberale, cioè non indirizzi la contestazione e la lotta contro l’origine dell’oppressione dando per scontato che questa ci debba essere ma, contro la forma o il modello dell’oppressione ribaltando e stravolgendo completamente il paradigma di Machiavelli del fine che giustifica i mezzi con quello che sono i mezzi che giustificano il fine. Il fatto poi che i liberali, mentre fanno la guerra alle classi subalterne, si scontrino tra di loro non assolve nessuna delle fazioni in lotta facendola divenire da difendere e sostenere a meno che non si è divenuti dei social-liberali. Una posizione politica da tempo presente all’interno del panorama politico italiano, tant’è vero che diversi anni fa, insieme ad alcuni componenti di P101, abbiamo condotto una campagna politica proprio contro questa impostazione politico-culturale dal titolo “io sto con l’impiccato” in quanto ci rifiutavamo di accettare e condividere il presupposto che non potendo evitare di essere “impiccato” era pragmaticamente meglio e giusto almeno scegliersi la “corda” con cui si dovesse essere impiccati. La verità vera non è che vi è un capitalismo buono o migliore (quello nazionale o familiare) e un capitalismo cattivo o peggiore (quello transnazionale delle multinazionali) il problema è e resta il capitalismo in tutte le forme che esso si da o possa assumere. Cessare di combattere il capitalismo in quanto tale, al di la che esso si palesi in una forma più o meno aggressiva e devastante, rappresenta ed è un errore ed una iattura che inevitabilmente si trasforma e si traduce in un favore e un regalo che si fa al concetto stesso di capitalismo perché così si accredita e si fa ritenere che possa esistere o essere realizzato un capitalismo buono dal volto umano, e questo conduce ineludibilmente chi lo fa a lavorare per il re di Prussia e ad entrare in contrasto e in conflitto sminuendola con un’altra concezione e convinzione politica, quella che ritiene che l’unico padrone buono sia solo quello morto!!!
pasquino55
Quello che stai ipotizzando, Alessandro, è già stato tentato all'epoca della Rivoluzione francese: il référé lefislatif. Fallì rapidamente per il sovraccarico.
Il rapporto fra lex e ius è una delle croci di tutta la storia occidentale (vedi il bellissimo Ius di Aldo Schiavone), ma proprio per questo bisogna risalire alla radice, ossia rendersi conto che il diritto come pratica formale monopolio di una casta di specialisti è un parto dell'aristocrazia romana, mentre i Greci avevano solo tribunali popolari. Ho molti dubbi che il problema sia risolubile con escamotage formali, ossia senza eliminare, o tenere a un guinzaglio cortissimo, i giuristi come casta separata dalla maggioranza della società. Non ci sono soluzioni semplici e a portata di mano, temo.
Grazie all'anonimo del 10 febbraio alle 0:10. Come avrai intuito, non sono un giurista, il mio scopo è quello di sollevare il problema. La tua risposta mi dimostra che qualcuno che si interroga c'è. Mi piacerebbe che riprendesse il dibattito fra i giuristi di orientamento marxista. A risentirci.
(continua)
Però leggo su wikipedia che i francesi tentarono di portare la questione dell'interpretazione direttamente al legislatore. Questo ovviamente non è possibile per ragioni pratiche. La mia idea è di portala ad un organo DI NOMINA parlamentare, oppure ad una sezione specializzata del parlamento. Specie nella prima versione, non mi sembra impraticabile…
(A.C.)
@A.C. (son sempre l’anonimo delle 0:10): se capisco, allora, quello che immagini è una sorta di Cassazione di nomina politica. Sarebbe un discorso lungo, ma penso sarebbe o inutile (pensa alla gran quantità di magistrature di nomina politica negli USA, a partire dalla Corte Suprema) o fattore di caos (prima di tutto politico, nel tentativo di realizzare qualcosa che comporterebbe la riscrittura di mezza Costituzione).
Comunque i primi giudici di cui bisogna disfarsi lo sappiamo benissimo quali sono: le giurisdizioni internazionali, in primisissimis quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ma vanno almeno ben delimitate anche tutte le corti dirittoumaniste, che a dispetto della loro allure accattivante sono un efficace strumento di scardinamento del sistema delle fonti, in nome di un diritto universale che si libra "mite" fuori dalla portata di qualsiasi controllo politico.
La prevalenza del diritto comunitario su quello statale è stata una brillante trovata, basata sul nulla, della sunnominata Corte di Giustizia: quest’enormità, che mi pare sarebbe un’arma polemica formidabile, non ha assolutamente lo spazio che meriterebbe in ambito “sovranista”. Credo sarebbe anche il più efficace primo passo per una più generale riproblematizzazione del ruolo dei giudici in una società (che si dice) democratica.
Condivido senz'altro la critica alle corti "diritto umaniste". Conosciamo il loro funzionamento a "corrente alternata", e come vengono create corti "speciali" per sanzionare i cattivi di turno. Come sappiamo che la bandiera dei "diritti civili universali" è lo strumento fondamentale dell' Impero per corroborare con il "soft power" dell'ideologia l'"hard power" dell'apparato militare, in quello che viene chiamato "smart power". La Corte di giustizia europea ha una strana caratteristica: il "pubblico ministero" è la Commissione, cioè un organo COMPLETAMENTE POLITICO, in barba ai discorsi sulla separazione dei poteri…(!)
Sull'organo di nomina politica che dovrebbe valutare la correttezza dell'interpretazione, io lo immaginavo come PARALLELO, non sostitutivo della Cassazione: in modo tale che il ricorrente abbia la possibilità di scegliere fra la Cassazione ordinaria e tale organo quando il motivo del contendere è la legittimità dell'interpretazione.
Visto che fornisci il tuo autorevole parere sulle questioni in oggetto, penso che sarebbe preferibile se tu uscissi dall'anonimato, per partecipare più efficacemente al nostro dibattito. Se non qui, scrivendomi in privato al seguente indirizzo email:
a.chiavacci1@virgilio.it
Grazie A.C.
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