[ 12 febbraio 2019 ]
Cosa ci dicono le elezioni abruzzesi? Tre cose sono evidenti: la vittoria della destra a trazione leghista, il significativo arretramento dei Cinque Stelle, la relativa ripresa del centrosinistra ma non del Pd.
Se questi sono i fatti, è però opportuno andare un po' più in profondità.
La tentazione di ricavare scenari nazionali dal voto amministrativo è forte, ma spesso fuorviante. Bisogna infatti ricordarsi sempre tre banalità: che le regionali non sono le politiche, che la differenza della partecipazione al voto tra queste due elezioni è abissale, che forti oscillazioni elettorali - spesso anche in tempi ravvicinati - sono ormai la norma.
Che le regionali non siano le politiche dovrebbe essere cosa ovvia. Diverso il sistema elettorale, più forte il peso del notabilato e del sistema delle preferenze. Rimanendo all'Abruzzo, come si spiegherebbe altrimenti l'enormità di cinque liste della coalizione di destra ed addirittura otto di quella di centrosinistra? E' chiaro che si tratta di trucchetti acchiappavoti che penalizzano fortemente la solitaria corsa di M5S.
Detto in altri termini, mentre alle politiche si vota prevalentemente il partito, alle amministrative (regionali e comunali) si tende a votare maggiormente la persona. Ovvio che se vai da solo, e per giunta con candidati scelti nel modo che sappiamo, finisci per essere immancabilmente massacrato, come capita puntualmente ad M5S alle amministrative.
Certo, questa regola ammette delle eccezioni, come avvenne nel 2016 a Roma e Torino quando M5S si avvantaggiò di essere l'unica alternativa credibile al Pd renziano che l'elettorato intendeva punire. Ma quella congiunzione astrale è ormai lontana. Adesso, per competere, i Cinque Stelle avrebbero bisogno di un'organizzazione territoriale che invece non hanno. Colpevolmente non hanno. Perché è a questa debolezza strutturale che porta l'idea del "non partito" su cui sono nati.
Che in elezioni come queste la presenza organizzata conti enormemente lo dimostra il recupero del centrosinistra, certo fortemente indebolito rispetto al passato, ma ancora strutturato più degli altri a livello territoriale. Una tendenza, quest'ultima, che penso vedremo in maniera più forte nelle prossime regionali sarde del 24 febbraio, dove non mi stupirei di un'eventuale affermazione della coalizione guidata da Zedda.
Questo significa che le elezioni abruzzesi non ci diano indicazioni politiche più generali? Assolutamente no, non dico questo. Dico che queste indicazioni vanno valutate alla luce delle peculiarità del voto amministrativo.
Un fattore che spesso si dimentica è quello della partecipazione. Alle politiche del 4 marzo 2018 votò il 75% degli abruzzesi, stavolta il 53%. Non è difficile immaginarsi come in quel 22% di astenuti in più vi siano tanti dei consensi persi da M5S rispetto all'anno scorso. Dove andrebbero quei voti se domani vi fossero le politiche? Non lo sappiamo, ma da qualche parte andrebbero. Ecco perché prevedere esiti politici nazionali in base ad elezioni locali è sempre complicato.
Alcuni dati ci dimostrano quanto sia ormai elevata la mobilità elettorale nell'epoca della crisi verticale dei partiti. Prendiamo quello della coalizione di destra in Abruzzo. L'attuale 49% segna un incremento di 20 punti rispetto al 29% delle regionali del 2014, ma in quell'anno la stessa coalizione aveva perso 18 punti rispetto al 47,4% del 2008. Un clamoroso andamento a V che ci dice quanto sia facile guadagnare e perdere consensi di questi tempi.
Un altro esempio riguarda M5S. Nel 2014 le elezioni regionali abruzzesi si svolsero in contemporanea con le europee. Quel giorno i Cinque Stelle ottennero il 21% per la Regione, il 29,7% per il parlamento di Strasburgo: una differenza che parla da sola.
Certo, nella debacle di domenica hanno pesato le difficoltà politiche del momento. Tuttavia un raffronto con altre due elezioni regionali della scorsa primavera ci dice un'altra cosa, sia per quanto riguarda la flessione pentastellata, sia per quel che concerne l'avanzata della coalizione di destra.
Nelle elezioni molisane del 22 aprile 2018 - quando il governo gialloverde doveva ancora nascere e tutto era ancora possibile - la destra ottenne il 49,3% rispetto al 29,8% delle politiche di un mese e mezzo prima, mentre la lista M5S scese al 31,5% rispetto al 44,8% delle politiche. Ancora più clamoroso il dato del Friuli (29 aprile 2018). In quella regione la destra passò dal 43 al 62,8%, M5S dal 24,6 al 7,1% (11,6% se vogliamo considerare i voti al candidato governatore).
Anche se piuttosto simili a quelle di domenica scorsa, non sto dicendo che queste dinamiche spieghino tutto. Tantomeno che esse si riprodurranno più o meno fedelmente in futuro. Ma certo le impressionanti oscillazioni avvenute in queste due regioni nulla possono avere a che fare con le scelte di un governo che è venuto dopo.
Detto questo è chiaro che anche il voto abruzzese un significato ce l'ha.
Personalmente non credo (il perché ho cercato di spiegarlo in un altro articolo) che la strada verso un governo della coalizione di destra sia in discesa come potrebbe sembrare. Al momento è una possibilità, ma non una certezza.
Senza dubbio M5S ha pagato la maggior efficacia propagandistica della Lega salviniana, ha pagato alcune concessioni di troppo all'aggressivo alleato, dal "decreto sicurezza", alla Tap, alle incertezze sulla Tav. Ma ha pagato soprattutto la pesantissima campagna mediatica, che è stata sì rivolta contro il governo, ma in primo luogo ed in maniera ossessiva proprio contro i Cinque Stelle, visti dalle èlite come l'anello da spezzare al più presto, per poi potare le unghie allo stesso Salvini.
Siamo adesso ad un punto di svolta. Dopo il decreto su "Quota 100" e Reddito di cittadinanza, il governo dovrà definire una strategia per affrontare l'attacco concentrico dell'oligarchia eurista interna ed esterna, il tutto in un quadro recessivo che potrebbe rivelarsi assai pesante.
Il nodo ancora una volta sarà l'Europa. Se sulla Legge di bilancio dello scorso autunno si è arrivati alla fine ad un compromesso, cosa accadrà nei prossimi mesi? Si avrà la forza di sostenere il confronto con l'oligarchia eurista, mettendo nel conto la possibilità della rottura? Se la risposta sarà un sì, l'attuale maggioranza potrà avere ancora un futuro. Se invece sarà un no, avremmo solo un governo allo sbando, che aprirebbe la porta ad una ripresa del blocco sistemico oggi in affanno.
La risposta alla domanda di cui sopra compete certamente alla coalizione gialloverde nel suo insieme, ma spetta anche alle due forze politiche che la compongono. Nelle ultime settimane, mentre M5S ha alzato i toni contro l'UE, contro Macron a sostegno della lotta dei Gilet Gialli, sul Venezuela, e pure sulla Tav; dalle parti della Lega si inviano segnali d'amore a quelle forze, come Confindustria, che sono alla testa del blocco antigovernativo.
Sappiamo come anche il partito salviniano sia diviso al suo interno, come abbia dentro forze che lavorano ad un nuovo abbraccio con il Signore di Arcore, ridotto sì al lumicino nei voti, ma pur sempre garante della copertura dei poteri sistemici ad un nuovo governo di destra.
Salvini dunque è chiamato a delle scelte. Oggi tutto è sfumato dall'attesa - a nostro modesto avviso decisamente esagerata (ma su questo torneremo) - delle elezioni europee. In realtà, mentre servirebbero da subito forti misure anticicliche per contrastare la recessione, già l'elaborazione del DEF 2019 (da presentare ad aprile) ci dirà molte cose.
Ma una scelta ancora più urgente, ciò ben prima delle elezioni europee, dovrà farla M5S. Questo partito "non partito" è pur sempre il primo azionista del governo, ed è in grado di orientarne la linea, rendendola più netta contro Bruxelles e contro l'asse Carolingio. In breve, se vuole recuperare consensi, M5S deve radicalizzare la posizione sull'Ue, dicendo a chiare lettere che le scelte economiche e sociali necessarie dovranno essere fatte alla faccia dei diktat europei.
Certo, una posizione così netta potrebbe condurre alla crisi di governo e ad elezioni anticipate. Ma essa porterebbe allo scoperto, una volta per tutte, Salvini. In ogni caso non ci sono alternative, e "chi ha paura non vada alla guerra".
8 commenti:
Tentare di nascondere, quando a distanza di 11 mesi si è perso il 50% dei consensi, dietro il dito della favola della differenza tra elezioni amministrative e quelle politiche, la debacle in Abruzzo del Movimento Cinque Stelle, è un’operazione che possono condurre solo coloro che cocciutamente si ostinano a non voler vedere e comprendere la reale situazione politica del Paese quella che abbiamo un governo sostanzialmente reazionario dove la Lega sostiene e recita la parte del “poliziotto cattivo” mentre il M5S quella del “poliziotto buono”. Purtroppo però per i Cinque Stelle questa finzione, anche sotto la spinta e la volontà di Salvini, è stata (come si dice in dialetto romano) “sgamata” e una parte rilevante di chi guardava e sperava nel Movimento ha preso coscienza ed atto dell’inutilità e dell’inefficacia di questa organizzazione politica priva di valori e di riferimenti ideali, che per esigenze elettorali mette insieme interessi ed esigenze spesso antagoniste o in contrasto tra di loro ma che finisce, quando non si deve più solo denunciare ma “costruire”, (contrariamente alla lega) miseramente per deludere e scontentare tutte le sue diverse anime che le hanno permesso e promosso il successo elettorale. In politica tutto è possibile e nulla è definitivo ma se non accadrà un “miracolo” politico (che non potrà essere generato né da un frontale attacco all’Europa né dall’uscita dall’euro) con i suoi presupposti politici per il Movimento Cinque Stelle è iniziato il calvario verso il suo ridimensionamento, la marginalità e il declino politico lasciando (come già fatto dalla sinistra liberal socialista keynesiana) dietro di lui ancora e soltanto macerie sociali e politiche.
pasquino55
Analisi abbastanza equilibrata ma se posso dare un contributo...
Il risultato del M5S è normalissimo.
Il M5S è un partito fisarmonica che raggiunge la massima ampiezza
alle politiche perchè raccoglie quasi tutta la spinta antisistema.
Gli analisti lo sanno ma quelli disonesti intellettualmente
ci vedono sempre l'inizio della fine e cantano il de profundis.
Il perenne linciaggio mediatico contro M5S ci conferma
la bontà e la natura dell'unico movimento antisistema oggi esistente.
RISULTATI M5S:
| POLITICHE 2013 | REGIONALI 2014/15/18 | POLITICHE 2018 |
VENETO | 25% | 10% | 25% |
EMILIA.R | 25% | 13% | 32% |
LAZIO | 28% | 22% | 32% |
FRIULI | 27% | 7% | 24% |
TOSCANA | 24% | 15% | 24% |
UMBRIA | 27% | 14% | 27% |
MARCHE | 32% | 18% | 35% |
CAMPANIA | 23% | 17% | 54% |
PUGLIA | 25% | 17% | 44% |
CALABRIA | 24% | 4% | 43% |
PIEMONTE | 24% | 20% | 29% |
TRENTINO | 14% | 7% | 19% |
VALLE.D'A| 18% | 10% | 24% |
In verita l'Abruzzo ci dice che la partecipatione al voto delle regionali è scesa di almeno 5 punti % rispetto al 2014. Ci dice che solo all'Aquila è aumentata la pattrcipazione rispetto al massivo boicottaggio del 2014 in quella provincia. Ci dice che la presunta maggioranza della Lega è una effettiva minoranza di consensi nella popolazione. Ci dice che tante persone, ostinatamente e costantemente, hanno voltato le spalle al sistema costituito. Testardi come muli non si va più a votare. Ci dice che ormai la politica e solo un miserevole mercimonio clientelare sempre più ristretto e inutile. Ci dice dell'enorme potenzialità sul piano sociale contro qualunque discorso politico e di avanguardia politica. Lasciamo i politicanti, in essere e in divenire, ai loro lupanari.
A pasquino55
Innanzitutto la "favola" della differenza tra amministrative e politiche non è una favola. Questa differenza c'è sempre stata, ma con la crisi dei partiti si è accentuata. Questo vale tanto più per M5S. L'illuminante tabella postata dall'anonimo delle 3,39 lo dimostra alla perfezione. Non volerne prendere atto, questo sì, è veramente da cocciuti.
Seconda questione. Questo governo è "reazionario"? Immaginati come sarebbe quello delle opposizioni unite che oggi gridano al "fascismo"!
Terzo. La crisi dei 5S c'è, e non mi pare di averla sottaciuta nell'articolo. C'è, ma non nei termini che si vorrebbe in base all'esito del voto abruzzese. Ed il senso dell'articolo era tutto lì. Il che significa che ogni ipotesi alternativa al blocco dominante eurista e neoliberista non potrà prescindere dai Cinque Stelle.
Quarto - E PIU' IMPORTANTE - Se siamo messi così è anche per l'atteggiamento politico, culturale, direi perfino psicologico di partiti, gruppi e frattaglie varie di una sinistra sinistrata sempre più astratta ed elitaria: muta di fronte all'arroganza delle oligarchie, sorda alle spinte popolari, strabica nell'individuare le priorità, cieca nel non capire le possibilità del momento.
Mazzei, contento te e la sinistra madonnara, contenti tutti ma solo per chiarezza. Primo: se a fronte di una storica affermazione politica 11 mesi dopo i Cinque Stelle in quella successiva perdono il 50% dei voti, e questo lo si ascrive e lo si imputa totalmente e cocciutamente al fatto che queste erano elezioni amministrative, non può che esplicitare tutta la insipienza e la cecità politica di chi lo afferma. Secondo: preciso che ho definito questo governo “sostanzialmente reazionario” (reazionario= dichiaratamente favorevole al ripristino di un assetto sociale e politico storicamente superato) con un “poliziotto buono” e uno “cattivo” non fascista. Terzo: se fosse vero che per poter superare il blocco eurista neo liberista dominante non si può prescindere, come tu affermi, dai liberal-qualunquisti dei Cinque Stelle allora sarà bene che chi oggi conduce e si sta spendendo in questa battaglia si prepari ad una devastante sconfitta perché questo Movimento, (e prima di maggio se ne avrà la riprova) non è e non diverrà mai un’organizzazione anti liberal-capitalista e antieuropeista che lotta e si batte per abbattere lo stato di cose presenti ed instaurare un sistema politico-economico alternativo e antagonista a quello imperante. Quarto: è vero, siamo messi male anche per l’atteggiamento, come tu sostieni “politico, culturale, direi perfino psicologico di partiti, gruppi e frattaglie varie di una sinistra sinistrata sempre più astratta ed elitaria, muta di fronte all'arroganza delle oligarchie, sorda alle spinte popolari, strabica nell'individuare le priorità, cieca nel non capire le possibilità del momento” ma purtroppo anche la “ricetta politica” proposta della sinistra madonnara non supera e risolve l’errore-orrore compiuto dalla sinistra in tutte le sue varie declinazioni quello di avere introiettato e fatto propri sia i valori che i disvalori liberali perché anch’essa ne è rimasta invischiata e prigioniera.
pasquino55
Caro Pasquino55,
anche per i "madonnari" la pazienza ha un limite, e tu l'hai superato.
Il nostro blog non è un refugium peccatorum per sordomuti, né tantomeno siamo disposti a tollerare di venir derisi un giorno sì e l'altro pure.
D'ora in avanti non faremo più passare i suoi commenti autistici.
Devo dire che mi fa molto piacere la chiusura dell’articolo dove, in sostanza, si dice (giustamente) che il M5S deve radicalizzare la sua posizione ben sapendo che ciò significa la rottura inevitabile con la Lega e quindi la crisi di governo.
Mi pare (ma se sbaglio i compagni di Sollevazione mi correggeranno) che fino a qualche tempo fa la posizione degli stessi compagni di Sollevazione fosse quella di appoggiare in ogni caso il governo gialloverde perché comunque alternative non ce n’erano e la crisi di governo avrebbe inevitabilmente spianato la strada ad un nuovo governo guidato dal PD o comunque dal fronte liberale. Ora è abbastanza evidente che nel caso si rompesse (cosa a mio parere pressochè certa) il patto fra Lega e M5S, il prossimo governo sarà di centrodestra a guida Salvini. Quindi un governo neoliberale, neoliberista ma di destra. Nulla di nuovo sotto il sole. Quello che mi stupisce è che ci si aspettasse qualcosa di diverso dalla Lega, il che lascia presupporre (ma non è mia intenzione mettermi in cattedra e bacchettare nessuno, sia chiaro…) una analisi errata, confermata dal fatto che lo stesso Mazzei scrive:” Certo, una posizione così netta potrebbe condurre alla crisi di governo e ad elezioni anticipate. Ma essa porterebbe allo scoperto, una volta per tutte, Salvini”.
Perché, prima non sapevamo chi fosse Salvini? Forse qualcuno si aspettava che avrebbe assunto posizioni diverse sul Venezuela, su Israele, su Bolsonaro, sulla TAV, sulla “secessione” delle regioni del nord? Non sapevamo già che si tratta di un reazionario di destra ultra filoatlantico, filo sionista e liberista per nulla “antisistema” come ha saputo millantare (ai gonzi) e con il quale è impossibile qualsiasi accordo di qualsiasi genere? E non sapevamo che l’alleanza di governo – come è puntualmente accaduto – avrebbe premiato la Lega invece che il M5S, dato il compito molto più facile che la divisione delle funzioni ha attribuito alla prima? (leggi la politica anti immigrazione…). Per realizzare il programma del M5S ci vogliono tanto tempo e tanti soldi. A Salvini è bastato ripetere ossessivamente – amplificandolo mediaticamente - quello che il “suo” popolo ripete nei bar di Pizzighettone o di Treviso:” Fora i neger dai ball” o come diavolo si dice in quegli incomprensibili dialetti (ma non fateci caso, essendo un “romano de Roma” ho una antipatia di pancia per quelle inflessioni, che ce volete fà, ognuno c’ha le sue sensibilità…). Io invece in quei bar di Pizzighettone e di Treviso, se potessi, ci entrerei di forza con qualche decina di tonnellate di “materialismo dialettico” (leggi T-54 di fabbricazione sovietica…) così come nei salotti e salottini della “sinistra” liberal e radical. Ma questa è una battuta, ovviamente…(insomma…).
Continua...
Prosegue...
Insomma, meglio tardi che mai. Perché la tattica non deve mai prendere il sopravento sulla strategia e quando ciò si verifica finisce sempre a schifio, come si suol dire. E infatti guardate come sta ridotto il M5S. Tutte le riflessioni di Mazzei possono anche essere valide (si è trattato di elezioni locali amministrative e non politiche ecc. ecc. ecc. …) ma resta il fatto che la Lega è andata al governo col 17% e oggi è data al 32% mentre il M5S è andato al governo col 32% e oggi è dato al 25%. Possiamo togliere o aggiungere qualche numero in percentuale alla prima o al secondo ma la sostanza resta quella.
La vera e grave questione è che l’area di dissenso (che si traduce nel voto al M5S) potrebbe erodersi (è stato questo il vero lavoro di Salvini in questi mesi e grave è stato da parte di molti non averlo capito…) e ci si potrebbe avviare da qui a poco alla solita vecchia scontata “dialettica” (mi viene da ridere solo a definirla tale…) fra i due poli di centrodestra e di centrosinistra, quello che i padroni del vapore auspicano perché garantisce loro quella pace sociale che il M5S non può garantirgli (non perché sia una forza rivoluzionaria ma perché le circostanze oggettive lo obbligano a determinate politiche che lo portano in rotta di collisione con le oligarchie dominanti e le loro strutture di comando).
L’obiettivo strategico, in questa fase, come ripeto da tempo, non deve essere il governo, ma la costruzione di un grande blocco sociale popolare e socialista dotato di una sua autonomia politica, culturale e ideologica in grado di costituire un ‘alternativa e di condizionare il quadro politico.
Se non si fa questo non si va da nessuna parte. Scorciatoie tatticistiche di vario genere portano solo a una sostanziale subalternità.
Con stima.
Fabrizio Marchi
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