[ 5 novembre 2018 ]
Schmitt bisticciava con Kelsen, che bisticciava con Hayek, che bisticciava con tutti; il tema principale era il rapporto tra diritto, politica ed economia. Ora: occuparsi di epistemologia delle scienze sociali è una delle attività intellettuali più importanti e delicate che si possano intraprendere.
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ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO, STATO E MERCATO...
ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO, STATO E MERCATO...
Schmitt bisticciava con Kelsen, che bisticciava con Hayek, che bisticciava con tutti; il tema principale era il rapporto tra diritto, politica ed economia. Ora: occuparsi di epistemologia delle scienze sociali è una delle attività intellettuali più importanti e delicate che si possano intraprendere.
Nell’epistemologia delle scienze sociali si studiano le
fondamenta stesse dell’organizzazione sociale, ovvero — dal pensiero che lega
insieme economia, diritto e politica — nasce quella che può essere o meno — non
una semplice società — ma un nuovo ordine sociale.
Quindi la materia va presa con la dovuta serietà: ogni
parola ha un suo peso, un determinato significato in funzione del contesto
dialettico e della cornice dottrinaria.
Il più famoso epistemologo delle scienze sociali è stato
indubbiamente Karl Marx, con la sua critica all’economia politica, Il Capitale.
Lo spunto di riflessione sarà basato su un’impostazione
marxiana; vediamo Kelsen: egli viene ricordato per l’atteggiamento neokantiano
per cui un’Idea si trasformerebbe in una Grundnorm, e questa «norma
fondamentale» si tradurrebbe in una Costituzione che farebbe da base alla
piramide dell’ordinamento giuridico.
Un ordinamento giuridico, potremmo dire, che ha in sé il suo
ordine sociale a priori, e che viene codificato nel momento in cui
l’Idea da “ipostasi” diventa materialmente una carta costituzionale.
Per Schmitt la Costituzione è «la decisione
politica fondamentale»: il Politico nella sua espressione di puro atto di
forza primigenio. Un nuovo ordine
giuridico verrebbe costituito da chi ha la forza di rompere l’ordine giuridico
esistente (si pensi allo schmittiano Gianfranco Miglio ed al suo sbrego
costituzionale come puro intento decisionista volto a “strappare”
l’ordinamento italiano).
Questa concezione dell’ordinamento giuridico ha già in sé
gli elementi fondativi dell’ordine sociale voluto: tendenzialmente fascista.
Questi due autori non lasciano grande spazio all’economico: Schmitt
lo snobba per principio, Kelsen semplicemente gli dà il giusto spazio
affinché questo venga integrato (Posner 2011) così come la politica,
che, per Schmitt, ha invece un ruolo ontologicamente preminente,
“pregiuridico”.
Chi invece si avvicina all’approccio marxiano per dirimere
la materia, se pur con visioni perfettamente antitetiche, è Hayek: il
padre del moderno neoliberismo, per sostenere la sua visione dell’ordine
sociale, usa una (pseudo) analisi economica del diritto. (Giusto per
frantumarlo).
Cosa propone Hayek? Come nella tradizione del
liberalismo classico, dove lo Stato viene considerato separato dalla società
civile, l’economico deve essere scorporato dal sociale e la legislazione deve
trovare genesi nell’ordine spontaneo del mercato; quindi, arrivando al punto
chiave, la stessa politica deve essere totalmente sottomessa all’economico
affinché il decisore politico non influisca sull’evoluzione darwiniana
dell’organizzazione sociale prodotta dal libero mercato.
Questo Hayek lo teorizza anche nel diritto, giusto
per comprendere perché oggi le blockchain vengano così sponsorizzate
dall’industria finanziaria o da noti liberali nostrani:
il giudice, ovvero lo Stato, non deve intervenire nell’organizzazione sociale.
Una volontà generale, politica, un ente esponenziale degli interessi generali
non deve esistere; quindi tutti i processi devono essere (apparentemente)
disintermediati. Così per Hayek il giudice non deve far altro che
l’arbitro, e tutto l’ordinamento non deve che poter deve essere organizzato privatisticamente, dove la sfera del
privato non viene violata da quella del pubblico. (Strumenti tecnici di
disitermediazione come le blockchain nascono con questo scopo in testa:
validare contratti e transazioni senza l’ausilio dello Stato e dei suoi
pubblici ufficiali).
Nota: la Tecnica non è mai neutrale. Essa si
inserisce nei rapporti di forza che concretamente si manifestano nella Storia.
Nel momento stesso del concepimento intellettuale la sua natura strumentale è
finalizzata politicamente. Ed il suo sviluppo è legato alla disponibilità di
capitale e, quindi, da chi direttamente o indirettamente fornisce i
finanziamenti. Ed i grandi finanziamenti sono sempre orientati
politicamente.
Se per gli economisti neoclassici una norma legale è Pareto
efficiente se non può essere modificata se non quando «una parte
migliori la propria posizione senza che faccia peggiorare quella delle altre»,
l’efficienza del mercato, per Hayek, trasformerebbe l’ordinamento in
modo efficiente nel momento in cui i giudici-arbitro dirimessero le
controversie “incoscientemente” a favore dell’ordine del mercato.
“Incoscientemente” perché nessuno dovrebbe avere idea della
“totalità”, nessuno dovrebbe far calcoli o semplicemente provare a pianificare
alcunché (altrimenti secondo Hayek si produrrebbe un... totalitarismo:
il totalitarismo sarebbe il risultato della pianificazione economica, che si
occupa del “tutto” senza avere ontologicamente la possibilità si avere tutte le
informazioni necessarie): tutti lavorerebbero per il mercato senza sapere che
destino il mercato riserverà all’umanità. Più lo si lascerebbe evolvere spontaneamente
più la libertà sarà assicurata dalla misteriosa Legge che governa il meccanismo
dei prezzi o il rapporto privato tra individui.
Da un punto di vista marxiano questi tre approcci scontano
un fatto determinante: il conflitto di classe. (Non compare a livello teorico,
ovviamente, visto che si può dire che il diverso antisocialismo dei differenti
autori ha epistemologicamente in sé lo sguardo carico di teoria
“classista” e, il semplicemente negare o soprassedere sul conflitto di classe,
è già parteggiare per la classe dominante che trae privilegio dall’ordine
vigente).
L’idealismo kantiano di Kelsen porta a
rifiutare un inscindibile legame anche “teorico” tra politica e legge, rifuggendo ogni considerazione di
carattere sociopolitico in quanto le scienze sociali dovrebbero essere indipendenti
dalla politica; la sua critica liberale al marxismo, il quale vede la legge
come sovrastruttura — legge orientata in modo classista — prodotta in primis
dalla sintesi del conflitto di
classe solo successivamente mediato dalla dialettica politica,
consisteva essenzialmente nel considerarne la dottrina una forma di “legge di
natura”.
Possiamo sintetizzare affermando che Kelsen
rimproverava al marxismo di non distinguere la legge dalla teoria del diritto;
d’altronde, per un marxista, la teoria è già prassi.
Il fascismo schmittiano può essere visto come una
risposta all’inadeguatezza dello Stato liberale a quello che era l’emergere
della coscienza politica socialista; l’antisocialismo, quindi, si manifesta
tanto nel non considerare il conflitto di classe sia nel proporre l’atto di
forza pura del politico (decisionismo) al di sopra della legge.
L’atto di pura forza che può imporre lo stato d’eccezione,
l’atto sovrano per eccellenza, è l’unico che può imporre l’ordine al di là del
processo della dialettica politica e dell’ordinamento conseguente.
Hayek è l’antisocialismo fatto autore: è facile
individuare tramite una semplice operazione ermeneutica come l’ordine
spontaneo del mercato non sia altro che la rigida pianificazione degli
oligopoli privati. Ovvero, l’entità che identifica il mercato lasciato libero
dalle interferenze “dei lacci e laccioli” dello Stato sociale e democratico — il kosmos — non è altro che la tirannia del totalitarismo delle
oligocrazie che privatizzano tutto e asserviscono tutti.
L’ordine delle cose è completamente alieno all’Uomo e
alla sua coscienza che si esprime nella prassi politica.
La democrazia delle blockchain
È evidente che in un sistema in cui la legge diviene un
fatto privato non mediato dallo Stato, a livello aggregato, la parte contraente
più potente economicamente domina politicamente senza limite di sorta. (A
questo servono le blockchain! Ad eliminare lo Stato e ridurre tutto a
contrattualistica privata).
Veniamo al nocciolo di questa sintetica trattazione: i
bonobi urlanti del «primato della politica» o della «democrazia
diretta» (alias disintermediata) non si rendono conto di cosa ci sia dietro
a queste affermazioni.
Il pensiero hegelianamente totale del socialismo
marxista — che considerava inseparabili economia, diritto, politica e società — non esiste più da generazioni:
il socioeconomico e il sociopolitico si sono concettualmente estinti. E
dell’analisi economica del diritto è rimasta solo quella “microfondata” dei
neoliberali (o quella meta-monoteistica e, ora tecno-religiosa, di Hayek).
Marx insegnava che era l’economia il motore del mondo
(il primum agens): non la politica. La politica è l’unico strumento che
contrasta l’atto di pura forza del capitale sul lavoro.
Ma per far sì che sia la politica ad essere al centro della
risoluzione dei conflitti e dei problemi sociali, è l’economia che deve
correttamente rientrare al centro dei problemi della politica: e questo è prima
di tutto un problema di coscienza della classe politica (e dei suoi
consulenti: in senso scientifico e morale).
Non esiste la “malvagità” della finanza, del capitalismo o
dell’imperialismo come se questi fossero idee astratte da risolvere con
un’astratta retorica “rivoluzionaria” o, magari, col positivismo giuridico di Kelsen.
Per legge.
La miseria o la schiavitù non si risolvono «per legge»;
ma attraverso la lotta politica, la legislazione progressiva e la distribuzione
del reddito. Attraverso la socializzazione economica e politica.
Ma per far questo occorre produrre coscienza; ma
prima di discutere su come produrre coscienza fino ad arrivare ad una qualche massa
critica politicamente influente, è necessario che l’avanguardia sia cosciente
che nel capitalismo il primato è dell’economia; e, se si è fortunati, si
può contare sull’antagonismo di una costituzione antiliberista. È quindi
necessario capire come portare l’economico nel sociale, così come vorrebbe la
nostra Costituzione: ovvero, è necessario capire come riportare la società
civile dentro lo Stato. Ovvero — in definitiva — come riappropriarsi dello
Stato affinché si possano — in primis! — attuare politiche economiche.
Questa entità che deve entrare e rimpossessarsi dell’ente
statale si chiama popolo; popolo che, essendo dotato di una volontà
politica unitaria, si identifica nella nazione.
Per potersi riappropriare delle leve della politica
economica è necessario riappropriarsi della fonte più importante delle
dinamiche sociostrutturali, della madre di tutte le contraddizioni;
ovvero delle banche centrali (prima che le banche d’affari comincino a far
circolare le loro monete private tramite le blockchain).
Un popolo sovrano che dispone delle leve necessarie a
governare la politica economica può pensare di riportare il mercato a più miti
consigli. Può pensare di fare in
modo che la proprietà privata sia subordinata ai fini sociali. Proprio perché
l’anticapitalismo si manifesta in primis come antiliberismo.
Altrimenti non si fa altro che dar fiato alle trombe mentre
si predispone il tappeto rosso al capitale trionfante; proprio come fa
la sinistra moralista suddivisa nelle varie sette di bonobi.
Il giorno in cui la politica avrà il primato sull’economia
ci sarà stata la Rivoluzione.
5 commenti:
NOTA: è scorretto affermare che la Grundnorm "si traduca in una Costituzione": semplicemente è la condizione di pensabilità, e di validità, di un qualsiasi ordinamento giuridico come normativo. È la condizione logico-trascendentale del metodo positivo. Ma è presupposta, non posta. Contenutisticamente corrisponde all'efficacia del comportamento sottoposto a norme (cioè la gente si comporta come se le norme dell'ordinamento fossero obbliganti). Di là da questo è sociologicamente vuota.
Grazie per l'articolo, condivido tutto, quasi.
Per esempio ho qualche dubbio sulla non neutralità senza eccezioni della tecnica, ma potrei aver capito male, vista l'ora.
Pensavo ad Einstein o Turing e al lavoro multidisciplinare che partecipa a una realizzazione tecnica.francesco
@Francesco
In linea di principio è l'impatto sociale della tecnica
Einstein faceva fisica teorica: eppure ha avuto una visibilità enorme e la sua popolarità fu usata per promuovere l'uso dell'energia atomica come arma di distruzione di massa.
Turing creò Enigma usata durante la seconda guerra mondiale: ricordo che la tecnica crittografica (forte) stessa è vietata in molti paesi perché ritenuta un'arma di cui il monopolio è dello Stato.
Al di là del fatto che l'ambiente sociale stesso condizioni il pensiero delle persone e la loro stessa creatività (cfr. Marx), e che questa ha in sé una dialettica che crea un'infinità di eccezioni, a livello pratico si nota come tutte le invenzioni tecniche (magari ad alto contenuto tecnologico) che hanno un impatto sociale hanno, ad esempio, prima una finalità militare, quindi, quando diventano obsolete e nella loro versione di scarto, vengono adibite ad uso civile.
“Un popolo sovrano che dispone delle leve necessarie a governare la politica economica può pensare di riportare il mercato a più miti consigli. Può pensare di fare in modo che la proprietà privata sia subordinata ai fini sociali. Proprio perché l’anticapitalismo si manifesta in primis come antiliberismo.
Altrimenti non si fa altro che dar fiato alle trombe mentre si predispone il tappeto rosso al capitale trionfante; proprio come fa la sinistra moralista suddivisa nelle varie sette di bonobi.”
Condivido alla lettera ed anche che la "tecnica" non è mai "neutrale, non fosse che essa non è un che che volteggia nell'aria a disposizione di chiunque, ma è strumento dei dominanti. Per la precisione: è oggi uno degli strumenti principali del dominio.
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