[ 2 marzo 2018 ]
I media italiani, vittime del loro proverbiale provincialismo, sembrano sorvolare su quel che ha detto e annunciato ieri Putin a Mosca. Nonostante alcune considerazioni controverse, questo studio che pubblichiamo getta un fascio di luce sulla politica strategica del Cremlino. Importanti le riflessioni dell’autore sul nazionalismo ortodosso non eurasiatico di Putin, sui buoni rapporti con Israele, e sul controverso rapporto con l’espansionismo cinese, da cui potrebbero derivare pericolosi scenari strategici. Dello stesso autore segnaliamo suo il articolo La linea Ahmadinejad.
NOTE
[1] In più casi (ad esempio 13 giugno 2013) Vladimir Putin, dando voce al perenne complottismo antisemita della chiesa ortodossa russa, ha definito il governo sovietico come composto all’80% da elementi israeliti che avrebbero voluto estirpareil cristianesimo dalla storia russa; al tempo stesso però, i manuali scolastici riabilitano come patriottico e “non ideologico” (nel senso di non comunista), l’ultimo periodo dello Stalinismo (1941-1953), quello in cui il restaurato nazionalismo grande-russo e panslavista fece coppia con significative purghe antiebraiche e con il supporto, fondamentale e decisivo, al nascente Stato d’Israele. La visione di Putin sull’ebraismo, pare di capire, è estratta dalla lettura del pensiero di Solzenicyn sul tema, raccolto nel saggio “Due Secoli insieme” il cui secondo volume è specifico su “Ebrei e russi durante il periodo sovietico” ed in parte sui “Discorsi Americani”, “ Lettera al patriarca” e “Lettera ai dirigenti dell’URSS”.
[2] Il 7 febbraio 2018, in Siria, verso le 22 iniziava l’attacco americano contro “mercenari” russi della compagnia privata Wagner di Mosca; questi ultimi avrebbero puntato ad impadronirsi della grande raffineria “Coneco”, degli oleodotti vicini e dei pozzi petroliferi e e di gas che sono la grande ricchezza di Deir-ez-Zor. Le fonti parlano di una stima che arriva addirittura a 200 morti russi. I reparti militari del PKK curdo (YPG) svolgono da sempre, in luogo, la funzione di truppe fedeli e mercenarie degli USA. Le cronache internazionali affermano che una fase così intensa di scontro diretto tra USA e Russia andrebbe anche oltre il periodo della cosiddetta “guerra fredda”.
[3] Il settimanale “Valeurs Actuelles” ha pubblicato a metà febbraio 2018 una inchiesta choc sulla Sostituzione etnica e religiosa di interi quartieri del centro parigino. Nelle immense banlieus, come noto, i francesi non possono entrare da anni. Ma la piega si sta radicalizzando anche nel centro della capitale francese: i nuovi “padroni” — africani, cinesi, arabi — assumono ed affittano solo ad altri della loro etnia e religione, escludendo deliberatamente i francesi.
[4] Nonostante la chiara formulazione della Costituzione, la legge federale russa e la prassi degli anni di putinismo ricostituiscono un sistema opposto a quello dello stato laico, ben orientato verso un “confessionalismo ortodosso” per quanto improprio o incompleto (si pensi al diritto penale o familiare); significativo che la gran parte di leggi federali, in materia di “libertà religiosa”, siano più “intolleranti” verso il protestantesimo ed il cattolicesimo “ecumenista” (assai disprezzato e deriso dal patriarcato di Mosca) che verso le altre religioni. Al riguardo, si deve segnalare la frequente presenza dei governanti russi alle cerimonie di carattere religioso. Putin ha sempre posto al centro della vita sociale la presenza della Chiesa ortodossa, affermando, ad esempio, nel corso della sua visita all’Athos che la “Russia è la più grande potenza ortodossa del mondo” e stimando i cristiani ortodossi russi in circa 140 milioni di anime, vale a dire circa il 90% della popolazione, forse lievemente eccessivo come calcolo. Putin si ripropone nel solco della tradizione zarista come “supremo difensore” (zascitnik) e custode (chranitel’) della Tradizione ortodossa e come fedele tutore (bljustitel’) dell’Ortodossia.
I media italiani, vittime del loro proverbiale provincialismo, sembrano sorvolare su quel che ha detto e annunciato ieri Putin a Mosca. Nonostante alcune considerazioni controverse, questo studio che pubblichiamo getta un fascio di luce sulla politica strategica del Cremlino. Importanti le riflessioni dell’autore sul nazionalismo ortodosso non eurasiatico di Putin, sui buoni rapporti con Israele, e sul controverso rapporto con l’espansionismo cinese, da cui potrebbero derivare pericolosi scenari strategici. Dello stesso autore segnaliamo suo il articolo La linea Ahmadinejad.
* * *
Il partito russo nell’Europa meridionale non si identifica — a parte il caso specifico della
filorussa, cristiano-ortodossa Alba dorata in Grecia, effettivamente
antieurista ed antieuropeista, ma a tutt’oggi marginale nei giochi complessivi — sic et simpliciter con il
partito della “destabilizzazione antieurista”. Quando l’Unione Europa
introdusse l’euro, Putin mirava, con deciso contorsionismo tattico, all’alleanza
strategica ed all’integrazione con l’industria mitteleuropea e con il
supercapitalismo tedesco in primis; all’ingresso della Russia nella Nato poi: il fine era quello
di integrare la civiltà slava in un processo di modernizzazione industriale e
militare alla cinese, senza però cadere nel nichilismo e nell’americanizzazione
che ha finito per aggredire la Cina dall’interno.
Putin voleva modernizzare,
non euro americanizzare, come fece da Deng in poi e sta facendo il Partito
comunista cinese. Era un tentativo, quello originario di Putin, di recuperare velocemente il tempo
perduto, dopo il crollo dell’URSS, nella partita per la ri-conquista dello
spazio globale. Era il tentativo di un nuovo modello imperiale in competizione
agonistica “mascherata” con gli USA: la Russia avrebbe rappresentato
l’avanguardia politico-militare dell’industria tedesca.
L’attacco al cuore
dell’unipolarismo americanistico non poteva sfuggire a chi di dovere. L’opposizione
euro-americana a tale progetto strategico, l’indecisione tedesca di fondo, poi
la finale penetrazione euro- atlantica nell’Ucraina (2014), con la Germania
schierata — con la dottrina trans-atlantica teorizzata da Schauble e dai più
influenti circoli banchieri tedeschi — a fianco degli USA, son stati un duro colpo per il Cremlino.
Questa è stata per Putin una vistosa sconfitta
tattica.
Il blocco eurasiano Mosca-Pechino-Tehran, proposto da una fazione,
che si ispira al pensiero di Leontev (1831-1891), del capitalismo di stato energetico
russo, non è proponibile per Putin, per molteplici ragioni che non si possono
ora analizzare, non ultimo il fiero nazionalismo grande russo neozarista ostile
a tale strategia. La Russia perciò, per evidenti motivazioni economiche e
finanziarie, avrebbe assai da rimettere da un imprevisto sconvolgimento
monetario dell’area euro; nonostante i suoi rapporti non siano oggi certo
privilegiati, tutt’altro, con Berlino e Parigi. In tal senso, l’asse Mosca Tel Aviv sembra per ora l’unico punto certo del “sovranismo
vicino”putiniano. Putin incentiva peraltro all’interno il tradizionale
antisemitismo della chiesa ortodossa, ma si tiene giustamente le mani libere
sul pragmatismo della politica estera [1].
Alcuni giornali israeliani, giorni
fa, dopo lo scontro irano-israeliano, si sono affrettati a rimarcare il totale sostegnodi Putin al primo ministro israeliano.
Per quanto Haaretz (21.2.2018), parli già degli “ultimi giorni di Netanyahu”,
il rapporto tra Mosca e Tel Aviv sembra essere ormai strategico, soprattutto da
quando Putin ha deciso di declinare in funzione mediterranea l’impulso
espansionista grande-russo. Se di recente Mosca ha rinnovato un patto militare
con il Libano, se le relazioni con Tehran sono tutto sommate buone, non
sfuggirà che in tutte le vicende più calde degli ultimi tempi, in Medio
oriente, la relazione mediatrice esercitata da Putin con il primo ministro
israeliano è stata risolutrice. Senza il lasciapassare di Tel Aviv, i soldati
russi, ad esempio, non avrebbero potuto fare il bello e cattivo tempo in Siria
come stan facendo da circa tre anni ad oggi. Fatto recente, i russi sono molto preoccupati per i
bombardamenti israeliani nelle vicinanze di siti dove si trovano tecnici e
soldati russi, presso la base T4 nei pressi di Palmyra, dove il posto di
controllo iraniano da cui è partito il missile antiaereo israeliano è stato, in
seguito alla vicenda, di nuovo bombardato. Di tutto questo, Putin avrebbe discusso in una lunga
telefonata di pochi giorni fa con il primo ministro israeliano, specificando
ogni questione e rinnovando infine l’asse strategico con Tel Aviv.
Se il putinismo ha guadagnato punti in prestigio
internazionale, se ha indubbiamente saputo sviluppare una nuova
nazionalizzazione sociale interna, grazie all’alleanza strategica con la Chiesa
ortodossa e con l’esercito, il disegno
globale di Putin, quello di fare della Russia una superpotenza globale della
qualità degli Usa, pochi anni dopo il crollo dell’URSS, è sino ad ora
miseramente fallito. Ciò ridimensiona assai il talento di statista di
Putin; così celebrato. Almeno sino ad oggi. Il divenire è in tal caso,
comunque, nelle mani dell’uomo di stato e Putin sembrerebbe disporre di un
nuovo mandato. In Siria, le forze armate russe son state proprio in questi
giorni ridicolizzate dai colleghi americani (7.2.2018) [2] in un test di forza
reciproca che ha ridimensionato, nel complesso, le ambizioni multipolari delle
varie potenze emergenti. La Russia è la seconda potenza militare convenzionale
e nucleare del globo; di fronte a tale disparità strategica rimane una seria
ombra sul presunto futuro moltipolare di cui tanto si discute.
L’unica
superpotenza rimane quella statunitense. Anche in tal caso, la
prospettiva concreta del nazionalismo panslavista putiniano, per risalire
posizioni rispetto agli USA, è il blocco strategico con Tel Aviv, in
particolare con le fazioni nazionalreligiose della destra israeliana, influenti
anche in ambienti laburisti; la vittoria di Trump essendo un episodio nella
dialettica politica statunitense, dove si fronteggiano costantemente l’ala
globalista ebraica (il termine Globalizzazione e la teoria della globalizzazione
furono ideate dal sociologo ebreo non sionista T. Levitt, docente ad Harvard) e
quella della destra nazionalista territorialista filoisraeliana. Il gap di
dimensioni economiche e di diversificazione del PIL rispetto a Cina ed Usa, che
non navigano nemmeno queste in acque tranquille e limpide, è attualmente
impressionante ed il rinato prestigio politico-militare russo non è affatto
sufficiente a fare della Russia una superpotenza globale. Ciò non autorizza del
resto a considerare “arretrata” la Russia poiché, sul piano culturale,
religioso e artistico la vita russa è ben più evoluta di quella europea o
americana. Lo Stato sociale russo, è, comunque, ancora, anni dopo il primo
mandato di Putin, a un livello embrionale e gli indirizzi liberisti, con
macroscopica corruzione, predominano nella vita sociale. Il tradizionalismo
ortodosso è però, di nuovo, la
guida morale di vastissimi strati della popolazione, soprattutto dei più
poveri; questo è un concreto successo dello statista Putin e del Patriarcato di
Mosca. Putin non ha mai nascosto il suo debito ideologico e dottrinario verso
il tradizionalista ortodosso Solzenicyn — da lui definito un “maestro” —, verso
Ivan Ilyn, un teorico reazionario russo filofascista e filo mussoliniano e
verso l’ “idea russa” di Berdjaev. Il grande vantaggio strategico del
nazionalismo russo e di quello religioso israeliano rispetto al globalismo
liberal della sinistra ebraica è rappresentato dal richiamo mitico che un certo
idealismo “spirituale” — in un caso e nell’altro — è in grado di esercitare
all’interno della società civile. Cristianesimo
(ortodosso), Islam, Ebraismo in tal senso sono più vivi che mai.
Il partito russo non si identifica però nemmeno con il
partito europeista. Nelle intenzioni di Putin, i Salvini, le varie frazioni
spagnole (dai neofalangisti cattolici tradizionalisti a correnti del partito
socialista), e gli alba dorati ellenici, gli amici mediterranei del Cremlino
insomma, devono giocare il ruolo
della fastidiosissima spina nel fianco del blocco massonico franco-tedesco il
quale, se può impensierire la fazione Trump per motivi industriali e
commerciali, non può impensierire invece Putin a causa del forte peso di
perenne ricatto energetico (pagato in euro, si noti bene) che i russi
esercitano come pistola puntata sulla tempia dei franco-tedeschi. Putin, se mai
si è fidato, dopo l’Ucraina 2014, non si fida certamente più dei
franco-tedeschi: ma nonostante questo, quando (Grecia 2015) ha avuto
effettivamente modo di staccare la spina dell’euro così come
la conosciamo, ha deciso di non farlo. Varie possono essere state le motivazioni;
sicuramente alla base vi è stato l’interesse russo, per il quale Putin, che non
è affatto un eurasiano, ma un nazionalista “cristiano ortodosso”, ha però dovuto
sacrificare i “fratelli ortodossi greci”, lasciandoli ancora sotto il
totalitarismo tecno-finanziario di Parigi e Francoforte. Ma il calcolo
strategico che han fatto al Cremlino è più sottile; persa la fortezza
spirituale di Roma cattolica, ormai obnubilata essa stessa dai nuovi mantra del
mondialismo, della tecnocrazia trans-umana e dell’omosessismo, delle teorie
gender e dei diritti senza misura e confine, i popoli europei andrebbero
perdendo, giorno per giorno, la capacità di resistenza, la volontà audace di
concepire un nuovo sviluppo autonomo. La forza europea deriva in realtà, quasi
del tutto, per il putinismo, dal protettorato militare del globalismo
americano. Il ciclo epocale europeo
sarebbe agli sgoccioli; anzi, nella
visione putiniana, sarebbe già finito. Putin una volta ha detto
pubblicamente, rivolgendosi al popolo francese, che l’Unione Europea venera
Satana al posto del Cristo! Il
ciclo russo, invece, starebbe nascendo ora. Gli slavi sono i popoli del futuro,
sarebbero un popolo giovane a cui appartiene il domani. Dunque questo è il momento, per Mosca, della ritirata strategica.
Complesso e centrale il rapporto Putin Usa. Dopo la
conquista russa della Crimea, i vertici militari e di intelligence statunitensi
avrebbero imposto a Obama il non intervento e la politica delle sanzioni; Obama
era smanioso di intervenire contro i russi, con la prima linea assicurata dai
combattivi nazionalisti polacchi, dai baltici, dai ceceni salafiti anti-Kadyrov,
dai nazisti croati, da georgiani, slovacchi e da vari volontari dell’estrema
destra internazionale, ottimi tiratori, che stavano arrivando soprattutto dal
Nord Europa. La CIA comprese che alla lunga tenere a bada questo fronte
islamico-nazista russofobo sarebbe stato assai problematico e mentre l’
“Europa” ha sostenuto su tutta la linea i nazisti antirussi (con l’entusiasmo
del PD italiano, della Bonino, di Napolitano, e della Boldrini, tutti
fieramente russofobi, sebbene oggi sembrino scoprire l’antifascismo in vista
delle elezioni), nel giugno 2015 il Congresso USA ha stoppato con atto di forza
la vendita di armi al battaglione Azov che era in avanzata territoriale,
integrato comunque nell’esercito ucraino.
Sebbene fosse scorretto parlare in generale di nuova Yalta
russo-americana, in quanto i liberal obamiani ed anche i repubblicani alla Mc
Cain erano concretamente per un qualche intervento antirusso, e rimangono, sul
piano internazionale, primariamente russofobi e antiputiniani (ben prima che
anticinesi o anti-Isis), dopo la Crimea si è verificata, sino al giorno
dell’elezione di Trump, paradossalmente una sostanziale distensione tra Usa e
Russia. Questo grazie alle forze armate americane, che temevano o comunque non
escludevano una escalation putinista su Kiev da un lato; il fronte
nazi-islamico dall’altro. In tal senso, avendo fatto tesoro della reazione
militare USA dopo il test crimeano, Putin mira strategicamente ad una sorta di appeaseament con le fazioni conservatrici
americane e con talune correnti militari, le uniche forze statunitensi con cui
gli è possibile un dialogo. Tale appeasement gli garantirebbe la totale
inoffensività europea, in primo luogo, dato che gli europei — senza il
protettorato USA — sarebbero truppe semicoloniali (ed in parte già lo sono,
come si vede a Parigi e seppure in parte minore a Berlino [3]; in secondo
luogo, ove un repubblicanesimo populista alla Trump mettesse solide radici
nella società statunitense, Putin potrebbe stringere con questa fazione
“populista” americana un blocco strategico contro quello che i consiglieri
dello zar vedono a ragione come il principale, incombente, nemico del popolo
russo: Pechino. La Cina, peraltro, potrebbe portare alla propria causa i liberal
americanisti e gli europeisti.
I nemici, i
nuovi nemici, battono quindi alle porte: Pechino da un lato, come detto,
l’Islam russofobo dall’altro, con cui Putin ha già in parte regolato i conti,
dalla Cecenia alla Siria, mentre predilige l’Islam filorusso rispetto allo
stesso cattolicesimo modernista e secolarizzato. In questa visione, per il
Patriarcato moscovita, Roma cattolica avrebbe un significato strategico, simbolicamente
il più potente; alzata bandiera bianca, di fronte della avanzata laicista risorgimentale
culminata con il Concilio Vaticano II con il suo confuso “ecumenismo”, ormai
altro non potrebbe fare che lasciare alla Terza Roma il
testimone del fuoco cristiano originario [4].
Infine, la
guerra intestina tra fazioni dominanti ebraiche in cui ci troviamo è tipica di
uno scenario da guerra mondiale: le ricostruzioni del conflitto che vide
opporsi, negli Anni Quaranta del ‘900, le correnti del “nazionalismo socialista
ebraico” ultrasionista (niente affatto minoritarie all’interno dello stesso
fronte sionista mondiale) a quelle
globaliste ed americaniste sono assai note perché ci si debba tornare sopra. Oggi,
la vittoria di Trump e del populismo in USA ha denudato e svelato l’autentica
sostanza della posta in gioco e degli schieramenti: da un lato c’è il potere mondialista finanziario degli
Attali, dei Soros, dei Rotschild e dei loro giornalisti prezzolati e militanti (B.
Henry Levy, F. Colombo, G. Lerner, Ferrara, non Mieli naturalmente, che è ben
più intelligente e aperto di tutti costoro), dei loro camerieri politici (Obama,
Merkel, Macron, Renzi, Bonino): questo fronte autenticamente globalista-mondialista
è, ancor prima che americanista, antislavo,
russofobo, in quanto caduta Roma cattolica, l’unico baluardo catechontico Occidentale
cristiano sarebbe Mosca Terza Roma. Per questo da sopprimere. L’Islam in fondo
non costituirebbe una minaccia, per il settarismo religioso e politico di
fondo. L’ala liberal e mondialista vuole
anzitutto regolare i conti con il Cremlino, anche mettendosi a fianco, se necessario,
come si è visto, dei nazisti ucraini e dei salafiti ceceni o mediorientali.
La Russia sarebbe così, caduta Roma cattolica, il vero Occidente cristiano: una
conferma a latere, o in antitesi dialettica, fornita dalla prassi mondialista
al putinismo ortodosso che si autorappresenta come tutore della cristianità
universale. Il globalismo, secondo la visione del patriarcato di Mosca,
inizierebbe con il sacrificio del popolo serbo durante la guerra jugoslava
(1991-2000). Le micidiali bombe sui serbi – cristiani ortodossi – di Bosnia
prima, di Belgrado poi, sarebbero state il battesimo satanico del globalismo
euroamericano anticristiano, nichilista. Nella visione del Patriarcato, il
globalismo euroamericani stico punterebbe su Mosca con la rivoluzione colorata
e con l’omosessismo demoliberale. La Terza Roma sarebbe così sotto assedio
mondiale, secondo la stessa visione dell’archimandrita Tichon, confessore
spirituale dello zar Putin. Il concetto di Democrazia
sovrana e organica, bandito dal Cremlino in antitesi a quello che viene
bollato dagli ideologi putiniani come come “totalitarismo liberale omosessista e massonico d’Europa”, per
quanto possa certamente non piacere a chi è orientato in senso socialista,
riserva comunque allo zar un consenso popolare che i governanti e i banchieri
europei si sognano.
L’Europa ateistica e scristianizzata è, per il
tradizionalismo cristiano-ortodosso, la strategia ideologica globalista. L’europeismo
del razionalismo neo-Illuminista, dei diritti individuali contro Dio e della
scienza totalitaria in versione Tecnologica sovversiva è stato il continuo mantra
globalista, tutto sommato raggiunto ma proprio ora sotto forte attacco, al
punto che la stessa Francia si va riscoprendo protezionistica.
Dall’altro, c’è il neosocialismo sionista (tale almeno secondo la propaganda della Destra israeliana)
che ha spinto avanti Trump e la Brexit e molto vicino a Visegrad. Il
partito russo,nemico strategico del globalismo, è come detto non ostile al secondo
blocco, anzi assai vicino ad Israele. Due fazioni, centrali, in lotta, nella
partita della turbo finanza e del capitalismo mondiale. Nella prospettiva
dell’offensiva mondiale imperialista cinese, assai temuto dal nazionalismo
russo del Cremlino, nella logica del conflitto a-simmetrico che si potrebbe
aprire, non sarebbe peregrina l’ipotesi di una saldatura strategica tra i
globalismi alla Soros, l’Unione Europea e l’imperialismo cinese e tra il
Cristianesimo di stato russo e il nazionalismo sionista. Lo stesso piano
governativo di acquisizione di nuovi armamenti, presentato da Dimitri Rogozin,
secondo cui è previsto il rinnovo del 70% degli equipaggiamenti militari russi
entro il 2021, basato sui nuovi sistemi: missile antimissile S-500, carro armato T-90 A (che in Siria ha resistito a un
missile perforante americano TOW), carro da battaglia T-14 Armata, e sulla portaerei doppiamente rafforzata Progetto Shtorm, caccia SU-57 (superiore ai vari F-16 F-18
americani), è più da leggere a nostro avviso in ottica anticinese che
antiamericana.
L’americanismo, di fronte a tale probabile novità strategica — nei prossimi anni — basato sulla
conflittualità calda russo-sinica, scioglierebbe il nodo strategico risolvendosi o in
interventismo antirusso o in neo-patriottismo isolazionista o nel grave rischio
che grava ormai sugli USA, quello di una sorta di guerra interna su base
etnica. La via della nuova Yalta potrebbe essere proprio quella del blocco Usa-Cina.
Il nuovo programma di riarmo del Pentagono, presentato il 2 febbraio, è da leggere
infatti come una sfida strategica
alla Russia, non alla Cina.
Il fatto che Putin abbia riscoperto una vocazione
mediterranea della Russia e si ponga come il supremo difensore dell’Occidente
cristiano, missione rinnegata da Europa e USA, mostra che è ben conscio del
pericolo.
NOTE
[1] In più casi (ad esempio 13 giugno 2013) Vladimir Putin, dando voce al perenne complottismo antisemita della chiesa ortodossa russa, ha definito il governo sovietico come composto all’80% da elementi israeliti che avrebbero voluto estirpareil cristianesimo dalla storia russa; al tempo stesso però, i manuali scolastici riabilitano come patriottico e “non ideologico” (nel senso di non comunista), l’ultimo periodo dello Stalinismo (1941-1953), quello in cui il restaurato nazionalismo grande-russo e panslavista fece coppia con significative purghe antiebraiche e con il supporto, fondamentale e decisivo, al nascente Stato d’Israele. La visione di Putin sull’ebraismo, pare di capire, è estratta dalla lettura del pensiero di Solzenicyn sul tema, raccolto nel saggio “Due Secoli insieme” il cui secondo volume è specifico su “Ebrei e russi durante il periodo sovietico” ed in parte sui “Discorsi Americani”, “ Lettera al patriarca” e “Lettera ai dirigenti dell’URSS”.
[2] Il 7 febbraio 2018, in Siria, verso le 22 iniziava l’attacco americano contro “mercenari” russi della compagnia privata Wagner di Mosca; questi ultimi avrebbero puntato ad impadronirsi della grande raffineria “Coneco”, degli oleodotti vicini e dei pozzi petroliferi e e di gas che sono la grande ricchezza di Deir-ez-Zor. Le fonti parlano di una stima che arriva addirittura a 200 morti russi. I reparti militari del PKK curdo (YPG) svolgono da sempre, in luogo, la funzione di truppe fedeli e mercenarie degli USA. Le cronache internazionali affermano che una fase così intensa di scontro diretto tra USA e Russia andrebbe anche oltre il periodo della cosiddetta “guerra fredda”.
[3] Il settimanale “Valeurs Actuelles” ha pubblicato a metà febbraio 2018 una inchiesta choc sulla Sostituzione etnica e religiosa di interi quartieri del centro parigino. Nelle immense banlieus, come noto, i francesi non possono entrare da anni. Ma la piega si sta radicalizzando anche nel centro della capitale francese: i nuovi “padroni” — africani, cinesi, arabi — assumono ed affittano solo ad altri della loro etnia e religione, escludendo deliberatamente i francesi.
[4] Nonostante la chiara formulazione della Costituzione, la legge federale russa e la prassi degli anni di putinismo ricostituiscono un sistema opposto a quello dello stato laico, ben orientato verso un “confessionalismo ortodosso” per quanto improprio o incompleto (si pensi al diritto penale o familiare); significativo che la gran parte di leggi federali, in materia di “libertà religiosa”, siano più “intolleranti” verso il protestantesimo ed il cattolicesimo “ecumenista” (assai disprezzato e deriso dal patriarcato di Mosca) che verso le altre religioni. Al riguardo, si deve segnalare la frequente presenza dei governanti russi alle cerimonie di carattere religioso. Putin ha sempre posto al centro della vita sociale la presenza della Chiesa ortodossa, affermando, ad esempio, nel corso della sua visita all’Athos che la “Russia è la più grande potenza ortodossa del mondo” e stimando i cristiani ortodossi russi in circa 140 milioni di anime, vale a dire circa il 90% della popolazione, forse lievemente eccessivo come calcolo. Putin si ripropone nel solco della tradizione zarista come “supremo difensore” (zascitnik) e custode (chranitel’) della Tradizione ortodossa e come fedele tutore (bljustitel’) dell’Ortodossia.
6 commenti:
Mah...
Un lungo scritto pieno di fumose impostazioni "spiritualiste", che pretende di mescolare come in un frullato elementi di strategia militare, politica commerciale, storia, antropologia culturale, filosofia, religione. E senza chiarire un bel niente su nessuno di questi punti. Anzi, chi leggesse un pezzo del genere senza un minimo di retroterra su qualcuno di questi argomenti rischierebbe, ammesso che riesca ad andare oltre le prime dieci righe, di assorbire tante e tali assurdità da averne viziata la prospettiva in futuro. Chi ha un minimo di cognizione e d'esperienza sui paesi in ballo, invece, potrebbe elencare le decine e decine di fumisterie qui esposte. Ma lasciamo proprio stare...
L'impostazione generale di questo pezzo sembra essere quella di una chiave di lettura estremamente reazionaria e ben poco "materialista", sia in qualsiasi possibile senso marxiano che in quello più spiccio di "cose che esistono davvero". È pur vero che gli analisti seri e competenti in queste materie sono pochissimi, si fanno pagare fior di quattrini e i loro clienti o datori di lavoro sono grandi governi e megafondazioni tipo RAND e via dicendo.
Detto questo, due considerazioni al volo sulla Russia e su Putin. La cultura "popolare" russa non è affatto quello che l'autore descrive, cioè un revival irresistibile della religiosità ortodossa (e che lui descrive come un idillio). Oggi, il modo di vivere e di pensare della stragrande maggioranza dei russi è in tutto e per tutto assimilabile a quello di qualsiasi altro paese dell'Europa orientale uscito da quarant'anni di "socialismo reale" e rapidamente riadattato in forme predatorie spesso molto violente al capitalismo globalizzato del tardo ventesimo secolo-inizio ventunesimo secolo. L'unica differenza è che, avendo ereditato l'arsenale nucleare sovietico, la Russia ha un'arma e allo stesso tempo uno scudo che le permette di giocare un ruolo che altrimenti sarebbe ben al di sopra delle sue possibilità. L'economia russa è un cesso e il suo PIL, ad oggi, è più o meno uguale a quello della Spagna. Se in tutto questo ci scappa qualche bastonata qua e là agli USA, ben venga!
Una cosa, poi, è certa. Nonostante sanzioni di qua e sanzioni di là, i miliardi dei merdosi oligarchi - pro o anti-Putin, non si va per il sottile - sono i benvenuti in tutte le piazze finanziarie (e di riciclaggio) occidentali. Tutto denaro frutto di enormi rapine ultratrentennali di ciò che rimaneva dell'economia sovietica, che ora contribuisce a pompare gli indici di borsa e i bilanci delle private banks di Londra, Parigi, New York, Zurigo, Francoforte...
Putin: negli ultimi anni, molti destri in occidente se lo fanno venire duro al pensiero di questa figura. Decisionista, leaderista, duro, macho. Ovviamente molto diverso rispetto a tutti i pupazzi alquanto ridicoli che girano per i palazzi occidentali. Lui, divertito, ne invita pure qualcuno a Mosca, magari gli scuce un po' di soldi e così "trolla" questo o quel paese. Ma niente di più. Quando piuttosto i Cinesi, gli Indiani e i monarchi del Golfo cominceranno ad aprire veramente i portafogli, allora sì che ne vedremo delle belle!
Per Barbaro D'Urso
La corporation RAND è inaffidabile e serve varie fondazioni, quindi non considerabile per analisi serie. DEFENSE NEWS buon livello invece.
Il miglior modo per comprendere la russia è però frequentare russi e russe e parlarc a fondo; nel 1941 pareva morta e sepolta la religione ortodossa ma se Stalin non avesse l'alleanza totale con Ortodossia Nazionalità, la russia era fottuta. Oggi, visto che parli di armi e esercito come punta di diamante del regime, i soldati non possono partire - secondo la Legge federale - se non c'è la benedizione del pope ortodosso. Tutti sanno in Russia che Putin prende le più importanti decisioni sotto consiglio di due o tre suoi confessori spirituali. Sarà spiritualismo? Ma se è così perchè negarlo?
Barbara fumose son le esternazioni teleguidate dai liberali e dai gay europei di voi occidentali sulla Russia, sacra e religiosa dalla origini della nostra storia. La monarchia sacra, secoli di storia bizantina e russa son la nostra leggenda e tradizione e la Chiesa ortodossa che ha resistito a secoli di attacchi occidentali e di sofferenza sta al suo posto, e se lo merita. Anche il Partito comunista russo attuale è prima ortodosso e cristiano, poi socialista, se non fa così non lo considererebbe nessuno, nemmeno gli atei russi credimi....
Le analisi e gli istituti di ricerca su cui si basa Barbaro per la sua presunta conoscenza della Russia son questi:
https://www.wired.it/attualita/politica/2018/03/02/elezioni-russia-italia-facebook/
Carissimo D'Urso,
premesso che c'è sempre chi è migliore di noi e qualcuno da cui occorre imparare, (Lei stesso per primo le sono grato per l'intervento), Le vorrei però ricordare che - piuttosto che l'equivoco, controverso e assai commerciale Rand, che ai poveri cristi porterà via pure un mucchio di soldi, ma non azzecca una previsione strategica, da 1 anno..., che sia una anche quando ne mette assieme al contempo 5 più 1 ipotesi di strategia(https://www.rand.org/blog/2017/04/five-dead-ends-and-one-risky-opportunity-when-trump.html) - sono usciti tre fondamentali studi nel 2017 sulla Russia (The Future Is History di Masha Gessen, The Long Hangover di Walker, Lost Kingdom di Plokhy), che Lei forse non ha letto, da cui ho tentato di prendere spunto. Per quanto siano fumose le argomentazioni, si notano chiaramente tre concetti fondamentali. Visto che lei è riuscito a superare le prime dieci righe, su quello avrebbe dovuto entrare nel merito ma ahimè...non lo ha fatto. 1) L'Ortodossia fornisce allo stato putinista una sorta di aura di sacralità, che è comunque, ci piaccia o meno, è fondamentale per il consenso del popolo russo (il Patriarcato ha riformulato con la nuova Dottrina sociale il concetto di Popolo russo) verso la Democrazia sovrana del Cremlino. Chi ha il potere politico a Mosca ha anche il potere economico, vero; ma è antitetico questo modello a quanto avviene in Europa o America, dove chi ha il potere finanziario ha quello economico e poi politico. Lo deve riconoscere se obiettivo. 2) Il legame RussoIsraeliano è STRATEGICO, non tattico. 3) Il Nazionalismo "ortodosso" di Putin potrebbe essere aggredito da una nuova Yalta sinoamericana. In particolare da un'alleanza tra fazioni ebraiche liberal euroamericane (nient'affatto filoisraeliane, tutt'altro) e capitalismo cinese.
Questi i punti che avrebbe dovuto saper leggere. Grazie ancora. F.f.
https://it.sputniknews.com/mondo/201803055733359-siria-israele-in-contatto-con-russia-per-ritiro-truppe-sciiter/?utm_source=https://t.co/SbN8vuqLaO&utm_medium=short_url&utm_content=gTxN&utm_campaign=URL_shortening
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