[ 19 marzo 2018 ]
Eugenetica, bioetica, neurobioetica, transumanismo ...
Esiste un disegno di alcune frazioni delle élite di usare l'ingegneria genetica per fabbricare un tipo post-umano? E non è forse vero che certa sinistra spalleggia questa tendenza, con la concezione del cyborg e delle macchine desideranti'
Continuiamo l'indagine pubblicando il dialogo tra Aldo Zanchetta e Giulio Bonali.
Giulio Bonali
caro Aldo siamo fugacemente conosciuti e abbiamo discusso di vari argomenti qualche anno fa nell’Associazione per una Rivoluzione Democratica.
Giorni addietro é stato pubblicato nel sito SOLLEVAZIONE un tuo interessante articolo sulla recente clonazione di due scimmie (Umano, o trans-umano?), che ho letto solo negli ultimi giorni perché precedentemente distratto (lo confesso) dalla campagna elettorale.
Lei afferma che «La clonazione è la tecnica di produzione di copie geneticamente identiche di organismi viventi tramite manipolazione genetica». Cioè, per scendere terra terra, con una operazione di clonazione (non entro qui nelle modalità tecniche del processo), i biologi potrebbero presto essere in grado, prelevando da una mia cellula somatica il suo nucleo e, inserendolo in una cellula uovo umana, di riprodurre un individuo a me identico in tutto e per tutto. Se ancora non lo hanno fatto (o detto) è perché l’opinione pubblica va educata per gradi a essere consenziente con questi balzi in avanti della scienza».
Una premessa. Non sono un biologo ma un semplice ingegnere chimico con interessi in alcuni campi, fra cui quello degli OGM. A un certo punto della mia vita professionale mi sono occupato di ingegneria farmaceutica (impianti per produzione medicinali), in un momento in cui questa industria affrontò il problema della produzione quantitativa di prodotti molto attivi quali antibiotici ed ormoni, pericolosi per gli operatori usando tecnologie inadeguate per questo passaggio di scala e di pericolosità. Ho così conosciuto più da vicino le logiche “umane” che presiedono il mondo degli “scienziati”, sostenendo in solitario una lunga battaglia, che ora sarebbe fuori luogo ricordare, contro l’applicazione delle microonde all’essiccamento di tali prodotti. Le mie ragioni erano tecnologiche (impossibilità di controllare con la precisione richiesta le temperature nel tipo di macchine cui le microonde vennero all’epoca applicate,e quindi la qualità dei prodotti).Quando tali macchine, costose e vendute dalla lobby dei costruttori più noti, fecero fiasco e scomparvero, la rivista principe (International Pharmaceutical Engineering) che le aveva propagandate e sostenute con articoli scientifici non trovò di meglio che scrivere che “l’informazione terroristica di un ingegnere italiano aveva impedito l’affermarsi di una promettente tecnologia! Ero troppo i giovane, ingenuo e squattrinato per intentare causa per diffamazione! Questo però mi liberò dalla sacra riverenza verso gli scienziati, soggetti anche loro a preconcetti ideologici e a interessi molto più “carnali”. Fra l’altro la mia era una opposizione tecnologica che non riguardava le possibili trasformazioni a livello molecolare, anche se non mi capacitavo come mai la legge tedesca proibisse l’uso dei fornetti casalinghi a microonde per scaldare i biberon dei bambini. Recentemente sul web ho trovato elementi che mi permetterebbero, mi pare, di riaprire la polemica a livello dei fornetti casalinghi a microonde e penso che nel prossimo futuro vi dedicherò un po’ di tempo.
Così, leggendo gli interventi sui grandi giornali italiani della “nostra” scienziata Elena Cattaneo, glorificata col senatorato a vita, che sosteneva certe tesi sugli OGM che mi sembravano indifendibili coi suoi argomenti, (ma che i direttori di detti giornali prendevano per oro colato), ho speso un po’ di tempo a combattere i suoi argomenti e a documentarmi in merito. Se ti interesserà ti manderò quanto ho scritto in proposito.
Cercando di tenermi aggiornato sul tema, in particolare grazie all’ottimo sito di ETC, sono venuto a conoscenza della nuova terribile tecnica di clonazione detta del “gene drive”che ancora un anno fa, quando ormai si stava diffondendo, era ignorata da alcuni cattedratici (certo non tutti, non voglio discreditare il settore dove ci sono emeriti personaggi) cui mi ero rivolto per chiarimenti. Ti allego su questo punto un documento di una giovane e meritoria biologa bolognese, Daniela Conti.
Detto questo, il breve testo pubblicato su Sollevazione era volutamente un sasso in piccionaia (in cui precisavo che necessitava di ulteriore riflessione, cioè argomentazione) per suscitareun interesse ad un dibattito che a mio parere non è da semplice salotto ‘a la page’. E vengo alla tua gradita mail, ringraziandoti per l’occasione che mi offri per esplicitare più compiutamente quello che penso sul tema.
Secondo certi biologi (vedi uno dei padri della biogenetica, Watson) le cose dovevano andare così, cioè produrre dei cloni perfettamente identici (dovrei verificare ma in questi giorni sono di corsa e vado all’impronta, fidandomi della ormai vacillante memoria). In realtà è ormai dimostrato, come tu dici più oltre, che l’ambiente, i modi di vita etc hanno una parte importante nella determinazione dell’individuo e la genetica da sola non è così determinante come il beneamato giornale della sinistra nazionale, La Repubblica, diffonde con le sue varie titolazioni a effetto “Scoperto il gene della gelosia” e analoghe sciocchezze che però creano nel pubblico un tipo di credenza miracolosa.
Devo dire che sono d’ accordo in generale con le gravi preoccupazioni da te manifestate circa l’attuale acriticità e totale assenza di limiti della ricerca scientifica (che personalmente imputo non tanto alla scienza stessa quanto ai rapporti di produzione capitalistici dominanti): com’ é lontano il tempo nel quale Albert Sabin rifiutò di brevettare il suo vaccino per la poliomielite perché aveva un’ etica -lui!- che gli impediva di lucrare a costo di infliggere dolore, la malattia, invalidità permanente e in certi casi morte stessa a dei bambini innocenti!); ma che non lo sono non su queste considerazioni qui da me citate.
Infatti secondo me non si possono considerare identici, men che meno “in tutto e per tutto”, degli organismi individuali (in generale; e a maggior ragione in particolare se si tratta di perone umane) per il fatto che abbiano un genoma (approssimativamente) uguale (o anche del tutto uguale in assoluto in origine, allo stadio di uovo fecondato o zigote); é questo, in natura, il caso dei gemelli monoovulari (o monozigoti), i quali non sono di certo “persone fotocopia”, anche se si assomigliano tantissimo in molte loro caratteristiche.
Secondo me questa é una pretesa ideologica falsa, fortemente sostenuta dall’ ideologia dominante spesso detta, a mio avviso impropriamente, del “determinismo genetico”, secondo la quale “il genoma é tutto e l’ambiente e l’esperienza dello sviluppo epigenetico é nulla” nel determinare le caratteristiche degli organismi.
In realtà l’ organismo si sviluppa dall’ interazione fra genoma ed ambiente e quest’ultimo svolge in generale una funzione importante, soprattutto nella comparsa della caratteristiche fisionomiche e comportamentali che diversificano gli individui biologici.
Cioè nella comparsa delle caratteristiche comuni a tutti i membri di una specie (indifferentemente) prevalgono gli effetti attribuibili al genoma, mentre nelle caratteristiche variabili da individuo ad individuo, in ciò che li differenzia, prevalgono nettamente gli effetti ambientali. E questo vale per le caratteristiche fisiche e fisionomiche: salvo casi decisamente patologici, tutti hanno un naso, due occhi, due orecchie, quattro arti, un cuore, due polmoni, ecc., conformemente al “dettato genetico”; ma taluni sono più alti, talaltri più bassi, taluni più grassi, talaltri più magri, taluni più muscolosi, talaltri più gracili, taluni più scuri (abbronzati), talaltri meno a seconda delle diverse situazioni ambientali in cui si sono sviluppati. Ma vale altrettanto e forse anche più per le caratteristiche comportamentali (salvo casi decisamente patologici, tutti deambulano, mangiano, respirano, copulano, dormono, ecc. conformemente al “dettato genetico”; ma taluni cantano bene, talaltri sono stonati, taluni sanno compiere acrobazie o dispongono di meno spettacolari abilità tecniche, talaltri no, taluni hanno sviluppato un talento letterario o artistico, talaltri no, taluni sono “forti in matematica”, talaltri no, a seconda delle diverse situazioni ambientali in cui si sono sviluppati.
E questo vale in generale, più o meno eclatantemente per tutti gli animali e tutte le piante, ma in particolare in misura “spettacolare” per gli uomini, che sono caratterizzati da una variabilità di comportamenti esperienza-ambiente dipendente, per così dire, incomparabilmente maggiore che qualsiasi altra specie vivente.
Giusto l’“approssimativamente” che hai messo perché queste tecniche, non sono (per oggi?) così precise e miracolose come si vuol far credere (se no chi finanzia certe ricerche?). Neppure nel caso del gene drive, spacciato inizialmente per infallibile come posizionamento e effetto, cosa che a distanza di poco tempo non sembra essere. Concordo pienamente, sulla base delle conoscenze che mi sono fatto, con tutto quanto scrivi.
Bisogna fra l’ altro notare che per “ambiente” non si deve intendere soltanto l’ insieme dei territori “macroscopici” abitati e praticati dagli individui post-partum, con i loro tratti naturali e artificiali e in particolare con le loro caratteristiche latamente sociali e segnatamente culturali largamente variabili nel tempo e nello spazio, in qualche misura comuni a gruppi umani e popolazioni più o meno ampie, in qualche altra misura irripetibili per ciascun gruppo sociale e financo per ciascun individuo. Pur essendo tutto ciò di estrema importanza nel determinare gli aspetti variabili, non univocamente standardizzati, più o meno autonomi, imprevedibili, e cioè creativi, quelli più tipici degli individui della nostra specie (che ne fanno -caso unico nel mondo naturale- delle “persone”), grandissimo é pure il ruolo del ”microambiente chimico-fisico” col quale il genoma interagisce: la composizione chimica del nucleo e quella del citoplasma delle cellule (innanzitutto di quello che la cellula uovo offre al gamete) e poi l’ ambiente uterino materno (e dopo ancora, sia pure in minor misura, anche l’ ambiente materiale immediatamente extracorporeo, a cominciare da cibi e bevande: almeno in una qualche misura “l’ uomo é [davvero anche, seppur non solo, N.d.R] ciò che mangia”, per dirlo un po’ grossolanamente con Feuerbach).
In particolare durante lo sviluppo embrionale e poi fetale anche “piccolissime variazioni” nella concentrazione delle varie sostanze chimiche nucleari e citoplasmatiche o anche solo nella mera disposizione spaziale delle singole molecole nelle cellule, e in misura minore ma non trascurabile anche nell’ ambiente uterino e placentare, nonché piccole differenze nei tempi e nei modi (concentrazioni e loro variare) nell’ apporto di numerosissime molecole che giungono dalla madre al sistema nervoso embrionale e poi fetale in via di sviluppo, possono determinare e di fatto determinano effetti anche di inestimabile portata nel differenziare le diverse caratteristiche attitudinali, e caratteriali e le diverse disposizioni comportamenti delle persone umane.
Idem come detto sopra anche se tu lo esprimi evidentemente con maggior conoscenza di causa di quanto io sarei capace di fare, aggiungendo dati importanti alla mia conoscenza “amatoriale”.
Questo perché il “materiale biologico” in generale, e particolarmente quello umano, é estremamente complesso e variabile nella sua composizione e nelle variazioni temporali di questa, di modo che i meccanismi biochimici di trascrizione del DNA e di sintesi delle proteine ed il restante, complicatissimo metabolismo, in larga misura dagli enzimi proteici stessi dipendente, che costituiscono e sviluppano ogni persona umana (almeno per quanto riguarda la sua corporeità; prescindendo dalla non semplice questione dei rapporti fra fisico-cerebrale e mentale) sono sistemi estremamente complessi, “caoticamente deterministici”, in larga misura imprevedibili, inconoscibili se non assai approssimativamente ed a posteriori nel loro divenire e svilupparsi.
Per questi personalmente credo che i terribili pericoli incombenti e le gravi minacce di violazione dei principi etici anche più fondamentali conseguentemente allo sviluppo acritico, sfrenato, illimitato di scienze e tecnologie biologiche non siano da identificare con la possibilità (per me inesistente) di incontrare per strada un altro “sé” e doversi chiedere: “Io sono lui? O è lui che è me?”, o di trovarsi prima o poi a dover affrontare un “se stesso in carne e ossa, o addirittura una serie di se stessi”, e nemmeno quello di poter divenire “immortali” con tutti gli inconvenienti che una simile innaturale condizione certamente comporterebbe (un mio clone sarebbe un’altra persona, per quanto a me simile -ma se del tutto naturalmente avessi un fratello gemello, costui lo sarebbe anche di più! — e non certo un altro me stesso che continuerebbe a vivere dopo la mia morte).
Caro Giulio, “sante” parole! Ma alcune cose che ho accennato per “epater le bourgeois”, come quelle della possibile futura eternità, le puoi trovare affermate o pronosticate da vari autori. La penso, mi pare, come te ma altri sono su diversa lunghezza d’onda. Per questo auspicavo l’apertura di un dibattito che va esteso non solo fra scienziati (dove in parte c’è ma di cui trabocca al pubblico solo la posizione di una parte, quella dei fideisti della “scienza”).
Il pericolo di violazione dei fondamenti più basilari del’ etica secondo me deriva dal fatto in sé di poter far venire all’esistenza uomini (persone) in condizioni innaturali, delle specie di “bestie rare” come si diceva una volta, mentre credo che ogni persona abbia il diritto di venire all’ esistenza nelle condizioni più naturali e comuni a tutti possibili, con due genitori di diverso sesso (lo sostengo ostentatamente e provocatoriamente verso i conformisti politicamente corretti! Ovviamente salvo tragici eventi inevitabili); ché altrimenti si troverebbe fin dall’ inizio della vita in condizioni letteralmente “anomale”, sicura fonte di più o meno grave disadattamento e di più o meno gravi problematiche psichiche.
E queste considerazioni varrebbero a maggior ragione nel caso si giungesse, come da te giustamente, del tutto realisticamente temuto, alla realizzazione di uomini “artificialmente progettati” come dotati di determinate caratteristiche fisiche (secondo me le caratteristiche psichiche decisive di ognuno non possono dipendere dal genoma ma invece dall’ ambiente, salvo casi decisamente patologici), che violerebbe quella naturale imprevedibilità della fisonomia individuale che é a mio parere una conditio sine qua non perché ciascuno possa sentirsi una persona libera e non una sorta di robot eterodiretto (in un certo senso simile anche ad un animale ammaestrato), che sarebbe qualcosa di decisamente aberrante, disumano, mostruoso.
Non credi che se gli uomini “artificialmente progettati”, lo fossero (o meglio, lo sono già?) per finalità di avere migliori combattenti o migliori guardie del corpo, questi potrebbero essere psichicamente condizionati in modo da essere anche più “feroci”? Del resto che il Pentagono (e certo non solo lui) da tempo si interessi a queste tecniche di produrre combattenti più performanti o più controllati psichicamente non è un mistero.
Un’ altra questione é a mio parere posta dalle chimere, organismi con genoma in parte umano in parte “diversamente animale”.
A questo proposito credo che si debba partire dal presupposto che la vita umana non ha limiti o confini ben definiti (quando é che si può considerare umano un embrione o magari una morula? Ed é ancora umano e non invece più simile ad un cadavere o a un organo umano espiantato e tenuto artificialmente in vita in previsione di un trapianto, un individuo in coma irreversibile, col cervello non funzionante o magari addirittura in gran parte inesistente? E quando nell’evoluzione delle varie specie del genero Homo si può ritenere che siano iniziate ad esistere autentiche persone umane, non essendo di certo mai esistito un “autentico Adamo”?).
E questo ci impone di osservare un “principio di prudenza”: essendo certamente preferibile rischiare di comportarci come se fossero persone umane verso individui che umani non fossero piuttosto che di comportarci come se non fossero persone umane verso individui che invece lo fossero, é necessario porre gli arbitrari (oggettivamente incerti) “confini dell’ umanità” sicuramente “assai prima di ogni ragionevole dubbio” in proposito, a costo di includervi anche individui che certamente persone umane non sono.
Tema su cui ti prometto di tornare presto, essendo oberato in questi giorni da impegni di traduzioni o di scrittura di testi per impegni presi con alcune associazioni. E sono temi in cui la riflessione non si fa in “ritagli” di tempo. Il “principio di prudenza” che te citi, ovvero in altre parole il “principio di precauzione”, che sembrava essere una linea guida importante della ricerca scientifica, è sempre più abbandonato. Ad es. la stessa Cattaneo ha scritto di rifiutarlo nel caso degli OGM adducendo il pretesto che lì ormai ci sono certezze che, se lei solo si documentasse adeguatamente, lo sono sempre meno. Io su questo sono probabilmente più rigido di te: non ci sono oggi motivi adeguati a giustificare certe sperimentazioni se non dopo adeguate discussioni non solo fra scienziati e non solo all’interno di una cultura tecnologicamente orientata come la nostra cultura occidentale. I casi complessi e controversi della cosiddetta “scienza postnormale”. Che pensano in proposito buddisti, scintoisti o indù? Non fanno parte essi del consesso umano e prima di avventurarci su percorsi senza ritorno non hanno il diritto di parlare (e noi il dovere di ascoltare)? Riporto un paragrafo finale di un bel testo di Scott Eastham (Visioni del mondo in collisione. La sfida dell’ingegneria genetica):
«Nel caso dell’ingegneria genetica, a questo punto dovrebbe essere chiaro che dove c’è uno scontro di visioni del mondo emerge anche la possibilità di una fecondazione reciproca e persino di una collaborazione. Abbiamo iniziato la nostra analisi con la sfida lanciata dall’ingegneria genetica alle visioni del mondo tradizionali. Ora vediamo che il dialogo fra culture lancerà a sua volta delle sfide alla cultura e alla mentalità che ammette l’ingegneria genetica. Il semplice fatto di interrogarsi su che cosa significa essere umani ci ricorda che nessuna visione del mondo di una singola cultura possiede tutta la risposta. Queste nuove tecniche di manipolazione della vita hanno portato tutti noi sull’orlo di un precipizio: è la fine della Natura? Non siamo in grado di vedere il fondo dell’abisso che si apre davanti a noi. Ma se chiedessimo un piccolo aiuto invece di tuffarci alla cieca, se cominciassimo a guardare e ad ascoltare con attenzione (non solo le ultime ‘scoperte’ e le ultime previsioni della scienza moderna, ma tutte le altre modalità umane di conoscere e di essere, che oggi devono entrare nel dialogo sull’ingegneria genetica), allora potremmo davvero sentire voci provenienti da sponde lontane e riusciremmo a guardare gli uni agli altri come ad esseri umani che costruiscono ciascuno il proprio tipo di ponte per superare l’abisso incommensurabile fra l’oggi e il domani».
E in riferimento a questi problemi come dovrebbe essere considerata una chimera parzialmente umana?
Non sono mentalmente e culturalmente preparato ad accettare questa eventualità, al contrario di un frate camaldolese autore di un libretto che ricercherò nel mare magnum della mia biblioteca e che mi sconcertò. Lo rileggerò e te ne parlerò. E’ un ricordo di anni or sono che devo rinfrescare. Su questo sono vicino a Illich e a Barcellona. Ma parliamone pure...
Eugenetica, bioetica, neurobioetica, transumanismo ...
Esiste un disegno di alcune frazioni delle élite di usare l'ingegneria genetica per fabbricare un tipo post-umano? E non è forse vero che certa sinistra spalleggia questa tendenza, con la concezione del cyborg e delle macchine desideranti'
Continuiamo l'indagine pubblicando il dialogo tra Aldo Zanchetta e Giulio Bonali.
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Giulio Bonali
caro Aldo siamo fugacemente conosciuti e abbiamo discusso di vari argomenti qualche anno fa nell’Associazione per una Rivoluzione Democratica.
Giorni addietro é stato pubblicato nel sito SOLLEVAZIONE un tuo interessante articolo sulla recente clonazione di due scimmie (Umano, o trans-umano?), che ho letto solo negli ultimi giorni perché precedentemente distratto (lo confesso) dalla campagna elettorale.
Lei afferma che «La clonazione è la tecnica di produzione di copie geneticamente identiche di organismi viventi tramite manipolazione genetica». Cioè, per scendere terra terra, con una operazione di clonazione (non entro qui nelle modalità tecniche del processo), i biologi potrebbero presto essere in grado, prelevando da una mia cellula somatica il suo nucleo e, inserendolo in una cellula uovo umana, di riprodurre un individuo a me identico in tutto e per tutto. Se ancora non lo hanno fatto (o detto) è perché l’opinione pubblica va educata per gradi a essere consenziente con questi balzi in avanti della scienza».
Aldo Zanchetta
Così, leggendo gli interventi sui grandi giornali italiani della “nostra” scienziata Elena Cattaneo, glorificata col senatorato a vita, che sosteneva certe tesi sugli OGM che mi sembravano indifendibili coi suoi argomenti, (ma che i direttori di detti giornali prendevano per oro colato), ho speso un po’ di tempo a combattere i suoi argomenti e a documentarmi in merito. Se ti interesserà ti manderò quanto ho scritto in proposito.
Cercando di tenermi aggiornato sul tema, in particolare grazie all’ottimo sito di ETC, sono venuto a conoscenza della nuova terribile tecnica di clonazione detta del “gene drive”che ancora un anno fa, quando ormai si stava diffondendo, era ignorata da alcuni cattedratici (certo non tutti, non voglio discreditare il settore dove ci sono emeriti personaggi) cui mi ero rivolto per chiarimenti. Ti allego su questo punto un documento di una giovane e meritoria biologa bolognese, Daniela Conti.
Detto questo, il breve testo pubblicato su Sollevazione era volutamente un sasso in piccionaia (in cui precisavo che necessitava di ulteriore riflessione, cioè argomentazione) per suscitareun interesse ad un dibattito che a mio parere non è da semplice salotto ‘a la page’. E vengo alla tua gradita mail, ringraziandoti per l’occasione che mi offri per esplicitare più compiutamente quello che penso sul tema.
Secondo certi biologi (vedi uno dei padri della biogenetica, Watson) le cose dovevano andare così, cioè produrre dei cloni perfettamente identici (dovrei verificare ma in questi giorni sono di corsa e vado all’impronta, fidandomi della ormai vacillante memoria). In realtà è ormai dimostrato, come tu dici più oltre, che l’ambiente, i modi di vita etc hanno una parte importante nella determinazione dell’individuo e la genetica da sola non è così determinante come il beneamato giornale della sinistra nazionale, La Repubblica, diffonde con le sue varie titolazioni a effetto “Scoperto il gene della gelosia” e analoghe sciocchezze che però creano nel pubblico un tipo di credenza miracolosa.
Giulio Bonali
Devo dire che sono d’ accordo in generale con le gravi preoccupazioni da te manifestate circa l’attuale acriticità e totale assenza di limiti della ricerca scientifica (che personalmente imputo non tanto alla scienza stessa quanto ai rapporti di produzione capitalistici dominanti): com’ é lontano il tempo nel quale Albert Sabin rifiutò di brevettare il suo vaccino per la poliomielite perché aveva un’ etica -lui!- che gli impediva di lucrare a costo di infliggere dolore, la malattia, invalidità permanente e in certi casi morte stessa a dei bambini innocenti!); ma che non lo sono non su queste considerazioni qui da me citate.
Infatti secondo me non si possono considerare identici, men che meno “in tutto e per tutto”, degli organismi individuali (in generale; e a maggior ragione in particolare se si tratta di perone umane) per il fatto che abbiano un genoma (approssimativamente) uguale (o anche del tutto uguale in assoluto in origine, allo stadio di uovo fecondato o zigote); é questo, in natura, il caso dei gemelli monoovulari (o monozigoti), i quali non sono di certo “persone fotocopia”, anche se si assomigliano tantissimo in molte loro caratteristiche.
Secondo me questa é una pretesa ideologica falsa, fortemente sostenuta dall’ ideologia dominante spesso detta, a mio avviso impropriamente, del “determinismo genetico”, secondo la quale “il genoma é tutto e l’ambiente e l’esperienza dello sviluppo epigenetico é nulla” nel determinare le caratteristiche degli organismi.
In realtà l’ organismo si sviluppa dall’ interazione fra genoma ed ambiente e quest’ultimo svolge in generale una funzione importante, soprattutto nella comparsa della caratteristiche fisionomiche e comportamentali che diversificano gli individui biologici.
Cioè nella comparsa delle caratteristiche comuni a tutti i membri di una specie (indifferentemente) prevalgono gli effetti attribuibili al genoma, mentre nelle caratteristiche variabili da individuo ad individuo, in ciò che li differenzia, prevalgono nettamente gli effetti ambientali. E questo vale per le caratteristiche fisiche e fisionomiche: salvo casi decisamente patologici, tutti hanno un naso, due occhi, due orecchie, quattro arti, un cuore, due polmoni, ecc., conformemente al “dettato genetico”; ma taluni sono più alti, talaltri più bassi, taluni più grassi, talaltri più magri, taluni più muscolosi, talaltri più gracili, taluni più scuri (abbronzati), talaltri meno a seconda delle diverse situazioni ambientali in cui si sono sviluppati. Ma vale altrettanto e forse anche più per le caratteristiche comportamentali (salvo casi decisamente patologici, tutti deambulano, mangiano, respirano, copulano, dormono, ecc. conformemente al “dettato genetico”; ma taluni cantano bene, talaltri sono stonati, taluni sanno compiere acrobazie o dispongono di meno spettacolari abilità tecniche, talaltri no, taluni hanno sviluppato un talento letterario o artistico, talaltri no, taluni sono “forti in matematica”, talaltri no, a seconda delle diverse situazioni ambientali in cui si sono sviluppati.
E questo vale in generale, più o meno eclatantemente per tutti gli animali e tutte le piante, ma in particolare in misura “spettacolare” per gli uomini, che sono caratterizzati da una variabilità di comportamenti esperienza-ambiente dipendente, per così dire, incomparabilmente maggiore che qualsiasi altra specie vivente.
Aldo Zanchetta
Giusto l’“approssimativamente” che hai messo perché queste tecniche, non sono (per oggi?) così precise e miracolose come si vuol far credere (se no chi finanzia certe ricerche?). Neppure nel caso del gene drive, spacciato inizialmente per infallibile come posizionamento e effetto, cosa che a distanza di poco tempo non sembra essere. Concordo pienamente, sulla base delle conoscenze che mi sono fatto, con tutto quanto scrivi.
Giulio Bonali
Bisogna fra l’ altro notare che per “ambiente” non si deve intendere soltanto l’ insieme dei territori “macroscopici” abitati e praticati dagli individui post-partum, con i loro tratti naturali e artificiali e in particolare con le loro caratteristiche latamente sociali e segnatamente culturali largamente variabili nel tempo e nello spazio, in qualche misura comuni a gruppi umani e popolazioni più o meno ampie, in qualche altra misura irripetibili per ciascun gruppo sociale e financo per ciascun individuo. Pur essendo tutto ciò di estrema importanza nel determinare gli aspetti variabili, non univocamente standardizzati, più o meno autonomi, imprevedibili, e cioè creativi, quelli più tipici degli individui della nostra specie (che ne fanno -caso unico nel mondo naturale- delle “persone”), grandissimo é pure il ruolo del ”microambiente chimico-fisico” col quale il genoma interagisce: la composizione chimica del nucleo e quella del citoplasma delle cellule (innanzitutto di quello che la cellula uovo offre al gamete) e poi l’ ambiente uterino materno (e dopo ancora, sia pure in minor misura, anche l’ ambiente materiale immediatamente extracorporeo, a cominciare da cibi e bevande: almeno in una qualche misura “l’ uomo é [davvero anche, seppur non solo, N.d.R] ciò che mangia”, per dirlo un po’ grossolanamente con Feuerbach).
In particolare durante lo sviluppo embrionale e poi fetale anche “piccolissime variazioni” nella concentrazione delle varie sostanze chimiche nucleari e citoplasmatiche o anche solo nella mera disposizione spaziale delle singole molecole nelle cellule, e in misura minore ma non trascurabile anche nell’ ambiente uterino e placentare, nonché piccole differenze nei tempi e nei modi (concentrazioni e loro variare) nell’ apporto di numerosissime molecole che giungono dalla madre al sistema nervoso embrionale e poi fetale in via di sviluppo, possono determinare e di fatto determinano effetti anche di inestimabile portata nel differenziare le diverse caratteristiche attitudinali, e caratteriali e le diverse disposizioni comportamenti delle persone umane.
Aldo Zanchetta
Giulio Bonali
Questo perché il “materiale biologico” in generale, e particolarmente quello umano, é estremamente complesso e variabile nella sua composizione e nelle variazioni temporali di questa, di modo che i meccanismi biochimici di trascrizione del DNA e di sintesi delle proteine ed il restante, complicatissimo metabolismo, in larga misura dagli enzimi proteici stessi dipendente, che costituiscono e sviluppano ogni persona umana (almeno per quanto riguarda la sua corporeità; prescindendo dalla non semplice questione dei rapporti fra fisico-cerebrale e mentale) sono sistemi estremamente complessi, “caoticamente deterministici”, in larga misura imprevedibili, inconoscibili se non assai approssimativamente ed a posteriori nel loro divenire e svilupparsi.
Per questi personalmente credo che i terribili pericoli incombenti e le gravi minacce di violazione dei principi etici anche più fondamentali conseguentemente allo sviluppo acritico, sfrenato, illimitato di scienze e tecnologie biologiche non siano da identificare con la possibilità (per me inesistente) di incontrare per strada un altro “sé” e doversi chiedere: “Io sono lui? O è lui che è me?”, o di trovarsi prima o poi a dover affrontare un “se stesso in carne e ossa, o addirittura una serie di se stessi”, e nemmeno quello di poter divenire “immortali” con tutti gli inconvenienti che una simile innaturale condizione certamente comporterebbe (un mio clone sarebbe un’altra persona, per quanto a me simile -ma se del tutto naturalmente avessi un fratello gemello, costui lo sarebbe anche di più! — e non certo un altro me stesso che continuerebbe a vivere dopo la mia morte).
Aldo Zanchetta
Giulio Bonali
Il pericolo di violazione dei fondamenti più basilari del’ etica secondo me deriva dal fatto in sé di poter far venire all’esistenza uomini (persone) in condizioni innaturali, delle specie di “bestie rare” come si diceva una volta, mentre credo che ogni persona abbia il diritto di venire all’ esistenza nelle condizioni più naturali e comuni a tutti possibili, con due genitori di diverso sesso (lo sostengo ostentatamente e provocatoriamente verso i conformisti politicamente corretti! Ovviamente salvo tragici eventi inevitabili); ché altrimenti si troverebbe fin dall’ inizio della vita in condizioni letteralmente “anomale”, sicura fonte di più o meno grave disadattamento e di più o meno gravi problematiche psichiche.
Aldo Zanchetta
Questa a me pare un’affermazione importante in un momento ad es. in cui l’utero in affitto gode di buona stampa. E anzi ho letto che in alcuni istituti di ricerca si sta progredendo nella sperimentazione di uteri interamente artificiali. Limitandosi alle interazioni fisiche e affettive fra madre e bambino, la cosa è del tutto innaturale e credo portatrice di gravi conseguenze. Per non parlare poi che certi percorsi sono discriminatori socialmente perché, come risulta per molte biotecnologie, essi sono possibili solo ai ricchi. Tema su cui tornerò volentieri a discutere.
Giulio Bonali
Aldo Zanchetta
Non credi che se gli uomini “artificialmente progettati”, lo fossero (o meglio, lo sono già?) per finalità di avere migliori combattenti o migliori guardie del corpo, questi potrebbero essere psichicamente condizionati in modo da essere anche più “feroci”? Del resto che il Pentagono (e certo non solo lui) da tempo si interessi a queste tecniche di produrre combattenti più performanti o più controllati psichicamente non è un mistero.
Giulio Bonali
Un’ altra questione é a mio parere posta dalle chimere, organismi con genoma in parte umano in parte “diversamente animale”.
A questo proposito credo che si debba partire dal presupposto che la vita umana non ha limiti o confini ben definiti (quando é che si può considerare umano un embrione o magari una morula? Ed é ancora umano e non invece più simile ad un cadavere o a un organo umano espiantato e tenuto artificialmente in vita in previsione di un trapianto, un individuo in coma irreversibile, col cervello non funzionante o magari addirittura in gran parte inesistente? E quando nell’evoluzione delle varie specie del genero Homo si può ritenere che siano iniziate ad esistere autentiche persone umane, non essendo di certo mai esistito un “autentico Adamo”?).
Aldo Zanchetta
Qui apri un settore su cui la mia riflessione è ancora grezza e accetto il tuo stimolo su un tema di enorme portata. Grazie di sollecitarmi. Sulla produzione e riproduzione di “chimere”, cioè parte uomini, parte altri esseri viventi, mi pare siamo avanti, e questo da tempo è auspicato da alcuni. Ti cercherò alcune citazioni. Conosci le riflessioni etiche in proposito di Pietro Barcellona? Lo ascoltai anni fa ad un seminario sull’isola del Trasimeno e fu uno dei primi stimoli a interessarmi dell’argomento.
Qui apri un settore su cui la mia riflessione è ancora grezza e accetto il tuo stimolo su un tema di enorme portata. Grazie di sollecitarmi. Sulla produzione e riproduzione di “chimere”, cioè parte uomini, parte altri esseri viventi, mi pare siamo avanti, e questo da tempo è auspicato da alcuni. Ti cercherò alcune citazioni. Conosci le riflessioni etiche in proposito di Pietro Barcellona? Lo ascoltai anni fa ad un seminario sull’isola del Trasimeno e fu uno dei primi stimoli a interessarmi dell’argomento.
Giulio Bonali
Aldo Zanchetta
«Nel caso dell’ingegneria genetica, a questo punto dovrebbe essere chiaro che dove c’è uno scontro di visioni del mondo emerge anche la possibilità di una fecondazione reciproca e persino di una collaborazione. Abbiamo iniziato la nostra analisi con la sfida lanciata dall’ingegneria genetica alle visioni del mondo tradizionali. Ora vediamo che il dialogo fra culture lancerà a sua volta delle sfide alla cultura e alla mentalità che ammette l’ingegneria genetica. Il semplice fatto di interrogarsi su che cosa significa essere umani ci ricorda che nessuna visione del mondo di una singola cultura possiede tutta la risposta. Queste nuove tecniche di manipolazione della vita hanno portato tutti noi sull’orlo di un precipizio: è la fine della Natura? Non siamo in grado di vedere il fondo dell’abisso che si apre davanti a noi. Ma se chiedessimo un piccolo aiuto invece di tuffarci alla cieca, se cominciassimo a guardare e ad ascoltare con attenzione (non solo le ultime ‘scoperte’ e le ultime previsioni della scienza moderna, ma tutte le altre modalità umane di conoscere e di essere, che oggi devono entrare nel dialogo sull’ingegneria genetica), allora potremmo davvero sentire voci provenienti da sponde lontane e riusciremmo a guardare gli uni agli altri come ad esseri umani che costruiscono ciascuno il proprio tipo di ponte per superare l’abisso incommensurabile fra l’oggi e il domani».
Giulio Bonali
Aldo Zanchetta
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