[ 31 dicembre ]
"La progressione del voto per il Fronte Nazionale tra le classi popolari si spiega innanzitutto con l'incapacità della sinistra di parlare a quella parte della popolazione ". Per Jean-Claude Michéa, infatti, la sinistra contemporanea non ha più nulla a che vedere con la nobile tradizione socialista. Incapace di proporre un'alternativa economica al capitalismo trionfante, ha ripiegato sulle battaglie civili care all'intellighenzia progressista e in sintonia con l'individualismo dominante. Il filosofo francese lo spiega in un breve e interessantissimo saggio intitolato I misteri della sinistra (Neri Pozza, traduzione di Roberto Boi), il cui analizza la deriva progressista dall'ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto. "La sinistra non solo difende ardentemente l'economia di mercato, ma, come già sottolineava Pasolini, non smette di celebrarne tutte le implicazioni morali e culturali. Per la più grande gioia di Marine Le Pen, la quale, dopo aver ricusato il reaganismo del padre, cita ormai senza scrupoli Marx, Jaures o Gramsci! Ben inteso, una critica semplicemente nazionalistica dal capitalismo globale è necessariamente incoerente. Ma purtroppo oggi è la sola - nel deserto intellettuale francese - che sia in sintonia con quello che vivono le classi popolari".
Come spiega questa evoluzione della sinistra?
"Quella che ancora oggi chiamiamo "sinistra" è nata da un patto difensivo contro la destra nazionalista, clericale e reazionaria, siglato all'alba del XX secolo tra le correnti maggioritarie del movimento socialista e le forze liberali e repubblicane che si rifacevano ai principi del 1789 e all'eredità dell'illuminismo, la quale include anche Adam Smith. Come notò subito Rosa Luxemburg, era un'alleanza ambigua, che certo fino agli anni Sessanta ha reso possibili molte lotte emancipatrici, ma che, una volta eliminate le ultime vestigia dell'Ancien régime, non poteva che sfociare nella sconfitta di uno dei due alleati. È quello che è successo alla fine degli anni Settanta, quando l'intellighenzia di sinistra si è convinta che il progetto socialista fosse essenzialmente "totalitario". Da qui il ripiegamento della sinistra europea sul liberalismo di Adam Smith e l'abbandono di ogni idea d'emancipazione dei lavoratori".
Perché quella che lei chiama la "metafisica del progresso" ha spinto la sinistra ad accettare il capitalismo?
"L'ideologia progressista è fondata sulla credenza che esista un "senso della storia" e che ogni passo avanti costituisca un passo nella giusta direzione. Tale idea si è dimostrata globalmente efficace fintanto che si è trattato di combattere l'Ancien régime. Ma il capitalismo - basato su un'accumulazione del capitale che, come ha detto Marx, non conosce "alcun limite naturale né morale" - è un sistema dinamico che tende a colonizzare tutte le regioni del globo e tutte le sfere della vita umana. Focalizzandosi sulla lotta contro il "vecchio mondo" e le "forze del passato", per il "progressismo" di sinistra è diventato sempre più difficile qualsiasi approccio critico della modernità liberale. Fino al punto di confondere l'idea che "non si può fermare il progresso" con l'idea che non si può fermare il capitalismo".
In questo contesto, in che modo la sinistra cerca di differenziarsi dalla destra?
"Da quando la sinistra è convinta che l'unico orizzonte del nostro tempo sia il capitalismo, la sua politica economica è diventata indistinguibile da quella della destra liberale. Da qui, negli ultimi trent'anni, il tentativo di cercare il principio ultimo della sua differenza nel liberalismo culturale delle nuove classi medie. Vale a dire nella battaglia permanente combattuta dagli "agenti dominati della dominazione", secondo la formula di André Gorz, contro tutti i "tabù" del passato. La sinistra dimentica però che il capitalismo è "un fatto sociale" totale. E se la chiave del liberalismo economico, secondo Hayek, è il diritto di ciascuno di "produrre, vendere e comprare tutto ciò che può essere prodotto o venduto" (che si tratti di droghe, armi chimiche, servizi sessuali o "madri in affitto"), è chiaro che il capitalismo non accetterà alcun limite né tabù. Al contrario, tenderà, come dice Marx, a affondare tutti i valori umani "nelle acque ghiacciate del calcolo egoista"".
Perché considera un errore da parte della sinistra aver accettato il capitalismo? C'è chi sostiene che sia una prova di realismo...
"Come scriveva Rosa Luxemburg nel 1913, la fase finale del capitalismo darà luogo a "un periodo di catastrofi". Una definizione che si adatta perfettamente all'epoca nella quale stiamo entrando. Innanzitutto catastrofe morale e culturale, dato che nessuna comunità può sopravvivere solo sulla base del ciascuno per sé e dell'interesse personale. Quindi, catastrofe ecologica, perché l'idea di una crescita materiale infinita in un mondo finito è la più folle utopia che l'uomo abbia mai concepito. E infine catastrofe economica e finanziaria, perché l'accumulo mondializzato del capitale - la "crescita" - sta per scontrarsi con quello che Marx chiamava il "limite interno". Vale a dire la contraddizione tra il fatto che la fonte di ogni valore aggiunto - e dunque di ogni profitto - è sempre il lavoro vivo, e la tendenza del capitale ad accrescere la produttività sostituendo al lavoro vivo le macchine, i programmi e i robot. Il fatto che le "industrie del futuro" creino pochi posti di lavoro conferma la tesi di Marx".
Perché, in questo contesto, ritiene necessario pensare "la sinistra contro la sinistra"?
"La forza della critica socialista nasce proprio dall'aver compreso fin dal XIX secolo che un sistema sociale basato esclusivamente sulla ricerca del profitto privato conduce l'umanità in un vicolo cieco. Paradossalmente, la sinistra europea ha scelto di riconciliarsi con questo sistema sociale, considerando "arcaica"
ogni critica radicale nei suoi confronti, proprio nel momento in cui questo comincia a incrinarsi da tutte le parti sotto il peso delle contraddizioni interne. Insomma, non poteva scommettere su un cavallo peggiore! Per questo oggi è urgente pensare la sinistra contro la sinistra".
* Fonte: Repubblica cultura
Parla il filosofo: "Il modello va ripensato. Per il progressismo è diventata difficile qualsiasi critica della modernità liberale. È troppo lontana dalle classi popolari. Ormai a citare Marx e Gramsci c'è la Le Pen"
"La progressione del voto per il Fronte Nazionale tra le classi popolari si spiega innanzitutto con l'incapacità della sinistra di parlare a quella parte della popolazione ". Per Jean-Claude Michéa, infatti, la sinistra contemporanea non ha più nulla a che vedere con la nobile tradizione socialista. Incapace di proporre un'alternativa economica al capitalismo trionfante, ha ripiegato sulle battaglie civili care all'intellighenzia progressista e in sintonia con l'individualismo dominante. Il filosofo francese lo spiega in un breve e interessantissimo saggio intitolato I misteri della sinistra (Neri Pozza, traduzione di Roberto Boi), il cui analizza la deriva progressista dall'ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto. "La sinistra non solo difende ardentemente l'economia di mercato, ma, come già sottolineava Pasolini, non smette di celebrarne tutte le implicazioni morali e culturali. Per la più grande gioia di Marine Le Pen, la quale, dopo aver ricusato il reaganismo del padre, cita ormai senza scrupoli Marx, Jaures o Gramsci! Ben inteso, una critica semplicemente nazionalistica dal capitalismo globale è necessariamente incoerente. Ma purtroppo oggi è la sola - nel deserto intellettuale francese - che sia in sintonia con quello che vivono le classi popolari".
Come spiega questa evoluzione della sinistra?
"Quella che ancora oggi chiamiamo "sinistra" è nata da un patto difensivo contro la destra nazionalista, clericale e reazionaria, siglato all'alba del XX secolo tra le correnti maggioritarie del movimento socialista e le forze liberali e repubblicane che si rifacevano ai principi del 1789 e all'eredità dell'illuminismo, la quale include anche Adam Smith. Come notò subito Rosa Luxemburg, era un'alleanza ambigua, che certo fino agli anni Sessanta ha reso possibili molte lotte emancipatrici, ma che, una volta eliminate le ultime vestigia dell'Ancien régime, non poteva che sfociare nella sconfitta di uno dei due alleati. È quello che è successo alla fine degli anni Settanta, quando l'intellighenzia di sinistra si è convinta che il progetto socialista fosse essenzialmente "totalitario". Da qui il ripiegamento della sinistra europea sul liberalismo di Adam Smith e l'abbandono di ogni idea d'emancipazione dei lavoratori".
Perché quella che lei chiama la "metafisica del progresso" ha spinto la sinistra ad accettare il capitalismo?
"L'ideologia progressista è fondata sulla credenza che esista un "senso della storia" e che ogni passo avanti costituisca un passo nella giusta direzione. Tale idea si è dimostrata globalmente efficace fintanto che si è trattato di combattere l'Ancien régime. Ma il capitalismo - basato su un'accumulazione del capitale che, come ha detto Marx, non conosce "alcun limite naturale né morale" - è un sistema dinamico che tende a colonizzare tutte le regioni del globo e tutte le sfere della vita umana. Focalizzandosi sulla lotta contro il "vecchio mondo" e le "forze del passato", per il "progressismo" di sinistra è diventato sempre più difficile qualsiasi approccio critico della modernità liberale. Fino al punto di confondere l'idea che "non si può fermare il progresso" con l'idea che non si può fermare il capitalismo".
In questo contesto, in che modo la sinistra cerca di differenziarsi dalla destra?
"Da quando la sinistra è convinta che l'unico orizzonte del nostro tempo sia il capitalismo, la sua politica economica è diventata indistinguibile da quella della destra liberale. Da qui, negli ultimi trent'anni, il tentativo di cercare il principio ultimo della sua differenza nel liberalismo culturale delle nuove classi medie. Vale a dire nella battaglia permanente combattuta dagli "agenti dominati della dominazione", secondo la formula di André Gorz, contro tutti i "tabù" del passato. La sinistra dimentica però che il capitalismo è "un fatto sociale" totale. E se la chiave del liberalismo economico, secondo Hayek, è il diritto di ciascuno di "produrre, vendere e comprare tutto ciò che può essere prodotto o venduto" (che si tratti di droghe, armi chimiche, servizi sessuali o "madri in affitto"), è chiaro che il capitalismo non accetterà alcun limite né tabù. Al contrario, tenderà, come dice Marx, a affondare tutti i valori umani "nelle acque ghiacciate del calcolo egoista"".
Perché considera un errore da parte della sinistra aver accettato il capitalismo? C'è chi sostiene che sia una prova di realismo...
"Come scriveva Rosa Luxemburg nel 1913, la fase finale del capitalismo darà luogo a "un periodo di catastrofi". Una definizione che si adatta perfettamente all'epoca nella quale stiamo entrando. Innanzitutto catastrofe morale e culturale, dato che nessuna comunità può sopravvivere solo sulla base del ciascuno per sé e dell'interesse personale. Quindi, catastrofe ecologica, perché l'idea di una crescita materiale infinita in un mondo finito è la più folle utopia che l'uomo abbia mai concepito. E infine catastrofe economica e finanziaria, perché l'accumulo mondializzato del capitale - la "crescita" - sta per scontrarsi con quello che Marx chiamava il "limite interno". Vale a dire la contraddizione tra il fatto che la fonte di ogni valore aggiunto - e dunque di ogni profitto - è sempre il lavoro vivo, e la tendenza del capitale ad accrescere la produttività sostituendo al lavoro vivo le macchine, i programmi e i robot. Il fatto che le "industrie del futuro" creino pochi posti di lavoro conferma la tesi di Marx".
Perché, in questo contesto, ritiene necessario pensare "la sinistra contro la sinistra"?
"La forza della critica socialista nasce proprio dall'aver compreso fin dal XIX secolo che un sistema sociale basato esclusivamente sulla ricerca del profitto privato conduce l'umanità in un vicolo cieco. Paradossalmente, la sinistra europea ha scelto di riconciliarsi con questo sistema sociale, considerando "arcaica"
* Fonte: Repubblica cultura
4 commenti:
L'idea di "progresso", che ha sostituito il concetto di "circolarità" dominante nell'antichità, è intimamente legata anche al concetto di "freccia del tempo", sviluppato nel XIX secolo (l'entropia) ma già messo in discussione dalla scienza del XX (i sistemi non lineari aperti). In realtà la rottura originaria con l'idea di circolarità è dovuta all'irrompere del cristianesimo, alla quale la scienza del XIX secolo ha fornito una conferma "materialistica".
L'idea di una storia che fluisce verso un fine ultimo, sia esso l'avvento del Giudizio, l'entropia massima o il Comunismo, per cui tutto ciò che è "passato" è, in qualche modo, sbagliato perché definitivamente superato, a mio parere è sbagliata e deve essere corretta. Questa visione trascura, infatti, un dettaglio fondamentale: il "flusso della storia" non è, necessariamente, laminare, ma turbolento. I flussi turbolenti hanno la caratteristica di avere sì una freccia risultante, ma questa non è determinabile a priori a partire dall'osservazione degli stati precedenti. Sono possibili, anzi sono la norma, riflussi, anche imponenti, che possono rimettere ogni cosa in discussione.
La Redazione condivide il commento di Fraioli.
Il punto interessante dell'articolo è che alla fine l'elemento decisivo non sono i concetti veicolati ma chi, con che linguaggio, in nome di quali valori e quale storia li veicola.
La Le Pen può parlare di marxismo e mantiene o incrementa il consenso, un marxista autentico non può perché se lo fa viene tacciato di stalinismo o di passatismo.
Il paradosso quindi è che di marxismo ne può parlare solo una signora che in sostanza si rifà a certi aspetti di quell' ancien régime che fa parte del'anima profonda della Francia e evidentemente di tutti i popoli europei.
La sinistra più avanzata, che comprende di dovresi adeguare ai tempi non fosse altro che in funzione strategica, cerca di intercettare questa "anima profond" resuscitando il nazionalismo.
Non basta, non è solo quello l'ideale archetipico degli europei.
Biosgna saper reinterpretare un senso comunitario localistico, che non è la stessa cosa di nazionalismo, di ordine della società anche gerarchico non "chiuso" o di casta come nel vero ancien régime ma aperto ossia come elemento fondante di una società fluida dove il destino degli individui non è determinato dalla nascita in una famiglia di un certo livello alto o basso.
Occorre recuoerare e rinnovare i vecchi valori positivi proprio dell'ancien règime, quelli di cui parlava anche Tocqueville (non solo De Maistre) e solo allora si riuscirà a risvegliare la coscienza e la voglia di partecipare del popolo.
La sinistra deve saper cambiare linguaggio e imparare a parlare non di filosofia ma, in prima istanza, di ideali e soprattutto di sentimenti.
La Le Pen lo fa e sta vincendo. Cerchiamo di farlo anche noi perché sennò lasciamo il campo libero ai Salvini.
Mi permetto di far notare che la Le Pen ha successo non tanto perchè cita Marx o Gramsci, ma perchè da risposte concrete ai problemi delle classi meno abbienti, dice quello che la gente vuol sentirsi dire, questo generalmente viene definito populismo parola che gli intellettuali raffinati radical chic della sinistra tanto schifano,eppure la storia ci insegna (ma molti non L'hanno ancora imparato) che ai popoli con la pancia vuota delle discussioni filosofiche sui massimi sistemi non gliene può fregare di meno, al popolo interessa riempirsi la pancia ed il primo capo popolo che passa e gli promette di riempirgliela il popolo lo segue ed ecco spuntare il Berlusconi od il Salvini di Turno.Se la sinistra non si libera della spocchia intellettuale e non inizia a cercare di essere anche populista lascerà l'Europa in mano alle false sinistre, od in caso di eventuali rovesciamenti la consegnerà in mano alle destre.Vorrei inoltre far notare che la visione cristiana del mondo è vero si che indica il senso della storia come una freccia verso un fine ultimo e quindi ha si interrotto la circolarità della storia,ma non afferma che il vecchio che viene superato dal nuovo è sbagliato per cui il nuovo è sempre progresso positivo, in realtà afferma esattamente il contrario afferma cioè che il mondo andrà verso un progressivo ed inesorabile degrado, basta leggere Luca 18,8 «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» dove per fede si intende l'aderenza degli uomini ai comandamenti sull'amore reciproco, ma in modo molto più esplicito lo si può leggere in S. Paolo seconda lettera Timoteo 3: 1-5 "Negli ultimi giorni verranno tempi difficili, perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza", cioè porteranno il nome di cristiani senza esserlo.Sembra una fotografia dell'attuale fase di decadimento a cui le elitè economiche capitalistiche stanno trascinando il pianeta,interessante poi l'ultima frase che sembra l'esatta fotografia delle attuali gerarchie vaticane cardinal Bertone in testa.
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