[ 22 dicembre ]
Finisce al tappeto anche in appello il teorema Caselli che aveva addebitato a 4 militanti NoTav di aver agito con finalità di terrorismo nell’azione contro il cantiere di Chiomonte la notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013. La corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza che in primo grado aveva assolto gli imputati dall’accusa più grave, condannandoli per i reati fine, tra cui il lancio di molotov contro mezzi militari, a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
Già la Cassazione in due occasioni aveva escluso la finalità di terrorismo, adesso è arrivato pure il verdetto d’appello. Il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena stamattina aveva replicato alle arringhe dei difensori sollecitando i giudici a condannare gli imputati a 9 anni e mezzo. “Spetta a voi l’ultimo giudizio di merito” erano le parole del pg alle quali rispondeva l’avvocato Giuseppe Pelazza: “E’ come se avesse detto dopo di voi il diluvio, ma non c’è il diluvio, c’è il sole”.
Maddalena sempre al fine di convincere la corte d’assise d’appello, soprattutto i giudici popolari, citava la storia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, morto dilaniato da un ordigno che stava collocnado su un traliccio di Segrate il 15 marzo del 1972. “Il Pg sembra avere un legame quasi coatto con gli anni ’70″ controreplicava sul punto Pelazza.
Insomma l’accusa non è riuscita a sfondare dopo aver giocato tutte le carte possibili e immaginabili. Ha ottenuto, va ricordato, che la finalità di terrorismo è servita a far trascorrere a questi e altri imputati più di un anno di detenzione in regime di alta sorveglianza, una sorta di 41bis di fatto, l’articolo del regolamento carcerario erede dell’articolo 90 dei cosiddetti “anni di piombo”.
La posta in gioco andava al di là del singolo processo. Caselli, ex pg dopo essere stato già una volta a capo della procura con scambio di ruoli con Maddalena in una sorta di facciamo quello che ci pare senza che il Csm dicesse nulla, intendeva bollare come “terrorismo” qualsiasi azione di resistenza non passiva. Anche a costo di trattare il danneggiamento di un compressore bruciacchiato come il rapimento Moro. Caselli, ora in pensiome, non c e l’ha fatta, nonostante l’aiuto del pg tra pochi giorni pure lui in quiescenza arrivato personalmente in aula a perorare la causa dell’emergenza infinita diventata prassi normale di governo.
Insieme a Maddalena escono sonoramente sconfitti i Caselli boys, i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, coordinatori dell’inchiesta e rappresentanti dell’accusa in corte d’assise. Il primo, destrorso vicino ai Fratelli d’Italia, il secondo ex militante della federazione giovanile comunista, insieme appassionatamente in una sorta di arco costituzionale della repressione.
Sicuramente l’accusa ricorrerà ancora in Cassazione. Lor signori non demordono. E invece tanto furore investigativo potrebbero dedicarlo agli appalti dell’alta velocità che sembrano gli unici onesti e trasparenti in un’Italia ad alto tasso di corruzione. Purtroppo il Tav, come del resto Expo, fa parte del “sistema paese”. E allora non si indaga, con calorosi saluti all’obbligatorietà dell’azione penale e all’indipendenza della magistratura, principi da strombazzare nei convegni e nei comunicati stampa. Insomma, il vero terribile problema era il compressore.
* Fonte: Giustiziami
Finisce al tappeto anche in appello il teorema Caselli che aveva addebitato a 4 militanti NoTav di aver agito con finalità di terrorismo nell’azione contro il cantiere di Chiomonte la notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013. La corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza che in primo grado aveva assolto gli imputati dall’accusa più grave, condannandoli per i reati fine, tra cui il lancio di molotov contro mezzi militari, a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
Già la Cassazione in due occasioni aveva escluso la finalità di terrorismo, adesso è arrivato pure il verdetto d’appello. Il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena stamattina aveva replicato alle arringhe dei difensori sollecitando i giudici a condannare gli imputati a 9 anni e mezzo. “Spetta a voi l’ultimo giudizio di merito” erano le parole del pg alle quali rispondeva l’avvocato Giuseppe Pelazza: “E’ come se avesse detto dopo di voi il diluvio, ma non c’è il diluvio, c’è il sole”.
Maddalena sempre al fine di convincere la corte d’assise d’appello, soprattutto i giudici popolari, citava la storia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, morto dilaniato da un ordigno che stava collocnado su un traliccio di Segrate il 15 marzo del 1972. “Il Pg sembra avere un legame quasi coatto con gli anni ’70″ controreplicava sul punto Pelazza.
Insomma l’accusa non è riuscita a sfondare dopo aver giocato tutte le carte possibili e immaginabili. Ha ottenuto, va ricordato, che la finalità di terrorismo è servita a far trascorrere a questi e altri imputati più di un anno di detenzione in regime di alta sorveglianza, una sorta di 41bis di fatto, l’articolo del regolamento carcerario erede dell’articolo 90 dei cosiddetti “anni di piombo”.
La posta in gioco andava al di là del singolo processo. Caselli, ex pg dopo essere stato già una volta a capo della procura con scambio di ruoli con Maddalena in una sorta di facciamo quello che ci pare senza che il Csm dicesse nulla, intendeva bollare come “terrorismo” qualsiasi azione di resistenza non passiva. Anche a costo di trattare il danneggiamento di un compressore bruciacchiato come il rapimento Moro. Caselli, ora in pensiome, non c e l’ha fatta, nonostante l’aiuto del pg tra pochi giorni pure lui in quiescenza arrivato personalmente in aula a perorare la causa dell’emergenza infinita diventata prassi normale di governo.
Insieme a Maddalena escono sonoramente sconfitti i Caselli boys, i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, coordinatori dell’inchiesta e rappresentanti dell’accusa in corte d’assise. Il primo, destrorso vicino ai Fratelli d’Italia, il secondo ex militante della federazione giovanile comunista, insieme appassionatamente in una sorta di arco costituzionale della repressione.
Sicuramente l’accusa ricorrerà ancora in Cassazione. Lor signori non demordono. E invece tanto furore investigativo potrebbero dedicarlo agli appalti dell’alta velocità che sembrano gli unici onesti e trasparenti in un’Italia ad alto tasso di corruzione. Purtroppo il Tav, come del resto Expo, fa parte del “sistema paese”. E allora non si indaga, con calorosi saluti all’obbligatorietà dell’azione penale e all’indipendenza della magistratura, principi da strombazzare nei convegni e nei comunicati stampa. Insomma, il vero terribile problema era il compressore.
* Fonte: Giustiziami
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