[ 17 dicembre ]
Signori, allora vi farò un
esempio...
Colletto bianco su vestito
scuro, cravatta, segni particolari nessuno. Si muove sicuro, glaciale,
distaccato. Così me lo immagino un Sir William Walker di oggi, in qualche sala
riunioni della City. Rispetto all'avventuriero impersonato da Marlon Brando [vedi filmato più sotto, Ndr] quello che manca è certo il
fascino, ma in quanto a cinismo il cinematografico Sir William può essere
considerato quasi un bravo ragazzo, un dilettante.
L'esempio sull'amore, il
passaggio maestralmente diretto da Gillo Pontecorvo nel film Queimada, è
una sintesi secca e cristallina di come la transizione dalla schiavitù al
lavoro salariato ha rappresentato per il capitale una vantaggiosa necessità
ed un passaggio evolutivo chiave in cui il processo di estrazione di valore dal
lavoro si è ulteriormente sviluppato in seguito alle rivoluzioni industriali.
Il doppio paragone esplicato
nel film tra matrimonio e schiavitù e quindi tra prostituzione e
lavoro salariato è una perla che brillerà a lungo nelle menti di molti.
Ma cosa direbbe Sir William
Walker nel 2015 alla sua ridotta platea di capitalisti moderni della piccola
isola globale chiamata pianeta
Terra?
Quale grande salto evolutivo
ha compiuto il sistema di estrazione di valore dal lavoro umano in questo
ultimo mezzo secolo?
Fin dai tempi di Sir
Walker, l'estrazione di valore per il capitale avviene attraverso il
lavoro e fin dal XIX° secolo il procedimento di drenaggio di valore dalle
persone è stato migliorato e reso sempre più efficiente e complesso anche
attraverso un'intensa attività di sperimentazione durata generazioni e mai
formalmente interrotta.
La massimizzazione del valore
drenato avviene attraverso alcune condizioni che da sempre sono il pagare
meno il tempo di lavoro effettivo, impiegare solo la quantità di lavoro
che è necessaria, far lavorare consapevolmente o meno, le persone senza retribuirle.
In ultimo minimizzare o
cancellare qualsiasi appesantimento di costi del contesto lavorativo quali
imposte, assicurazioni, spese previdenziali ecc.
Queste condizioni sono oggi
perseguite a livello globale con meccanismi sempre più precisi e metodici.
La prima e l'ultima
condizione sono state ottenute dal capitale attraverso la delocalizzazione
delle attività produttive in paesi in cui il costo complessivo del lavoro
risulta inferiore, a volte anche di dieci volte, a quello dei paesi sviluppati
ottenendo in essi, come effetto desiderabile , anche una notevole pressione
salariale al ribasso.
All'ingenua illusione di
poter estendere i diritti del lavoro alle masse di sfruttati dei paesi
emergenti e alla salvaguardia della competitività delle aziende nostrane è
stata invece contrapposta la via del puro e semplice profitto, aumentando a
dismisura i diritti del capitale rispetto ai diritti del lavoro.
Nei paesi sviluppati il
processo di delocalizzazione e la
conseguente pressione salariale al ribasso ha portato
all'impoverimento di interi ceti di lavoratori a livello nominale (guadagnano
meno della paga media), reale (il lavoratore ci compra meno
beni di prima) e relativo (aumenta il divario tra paga oraria e
valore prodotto attraverso il lavoro in un'ora).
Quest'ultimo aspetto è
fondamentale per capire che dietro ad una esasperata ricerca di produttività si
nasconde anche un aumento continuo dello sfruttamento reale dei lavoratori.
La seconda condizione,
ovvero l'impiego della quantità di lavoro strettamente necessaria per compiere
un'operazione di determinata utilità produttiva, è stata perseguita introducendo nella legislazione del
mercato del lavoro forme di occupazione
sempre più flessibili e di breve durata.
E' l'idea del lavoro "a
chiamata" e "just in time" cucita addosso ad un
sistema produttivo sempre più frammentato, formato da una rete di fornitori e
sub-fornitori che si muovono in un contesto sempre meno industriale e sempre
più finanziario.
Nel processo produttivo
aziende grandi e piccole si trovano ad essere anelli all'interno di catene
di produzione esposte
continuamente al ricatto del mercato, in termini di qualità, prezzo e tempi di
consegna ma sempre dipendenti dal destino degli anelli vicini.
Basta che il rendimento
economico complessivo dell'anello di produzione risulti inferiore a quello di
qualche altro anello che si rischia di perdere repentinamente commesse e
fatturati compromettendo anche gli anelli subalterni. E' chiaro che in un'incertezza del genere non c'è nessun
incentivo ad investire in lavoro e
si prediligono rapporti flessibili che siano facilmente revocabili
al primo calo di produzione, al primo anello che salta.
Oltre alla flessibilità molte
volte per aumentare la produttività si ricorre anche all'intensificazione
dei ritmi di lavoro, togliendo pause che prima erano garantite e aumentando la frequenza dei
turni.
L'esempio dello stabilimento
ex FIAT di Pomigliano è solo il più famoso.
E' la terza condizione,
ovvero quella del lavoro non retribuito, la più interessante su cui riflettere.
L'estrazione di valore dal
lavoro avviene senza che ci sia un compenso. Sembra impossibile ma è così.
Investimenti enormi sono
stati fatti nelle tecnologie della comunicazione e dell'informatica che hanno
portato alla massima filosofica non scritta "Sono connesso, dunque
sono".
Un messaggio potente,
veicolato attraverso pubblicità e mass-media, ha costruito l'idea che la
qualità della vita dipenda da quanto siamo in grado di essere aggiornati, veloci,
tecnologici e quindi connessi.
Wi-fi, cellulari, tablet,
ogni genere di dispositivo ci consente in ogni momento di mostrare al mondo,
oltre che a noi stessi, quanto siamo informati e quanto la nostra vita valga la
pena di essere vissuta.
La realtà è un'altra. Essere
connessi 24 ore al giorno significa lavorare per 24 ore al giorno per
qualcun'altro. Ogni secondo che passa, flussi interminabili di byte e di
informazioni vengono scambiate, molte volte a nostra insaputa e senza nessuna
possibilità di intervento.
Diceva Luhmann:
"Siamo diventati meri relais, passive centraline di rilancio delle comunicazioni che riceviamo. Siamo immersi in un processo autogenerativo di produzione di comunicazione per mezzo di comunicazione, sradicato da ogni riferimento a un sistema psichico."
Ecco quindi che la connessione continua fa sembrare
la risposta ad una mail di lavoro alla domenica o a un SMS notturno,
una cosa normale anche quando la reperibilità è una voce che dovrebbe essere
opportunamente remunerata. I gruppi whatsApp di lavoro da questo punto di
vista sono trappole mortali.
Essere connessi H24, oltre ad
essere un costo molto spesso piccolo ma iterato che va ad ingrassare grosse
corporations del comparto telecomunicazioni, diventa un modo per diluire il
tempo della nostra vita che trascorriamo al lavoro senza tirare fuori un cent
di salario.
Ma in realtà, di cosa ci si
lamenta? Siamo connessi, raggiungibili, possiamo inviare
le foto del nostro tempo libero ad altri, dal gatto di casa alle vacanze in Nepal, possiamo
sentire i nostri famigliari, possiamo interagire con persone lontanissime.
Dietro tutto questo mondo
virtuale e fittizio, la realtà è che il sistema ci desidera asserviti,
connessi e alienati, dipendenti. Dipendenti in termini di rapporti di lavoro ma
anche dipendenti da un apparato che sul nostro tempo di connessione crea
profitto.
L'"utente" vive in
una gabbia d'oro che non percepisce nella misura in cui i tempi dedicati a
famiglia, tempo libero e lavoro confluiscono in uno stesso contenitore e sono giustificati dalla percezione che l'utilizzo di
questi mezzi sia legato allo svago ed al divertimento.
Lo sviluppo più avanzato di
questo tipo di processo è nell'uso
dei social network, dove inconsapevolemente le persone impiegano il loro tempo di riposo dal lavoro, il
proprio tempo libero e di svago, rimanendo ancora connessi.
Il tempo che gli utenti
trascorrono sul social in realtà è lavoro e quindi profitto per
chi, ammassando dati su dati, si segna ogni nostro piccolo desiderio, ogni
nostra piccola tendenza, ogni nostra abitudine per poi rivenderla sotto forma
di profili e statistiche all'apparato pubblicitario del marketing.
Tornando al concetto di
dipendenza, sui social essa si esplicita al meglio. La dipendenza non è solo
legame con il mezzo fisico, fonte molto spesso di alienazione, ma è un rapporto
di lavoro vero e proprio in cui qualcuno, utilizzando il nostro tempo
rigorosamente gratis, estrae e vende informazioni ricavandone profitto.
Questa è l'ultima
frontiera dell'evoluzione dell'estrazione di valore dal lavoro, come ben sa
il ministro Poletti che, in altri contesti, dichiara obsoleto l'orario di
lavoro pensando a come inventarsi il cottimo del XXI° secolo.
Cosa direbbe quindi il nostro
caro Sir William Walker?
Credo che dopo aver girato
attorno al tavolo della lussuosa sala riunioni londinese avrebbe insegnato ai
partecipanti che dopo aver soppiantato la moglie e fatto l'amore ad ore, la
prostituta ormai, per qualche Gigabyte di traffico dati in regalo, a garanzia
del suo ego virtuale e di un po' di svago, apre la porta e ti fa accomodare
gratis.
* Michele Berti, membro del Consiglio nazionale di Ora-Costituente e tra i promotori di P101
1 commento:
Un articolo "fresco" concreto, intenso, vero, stimolante che condivido in pieno.
Angela Matteucci
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