[ 4 dicembre ]
Per salvare quattro banche fallite —Carife, CariChieti, Banca Etruria e Banca Marche— viene applicata in Italia la norma eurocratica (in base al decreto governativo del 13 novembre) che scarica i costi del salvataggio sulle spalle di coloro che hanno acquistato obbligazioni delle banche in questione . Il meccanismo si chiama bail-in. Vengono quindi tutelati i pesci grossi, i proprietari delle banche medesime. E dal 2016, con il bail-in pienamente operativo, potrà riguardare anche obbligazionisti senior e conti corrente sopra i 100mila euro.
Per salvare quattro banche fallite —Carife, CariChieti, Banca Etruria e Banca Marche— viene applicata in Italia la norma eurocratica (in base al decreto governativo del 13 novembre) che scarica i costi del salvataggio sulle spalle di coloro che hanno acquistato obbligazioni delle banche in questione . Il meccanismo si chiama bail-in. Vengono quindi tutelati i pesci grossi, i proprietari delle banche medesime. E dal 2016, con il bail-in pienamente operativo, potrà riguardare anche obbligazionisti senior e conti corrente sopra i 100mila euro.
Un caso da manuale per comprendere cos'è e come funziona il capitalismo-casinò, e fino a quale punto il governo Renzi, supino di diktat dell'oligarchia europea, si fa paladino degli interessi della finanza speculativa e del regime bancocratico.
Per la prima volta, in Italia, quattro banche - Carife, CariChieti, Banca Etruria e Banca Marche - sono state "risolte" con un meccanismo che anticipa in parte il bail-in ('salvataggio interno') che entrerà in vigore dal 1° gennaio prossimo e in parte ricorre al vecchio bail-out ('salvataggio esterno'), già andato in scena durante la crisi finanziaria, ma questa volta senza prevedere l'iniezione diretta di soldi pubblici nel capitale delle banche in difficoltà (fatte salve le esenzioni fiscali sui contributi versati dalle banche 'salvatrici').
Il primo aspetto è quello che coinvolge direttamente i risparmiatori. Nel decreto di salvataggio si prevede che le azioni e le obbligazioni subordinate delle 'vecchie' banche siano interamente svalutate: sono diventati pezzi di carta. E rappresentano quindi una perdita al 100% per chi le ha sottoscritte. In questi quattro casi, dal punto di vista del capitale, dati che risalgono anche al 2012 indicano 2 miliardi di euro di azioni azzerate (secondo Moody's). Sono poi coinvolti 788 milioni di euro di obbligazioni subordinate. Sono strumenti che, in caso di difficoltà dell'emittente, prevedono il rimborso del capitale solo 'in subordine' rispetto ad altri titoli, cioè le obbligazioni 'senior', che hanno un grado di protezione maggiore. Il problema che emerge dalle testimonianze raccolte è che ben pochi dei sottoscrittori di queste obbligazioni erano a conoscenza del rischio al quale andavano incontro.
Dopo che azioni e obbligazioni hanno assorbito le perdite, i crediti in sofferenza (cioè morosi) delle vecchie banche sono stati svalutati: da 8,5 miliardi, il loro valore è stato abbattuto a 1,5 miliardi (il 17% circa del valore originario, un dato di gran lunga inferiore al valore medio di copertura delle sofferenze in Italia). Sono poi stati trasferiti in una bad bank, una "banca cattiva" che non ha la licenza per l'attività tradizionale: è una scatola per le sofferenze, per venderle a operatori specializzati,
sperando di recuperare i denari in gioco. Gli altri attivi delle vecchie banche, cioè le parti buone, sono finite in quattro nuove entità, dotate di un capitale necessario per operare, in vista della loro cessione. Le risorse necessarie a queste operazioni, circa 3,6 miliardi, sono arrivate dal sistema bancario attraverso un Fondo di risoluzione, al quale torneranno i proventi della vendita dei crediti in sofferenza e delle banche risanate. Per questo alcuni parlano ancora di bail-out, salvataggio da fuori, ma senza soldi diretti dei contribuenti (come era invece accaduto in alcuni Paesi, durante la crisi, quando gli Stati avevano messo direttamente capitali nelle banche in crisi).
La Commissione Ue ha accertato comunque che ci sono aiuti di Stato, ma in una misura tale da non generare una distorsione del mercato e quindi ha dato il via libera all'operazione. Per di più, su una parte di quei fondi (1,65 miliardi di finanziamento delle maggiori banche), c'è una garanzia della Cdp che scatterà se il Fondo di risoluzione non sarà capiente per rimborsare quella linea di credito, alla scadenza tra un anno e mezzo.
La morale della vicenda è tirata da un report di Moody's: è la prima volta che gli obbligazionisti subordinati subiscono un azzeramento del loro capitale, in queste proporzioni, per l'Italia. "Visto che molti investitori erano piccoli e privati, ciò potrà accrescere la consapevolezza - tra il retail - della rischiosità dei meccanismi di risoluzione per gli obbligazionisti, irrigidendo ulteriormente la vendita di bond attraverso la rete di filiali a vantaggio dei depositi, maggiormente garantiti". Una lezione amara, che in molti sperimentano sulla pelle. Senza considerare, poi, che dal 2016 il meccanismo del 'salvataggio interno' si dispiegherà in tutta la sua forma, colpendo potenzialmente anche altri soggetti interessati alla banca.
Se, un domani, una banca in difficoltà non avrà un piano di risanamento ritenuto consono dall'Autorità, la ristrutturazione peserà (fino all'8% delle passività della banca in questione) su, nell'ordine: azionisti, obbligazionisti 'junior' (meno garantiti, i subordinati già chiamati a pagare con le quattro banche in questione), obbligazionisti 'senior' e correntisti oltre 100mila euro. Se ancora ciò non fosse sufficiente, interverrà il Fondo unico di risoluzione per un ammontare fino al 5% della banca in crisi. Cosa significa questo? Uno studio recentemente commissionato dal Parlamento europeo ha simulato cosa sarebbe accaduto se le regole del bail-in fossero state valide durante la crisi finanziaria tra il 2007 e il 2014. Su un campione di 72 banche salvate, che hanno totalizzato perdite per 313 miliardi, 153 miliardi sarebbero stati assorbiti con i fondi propri e il coinvolgimento dei creditori. Nei fatti, invece, i salvataggi andati in scena in passato, con i soldi pubblici, hanno spalmato su tutti i cittadini il costo degli errori di manager e stakeholder.
Il bail-in è nato proprio per evitare questa ingiustizia di fondo, ma agli obbligazionisti inconsapevoli delle banche salvate non sembra certo vero.
* Fonte: R.it Economia e finanza
di RAFFAELE RICCIARDI*
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Il primo aspetto è quello che coinvolge direttamente i risparmiatori. Nel decreto di salvataggio si prevede che le azioni e le obbligazioni subordinate delle 'vecchie' banche siano interamente svalutate: sono diventati pezzi di carta. E rappresentano quindi una perdita al 100% per chi le ha sottoscritte. In questi quattro casi, dal punto di vista del capitale, dati che risalgono anche al 2012 indicano 2 miliardi di euro di azioni azzerate (secondo Moody's). Sono poi coinvolti 788 milioni di euro di obbligazioni subordinate. Sono strumenti che, in caso di difficoltà dell'emittente, prevedono il rimborso del capitale solo 'in subordine' rispetto ad altri titoli, cioè le obbligazioni 'senior', che hanno un grado di protezione maggiore. Il problema che emerge dalle testimonianze raccolte è che ben pochi dei sottoscrittori di queste obbligazioni erano a conoscenza del rischio al quale andavano incontro.
Dopo che azioni e obbligazioni hanno assorbito le perdite, i crediti in sofferenza (cioè morosi) delle vecchie banche sono stati svalutati: da 8,5 miliardi, il loro valore è stato abbattuto a 1,5 miliardi (il 17% circa del valore originario, un dato di gran lunga inferiore al valore medio di copertura delle sofferenze in Italia). Sono poi stati trasferiti in una bad bank, una "banca cattiva" che non ha la licenza per l'attività tradizionale: è una scatola per le sofferenze, per venderle a operatori specializzati,
sperando di recuperare i denari in gioco. Gli altri attivi delle vecchie banche, cioè le parti buone, sono finite in quattro nuove entità, dotate di un capitale necessario per operare, in vista della loro cessione. Le risorse necessarie a queste operazioni, circa 3,6 miliardi, sono arrivate dal sistema bancario attraverso un Fondo di risoluzione, al quale torneranno i proventi della vendita dei crediti in sofferenza e delle banche risanate. Per questo alcuni parlano ancora di bail-out, salvataggio da fuori, ma senza soldi diretti dei contribuenti (come era invece accaduto in alcuni Paesi, durante la crisi, quando gli Stati avevano messo direttamente capitali nelle banche in crisi).
La Commissione Ue ha accertato comunque che ci sono aiuti di Stato, ma in una misura tale da non generare una distorsione del mercato e quindi ha dato il via libera all'operazione. Per di più, su una parte di quei fondi (1,65 miliardi di finanziamento delle maggiori banche), c'è una garanzia della Cdp che scatterà se il Fondo di risoluzione non sarà capiente per rimborsare quella linea di credito, alla scadenza tra un anno e mezzo.
La morale della vicenda è tirata da un report di Moody's: è la prima volta che gli obbligazionisti subordinati subiscono un azzeramento del loro capitale, in queste proporzioni, per l'Italia. "Visto che molti investitori erano piccoli e privati, ciò potrà accrescere la consapevolezza - tra il retail - della rischiosità dei meccanismi di risoluzione per gli obbligazionisti, irrigidendo ulteriormente la vendita di bond attraverso la rete di filiali a vantaggio dei depositi, maggiormente garantiti". Una lezione amara, che in molti sperimentano sulla pelle. Senza considerare, poi, che dal 2016 il meccanismo del 'salvataggio interno' si dispiegherà in tutta la sua forma, colpendo potenzialmente anche altri soggetti interessati alla banca.
Se, un domani, una banca in difficoltà non avrà un piano di risanamento ritenuto consono dall'Autorità, la ristrutturazione peserà (fino all'8% delle passività della banca in questione) su, nell'ordine: azionisti, obbligazionisti 'junior' (meno garantiti, i subordinati già chiamati a pagare con le quattro banche in questione), obbligazionisti 'senior' e correntisti oltre 100mila euro. Se ancora ciò non fosse sufficiente, interverrà il Fondo unico di risoluzione per un ammontare fino al 5% della banca in crisi. Cosa significa questo? Uno studio recentemente commissionato dal Parlamento europeo ha simulato cosa sarebbe accaduto se le regole del bail-in fossero state valide durante la crisi finanziaria tra il 2007 e il 2014. Su un campione di 72 banche salvate, che hanno totalizzato perdite per 313 miliardi, 153 miliardi sarebbero stati assorbiti con i fondi propri e il coinvolgimento dei creditori. Nei fatti, invece, i salvataggi andati in scena in passato, con i soldi pubblici, hanno spalmato su tutti i cittadini il costo degli errori di manager e stakeholder.
* Fonte: R.it Economia e finanza
1 commento:
Non è una regola sbagliata il bail in, visto che tutti si lamentano che è sempre il contribuente a pgare.
Ha uno scopo preciso però e cioè quello di far sparire i pesci piccoli.
Ma è da quel dí che per inpiccoli non c'è più spazio.
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