24 novembre.
Si è svolto ieri a Roma, il previsto incontro “La sinistra e la trappola dell’euro“. Sala gremita, come speravamo. Il dialogo tra i relatori, malgrado l’assenza di Stefano Fassina (dovuta ad un impedimento improvviso e di forza maggiore) è stato di ottimo livello, a tratti vibrante e intenso. Pur con diverse letture, condivisa da tutti i relatori la critica ai trattati su cui l’Unione europea è stata edificata, e dunque quella alla moneta unica, considerata un fattore decisivo della crisi senza precedenti in cui versano le economie italiane ed europee. Comune la considerazione che il regime della moneta unica, oltreché sull’orlo del collasso, è per sua natura oligarchico, antipopolare e antidemocratico.
Diverse tuttavia le ricette per venir fuori dal marasma. Sul piano delle misure economiche, non temiamo di sbagliare se affermiamo la soatanziale sintonia tra quelle avanzate da Brancaccio, Giacché e Mazzei: l’uscita dall’eruozona, anche unilaterale, è un atto decisivo e preliminare, ma dovrà essere accompagnata da non meno importanti misure quali il controllo pubblico sulla Banca d’Italia, la nazionalizzazione del sistema bancario, una ristrutturazione del debito pubblico, un piano per la piena occupazione, misure di protezione dei salari e di salvaguardia dell’economia italiana dall’assalto delle forze che guidano la globalizzazione. Quella che noi, definiamo un’uscita da sinistra dall’euro.
Dissonanti, da questo punto di vista, le proposte avanzate da Enrico Grazzini e Paolo Ferrero. Entrambi ritengono che l’euro sia “insostenibile”, ma siccome l’agonia della moneta unica potrebbe durare a lungo vista la potenza delle forze che lo difendono, invece di puntare sull’uscita, occorre avanzare proposte “più realistiche” e “mediane”.
Grazzini, Brancaccio, D'Andrea, Mazzei, Giacchè, Ferrero |
Grazzini, ritenendo che “l’uscita unilaterale è difficilmente praticabile, e avrebbe comunque esiti molto incerti, per non dire pericolosi e negativi”, ha quindi difeso la proposta dei “Certificati di credito fiscale”, idea che per primo avanzò Marco Cattaneo nell’ottobre 2012, ed oggi rilancita e precisata da un appello sottoscritto assieme, oltre aCattaneo, a Luciano Gallino e Stefano Sylos Labini. Per i dettagli vedi anche qui.
Paolo Ferrero, anche lui sottolineando i “gravi rischi di un’uscita unilaterale”, ha difeso la prospettiva, secondo Ferrero non solo più “realistica” ma dal punto di vista politico “capace di costruire consenso egemonico”, della “disobbedienza ai trattati”, a partire dal Fiscal compact. Così fara Syriza, ha affermato Ferrero, se, come è auspicabile, andrà al governo prossimamente in Grecia. In quest’ottica, ci permettiamo di ricordare la cantonata che Ferrero ha preso con Hollande, che salutò come “disobbediente”.
Al netto del successo dell’incontro, sul piano della partecipazione e della qualità degli interventi, è emerso un dato evidente, quanto sia difficile e arduo conformare una forza politica no-euro di sinistra che abbia un peso ed una taglia tali da giocare un ruolo decisivo nel marasma che vive il nostro Paese. La consapevolezza della necessità dell’uscita dall’eurozona, come pure la condivisione delle misure economiche che andrebbero prese contestualmente alla riconquista della sovranità monetaria, non paiono un “collante” sufficiente per rendere possibile l’unità politica, pur pluralistica. Pesano, e come, differenze di natura politica e teorica che vengono da molto lontano, due nodi vengono anzitutto al pettine, quello delle alleanze, eventuali o necessarie, nonché il giudizio sulla “questione nazionale”, o della sovranità.
Da questo punto di vista sono da segnalare le dissonanze tra Emiliano Brancaccio da una parte, e dall’altraGiacché e Mazzei. Ma su questo dovremo tornare. Insomma, si diceva che non c’era una “sinistra no-euro”. Anche grazie al nostro Coordinamento quest’idea è stata smentita. Anche troppo, visto che di sinistre no-euro ce n’è più d’una.
* Fonte: Coordinamento sinistra contro l'euro
4 commenti:
E' proprio quello il guaio: la difficoltà delle varie sinistre di trovare un criterio di unificazione. Del resto siamo in Italia dove le tradizioni individualiste hanno il loro peso secondo le ben note doti di creatività degli italiani " .. popolo di artisti, poeti ...). La "cosiddetta" creatività fa parte del cosiddetto pensiero "divergente". In definitiva fra gli italiani le occasioni di disaccordo sono una moltitudine.
Il"pensiero divergente", per gli psicologi, è indizio di intelligenza vivace, ma non è certo segno di capacità di formare aggregazioni coerenti e compatte.
Non mi pare che Brancaccio abbia sostenuto tesi no-euro, anzi.
Ha detto chiaramente che la proposta no-euro non ha un reale contenuto politico e se ci limita a quello tanto valeva chiamare Salvini. Ha aggiunto che non è impensabile che addirittura Renzi potrebbe teoricamente far suo il progetto di uscita dalla moneta unica che è proprio quello che vi avevo scritto in questi giorni, fra l'altro.
Secondo Brancaccio le caratteristiche oggettive del capitale implicano l'insostenibilità della zona euro e quindi rivolgendosi anche a Ferrero ha detto che una proposta di sinistra deve tener conto anche del "dopo" che (interpretando) significa che non esistono disegni politici che possano evitare un conflitto con i dominanti. L'idea di uscita dalla moneta unica o (come dice Ferrero) gli investimenti pubblici (trenta miliardi per il riassetto del territorio) non sono sufficienti, occorre una visione generale che unisca le forze sociali che si dispongono ad affrontare il conflitto coi dominanti e questo secondo Brancaccio manca del tutto.
Brancaccio e Ferrero sono molto scettici sul sovranismo in particolare relativamente al problema della lotta di classe che in quanto tale deve necessariamente essere internazionalista. Brancaccio infatti ha affermato che l'internazionalismo dei lavoratori è dialettico nei confronti dell'internazionalismo del capitale.
Tutte cose che condivido con due "piccole" postille:
a) siamo sicuri che il soggetto politico da costruire siano ancora "i lavoratori" o non piuttosto quella classe subalterna difficilmente definibile costituita da un mix di piccola borghesia e lumpenproletariat?
b) a queste persone, diciamo "alla gente di Tor Sapienza", come gliele spieghi queste cose? Sapete benissimo che sarebbe tempo perso perché il livello culturale medio è bassissimo e purtroppo è la destra fascistoide che sa parlare il loro linguaggio, non più la sinistra.
Di questo problema della comunicazione e dell'identificazione del futuro soggetto politico in sostanza non si è parlato cosa che inficia ab origine l'efficacia dei discorsi fatti al convegno (ossia tendiamo ancora a una certa autoreferenzialità per la quale l'unica questione da affrontare è "come ci autodefiniamo"...stiamo a prima di "carissimo amico"...).
SEGUE...
CONTINUA...
La cosa importantissima detta da Brancaccio è stata che la sinistra
a) si è fatta battere su tutta la linea dall'ideologia liberista non riuscendo a difendere in nessun modo di fronte all'opinione pubblica l'idea dello Stato come regolatore dell'economia
b) non ha nulla da dire a quel piccolo capitale che si trova anch'esso sotto l'attacco del grande capitale. Ferrero in realtà a quello si riferiva quando ha lanciato la sua idea di investimenti pubblici e lo stesso Emiliano ha parlato di appalti per lavori pubblici; nonostante questo il professore si è dichiarato non perfettamente d'accordo con Ferrero e qui come mi aimpressione personale c'è stata un po' troppa voglia di puntualizzare a tutti i costi.
Quello che è mancato al convegno è stata appunto una voce che rappresentasse questo piccolo capitale che allargando il discorso è rappresentato da piccola e media impresa locale, liberi professionisti, professori di università, in una parola la borghesia medio alta locale.
E' quindi indispensabile rivolgersi a soggetti anche diversi dai "lavoratori dipendenti" che (come appunto hanno detto Brancaccio e Ferrero) possono trovarsi uniti con la sinistra su proposte di politiche keynesiane.
In conclusione credo che non solo Ferrero ma anche Brancaccio si siano dimostrati contrari a impostare un disegno politico di sinistra fondato sul "no-euro" prevedendo che comunque il conflitto ci sarà; l'importante per adesso è "proporre" non "distruggere" per trovarci preparati al momento in cui gli interessi dei dominanti e dei subalterni si polarizzeranno definitivamente.
In quel frangente o saremo uniti anche con forze non propriamente della nostra area o saremo destinati alla sconfitta.
Brancaccio indica il sentiero più irto e difficile. Mi fa un po' incazzare perché ha sempre l'abilità di stanare le mie illusioni. Però ascoltarlo è sempre un grandissimo piacere. Secondo me è un tipo troppo scafato, rilassato e ironico per mettersi a fare politica. Ma se un giorno qualcuno convincesse quest'uomo a giocare in prima persona una partita elettorale, penso che gli avversari si scioglierebbero come neve al sole. Mino
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