17 maggio. Martedì scorso, ad Ancona, presso la Facoltà di Economia Lorenzo Bini Smaghi (nella foto), ex-membro del direttorio della Bce, noto per il suo intransigente monetarismo, ha presentato il suo recentissimo libro: Morire d'austerità. Democrazie europee con le spalle al muro. A commentarlo c'era anche Emiliano Brancaccio. Qui sotto il suo intervento.
IL FALCO CHE NON VOLA
Tutte le contraddizioni di Bini Smaghi
di Stefano Lucarelli*
Non è cosa di tutti i giorni vedere un ex membro del comitato esecutivo della BCE arrampicarsi sugli specchi dinanzi ad una serie di critiche puntuali. Martedì scorso ad Ancona, Lorenzo Bini Smaghi (nella foto) ha presentato e discusso con alcuni degli economisti italiani più capaci di criticare le ricette mainstream per uscire dalla crisi, il suo ultimo libro Morire di austerità. L’incontro era organizzato dal Mofir, un gruppo di ricerca estremamente vivace, attento all’analisi empirica delle principali variabili di politica monetaria e fiscale senza essere incline alla baloccometria (pericolo denunciato da de Finetti ben prima dello scandalo Reinahrt-Rogoff) e capace anche di aprirsi ad un pubblico di non specialisti.
Bini Smaghi ha riportato un aneddoto significativo: qualche eminente economista statunitense gli ha chiesto: “Come mai è così complicato per voi in Europa risolvere questa crisi? Non potete fare come noi?” L’attuale presidente di Snam Rete Gas ha risposto segnalando che la tutela della democrazia in Europa, un insieme di grandi nazioni diverse, non consente di attuare le ricette messe in campo negli Stati Uniti. Ha poi continuato dando una chiave di lettura della crisi attuale che testimonia le difficoltà teoriche in cui si dibatte un economista con importanti compiti istituzionali, che deve – per dignità – riconoscere le nefandezze prodotte dalle politiche di austerity ma che non vuole mettere in dubbio né il principio secondo il quale la BCE non debba fungere da prestatore di ultima istanza sostenendo direttamente i governi in difficoltà, né la superiorità delle politiche strutturali messe in campo dai Paesi del Nord Europa. I PIIGS e i loro politici sarebbero allora colpevoli di ritardare le riforme strutturali. In tal modo, di fatto, Bini Smaghi legittima l’erronea convinzione che gli equilibri di finanza pubblica non dipendano per lo più dalle debolezze istituzionali dell’UME, dunque dal mancato controllo sui tassi di interesse, né denuncia le politiche mercantiliste tedesche, consolidando la sua fama di falco della politica fiscale.
Nella discussione Piero Alessandrini ha sottolineato che il libro parla di un delitto annunciato, ricordando tra l’altro che il primo Paese ad aver beneficiato delle deroghe rispetto ai parametri europei fu la stessa Germania, ha riportato al centro del discorso gli squilibri commerciali (punto che, nel libro, Bini Smaghi riconosce mostrando di cambiare idea rispetto a quanto in passato ha sostenuto nei suoi contributi scientifici), sottolineando come non è detto che questi squilibri debbano essere assorbiti necessariamente e criticando l’autore poiché trascura il tema della golden rule (cioè piani di investimento attraverso spesa pubblica in deficit). Il fantasma di Keynes ha iniziato ad aleggiare nell’aula ed è apparso in tutta la sua imponenza quando Alessandrini ha ricordato come il surplus tedesco non sia necessariamente un merito, ma il segnale di un’Europa che funziona male e che dovrebbe assumersi la responsabilità di politiche fiscali redistributive.
Emiliano Brancaccio si è concentrato sulle rilevanti contraddizioni analitiche di Bini Smaghi e sui dubbi che emergono da un libro che non offre una chiara soluzione politica per la crisi europea: l’autore riconosce che gli effetti dell’austerity possono prolungarsi nel tempo, ma ciò lo dovrebbero condurre, come invece non fa, a riconoscere la rilevanza della carenza di domanda effettiva nel lungo periodo anche nell’analisi dei problemi di solvibilità che affliggono i sistemi creditizi in Europa. L’austerity produce insolvenza nei PIIGS, ma allora la BCE che ruolo dovrebbe assumere dinanzi a prevedibili dinamiche di acquisizioni delle banche dei Paesi europei in difficoltà da Parte delle banche di Paesi forti? Le politiche strutturali che Bini Smaghi consiglia si riducono sostanzialmente alla flessibilità dei salari, ma i dati del caso irlandese, che Brancaccio richiama, mostrano come queste politiche aggravino la crisi.
Contraddizioni istituzionali a livello UME che, secondo il buon senso dell’uomo degli affari, ha rilevato anche l’ingegner Pieralisi, ricordando come le nazioni europee sono innanzitutto sistemi in concorrenza, che le industrie italiane non sono in grado di ridurre ulteriormente i costi della produzione, che il sistema bancario italiano non sostiene le imprese italiane, e che le riforme strutturali necessarie non riguardano la flessibilità del mercato del lavoro.
Le ipotesi su cui sono costruite le politiche di austerity, ma anche lo statuto della BCE, sono sbagliate, come Andrea Presbitero ha mostrato numeri alla mano chiamando in causa anche la responsabilità degli organi di informazione che, banalizzando, continuano a legittimare l’idea sbagliata che il debito pubblico sia causa della bassa crescita. La buona ed onesta analisi empirica mostra che le politiche di austerità hanno effetti recessivi, che occorre coordinare politiche monetarie e fiscali per ridurre l’incertezza sistemica, che il credit crunch in Italia è un problema causato dal lato dell’offerta, cioè dalle banche. C’è anche chi fa notare che l’austerity è associata a un aumento dei suicidi.
Dinanzi a questa mole di critiche Bini Smaghi ha replicato svelando che dietro all’accattivante titolo del suo libro c’è solo l’idea che il problema non sta nell’erroneità delle politiche di austerità, ma nel fatto che in Italia queste stesse politiche sono state fatte in ritardo e male. Un punto di vista contro il quale dovremo continuare a lottare.
Fonte: Keynes Blog
IL FALCO CHE NON VOLA
Tutte le contraddizioni di Bini Smaghi
di Stefano Lucarelli*
Non è cosa di tutti i giorni vedere un ex membro del comitato esecutivo della BCE arrampicarsi sugli specchi dinanzi ad una serie di critiche puntuali. Martedì scorso ad Ancona, Lorenzo Bini Smaghi (nella foto) ha presentato e discusso con alcuni degli economisti italiani più capaci di criticare le ricette mainstream per uscire dalla crisi, il suo ultimo libro Morire di austerità. L’incontro era organizzato dal Mofir, un gruppo di ricerca estremamente vivace, attento all’analisi empirica delle principali variabili di politica monetaria e fiscale senza essere incline alla baloccometria (pericolo denunciato da de Finetti ben prima dello scandalo Reinahrt-Rogoff) e capace anche di aprirsi ad un pubblico di non specialisti.
Bini Smaghi ha riportato un aneddoto significativo: qualche eminente economista statunitense gli ha chiesto: “Come mai è così complicato per voi in Europa risolvere questa crisi? Non potete fare come noi?” L’attuale presidente di Snam Rete Gas ha risposto segnalando che la tutela della democrazia in Europa, un insieme di grandi nazioni diverse, non consente di attuare le ricette messe in campo negli Stati Uniti. Ha poi continuato dando una chiave di lettura della crisi attuale che testimonia le difficoltà teoriche in cui si dibatte un economista con importanti compiti istituzionali, che deve – per dignità – riconoscere le nefandezze prodotte dalle politiche di austerity ma che non vuole mettere in dubbio né il principio secondo il quale la BCE non debba fungere da prestatore di ultima istanza sostenendo direttamente i governi in difficoltà, né la superiorità delle politiche strutturali messe in campo dai Paesi del Nord Europa. I PIIGS e i loro politici sarebbero allora colpevoli di ritardare le riforme strutturali. In tal modo, di fatto, Bini Smaghi legittima l’erronea convinzione che gli equilibri di finanza pubblica non dipendano per lo più dalle debolezze istituzionali dell’UME, dunque dal mancato controllo sui tassi di interesse, né denuncia le politiche mercantiliste tedesche, consolidando la sua fama di falco della politica fiscale.
Nella discussione Piero Alessandrini ha sottolineato che il libro parla di un delitto annunciato, ricordando tra l’altro che il primo Paese ad aver beneficiato delle deroghe rispetto ai parametri europei fu la stessa Germania, ha riportato al centro del discorso gli squilibri commerciali (punto che, nel libro, Bini Smaghi riconosce mostrando di cambiare idea rispetto a quanto in passato ha sostenuto nei suoi contributi scientifici), sottolineando come non è detto che questi squilibri debbano essere assorbiti necessariamente e criticando l’autore poiché trascura il tema della golden rule (cioè piani di investimento attraverso spesa pubblica in deficit). Il fantasma di Keynes ha iniziato ad aleggiare nell’aula ed è apparso in tutta la sua imponenza quando Alessandrini ha ricordato come il surplus tedesco non sia necessariamente un merito, ma il segnale di un’Europa che funziona male e che dovrebbe assumersi la responsabilità di politiche fiscali redistributive.
Emiliano Brancaccio si è concentrato sulle rilevanti contraddizioni analitiche di Bini Smaghi e sui dubbi che emergono da un libro che non offre una chiara soluzione politica per la crisi europea: l’autore riconosce che gli effetti dell’austerity possono prolungarsi nel tempo, ma ciò lo dovrebbero condurre, come invece non fa, a riconoscere la rilevanza della carenza di domanda effettiva nel lungo periodo anche nell’analisi dei problemi di solvibilità che affliggono i sistemi creditizi in Europa. L’austerity produce insolvenza nei PIIGS, ma allora la BCE che ruolo dovrebbe assumere dinanzi a prevedibili dinamiche di acquisizioni delle banche dei Paesi europei in difficoltà da Parte delle banche di Paesi forti? Le politiche strutturali che Bini Smaghi consiglia si riducono sostanzialmente alla flessibilità dei salari, ma i dati del caso irlandese, che Brancaccio richiama, mostrano come queste politiche aggravino la crisi.
Contraddizioni istituzionali a livello UME che, secondo il buon senso dell’uomo degli affari, ha rilevato anche l’ingegner Pieralisi, ricordando come le nazioni europee sono innanzitutto sistemi in concorrenza, che le industrie italiane non sono in grado di ridurre ulteriormente i costi della produzione, che il sistema bancario italiano non sostiene le imprese italiane, e che le riforme strutturali necessarie non riguardano la flessibilità del mercato del lavoro.
Le ipotesi su cui sono costruite le politiche di austerity, ma anche lo statuto della BCE, sono sbagliate, come Andrea Presbitero ha mostrato numeri alla mano chiamando in causa anche la responsabilità degli organi di informazione che, banalizzando, continuano a legittimare l’idea sbagliata che il debito pubblico sia causa della bassa crescita. La buona ed onesta analisi empirica mostra che le politiche di austerità hanno effetti recessivi, che occorre coordinare politiche monetarie e fiscali per ridurre l’incertezza sistemica, che il credit crunch in Italia è un problema causato dal lato dell’offerta, cioè dalle banche. C’è anche chi fa notare che l’austerity è associata a un aumento dei suicidi.
Dinanzi a questa mole di critiche Bini Smaghi ha replicato svelando che dietro all’accattivante titolo del suo libro c’è solo l’idea che il problema non sta nell’erroneità delle politiche di austerità, ma nel fatto che in Italia queste stesse politiche sono state fatte in ritardo e male. Un punto di vista contro il quale dovremo continuare a lottare.
Fonte: Keynes Blog
2 commenti:
Ottimo. Brancaccio mi piace, ha una logica di ferro, ed è freddo, non è mai esagitato: per questo si fa valere ai massimi livelli.
Ottimo. Brancaccio mi piace, ha una logica di ferro, ed è freddo, non è mai esagitato: per questo si fa valere ai massimi livelli.
Posta un commento