giovedì 22 marzo 2012

PROTESTE OPERAIE PER L'ART. 18

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La fiammata


L'ultima trincea del vecchio movimento operaio?


di Piemme

Questa mattina (giovedì 22 marzo) gli operai di storiche fabbriche di Genova, La Spezia, Torino e Pisa, senza attendere le direttive sindacali dall'alto, hanno incrociato le braccia, fermato la produzione, occupato strade. Gli operai dei cantieri del Muggiano a La Spezia  hanno occupato il loro cantiere. Non è solo un sussulto operaio in difesa di un diritto sacrosanto, è un gesto di sfiducia e di sfida verso il governo Monti e chi lo sostiene.

Le cose sono due e due sole: o questa fiammata ha la capacità di estendersi, di dare vita ad una protesta diffusa, fino allo sciopero generale e, diremo di più, fino alla sollevazione popolare generale, oppure, in caso contrario, per quanto generosa e ammirevole essa sarà rubricata come il canto del cigno del vecchio movimento operaio.


Per chi scrive vale anzitutto l'augurio che la fiammata faccia divampare la prateria. la domanda che ci si deve porre è se l'augurio è destinato a realizzarsi.


Io ritengo di no, per due fondamentali ragioni.


La prima è squisitamente politica. Alla fine (notizia fresca di stampa) il governo ha dovuto compiere una ritirata tattica. La cancellazione dell'Art.18 non viene fatta per decreto, mettendo parti sociali e Parlamento davanti al fatto compiuto, ma con Legge delega, così che il Parlamento viene lasciata la facoltà di addolcire la pillola. E' evidente che nella sostanza nulla cambierà, ma ciò non solo evita al Pd di votare contrario (col rischio di spaccarsi e così di far vacillare la compagine tecnica), consente alla Cgil di fare la solita manfrina, chiamando i lavoratori a forme di resistenza sfumate, tutte declinate all'insegna di fare educate pressioni su partiti e Parlamento....
Tabella n.2 (clicca per ingrandire)


V'è poi un aspetto per niente secondario che non depone a favore dell'incendio della prateria. Con uno dei soliti diabolici trucchi levantini il governo ha dichiarato che gli statali (se tutti i dipendenti pubblici o solo gli statali vedremo) saranno risparmiati dall'applicazione della nuova normativa sui licenziamenti facili. Con questa mossa pressoché un quarto dei circa 17 milioni di lavoratori dipendenti non solo vengono messi al riparo dal colpo di maglio ma  spinti all'acquiescenza. 


Se si tiene poi conto che la gran parte dei dipendenti del settore privato non gode dell'Art.18 (o perché lavora in aziende al di sotto dei 15 dipendenti, o perché assunto con modalità precarie) si fa presto a fare i conti e a vedere che la questione riguarda una minoranza dei lavoratori, ciò che resta della grande media industria del paese.


Che questa minoranza riesca a suscitare un vasto movimento di rivolta, che riesca a costruire la necessaria diga di massa contro l'iniziativa del governo, v'è da dubitare fortemente. La Cgil ci riuscì dieci anni fa (ricordate la imponente manifestazione del 23 marzo?), ma favorita da un quadro politico che vedeva l'odiato Berlusconi al governo. Che oggi la situazione sia diversa —vuoi per la crisi economica, vuoi perché l'attacco è portato da un governo di ampie intese, vuoi per la pelosa non-opposizione della Cgil— lo capisce chiunque.
Per non parlare della massa di senza lavoro che preme sugli occupati, non solo come fattore di contenimento dei salari, ma come deterrente alla resistenza sociale.
Tabella n.3 (clicca per ingrandire)


La seconda ragione che mi spinge al pessimismo è di natura, come dire, sostanziale. Nonostante qualche sussulto la tendenza generale che viene avanti dalla fine degli anni '70 (lo spartiacque fu la storica sconfitta in Fiat nell'ottobre 1980) è quella di un inesorabile declino del tradizionale movimento operaio, quello incardinato nelle grandi fabbriche. La grande capacità di spinta, di trascinamento e di egemonia dello storico zoccolo duro del proletariato è venuta inesorabilmente scemando. L'ultima conferma l'abbiamo avuta proprio negli ultimi anni, in una sconcertante incapacità di opporre una adeguata resistenza al vero e proprio assalto padronale alle condizioni di lavoro e al potere d'acquisto dei salari.


Questa paralisi non è dipesa solo da fattori deterrenti come l'alta disoccupazione, dalla linea concertativa seguita dai sindacati, dalla liquefazione dei tradizionali partiti "operai". Non ci stancheremo di dire il peso avuto dal cosiddetto "imborghesimento", che non è stato solo coscenziale ma economico, della tradizionale classe proletaria. In poche parole dal fatto che il grosso dei salariati, anzitutto quelli tutelati dalle protezioni sindacali, invece di porsi come prima linea del fronte di classe, sono stati incapsulati nel sistema egemonico dominante, in una maniera pur contraddittoria e spuria si sono insomma "cetomedizzati". prima ancora che "sfruttati" si sono sentiti come "privilegiati" e così hanno finito non per guidare la battaglia per i diritti dei più, ma per arroccarsi in difesa di quelli che erano diventati, a fronte della maggioranza dei salariati, dei "privilegi". I più hanno preferito tacere, assecondare corporativisticamente il capitale, frasi gli affari propri, stare in regola col pagamento delle rate del mutuo, e quindi darci sotto con gli straordinari, piuttosto che agire da paladini dei diritti di tutti. Non sarà un caso se in gran numero hanno votato per Berlusconi, la Lega nord o il Pd.


Una simile flagello, una sbornia simile non si smaltisce in poco tempo. Occorre una vera e propria catarsi. Non penso che nelle settimane che ci dividono dalla definitiva cancellazione dell'Art.18 avremo una palingenesi del vecchio movimento operaio. Di certo questa è la sua ultima trincea.





8 commenti:

The Red ha detto...

1/di/3

LA CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DI PROFITTO

«Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti e le localizzazioni più convenienti e non ha nessun dovere di ricordarsi solo dell’Italia».
(Mario Monti)

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-18/fiat-diritto-scegliere-dove-081127.shtml?uuid=AbRpI29E

Secondo Marx, la società capitalistica è caratterizzata da una tendenza nel lungo periodo alla diminuzione della profittabilità da parte della produzione capitalistica e quindi delle aziende, ossia “ALLA CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DI PROFITTO” (si veda la spiegazione al post seguente).
Come controbilanciamento a questa caduta del saggio di profitto, vi sono, diversi fattori di CONTROTENDENZA.

Ne elenco solo quelli che sono sotto gli occhi di tutti.

1) AUMENTO DEL GRADO DI SFRUTTAMENTO DEL LAVORO: cioè accrescimento del plusvalore, attraverso il prolungamento del tempo di lavoro ( Plusvalore assoluto) e l’intensificazione del lavoro (Plusvalore relativo). Quindi, aumento della quota di lavoro NON PAGATO, ossia il saggio di Plusvalore. E’ ciò che ha fatto Marchionne, verso la produzione rimasta in Italia. Mentre che per la restante produzione, ha delocalizzato in Polonia, Serbia, ecc.

Ma: 2) “LA COMPRESSIONE DEL SALARIO AL DI SOTTO DEL SUO VALORE”, secondo Marx è: “una delle cause più importanti che rallentano la tendenza alla caduta del saggio di profitto”.
Secondo uno studio della Commissione europea del 2007, dal titolo Employment in Europe “nella maggior parte dei paesi UE la quota distributiva del lavoro ha raggiunto un picco nella seconda metà degli anni 70 e nei primi anni 80, successivamente riducendosi a livelli inferiori a quelli antecedenti il primo shock petrolifero”.
Infine secondo una ricerca dell’organizzazione internazionale del lavoro, i salari medi mondiali nel 1995-2007 sono rimasti al di sotto della crescita del Pil.

The Red ha detto...

2/di/3

IN MERITO AL SAGGIO DI PROFITTO

Il valore di una merce, è dato dal lavoro in essa incorporato.
"SOLTANTO IL LAVORO UMANO PUO' CREARE VALORE", e al tempo stesso conservare e sfruttare il valore già incluso nei macchinari (che se nessun lavoratore li facesse funzionare, non soltanto non creerebbero nuovo valore, ma perderebbero anche il valore che posseggono)
E' il lavoro umano a procurare i profitti al capitalista, fornendogli lavoro non pagato (Pluslavoro) ossia, lavoro supplementare rispetto a quello necessario per riprodurre la forza lavoro (cioè lavoro necessario).
Quindi, questo pluslavoro, produce un valore supplementare, un PLUSVALORE cioè.

Marx, definisce la forza lavoro, come "capitale variabile", macchinari e mezzi di lavoro invece, come "capitale costante".

Ora, per mezzo del crescente uso di macchinari (capitale fisso quindi) più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro. Quindi la diminuzione relativa del capitale variabile
(la forza lavoro) in rapporto al capitale costante, fa sì che a parità di condizioni il SAGGIO DI PROFITTO (il rapporto tra il Plusvalore, e il capitale complessivo investito nella produzione) diminuisca.
E' questa in sintesi la legge della CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DI PROFITTO.

Le "CONTROTENDENZE" per contrastare questa legge (che agisce come legge di natura) sono: 1)AUMENTO DEL GRADO DI SFRUTTAMENTO DEL LAVORO; 2)COMPRESSIONE DEL SALARIO AL DI SOTTO DEL SUO VALORE; 3)RIBASSO DEL PREZZO DEGLI ELEMENTI DEL CAPITALE COSTANTE; 4)LA SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA; 5)IL COMMERCIO ESTERO; 6)AUMENTO DEL CAPITALE PRODUTTIVO DI INTERESSE (le attività creditizie e finanziarie)

Ora, si dovrebbe iniziare a capire, perchè, gli industriali nostrani, sono riluttanti ad investire in innovazione tecnologica, ma anzi delocalizzano e comprimono i salari.
Con tutta la manodopera a basso costo, e in eccedenza (SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA) che hanno a disposizione, investono?

The Red ha detto...

3/di/3

L’operaio è di diritto e di fatto uno schiavo della classe abbiente, della borghesia, suo schiavo al punto che viene venduto come una merce e, come una merce, sale e scende di prezzo.
(F.Engels)


L'Europa può contare complessivamente su circa 700mln di abitanti (la metà della Cina, il 60% dell’India) e su una forza di circa 200mln di schiavi, peraltro in parte sindacalizzati e tutelati da leggi. Per limitarsi alla sola Cina, India e Indonesia, questi paesi possono contare sul 40% della popolazione mondiale e almeno 1,5mld di schiavi non sindacalizzati e non tutelati.

Conclusione: la riforma dell'articolo 18, rientra dunque nel quadro della globalizzazione mondiale, come necessità per "flessibilizzare" il mercato degli schiavi in Italia, a livello di quello dei paesi su elencati.
Ed il potere politico e sindacale, mostra ancora una volta, la sua subalternità, alle ragioni e alle necessità del grande capitale, alla cui testa troviamo in Italia, la Confindustria.
Saluti.

P.S.
A mo di esempio: sulle delocalizzazioni in Serbia di tutti i nomi più illustri degli industriali italiani (che chiagneno e fottono), si veda il link seguente:

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/03/12/news/industria_fuga_nei_balcani-31250164/

***
Sulla teoria marxiana del valore-lavoro:
http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_marxiana_del_valore

***
Agli idioti che sostengono che Marx è superato perchè il capitalismo al quale egli rivolgeva la sua analisi era quello inglese del XIX secolo, consiglio il seguente link::
http://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/03/proposito-di-lucio-dalla.html

Domenico Viggiani ha detto...

Condivido al 100%, capita raramente.

Anonimo ha detto...

L'art.18 è l'ultima trincea....e potrebbe anche essere. L'ipotetica avanguardia della sollevazione quale sarebbe, Goracci ?!...che del sistema di corruzione e sussunzione nel sistema capitalistico del "movimento operaio" ha rappresentato un fulgido esempio?!
Quella trincea per voi avrà valore solo se incendierà la prateria......vedremo quanti fuochi accenderà Goracci, dopo aver fatto il pompiere, alla stregua della Cgil e degli altri suoi compagni fino ad oggi ?!
Scrivere cose condivisibili "al 100%" è possibile e fa anche onore....fare cose giuste anche con percentuali più basse è tutta un'altra storia!
....con affetto....dalla "trincea"!

Anonimo ha detto...

Non condivido tanto pessimismo.
Mi sembra che si voglia vedere nero sempre e comunque: addirittura nel disegno di legge al posto del decreto, da questo punto di vista arriviamo al complottismo che tanto critichi caro Moreno.
La situazione è indubbiamente drammatica, ma il disegno di legge, per rimanere nell'esempio citato, da più tempo alla mobilitazione e non è uno dei due punti che citi come prova che stiamo perdendo.
Da ad esempio il tempo di una serie di scioperi. La cgil ha proclamato 16 ore di sciopero. Questo significa che ne avremo almeno 4 il giorno che la legge sarà in parlamento e 8 alla fine nel moneto dell'approvazione definitiva. In mezzo, ci saranno altre 4 ore la camusso dice per le assemblee, ci sarà pare una manifestazione nazionale, ci sarà infine inoltre il 31 marzo il 25 aprile e il 1 maggio. In caso di decreto non saremmo arrivati nemmeno ad aprile.
Quindi, bene le fiammate, ma senza spaccarci il fiato: ci aspetta una lunga marcia maoista o se preferite una primavera araba.
Anche Schifani ha detto di auspicare una votazione entro l'estate. Questo significa che il voto finale sarà a luglio. Dobbiamo fare in quell'occasione un assedio come quello di Genova 2001 o della Grecia.

Libero ha detto...

@ The Red
Sono d'accordo sul fatto che Marx non sia affatto superato, ma non concordo affatto sulle ragioni.
E' stata innanzitutto l'economia classica ad evidenziare che il lavoro dell'uomo, applicato alla Terra (alla Natura), è all'origine fisica dei beni economici e cioè degli oggetti, appunto fisici, che l'uomo produce per soddisfare i propri bisogni. Quelli che socialmente, e quindi con un elevato grado di intersoggettività, vengono valutati come beni economici e quindi oggetti fisici che hanno un valore d'uso socialmente riconosciuto, infatti, non ci piovono dal cielo ma sono appunto prodotti col nostro sforzo psico-fisico, derivano dal dispendio delle nostre energie corporee, mentali e muscolari e questa evidenza basterebbe da sola a giustificare il diritto di chi lavora ad acquisire interamente il prodotto del proprio lavoro e non doverne cedere una parte a chi non ha partecipato psicofisicamente a questa produzione. Fatta questa doverosa precisazione la teoria marxiana del valore lavoro, in quanto teoria finalizzata a dimostrare lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei capitalisti è del tutto graniticamente fondata. Ma questo, sia detto per inciso, nulla ha a che vedere e con le ideali e irreali teorie dei prezzi che si è cercato di costruire in base alla teoria del valore lavoro. Essa, nelle intenzioni di Marx, doveva servire unicamente a spiegare lo sfruttamento e non a spiegare la formazione dei prezzi e quindi i valori di scambio dei beni.
Stupisce, quindi, che l'ultimo Marx, pur essendo perfettamente consapevole del carattere conflittualistico della distribuzione del "prodotto sociale" nell'ambito dell'economia capitalistica, non fosse altrettanto consapevole del carattere altrettanto conflittualistico della determinazione del rapporto di scambio e quindi del prezzo dei singoli "manufatti" e del fatto che tale rapporto è solo in parte determinato dalla quantità di lavoro necessaria alla produzione dei beni scambiati. In realtà, con tutta evidenza, la determinazione del prezzo dei beni è in gran parte determinato da rapporti di forza, da posizioni di dominio e di potere che ben poco hanno a che fare col lavoro necessario alla loro produzione.

Libero ha detto...

Fatta questa precisazione mi soffermo brevemente sulla teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto come formulata da Marx. Il fatto che tutto il valore d'uso, compreso il plusvalore, derivi indubitabilmente dal lavoro dell'uomo non implica affatto che la produzione dei manufatti produca plusvalore in proporzione al maggiore quantità di lavoro utilizzata nella loro produzione, rispetto alla quantità di capitale. Alla luce delle precisazioni prima formulate, non è dato reperire nella teoria del valore lavoro alcun assioma che possa implicare la conclusione che la produzione di manufatti effettuata con alta intensità di capitale e bassa intensità di lavoro fornisca meno plusvalore di quella effettuata con alta intensità di lavoro e bassa intensità di capitale. Questo in considerazione del fatto che la determinazione del profitto, che è una componente del prezzo dei manufatti, ben poco ha a che vedere col la teoria del valore lavoro, che come ho già detto è finalizzata a dimostrare lo sfruttamento e non a determinare i valori di scambio dei beni. Il lavoro umano, che venga effettuato a bassa intensità o ad alta intensità di capitale produce comunque plusvalore e non è dato sapere, nell'ambito della stessa teoria del valore, lavoro se ne produrrà di più o di meno al variare di detta intensità. Inoltre, essendo il prodotto sociale formato sostanzialmente da salari e profitti, la caduta tendenziale del saggio di profitto implica l'aumento tendenziale del saggio di salario. Il chè, evidenzia una contraddizione nello stesso pensiero marxiano. In realtà come ha ampiamente messo in evidenza Giovanni Arrighi nel suo libro Adam Smith a Pechino, la caduta tendenziale del saggio di profitto nei paesi capitalisti è un dato empirico verificato, chiaramente attribuibile, come previsto da Adam Smith,non tanto al conflitto capitale - lavoro quanto al conflitto capitale - capitale e, quindi, alle conseguenti inevitabili crisi di sovraccumulazione cui va incontro il modo di produzione capitalistico.

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