Torniamo ad occuparci del pensiero filosofico di GIovanni Gentile
Sulla questione e dello stessso autore SOLLEVAZIONE ha già pubblicato: FUSARO E LA NOTTE DEL MONDO, ETICA E AUTONOMIA DELLA POLITICA e ANTONIO GRAMSCI E IL GIACOBINISMO.
In conclusione l'autore accenna al legame Gentile-Gramsci, smentendo la tesi sostenuta da Diego Fusaro. Sul pensiero dell'amico Diego Fusaro segnaliamo quanto scrisse Moreno Pasquinelli in CRITICA DEL FUSARO POLITICO.
Hannah Arendt sostiene che Giovanni Gentile come un moderno Filosofo platonico pensa che con la sua filosofia della prassi il filosofo possa trasformare il mondo. La differenza con l’empirismo realistico e neo-aristotelico di Croce è evidente. Croce pensa di contro che un progetto politico possa inverarsi solamente se la congiuntura contestuale e l’accadimento storico lo consentano, poiché anche se le idee fossero giuste ed in linea con lo spirito del tempo bisognerebbe prendere in considerazione l’astuzia degli avversari o la hegeliana astuzia della Ragione.
Gentile considera la intima religiosità o “santità” di una Idea del mondo, pensata intensamente sino al sacrificio o al martirio, non la storia progressiva o il successo materiale, il sigillo mediante cui quella si afferma e trionfa. La conferenza sul carattere religioso dell’idealismo italiano tenuta a Praga il 30 aprile 1935, come gli scritti ed i discorsi gentiliani su “La Religione” con la sua visione sconvolgente della Morte bastano a chiudere qui la questione.
A nostro avviso, senza scomodare il Platone e l’Aristotele dell’Antichità classica, la storia culturale e politico-religiosa italiana ha avuto i suoi padri putativi, i suoi Platone e Aristotele: Savonarola e Machiavelli.
Gli hegeliani di Napoli, dopo il Risorgimento, intesero estendere il loro progetto come la consapevolezza filosofica del Regno d’Italia. Loro obiettivo, nota acutamente Luigi Russo, fu perciò rappresentato dalla conquista culturale del centro tradizionale della cultura e della politica della Penisola: Firenze e la Toscana. Firenze e la Toscana sarebbero diventate, nella prospettiva di Spaventa, il cuore del liberalismo nazionale hegeliano, nuova sintesi di paolottismo e positivismo metodologico. Tale progetto non si attuò.
Stessa sorte fallimentare ebbe del resto il tentativo, panrealistico e neomachiavellico di B. Croce, di contrastare lo statalismo liberale agnostico del Giolitti con un nuovo e più incisivo realismo modernistico, sempre con una fiorentinità rinovellata al centro. Troppo aveva pesato, sullo spirito di Firenze, il fatto che fosse stata l’élite liberale e irrilegiosa piemontese a guidare machiavellicamente il processo risorgimentale, aggravando per molti versi, irresolubilmente, il regresso già forte dei popoli d’Italia.
Fu Gentile, invece, neo-platonico armato e mistico della politica, a conquistare e rinovellare lo spirito politico e religioso di Firenze centro eterno d’Italia (1). Partito dalla natia e venerata Sicilia — e non dalla indistinta ed informe Napoli — con destinazione Pisa, Gentile impose allo spirito toscano, e quindi all’Italia, la definitiva liberazione dalla realpolitik machiavelliana (2). La riforma gentiliana fu per Del Noce la riforma religiosa dello spirito italiano, la riforma del carattere italiano. Essa fu solo formalmente hegeliana. La filosofia del mondo attualista si proponeva come un rinnovamento spirituale totale: riportando al centro del dibattito culturale italia la fazione dei “Piagnoni” che nel Tommaseo aveva trovato il suo massimo esponente e che viveva nel devoto culto di Savonarola, martire semidivinizzato; facendo propria l’esegesi tradizionalistica del Capponi; oltrepassando in senso metafisico ed immanentistico sia lo hegelismo spaventiano sia un certo provvidenzialismo vichiano; leggendo il Rinascimento italiano con la lente del “moralismo” neo-savonaroliano mistico e nazionalpopolare, che così grande influenza aveva esercitato sul Villari.
La filosofia attualista di Gentile è indubbiamente un fenomeno complesso, un unicum nella storia del Novecento. Un fenomeno assolutamente e totalmente italiano. Bene fece Augusto Del Noce a liberare il campo da equivoci di sorta. Per quanto rosminianesimo, giobertismo, hegelismo vi fosse nel filosofare dell’Atto Puro, nel platonismo immanentizzato di Giovanni Gentile con la sua ansia di riforma religiosa del popolo italiano vi sono profonde influenze di un misticismo politico e sociale toscano che non può che rimandare al Frate ferrarese o ancor più ai suoi discendenti.
Spiega bene Del Noce, a differenza di una certa superficialità e leggerezza che caratterizza lo studio di Sergio Romano su “Gentile e la filosofia al potere”, che il presunto liberalismo gentiliano va preso con estrema cautela (3). L’attualismo come filosofia mondiale rivoluzionaria (4) non può che incontrarsi con il pensiero filosofico-religioso mazziniano, antiliberale e antimaterialista, in cui si trovava per il Gentile la forma mistica della filosofia della prassi, il fondamento della rivoluzione idealistica e nazionalpopolare che avrebbe trasformato irriducibilmente il carattere italiano, dando concretezza al “desiderio” platonico, che era per il Nostro anche una necessità storica, del nuovo italiano, dell’uomo nuovo (5).
Antimo Negri, nei suoi profondi studi sull’attualismo gentiliano, ha rilevato come il concetto di Stato etico del filosofo siciliano non subirebbe influenze hegeliane o neo-hegeliane, ma sarebbe frutto di una rielaborazione e attualizzazione del pensiero mistico-politico del Mazzini. La sua stessa volontà finale di andare incontro alla Sconfitta, alla Morte, al Martirio non si può leggere nella prospettiva dell’idealismo hegeliano, sempre razionale e deterministico, ma rimanda chiaramente ad un evidente misticismo italiano, o savonaroliano o mazziniano (es. alla Repubblica Romana del ’49 e alla conseguente sconfitta della fazione mazziniana). Nei suoi scritti su Mazzini Gentile non si stanca di ricorrere all’immagine della “Profezia”: Mazzini sarebbe più che un filosofo, sarebbe stato l’unico statista della storia italiana, sarebbe il veridico e puro continuatore di una tradizione religiosa italiana basata sulla Filosofia Profetica, in quanto solo dal sangue, dal sacrificio, dall’amore verso il martirio potrebbe sbocciare il divino e il sacro nell’immanenza.
In quegli stessi anni Weber descriveva il disincanto di un mondo occidentale che aveva abbandonato ogni prospettiva divina e sacralizzante rilasciandosi a un destino storico grigio ed insensato.
La risposta che daranno da un lato Gentile, dall’altro Croce e, a nostro avviso, Gramsci stesso a questa desertificazione prodotta dal liberalismo capitalistico sarà opposta: per Croce e Gramsci, continuatori della tradizione empiristica aristotelico-machiavelliana, il gioco di specchi e di ombre e la relazione di forze strategiche tra élite potrebbero decidere sul destino dello spirito del tempo, Croce proponendo la terapia sociopolitica di una élite di saggi liberali illuminati e filantropi — che ben poco hanno a che fare con il classico liberalismo europeo — addestrata nello spirito del Segretario fiorentino; Gramsci, in perfetta continuità strategica teorica con lo storicismo di Croce, l’egemonia di una élite progressista e neo-giacobina che liberi le classi subalterne dal ritardo sociale e storico in cui si trovano a causa delle condizioni storiche.
Gentile viceversa, come Mazzini martiriopatico di fronte alla “ignonimia” della definitiva Sconfitta e al trionfo infame e ingiusto di una indegna Italia altra che di italiano avrebbe posseduto solo la forma giuridica, finirà per celebrare in Genesi e Struttura, ben oltre l’umanesimo del Lavoro, il profondo umanesimo del santo mistero della Morte, quanto di più sacralizzante e al tempo stesso politico vi potesse allora essere per un neo-platonico armato che era riuscito, od aveva creduto di riuscire, a riportare l’Italia tutta sotto il dominio dello spirito della Firenze di Savonarola, Tommaseo e Guerrazzi.
NOTE
1) A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Il Mulino 1990, p. 161.
2) Estremamente importanti, forse più dello stesso epistolario Croce Gentile, gli scritti dei filosofi nel contesto della Prima Guerra Mondiale. Se Croce simpatizza chiaramente con lo Stato Maggiore prussiano proprio perché lo spirito del Machiavelli si sarebbe trasferito, tramite Hegel e Clausewitz, in Germania ed in parte nella stessa Austria cattolica gesuitica, Gentile è un avversario della politica imperiale del Kaiser proprio perché machiavellica e diviene già di fatto, molto prima dell’adesione al Fascismo, il teorico più avanguardista del Sindacalismo Rivoluzionario corridoniano, per cui il destino italiano è nel Mediterraneo, ben lungi da germanesimo e occidentalismo wilsoniano, due facce di una medesima medaglia. Prima che Lenin apra definitivamente alla Germania protestante e borghese, il filosofo siciliano non nasconde una certa speranza su un futuro populismo russo, antitedesco e antimaterialista, arrivando a autodefinirsi “più socialista di Lenin e Marx”.
3) A. Del Noce, Op. Cit., p. 237.
4) Ivi, p. 236.
5) Ivi, p. 369.
Sulla questione e dello stessso autore SOLLEVAZIONE ha già pubblicato: FUSARO E LA NOTTE DEL MONDO, ETICA E AUTONOMIA DELLA POLITICA e ANTONIO GRAMSCI E IL GIACOBINISMO.
In conclusione l'autore accenna al legame Gentile-Gramsci, smentendo la tesi sostenuta da Diego Fusaro. Sul pensiero dell'amico Diego Fusaro segnaliamo quanto scrisse Moreno Pasquinelli in CRITICA DEL FUSARO POLITICO.
Hannah Arendt sostiene che Giovanni Gentile come un moderno Filosofo platonico pensa che con la sua filosofia della prassi il filosofo possa trasformare il mondo. La differenza con l’empirismo realistico e neo-aristotelico di Croce è evidente. Croce pensa di contro che un progetto politico possa inverarsi solamente se la congiuntura contestuale e l’accadimento storico lo consentano, poiché anche se le idee fossero giuste ed in linea con lo spirito del tempo bisognerebbe prendere in considerazione l’astuzia degli avversari o la hegeliana astuzia della Ragione.
Gentile considera la intima religiosità o “santità” di una Idea del mondo, pensata intensamente sino al sacrificio o al martirio, non la storia progressiva o il successo materiale, il sigillo mediante cui quella si afferma e trionfa. La conferenza sul carattere religioso dell’idealismo italiano tenuta a Praga il 30 aprile 1935, come gli scritti ed i discorsi gentiliani su “La Religione” con la sua visione sconvolgente della Morte bastano a chiudere qui la questione.
A nostro avviso, senza scomodare il Platone e l’Aristotele dell’Antichità classica, la storia culturale e politico-religiosa italiana ha avuto i suoi padri putativi, i suoi Platone e Aristotele: Savonarola e Machiavelli.
Gli hegeliani di Napoli, dopo il Risorgimento, intesero estendere il loro progetto come la consapevolezza filosofica del Regno d’Italia. Loro obiettivo, nota acutamente Luigi Russo, fu perciò rappresentato dalla conquista culturale del centro tradizionale della cultura e della politica della Penisola: Firenze e la Toscana. Firenze e la Toscana sarebbero diventate, nella prospettiva di Spaventa, il cuore del liberalismo nazionale hegeliano, nuova sintesi di paolottismo e positivismo metodologico. Tale progetto non si attuò.
Stessa sorte fallimentare ebbe del resto il tentativo, panrealistico e neomachiavellico di B. Croce, di contrastare lo statalismo liberale agnostico del Giolitti con un nuovo e più incisivo realismo modernistico, sempre con una fiorentinità rinovellata al centro. Troppo aveva pesato, sullo spirito di Firenze, il fatto che fosse stata l’élite liberale e irrilegiosa piemontese a guidare machiavellicamente il processo risorgimentale, aggravando per molti versi, irresolubilmente, il regresso già forte dei popoli d’Italia.
Fu Gentile, invece, neo-platonico armato e mistico della politica, a conquistare e rinovellare lo spirito politico e religioso di Firenze centro eterno d’Italia (1). Partito dalla natia e venerata Sicilia — e non dalla indistinta ed informe Napoli — con destinazione Pisa, Gentile impose allo spirito toscano, e quindi all’Italia, la definitiva liberazione dalla realpolitik machiavelliana (2). La riforma gentiliana fu per Del Noce la riforma religiosa dello spirito italiano, la riforma del carattere italiano. Essa fu solo formalmente hegeliana. La filosofia del mondo attualista si proponeva come un rinnovamento spirituale totale: riportando al centro del dibattito culturale italia la fazione dei “Piagnoni” che nel Tommaseo aveva trovato il suo massimo esponente e che viveva nel devoto culto di Savonarola, martire semidivinizzato; facendo propria l’esegesi tradizionalistica del Capponi; oltrepassando in senso metafisico ed immanentistico sia lo hegelismo spaventiano sia un certo provvidenzialismo vichiano; leggendo il Rinascimento italiano con la lente del “moralismo” neo-savonaroliano mistico e nazionalpopolare, che così grande influenza aveva esercitato sul Villari.
La filosofia attualista di Gentile è indubbiamente un fenomeno complesso, un unicum nella storia del Novecento. Un fenomeno assolutamente e totalmente italiano. Bene fece Augusto Del Noce a liberare il campo da equivoci di sorta. Per quanto rosminianesimo, giobertismo, hegelismo vi fosse nel filosofare dell’Atto Puro, nel platonismo immanentizzato di Giovanni Gentile con la sua ansia di riforma religiosa del popolo italiano vi sono profonde influenze di un misticismo politico e sociale toscano che non può che rimandare al Frate ferrarese o ancor più ai suoi discendenti.
Spiega bene Del Noce, a differenza di una certa superficialità e leggerezza che caratterizza lo studio di Sergio Romano su “Gentile e la filosofia al potere”, che il presunto liberalismo gentiliano va preso con estrema cautela (3). L’attualismo come filosofia mondiale rivoluzionaria (4) non può che incontrarsi con il pensiero filosofico-religioso mazziniano, antiliberale e antimaterialista, in cui si trovava per il Gentile la forma mistica della filosofia della prassi, il fondamento della rivoluzione idealistica e nazionalpopolare che avrebbe trasformato irriducibilmente il carattere italiano, dando concretezza al “desiderio” platonico, che era per il Nostro anche una necessità storica, del nuovo italiano, dell’uomo nuovo (5).
Antimo Negri, nei suoi profondi studi sull’attualismo gentiliano, ha rilevato come il concetto di Stato etico del filosofo siciliano non subirebbe influenze hegeliane o neo-hegeliane, ma sarebbe frutto di una rielaborazione e attualizzazione del pensiero mistico-politico del Mazzini. La sua stessa volontà finale di andare incontro alla Sconfitta, alla Morte, al Martirio non si può leggere nella prospettiva dell’idealismo hegeliano, sempre razionale e deterministico, ma rimanda chiaramente ad un evidente misticismo italiano, o savonaroliano o mazziniano (es. alla Repubblica Romana del ’49 e alla conseguente sconfitta della fazione mazziniana). Nei suoi scritti su Mazzini Gentile non si stanca di ricorrere all’immagine della “Profezia”: Mazzini sarebbe più che un filosofo, sarebbe stato l’unico statista della storia italiana, sarebbe il veridico e puro continuatore di una tradizione religiosa italiana basata sulla Filosofia Profetica, in quanto solo dal sangue, dal sacrificio, dall’amore verso il martirio potrebbe sbocciare il divino e il sacro nell’immanenza.
In quegli stessi anni Weber descriveva il disincanto di un mondo occidentale che aveva abbandonato ogni prospettiva divina e sacralizzante rilasciandosi a un destino storico grigio ed insensato.
La risposta che daranno da un lato Gentile, dall’altro Croce e, a nostro avviso, Gramsci stesso a questa desertificazione prodotta dal liberalismo capitalistico sarà opposta: per Croce e Gramsci, continuatori della tradizione empiristica aristotelico-machiavelliana, il gioco di specchi e di ombre e la relazione di forze strategiche tra élite potrebbero decidere sul destino dello spirito del tempo, Croce proponendo la terapia sociopolitica di una élite di saggi liberali illuminati e filantropi — che ben poco hanno a che fare con il classico liberalismo europeo — addestrata nello spirito del Segretario fiorentino; Gramsci, in perfetta continuità strategica teorica con lo storicismo di Croce, l’egemonia di una élite progressista e neo-giacobina che liberi le classi subalterne dal ritardo sociale e storico in cui si trovano a causa delle condizioni storiche.
Benedetto Croce e Antonio Gramsci |
Gentile viceversa, come Mazzini martiriopatico di fronte alla “ignonimia” della definitiva Sconfitta e al trionfo infame e ingiusto di una indegna Italia altra che di italiano avrebbe posseduto solo la forma giuridica, finirà per celebrare in Genesi e Struttura, ben oltre l’umanesimo del Lavoro, il profondo umanesimo del santo mistero della Morte, quanto di più sacralizzante e al tempo stesso politico vi potesse allora essere per un neo-platonico armato che era riuscito, od aveva creduto di riuscire, a riportare l’Italia tutta sotto il dominio dello spirito della Firenze di Savonarola, Tommaseo e Guerrazzi.
NOTE
1) A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Il Mulino 1990, p. 161.
2) Estremamente importanti, forse più dello stesso epistolario Croce Gentile, gli scritti dei filosofi nel contesto della Prima Guerra Mondiale. Se Croce simpatizza chiaramente con lo Stato Maggiore prussiano proprio perché lo spirito del Machiavelli si sarebbe trasferito, tramite Hegel e Clausewitz, in Germania ed in parte nella stessa Austria cattolica gesuitica, Gentile è un avversario della politica imperiale del Kaiser proprio perché machiavellica e diviene già di fatto, molto prima dell’adesione al Fascismo, il teorico più avanguardista del Sindacalismo Rivoluzionario corridoniano, per cui il destino italiano è nel Mediterraneo, ben lungi da germanesimo e occidentalismo wilsoniano, due facce di una medesima medaglia. Prima che Lenin apra definitivamente alla Germania protestante e borghese, il filosofo siciliano non nasconde una certa speranza su un futuro populismo russo, antitedesco e antimaterialista, arrivando a autodefinirsi “più socialista di Lenin e Marx”.
3) A. Del Noce, Op. Cit., p. 237.
4) Ivi, p. 236.
5) Ivi, p. 369.
1 commento:
Eos è gentiliano ? Eos è siciliano
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