[ 11 ottobre 2018 ]
La città di Marsiglia è un villaggio in cui sembra impossibile non incontrarsi. O almeno questa è l’idea che sorge spontanea pensando all’improbabile incontro, venerdì 7 settembre, tra Mélenchon e Macron.
LA LOTTA CONTRO IL POPULISMO
E. Macron ha fatto passare il suo messaggio. Ci si era impegnato dagli inizi di settembre e l’incontro con Mélenchon sembra capitare a puntino per dare l’affondo. Il 28 agosto, volando a Copenaghen, per recarsi poi ad Helsinki, il Presidente della repubblica aveva precisato il tema centrale della sua campagna europea, “l’asse dei progressisti” contro “l’asse dei nazionalisti”. Ignorando come scrisse Marx in “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” che “la storia si ripete due volte, la prima come tragedia la seconda come farsa”, Macron vorrebbe uscire dal vicolo cieco nel quale si trova e ripetere il colpo che lo ha portato a vincere le presidenziali. Di fronte all’estrema destra ed al fascismo che lo minaccerebbero, questa sarebbe la sola soluzione. Un gioco di ruoli, nel quale Macron è un vero esperto, è arrivato a confortarlo in questo tentativo. Orban, il capo di stato ungherese, e Salvini hanno così tuonato “l’altro campo, quello degli europeisti, capeggiato da Macron”, un colpo di fortuna per lo stesso Macron che ha risposto “Se hanno voluto vedere in me il loro più acerrimo nemico, hanno ragione… ci sarà una forte opposizione tra nazionalisti e progressisti in Europa” Che cosa dice Mélenchon della situazione all’interno dei diversi paesi in Europa? “Sono molto preoccupato” ha dichiarato il 20 maggio “non smetterò mai di ripetere che in tutta Europa la minaccia è immensa, in Ungheria, in Austria ed in Polonia ci sono fascisti ma sono comparsi anche nel Bundestag ed in Francia…” Ci sono delle similitudini evidenti tra le posizioni di JLM e quelle di Macron. Da notare che le esternazioni di Mélenchon sono meno recenti. Ma lasciamo perdere la data. Quel che conta è l’analisi e le conseguenze che ne dovrebbero logicamente seguire.
UN’ANALISI ERRATA
Lo spettro degli anni ’30 aleggia nei discorsi di Mélenchon e di Macron. Ognuno di loro, a suo modo, ne parla. Macron parla di populismo ogni volta che il popolo cerca di riprendere in mano le proprie sorti. Macron e Mélenchon parlano di razzismo e di xenofobia ogni volta che dei governanti europei esigono politiche migratorie diverse. Macron denuncia il sovranismo che Mélenchon si guarda bene dal rivendicare allorché un governo europeo decide una politica contraria alle esigenze dell’Unione europea e qualificano, come altro punto in comune, di Fascisti, senza distinzione, i governi ungherese, italiano, polacco, l’AFD in Germania, i “democratici” in Svezia, la FPO austriaca, o ancora il governo ceco, slovacco o croato, senza tralasciare, in Francia M. Le Penn ed il FN. L’analisi ancorché succinta delle forze delle forze politiche nominate, smentisce la parola usata sia da Mélenchon che da Macron.
Per quanto siano sgradevoli i rappresentanti di queste formazioni politiche che avanzano in una serie di paesi europei e per quanto siano poco frequentabili, non sono pertanto fascisti contrariamente a come vengono definiti da più parti. Rispondono effettivamente ai criteri di un fascismo che si rispetti? Sono per l’abolizione della democrazia? Al contrario, si vogliono democratici e fanno il gioco delle istituzioni e delle costituzioni che regolano i loro paesi. Rifiutano il suffragio universale? Anzi da lì traggono il loro potere. Un progetto totalitario? In generale, escluso il caso della Polonia, fanno adepti tra i post-sessantottini su una serie di fatti sociali che da noi i media ed alcuni rappresentanti politici metto sulla scala dei valori progressisti. Il responsabile olandese Theo Van Gogh, per esempio, è stato assassinato nel 2004, da un islamista perché denunciava l’immigrazione musulmana in nome dei diritti dei gay e delle donne. La xenofobia? Ma cosa hanno da invidiare a Macron che parla degli italiani, alla Merkel quando parla dei greci o a Mélenchon quando si riferisce ai tedeschi? Tutto questo ha ancora meno senso perché gli aggettivi politici sono utilizzati come insulti e non per ciò che significano.
La città di Marsiglia è un villaggio in cui sembra impossibile non incontrarsi. O almeno questa è l’idea che sorge spontanea pensando all’improbabile incontro, venerdì 7 settembre, tra Mélenchon e Macron.
Per la foto, la sequenza era perfetta [vedi sotto]. Quel che basta per rallegrare la giornata del Presidente della Repubblica, arrivato in città per incontrare A. Merkel, e quella di Mélenchon venuto nella sua circoscrizione. Nell’attuale contesto, contrassegnato dalla crisi di regime, dagli scandali e da una serie di provvedimenti a discapito delle classe popolari, dai giovani ai pensionati passando per i salariati, l’incontro tra i due avrebbe potuto essere se non teso, almeno franco e diretto. Soprattutto dopo che, solo qualche ora prima, Mélenchon aveva accusato Macron,riferendosi alla sua politica sull’immigrazione, “un grande xenofobo”.
Ma, di fronte agli interessi, tutto scompare e lo stesso Mélenchon ha sottolineato che “si sarebbe trattato di una leggera esagerazione dovuta al dialetto marsigliese”. Dopo tutto come lo ha spiegato lo stesso Mélenchon intervistato su questa sua timida posizione nei confronti del Capo di stato, “il rispetto” spinge a “non litigare con il Presidente della repubblica, in un bar, a mezzanotte e mezza”. Ma non è questo il punto. E. Macron ha deciso i ruoli senza che il leader di F.I. discutesse su quello che gli era stato assegnato. Il suo vero avversario è, senza ombra di dubbio, il F.N.! Con J.M.L “abbiamo dei confronti politici, ma non è un mio nemico”. Ancora una volta Mélenchon non prende le distanze, non si smarca, è perfino cortese. Che si tratti di una mancanza di propositi o di un eccesso di fatica? O si tratta piuttosto del risultato di una manovra che condurrebbe sia Mélenchon che FI alla distruzione?
LA LOTTA CONTRO IL POPULISMO
E. Macron ha fatto passare il suo messaggio. Ci si era impegnato dagli inizi di settembre e l’incontro con Mélenchon sembra capitare a puntino per dare l’affondo. Il 28 agosto, volando a Copenaghen, per recarsi poi ad Helsinki, il Presidente della repubblica aveva precisato il tema centrale della sua campagna europea, “l’asse dei progressisti” contro “l’asse dei nazionalisti”. Ignorando come scrisse Marx in “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” che “la storia si ripete due volte, la prima come tragedia la seconda come farsa”, Macron vorrebbe uscire dal vicolo cieco nel quale si trova e ripetere il colpo che lo ha portato a vincere le presidenziali. Di fronte all’estrema destra ed al fascismo che lo minaccerebbero, questa sarebbe la sola soluzione. Un gioco di ruoli, nel quale Macron è un vero esperto, è arrivato a confortarlo in questo tentativo. Orban, il capo di stato ungherese, e Salvini hanno così tuonato “l’altro campo, quello degli europeisti, capeggiato da Macron”, un colpo di fortuna per lo stesso Macron che ha risposto “Se hanno voluto vedere in me il loro più acerrimo nemico, hanno ragione… ci sarà una forte opposizione tra nazionalisti e progressisti in Europa” Che cosa dice Mélenchon della situazione all’interno dei diversi paesi in Europa? “Sono molto preoccupato” ha dichiarato il 20 maggio “non smetterò mai di ripetere che in tutta Europa la minaccia è immensa, in Ungheria, in Austria ed in Polonia ci sono fascisti ma sono comparsi anche nel Bundestag ed in Francia…” Ci sono delle similitudini evidenti tra le posizioni di JLM e quelle di Macron. Da notare che le esternazioni di Mélenchon sono meno recenti. Ma lasciamo perdere la data. Quel che conta è l’analisi e le conseguenze che ne dovrebbero logicamente seguire.
UN’ANALISI ERRATA
Lo spettro degli anni ’30 aleggia nei discorsi di Mélenchon e di Macron. Ognuno di loro, a suo modo, ne parla. Macron parla di populismo ogni volta che il popolo cerca di riprendere in mano le proprie sorti. Macron e Mélenchon parlano di razzismo e di xenofobia ogni volta che dei governanti europei esigono politiche migratorie diverse. Macron denuncia il sovranismo che Mélenchon si guarda bene dal rivendicare allorché un governo europeo decide una politica contraria alle esigenze dell’Unione europea e qualificano, come altro punto in comune, di Fascisti, senza distinzione, i governi ungherese, italiano, polacco, l’AFD in Germania, i “democratici” in Svezia, la FPO austriaca, o ancora il governo ceco, slovacco o croato, senza tralasciare, in Francia M. Le Penn ed il FN. L’analisi ancorché succinta delle forze delle forze politiche nominate, smentisce la parola usata sia da Mélenchon che da Macron.
Per quanto siano sgradevoli i rappresentanti di queste formazioni politiche che avanzano in una serie di paesi europei e per quanto siano poco frequentabili, non sono pertanto fascisti contrariamente a come vengono definiti da più parti. Rispondono effettivamente ai criteri di un fascismo che si rispetti? Sono per l’abolizione della democrazia? Al contrario, si vogliono democratici e fanno il gioco delle istituzioni e delle costituzioni che regolano i loro paesi. Rifiutano il suffragio universale? Anzi da lì traggono il loro potere. Un progetto totalitario? In generale, escluso il caso della Polonia, fanno adepti tra i post-sessantottini su una serie di fatti sociali che da noi i media ed alcuni rappresentanti politici metto sulla scala dei valori progressisti. Il responsabile olandese Theo Van Gogh, per esempio, è stato assassinato nel 2004, da un islamista perché denunciava l’immigrazione musulmana in nome dei diritti dei gay e delle donne. La xenofobia? Ma cosa hanno da invidiare a Macron che parla degli italiani, alla Merkel quando parla dei greci o a Mélenchon quando si riferisce ai tedeschi? Tutto questo ha ancora meno senso perché gli aggettivi politici sono utilizzati come insulti e non per ciò che significano.
Nazionalisti? Sono in generale abbastanza favorevoli all’America ed aderiscono all’Unione europea alla quale rimproverano, senza metterne in causa l’appartenenza, una linea troppo federale e poco democratica, che nega le nazioni, critica difficile da nn condividere. Il razzismo infine? Senza dubbio il razzismo è quello che ha resistito meglio, col passare del tempo, all’eredità storica di ogni nazione. La questione non ha molto di etico ma si inscrive in una realtà economica, politica e sociale. La distruzione delle nazioni sotto i colpi della mondializzazione che i nostri governi approvano ed incoraggiano, distrugge la nazione come quadro di vita comune. L’immigrazione è vista dalla gente comune come una nuova minaccia, aggressione che genera nuove difficoltà. L’opposizione all’immigrazione, che le buone coscienze sintetizzano come opposizione ai migranti, ha delle cause, anche in questo caso, politiche, economiche e sociali con le quali le buone coscienze morali, che qualificano chi si oppone alla migrazione come fascista, hanno poco da spartire. Se l’immigrazione è il metro di giudizio in base al quale vengono distribuiti brevetti di rispettabilità o messe al bando, se la politica in materia d’immigrazione permette di definire il fascismo allora le sorprese non sono finite.
Il governo italiano che guida un paese che ha accolto più di 650000 migranti è molto più democratico del signor Macron che fa controllare i veicoli improvvisando dei check-point alla frontiera con l’Italia. E, spingendoci ai limiti dell’assurdo, è molto più democratico dello stesso Mélenchon che dimentica di proporre all’Aquarius il porto della città della quale è deputato mentre il governo italiano, dopo aver fornito assistenza medica, scorta la stessa verso la Spagna. Se le questioni sociali permettono di qualificare come fascisti gli uni e progressisti gli altri, allora dobbiamo aggiungere alla lista una buona parte degli appartenenti a LR. Allo stesso tempo dovremmo dare al signor Soros il brevetto di rispettabilità così come dovremmo fare per altri rappresentanti del capitale finanziario che vedono nell’immigrazione che incoraggiano, a discapito di paesi depredati da decenni, il nuovo mercato degli anni a venire. I propositi di Macron e Mélenchon sostituiscono un sentimento morale ad una realtà politica. Il fascismo è una forma di dominio del capitale che in una situazione estrema ha bisogno di distruggere fisicamente le organizzazioni operaie, i sindacati, le associazioni, i partiti, i militanti. Nel momento in cui la borghesia non riesce più a smorzare le contraddizioni esplosive della società, sono le bande armate a dover assicurare l’essenziale, la centralizzazione del potere statale, la distruzione delle conquiste operaie, la liquidazione delle associazioni operaie e democratiche, l’annientamento dei sindacati, delle associazioni, dei partiti. Nulla di tutto questo. In Francia, per esempio, il partito socialista ed Hollande, in seguito a l’UMP e Sarkozy e prima di Macron e lo LREM, hanno fatto il lavoro. Per resistere, per durare, per compiere al proprio ruolo, un movimento fascista deve, in più, ottenere il sostegno attivo di una parte significativa del capitale. E’ necessario, prima di prendere il potere, che abbia testato la reale forza delle sue bande armate, delle sue milizie organizzate. Deve aver testato le sue reali capacità nelle prove di forza contro il salariato, contro il mondo operaio. E’ chiaro che nulla di tutto questo convalida gli aggettivi usati sia da Macron che da Mélenchon.
PROGRESSISTI CONTRO FASCISTI?
La conseguenza che domina negli argomenti di Macron, ma anche di Mélenchon, dovrebbe a rigor di logica, spingere a delle convergenze mortali. Gli strateghi di FI rischiano di inciampare. Infatti la storia ci insegna che quando il pericolo fascista è alle porte, i democratici devono, malgrado le possibili divergenze sulle politiche da attuare, unirsi per opporsi alla peste bruna. Questo è per altro il senso della campagna che Macron sta mettendo in atto in vista delle elezioni europee che ha come fine quello di dominare il ventaglio degli oppositori al “totalitarismo”. Non cerca semplicemente di presentare un raggruppamento dei progressisti agli elettori tradizionali di destra o di sinistra, ma, in maniera più amplia si rivolge a tutti coloro che prendono sul serio i discorsi sul pericolo fascista, populista e sovranista. Gli stessi discorsi che fanno gli eletti di FI.
E’ qui che troviamo ora Mélenchon il quale era, ancora poco tempo fa, fermo ad un bivio, mentre ora sembra aver preso una strada senza uscita. In questa lotta immaginaria contro il nemico alle porte, i veri problemi vengono relativizzati. Il piano di austerità in preparazione, di cui qualche indiscrezione come la soppressione di 1600 posti di lavoro al ministero dello sport, danno un ‘idea, la riforma delle pensioni, i nuovi tagli ecc Ovviamente, caso per caso, il leader di FI reagisce, appella alla mobilitazione, condanna. Ma a cosa serve mobilitarsi se il quadro politico non è stabilito? La politica di Macron segue, quado non le anticipa, le regole dettate dalla Comunità europea. Ad un anno dalle elezioni, il quadro dovrebbe essere quello basato sull’esigenza di sovranità nazionale, di difesa della nazione. E non questa tiritera sul fascismo della quale non si capisce bene né la portata né la funzione. Mélenchon è ad un impasse? Com’è possibile non vederlo? Qual è dunque la coerenza politica che ha portato a dilapidare tutto ciò che era stato accumulato da un anno a questa parte? Quando Hamon, in occasione delle presidenziali, aveva propost a Mélenchon un’alleanza, per tentare di nascondere la caduta libera del PS, Mélenchon, giustamente, aveva rifiutato. Ma, a settembre, durante l’Assemblea, il presidente di FI ritorna sulla questione della sua indipendenza. Così, durante L’università estiva di Causa comune a Marsiglia, di fronte ai militanti del PS e dello MRC, dichiara “che finisca questa lunga solitudine che mi ha separato dalla mia famiglia intellettuale ed affettiva…perché tanto calorosi sono stati gli incontri che mi hanno portato alla costruzione di FI, che, cari amici, mi mancate.” Qual è l’idea e fino a dove? Tutto questo ha il sapore di una sinistra socialista ricostituita che ci riporta indietro di trent’anni. Quanto può valere l’argomento della tattica elettorale per giustificare questo tentativo di unirsi a sinistra con coloro la cui politica, l’orientamento ed i programmi, hanno portato questo paese dov’è ed hanno permesso la vittoria di Macron? Mélenchon può pensare che dopo aver fatto le prove, durante le presidenziali, sulla questione nazionale, sia necessario ora dare dei contentini ad altri per allargare il raggruppamento e poi imporre la sua ideologia. Ma questo è illusorio. C’è un’incompatibilità di fondo tra i partigiani di una mondializzazione sociale, di una Unione europea accettabile, progressista ed una Europa democratica che rispetta la sovranità dei popoli e la libertà dele nazioni che decidono di cooperare tra loro.
* Fonte: Pardem
Il governo italiano che guida un paese che ha accolto più di 650000 migranti è molto più democratico del signor Macron che fa controllare i veicoli improvvisando dei check-point alla frontiera con l’Italia. E, spingendoci ai limiti dell’assurdo, è molto più democratico dello stesso Mélenchon che dimentica di proporre all’Aquarius il porto della città della quale è deputato mentre il governo italiano, dopo aver fornito assistenza medica, scorta la stessa verso la Spagna. Se le questioni sociali permettono di qualificare come fascisti gli uni e progressisti gli altri, allora dobbiamo aggiungere alla lista una buona parte degli appartenenti a LR. Allo stesso tempo dovremmo dare al signor Soros il brevetto di rispettabilità così come dovremmo fare per altri rappresentanti del capitale finanziario che vedono nell’immigrazione che incoraggiano, a discapito di paesi depredati da decenni, il nuovo mercato degli anni a venire. I propositi di Macron e Mélenchon sostituiscono un sentimento morale ad una realtà politica. Il fascismo è una forma di dominio del capitale che in una situazione estrema ha bisogno di distruggere fisicamente le organizzazioni operaie, i sindacati, le associazioni, i partiti, i militanti. Nel momento in cui la borghesia non riesce più a smorzare le contraddizioni esplosive della società, sono le bande armate a dover assicurare l’essenziale, la centralizzazione del potere statale, la distruzione delle conquiste operaie, la liquidazione delle associazioni operaie e democratiche, l’annientamento dei sindacati, delle associazioni, dei partiti. Nulla di tutto questo. In Francia, per esempio, il partito socialista ed Hollande, in seguito a l’UMP e Sarkozy e prima di Macron e lo LREM, hanno fatto il lavoro. Per resistere, per durare, per compiere al proprio ruolo, un movimento fascista deve, in più, ottenere il sostegno attivo di una parte significativa del capitale. E’ necessario, prima di prendere il potere, che abbia testato la reale forza delle sue bande armate, delle sue milizie organizzate. Deve aver testato le sue reali capacità nelle prove di forza contro il salariato, contro il mondo operaio. E’ chiaro che nulla di tutto questo convalida gli aggettivi usati sia da Macron che da Mélenchon.
PROGRESSISTI CONTRO FASCISTI?
La conseguenza che domina negli argomenti di Macron, ma anche di Mélenchon, dovrebbe a rigor di logica, spingere a delle convergenze mortali. Gli strateghi di FI rischiano di inciampare. Infatti la storia ci insegna che quando il pericolo fascista è alle porte, i democratici devono, malgrado le possibili divergenze sulle politiche da attuare, unirsi per opporsi alla peste bruna. Questo è per altro il senso della campagna che Macron sta mettendo in atto in vista delle elezioni europee che ha come fine quello di dominare il ventaglio degli oppositori al “totalitarismo”. Non cerca semplicemente di presentare un raggruppamento dei progressisti agli elettori tradizionali di destra o di sinistra, ma, in maniera più amplia si rivolge a tutti coloro che prendono sul serio i discorsi sul pericolo fascista, populista e sovranista. Gli stessi discorsi che fanno gli eletti di FI.
E’ qui che troviamo ora Mélenchon il quale era, ancora poco tempo fa, fermo ad un bivio, mentre ora sembra aver preso una strada senza uscita. In questa lotta immaginaria contro il nemico alle porte, i veri problemi vengono relativizzati. Il piano di austerità in preparazione, di cui qualche indiscrezione come la soppressione di 1600 posti di lavoro al ministero dello sport, danno un ‘idea, la riforma delle pensioni, i nuovi tagli ecc Ovviamente, caso per caso, il leader di FI reagisce, appella alla mobilitazione, condanna. Ma a cosa serve mobilitarsi se il quadro politico non è stabilito? La politica di Macron segue, quado non le anticipa, le regole dettate dalla Comunità europea. Ad un anno dalle elezioni, il quadro dovrebbe essere quello basato sull’esigenza di sovranità nazionale, di difesa della nazione. E non questa tiritera sul fascismo della quale non si capisce bene né la portata né la funzione. Mélenchon è ad un impasse? Com’è possibile non vederlo? Qual è dunque la coerenza politica che ha portato a dilapidare tutto ciò che era stato accumulato da un anno a questa parte? Quando Hamon, in occasione delle presidenziali, aveva propost a Mélenchon un’alleanza, per tentare di nascondere la caduta libera del PS, Mélenchon, giustamente, aveva rifiutato. Ma, a settembre, durante l’Assemblea, il presidente di FI ritorna sulla questione della sua indipendenza. Così, durante L’università estiva di Causa comune a Marsiglia, di fronte ai militanti del PS e dello MRC, dichiara “che finisca questa lunga solitudine che mi ha separato dalla mia famiglia intellettuale ed affettiva…perché tanto calorosi sono stati gli incontri che mi hanno portato alla costruzione di FI, che, cari amici, mi mancate.” Qual è l’idea e fino a dove? Tutto questo ha il sapore di una sinistra socialista ricostituita che ci riporta indietro di trent’anni. Quanto può valere l’argomento della tattica elettorale per giustificare questo tentativo di unirsi a sinistra con coloro la cui politica, l’orientamento ed i programmi, hanno portato questo paese dov’è ed hanno permesso la vittoria di Macron? Mélenchon può pensare che dopo aver fatto le prove, durante le presidenziali, sulla questione nazionale, sia necessario ora dare dei contentini ad altri per allargare il raggruppamento e poi imporre la sua ideologia. Ma questo è illusorio. C’è un’incompatibilità di fondo tra i partigiani di una mondializzazione sociale, di una Unione europea accettabile, progressista ed una Europa democratica che rispetta la sovranità dei popoli e la libertà dele nazioni che decidono di cooperare tra loro.
* Fonte: Pardem
** Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE
6 commenti:
Tranquilli sta a dissimula'!francesco
Insomma un altro ci ha traditi… Questa maledizione sembra che non avrà mai fine. A questo punto confido nella tirchieria dei tedeschi.
La sinistra, ormai, tradisce sempre. E' troppo radicata nell'humus sessantottino da cui prende spunto anche l'iperliberismo. Se sui siti di sinistra si rivendicano le sensibilità del movimento socialista tradizionale, quelle che hanno permesso di organizzare le internazionali, fare le rivoluzioni e costruire l'Unione sovietica, si viene guardati con orrore.
Le uniche forze che abbiano la volontà di opporsi al liberismo sono le destre identitarie. Andando avanti la necessità di scegliere l'uno o l'altro versante, in termini costitutivi e non strumentali, si farà anche per voi sempre più impellente.
caro anonimo che "la sinistra tradisce sempre"
ma di chi parli?
Noi, e con noi molti altri, quando e come avremmo tradito?
va a scrivere certe stronzate qualunquiste su altri blog per decerebrati reazionari.
Nb
Abbiamo pubblicato ciò che hai scritto solo per mostrare quanta spazzatura culturale gira a destra, e quanto profondo e cieco sia l'anticomunismo.
Eppure Melenchon in questo momento è sotto attacco da parte della lobby "no border", da Liberation agli intellettuali "radical" che hanno firmato un manifesto, accusato addirittura di essere "xenofobo" per frasi come "Non sono d’accordo con l’idea che l’immigrazione sia qualcosa di naturale e auspicabile”.
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