[ 1 luglio 2018 ]
Mediterraneo mare di migranti: preoccupazione nella Ue che ne ha discusso a lungo. Cenni anche alle questioni della difesa e dei rapporti Ue/Nato, ma l’argomento sembra di minore interesse, stando ai titoli dei nostri giornali.
Invece andrebbe quanto meno tenuto in considerazione che le questioni si intrecciano
E’ di pochi giorni fa la notizia che il segretario della Nato Stoltenberg ha dichiarato che l’Alleanza è pronta ad impegnarsi sulle coste libiche e che il sostegno dell’Italia sarà bene accetto. E se è vero che dietro alla Nato il Paese che più facilmente si può intravvedere sono gli Usa potrebbe destare un certo interesse il prossimo viaggio di Mr. Conte in quel di Washington per la fine di luglio. Altro argomento che pare relegato alle pagine interne della nostra stampa e dei media, se si fa eccezione per il “solito” Alberto Negri, disturbatore della pubblica quiete.
Quello che comunque non appare per niente è la connessione fattuale tra questione dei migranti e questione militare nel Mediterraneo. Il solo Mario Dinucci, sul Manifesto e senza ombra di smentite, pare essersene accorto.
Veniamo ai fatti. Nell’ambito di quello che viene ormai definito “Mediterraneo allargato”, termine usato dallo stesso Conte nel suo incontro recente con Stoltenberg, si sta registrando un “arco di instabilità”. Esso va dal Mediterraneo centrale al Medio Oriente. Da qui l’importanza della Nato, alleanza sotto comando Usa. Cosa abbia prodotto finora è ben noto: le due guerre contro l’Iraq, le altre due guerre che hanno demolito gli Stati jugoslavo e libico e quella per demolire lo Stato siriano. L’Italia ha partecipato a tutte queste guerre che sono state un elemento fondamentale, anche se non l’unico, della crisi migratoria che stiamo attraversando.
Prova ne sia, rileva Dinucci, che “la nave Trenton della U.S. Navy, che ha raccolto 42 profughi (autorizzati a sbarcare in Italia a differenza di quelli dell’Aquarius), non è di istanza in Sicilia per svolgere azioni umanitarie nel Mediterraneo. Si tratta di una unità veloce (fino a 80 km/h), capace di sbarcare in poche ore sulle coste nord-africane un corpo di spedizione di 400 uomini e relativi mezzi. Forze speciali Usa operano in Libia per addestrare e guidare formazioni armate alleate, mentre droni armati Usa, decollando da Sigonella, colpiscono obiettivi in Libia. Tra poco, ha annunciato Stoltenberg, opereranno da Sigonella anche droni Nato. Essi integreranno l’«Hub di direzione strategica Nato per il Sud», centro di intelligence per operazioni militari in Medioriente, [dove per la cronaca stanziano anche truppe russe], Nordafrica, Sahel e Africa subsahariana”.
Noi di Hub siamo preoccupati solo quando ci si riferisce a quelli destinati ad accogliere morti di fame. Ci piacerebbe che qualcuno allora facesse caso all’Hub, che diverrà operativo in luglio, presso il Comando della forza congiunta Nato, agli ordini di un ammiraglio statunitense. Non per niente le Forze navali degli Stati uniti in Europa hanno il loro quartier generale a Napoli-Capodichino con la Sesta Flotta di stanza a Gaeta, senza parlare della presenza delle Forze navali Usa per l’Africa, integrate dalla portaerei Harry S. Truman, entrata due mesi fa nel Mediterraneo con il suo gruppo d’attacco.
Curiose coincidenze. Il 10 giugno, mentre tutti discutevano sull’accoglienza o meno da riservare ai disperati dell’Aquarius, la flotta Usa, ci segnala Dinucci, “con a bordo oltre 8000 uomini, armata di 90 caccia e oltre 1000 missili, veniva schierata nel Mediterraneo orientale, pronta a colpire in Siria e Iraq. Negli stessi giorni, il 12-13 giugno, faceva scalo a Livorno la Liberty Pride, una delle navi militarizzate Usa, imbarcando sui suoi 12 ponti un altro carico di armi che, dalla base Usa di Camp Darby, vengono inviate mensilmente in Giordania e Arabia Saudita per le guerre in Siria e nello Yemen. Si alimentano così le guerre che…. incrementano i flussi migratori che tanto ci preoccupano. Effetti senza dubbio allarmanti. Più allarmanti ancora le cause che paiono destinate a protrarsi, mentre noi ci adoperiamo a ridurre i “danni”, come chi continua a gettare fuori bordo l’acqua che una falla continua a imbarcare incessantemente.
Cosa è successo a Bruxelles? Già, ce ne stavamo quasi dimenticando. Dicono insigni giuristi che si è suggerito un nuovo regolamento che tenga finalmente conto, come un capitolo a sé, delle persone sbarcate per ragioni di soccorso e del trattamento specifico che va loro riservato. E’ l’ultimo di 12 punti nei quali possiamo trovare di tutto, dalla CONDIVISIONE del problema che fa piacere a noi, assieme a una mancanza di riferimenti al fatto che ci eravamo avocati la regia delle operazioni sotto le coste libiche coi relativi oneri, alla questione dei movimenti secondari che preoccupa Francia e Germania. Al Piano per l’Africa che senza numeri potrebbe essere destinato allo stato di Lilliput. Ai trasferimenti su base volontaria che tanto piacciono a chi li rifuta come i Paesi di Visegrad. Non mancano cenni nemmeno alle sofferenze di Spagna e Balcani e ad ipotesi di piattaforme in Paesi terzi (magari in Kosovo che a chi viene da una guerra ricorderà certo qualcosa di familiare e naturalmente in Paesi africani terzi come il Niger pieno di materie prime che fanno gola).
Il governo pare soddisfatto, come se, di fronte a una sconfitta annunciata, avessimo conseguito un pareggio, che come è noto viene solitamente definito un NULLA di fatto.
Tiriamo avanti e speriamo in Washington. Chissà che Trump, infastidito dal ronzare per l’Africa delle truppe francesi, anche a stretto contatto con quelle americane come, guarda caso, in quel Niger che sta subito a sud della Libia, sia portato a tenerci in qualche considerazione. Lui ha già una portaerei nel Nord Europa, chiamata Gran Bretagna. Averne un’altra al sud potrebbe fargli comodo e qualcuno dalle nostre parti potrebbe pure ricordarsi che il godimento dell’ombrello protettivo della Nato apparteneva al gergo di una certa sinistra. Tanto più se il fronte Ue, che sarebbe poi una Germania afflosciata da beghe interne non pare molto affidabile e nemmeno troppo amichevole con noi nonostante il recente pareggio di cui sopra.
Sì, però in che misura contare sugli Usa? O per meglio dire, a che prezzo ci metteremo sul mercato? Le nostre acque per le loro portaerei e in cambio un amico che ci difende nelle controversie contro i bizzosi dispetti dei cuginetti d’oltralpe in materia di migranti? E magari la promessa che i dazi Usa ci colpiranno meno della Germania, vero bersaglio delle guerre commerciali di Trump.
Mediterraneo mare di migranti: preoccupazione nella Ue che ne ha discusso a lungo. Cenni anche alle questioni della difesa e dei rapporti Ue/Nato, ma l’argomento sembra di minore interesse, stando ai titoli dei nostri giornali.
Invece andrebbe quanto meno tenuto in considerazione che le questioni si intrecciano
E’ di pochi giorni fa la notizia che il segretario della Nato Stoltenberg ha dichiarato che l’Alleanza è pronta ad impegnarsi sulle coste libiche e che il sostegno dell’Italia sarà bene accetto. E se è vero che dietro alla Nato il Paese che più facilmente si può intravvedere sono gli Usa potrebbe destare un certo interesse il prossimo viaggio di Mr. Conte in quel di Washington per la fine di luglio. Altro argomento che pare relegato alle pagine interne della nostra stampa e dei media, se si fa eccezione per il “solito” Alberto Negri, disturbatore della pubblica quiete.
Quello che comunque non appare per niente è la connessione fattuale tra questione dei migranti e questione militare nel Mediterraneo. Il solo Mario Dinucci, sul Manifesto e senza ombra di smentite, pare essersene accorto.
Veniamo ai fatti. Nell’ambito di quello che viene ormai definito “Mediterraneo allargato”, termine usato dallo stesso Conte nel suo incontro recente con Stoltenberg, si sta registrando un “arco di instabilità”. Esso va dal Mediterraneo centrale al Medio Oriente. Da qui l’importanza della Nato, alleanza sotto comando Usa. Cosa abbia prodotto finora è ben noto: le due guerre contro l’Iraq, le altre due guerre che hanno demolito gli Stati jugoslavo e libico e quella per demolire lo Stato siriano. L’Italia ha partecipato a tutte queste guerre che sono state un elemento fondamentale, anche se non l’unico, della crisi migratoria che stiamo attraversando.
Prova ne sia, rileva Dinucci, che “la nave Trenton della U.S. Navy, che ha raccolto 42 profughi (autorizzati a sbarcare in Italia a differenza di quelli dell’Aquarius), non è di istanza in Sicilia per svolgere azioni umanitarie nel Mediterraneo. Si tratta di una unità veloce (fino a 80 km/h), capace di sbarcare in poche ore sulle coste nord-africane un corpo di spedizione di 400 uomini e relativi mezzi. Forze speciali Usa operano in Libia per addestrare e guidare formazioni armate alleate, mentre droni armati Usa, decollando da Sigonella, colpiscono obiettivi in Libia. Tra poco, ha annunciato Stoltenberg, opereranno da Sigonella anche droni Nato. Essi integreranno l’«Hub di direzione strategica Nato per il Sud», centro di intelligence per operazioni militari in Medioriente, [dove per la cronaca stanziano anche truppe russe], Nordafrica, Sahel e Africa subsahariana”.
Noi di Hub siamo preoccupati solo quando ci si riferisce a quelli destinati ad accogliere morti di fame. Ci piacerebbe che qualcuno allora facesse caso all’Hub, che diverrà operativo in luglio, presso il Comando della forza congiunta Nato, agli ordini di un ammiraglio statunitense. Non per niente le Forze navali degli Stati uniti in Europa hanno il loro quartier generale a Napoli-Capodichino con la Sesta Flotta di stanza a Gaeta, senza parlare della presenza delle Forze navali Usa per l’Africa, integrate dalla portaerei Harry S. Truman, entrata due mesi fa nel Mediterraneo con il suo gruppo d’attacco.
Curiose coincidenze. Il 10 giugno, mentre tutti discutevano sull’accoglienza o meno da riservare ai disperati dell’Aquarius, la flotta Usa, ci segnala Dinucci, “con a bordo oltre 8000 uomini, armata di 90 caccia e oltre 1000 missili, veniva schierata nel Mediterraneo orientale, pronta a colpire in Siria e Iraq. Negli stessi giorni, il 12-13 giugno, faceva scalo a Livorno la Liberty Pride, una delle navi militarizzate Usa, imbarcando sui suoi 12 ponti un altro carico di armi che, dalla base Usa di Camp Darby, vengono inviate mensilmente in Giordania e Arabia Saudita per le guerre in Siria e nello Yemen. Si alimentano così le guerre che…. incrementano i flussi migratori che tanto ci preoccupano. Effetti senza dubbio allarmanti. Più allarmanti ancora le cause che paiono destinate a protrarsi, mentre noi ci adoperiamo a ridurre i “danni”, come chi continua a gettare fuori bordo l’acqua che una falla continua a imbarcare incessantemente.
Cosa è successo a Bruxelles? Già, ce ne stavamo quasi dimenticando. Dicono insigni giuristi che si è suggerito un nuovo regolamento che tenga finalmente conto, come un capitolo a sé, delle persone sbarcate per ragioni di soccorso e del trattamento specifico che va loro riservato. E’ l’ultimo di 12 punti nei quali possiamo trovare di tutto, dalla CONDIVISIONE del problema che fa piacere a noi, assieme a una mancanza di riferimenti al fatto che ci eravamo avocati la regia delle operazioni sotto le coste libiche coi relativi oneri, alla questione dei movimenti secondari che preoccupa Francia e Germania. Al Piano per l’Africa che senza numeri potrebbe essere destinato allo stato di Lilliput. Ai trasferimenti su base volontaria che tanto piacciono a chi li rifuta come i Paesi di Visegrad. Non mancano cenni nemmeno alle sofferenze di Spagna e Balcani e ad ipotesi di piattaforme in Paesi terzi (magari in Kosovo che a chi viene da una guerra ricorderà certo qualcosa di familiare e naturalmente in Paesi africani terzi come il Niger pieno di materie prime che fanno gola).
Il governo pare soddisfatto, come se, di fronte a una sconfitta annunciata, avessimo conseguito un pareggio, che come è noto viene solitamente definito un NULLA di fatto.
Tiriamo avanti e speriamo in Washington. Chissà che Trump, infastidito dal ronzare per l’Africa delle truppe francesi, anche a stretto contatto con quelle americane come, guarda caso, in quel Niger che sta subito a sud della Libia, sia portato a tenerci in qualche considerazione. Lui ha già una portaerei nel Nord Europa, chiamata Gran Bretagna. Averne un’altra al sud potrebbe fargli comodo e qualcuno dalle nostre parti potrebbe pure ricordarsi che il godimento dell’ombrello protettivo della Nato apparteneva al gergo di una certa sinistra. Tanto più se il fronte Ue, che sarebbe poi una Germania afflosciata da beghe interne non pare molto affidabile e nemmeno troppo amichevole con noi nonostante il recente pareggio di cui sopra.
Sì, però in che misura contare sugli Usa? O per meglio dire, a che prezzo ci metteremo sul mercato? Le nostre acque per le loro portaerei e in cambio un amico che ci difende nelle controversie contro i bizzosi dispetti dei cuginetti d’oltralpe in materia di migranti? E magari la promessa che i dazi Usa ci colpiranno meno della Germania, vero bersaglio delle guerre commerciali di Trump.
* Fonte: ALGA NEWS
Andiamo avanti, tirando a campare, saltellando, tra la padella e la brace.
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