[ 11 luglio 2018 ]
«Mi dicono tu vuoi uscire dall'euro? Badate che potremmo trovarci in situazioni in cui sono altri a decidere. La mia posizione è di essere pronti a ogni evenienza. (...) Una delle mie case, Banca d’Italia mi ha insegnato a essere pronti non ad affrontare la normalità ma il cigno nero, lo choc straordinario».
Queste parole di buon senso pronunciate ieri da Paolo Savona alle Commissioni riunite di Camera e Senato, hanno scatenato un putiferio. Un coro salmodiante di economisti e politici strillano e seminano il panico. Il colmo è stato raggiunto questa mattina dal deputato piddino Gianfraco Librandi, che sta «valutando l’ipotesi di depositare alla Procura della Repubblica un esposto per verificare se le allusive affermazioni del ministro Paolo Savona costituiscano procurato allarme ai sensi dell’art. 658 del codice penale». Il segno che l'élite eurista, previa campagna di allarmismo e satanizzazione del governo, è pronta a "scatenenare l'inferno".
Sorvoliamo (ci torneremo) sulle specifiche proposte di Savona per far fronte "ad ogni evenienza" — in particolare se la Bce possa davvero "svolgere le funzioni di lender of last resort" (come ogni vera Banca centrale fungere da prestatore di ultima istanza) nel caso di un shock finanziario che farebbe esplodere una crisi di debito.
Il putiferio contro Savona riconferma tre cose in un colpo solo. Primo: mentre all'estero, soprattutto i Germania, si discute senza tabù del "Piano B", in Italia non possiamo farlo, segno evidente che non siamo un Paese sovrano. Secondo: che l'élite nostrana si faccia garante di questo stato di sudditanza mostra fino a che punto è asservita a poteri oligarchici esterni e sia opposta all'interesse nazionale. Terzo: poteri eurocratici ed élite nostrana, saldi nella loro alleanza, si preparano a scatenare l'inferno contro il governo giallo-verde.
Qui sotto l'intervento di Savona, pubblicato in anteprima ieri da SCENARI ECONOMICI.
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IL CIGNO NERO
di Paolo Savona
Il 5 luglio 2018 si è tenuta la prima riunione del Comitato Interministeriale per gli Affari Europei che ha discusso le linee di azione strategica della nostra partecipazione alle iniziative dell’Unione Europea e mi ha autorizzato ad esporle a questo consesso. Le proposte che il Governo è chiamato a discutere entro la fine del 2018, pur presentandosi come un’apertura al miglioramento dell’architettura istituzionale e della politica europee, di fatto rafforzano l’attuale assetto volto a garantire stabilitàmonetaria, finanziaria e fiscale. La stabilità viene considerata presupposto della crescita del reddito e dell’occupazione e non il risultato di un’azione congiunta sui questi due obiettivi. L’orientamento generale è che la crescita vada affidata alle “riforme” da condurre a livello nazionale, in sostanza alla politica dell’offerta, senza venire accompagnate dagli interventi indispensabilisulla domanda aggregata. Le condizioni prevalenti sociali e geopolitiche, nonché la teoria economica e l’esperienza pratica insegnano che da questa impostazione non proviene né un governo degli andamenti ciclici, né una correzione dei difetti strutturali.
Vi è quindi la necessità di decisioni che permettano una stretta connessione tra l’architettura istituzionale e le politiche di stabilità e di crescita se si vuole che il mercato comune e l’euro sopravvivano sul piano del consenso politico che trae alimento nella crescita del benessere economico e sociale dei paesi membri.
Tre esempi di questa necessità di collegare istituzioni e politiche valgano a validare le proposte qui avanzate.
Se alla Banca Centrale Europea non vengono affidati compiti pieni sul cambio, ogni azione esterna all’Eurozona che tocchi il dollaro Usa (ma anche, sia pure in minore misura, altre importanti valute) si riflette sull’euro, senza che l’UE abbia gli strumenti per condurre un’azione diretta di contrasto. Quando anni addietro il mercato valutario internazionale mostrò sfiducia sulla solidità del dollaro Usa, il cambio euro/dollaro balzò in alto
danneggiando le esportazioni europee sensibili al prezzo, incluse ovviamente quelle italiane. Poiché uno dei motori dello sviluppo europeo sono le esportazioni, l’assenza di pieni poteri della BCE sul cambio causa una situazione in cui la crescita dell’economia dell’eurozona risulta influenzata, se non proprio determinata, da scelte o da vicende che accadono fuori dall’Euroarea.
Inoltre, se alla BCE non viene consentito un pieno e autonomo esercizio della funzione di svolgere le funzioni di lender of last resort, indispensabile per una banca centrale, i mercati monetari e finanziari dell’eurozona, in particolare i debiti sovrani, restano esposti ad attacchi speculativi di diversa origine senza che essa possa agire in contrasto. Una tale lacuna si riflette sugli spread dei tassi dell’interesse interni all’eurozona creando disturbi anche gravi alla stabilità finanziaria e fiscale che si trasmettono inevitabilmente alla crescita reale. Se questi attacchi sono alimentati da squilibri strutturali di singole aree, non esistono adeguati meccanismi che li risolvano con decisioni comuni di politica economica.
Infine, se non si prevede una politica della domanda aggregata insieme a quella dell’offerta (le riforme), il mercato comune non è in condizione di uscire dai dualismi interni (divari di produttività) e di fronteggiare gli shock esterni, come dimostrano soluzioni ed esperienze di politica economica affermatisi nel corso del secolo precedente dopo la Grande Crisi del 1929-33 e la Grande Recessione del 2008-2017. In attuazione di questa politica, lo strumento suggerito dalla teoria e storicamente affermatosi è quello degli investimenti che, contrariamente alle spese correnti, hanno la caratteristica dell’una tantum e della facile revocabilità di fronte ad accensioni inflazionistiche da domanda.
Il riconoscimento di questa esigenza politica e strumentale è già stato riconosciuto nell’UE sia con l’Accordo di Lisbona del 2000 per la creazione di una knowledge-based society, dove gli investimenti in innovazioni tecnologiche vennero considerati la variabile cruciale, sia all’atto della nomina della Commissione Juncker il cui programma prevedeva l’attuazione di un piano di investimenti infrastrutturali. Questa politica si è scontrata con l’assenza di mezzi finanziari autonomi dell’UE, ma soprattutto con il rifiuto di conciliare le riforme richieste (la politica dell’offerta) e l’indispensabile politica di stimolo della crescita del reddito e dell’occupazione (la politica della domanda), finendo con il far dominare la seconda dalla prima.
Le dichiarazioni rese ai massimi livelli che l’Italia non intende uscire dall’euro e rispettare gli impegni fiscali hanno rasserenato il mercato, ma lo spread non scende perché il nostro debito pubblico resta esposto ad attacchi speculativi. È pur vero che lo spread resta elevato perché gli operatori attendono di conoscere come il Governo intenda realizzare i provvedimenti promessi all’elettorato dai due partiti che hanno dato vita alla coalizione (soprattutto salario di cittadinanza, flat tax e revisione legge Fornero). La preoccupazione del mercato è che la spesa relativa causi un aumento del disavanzo di bilancio e del rapporto tra debito pubblico e PIL (DP/PIL) usati come indicatori di solvibilità. Giusto o sbagliato che sia, la politica del Governo ne deve tenere conto.
La soluzione di politica economica individuata dal Governo è la seguente. Rilanciare gli investimenti in misura tale da avere una crescita del PIL che consenta di diminuire il rapporto DP/PIL, sincronizzando il ritmo di spesa corrente necessaria per attuare i provvedimenti indicati al ritmo con cui cresce il connesso gettito fiscale. Tecnicamente è possibile, se Governo e Parlamento non mostrano fretta di procedere dal lato della spesa corrente prima che gli investimenti manifestino gli effetti attesi. Il problema non è quindi se attuare o meno le promesse, ma quali siano i modi – e tra questi, i tempi – in cui verranno attuati.
È pur vero che, al di là di un effetto positivo d’annuncio, una spesa per investimenti manifesta in pieno i suoi effetti sul PIL entro un lasso di tempo, riflettendosi in un maggiore deficit di bilancio pubblico. Molto dipende dalla dimensione del moltiplicatore nei settori in cui si vogliono indirizzare gli investimenti per rimuovere le strozzature allo sviluppo. Nel clima che si è determinato sul mercato, occorre governare questo scostamento, il cui fondamento logico e pratico è l’esistenza di un risparmio interno inutilizzato, come testimonia il saldo attivo di parte corrente della nostra bilancia estera. Ovviamente la spesa deve avere caratteristiche dimensionali e temporali precise e presuppone il varo di riforme normative per attivare in pratica le gare di appalto per gli investimenti pubblici e per snellire operativamente quelli privati. Su questo aspetto del problema il Governo sta già operando.
In assenza di pieni poteri di contrasto tempestivo ed efficace da parte della BCE, per evitare che il solo annuncio della spesa si possa riflettere sullo spread BTP-Bund, l’ideale sarebbe che fosse l’UE a chiedere di fare la politica indicata, delimitata nei tempi e nelle dimensioni, che non equivarrebbe alla consueta richiesta di “flessibilità” di bilancio, perché “consueta” non sarebbe. L’UE avrebbe interesse a farlo se si intende riproporre come un’alleanza tra Stati favorevole al progresso economico e sociale, e non solo a un accordo per la stabilità monetaria e finanziaria da imporre ai paesi in difficoltà, che non genera sufficiente crescita.
Chiariti i termini di breve andare, per rendere, come promesso dal programma di Governo, l’Europa diversa, più forte e più equa, le tappe da intraprendere riguardano i modi in cui si raccorda l’architettura istituzionale europea con la necessità di raggiungere gli obiettivi di crescita e di stabilità sui quali i Trattati europei si pronunciano in modo esplicito (si veda, ultimo, l’art. 3 del Trattato di Lisbona del 2007).
L’ideale è muovere verso l’unione politica, dove i cittadini europei hanno pari diritti e doveri. Questa era la finalità perseguita dai Padri Fondatori della Comunità Europea e ribadita negli accordi che si sono susseguiti: costruire una casa comune.
Affinché questo obiettivo non continui ad allontanarsi, è urgente la creazione di una scuola di istruzione e di formazione europea di ogni ordine e grado che, insieme a un comune insegnamento, lasci spazio alle diversità culturali nazionali, un valore da proteggere.Con la Scuola comune europea si statuirebbe su basi omogenee la libera circolazione delle idee insieme aquella delle persone e dei capitali.
Occorre, inoltre, attribuire alla Banca Centrale Europea uno Statuto simile a quello delle principali banche centrali del mondo, dove gli obiettivi di stabilità e di crescita si integrino, e gli strumenti siano i più ampi possibili suggeriti dalla dottrina e sperimentati in pratica; e possano essere esercitati in piena autonomia.
Già questi indispensabili provvedimenti renderebbero l’Europa, oltre che più forte, anche più equa, ma il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe l’attuazione di una politica europea degli investimenti che abbia il duplice scopo di innalzare l’attuale insoddisfacente saggio di crescita reale e di avviare la rimozione dei dualismi di produttività esistenti che minano lo sviluppo socio-economico e la stessa efficacia della politica monetaria comune. Per raggiungere questo risultato occorre uscire dai vincoli finanziari del bilancio europeo che non generano spinte autopropulsive e ricorrere a meccanismi capaci di imprimere una spinta esogena alla domanda, ricorrendo ai finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti come esplicitamente previsto dagli accordi di Maastricht; o ricorrere a forme analoghe, come la concessione di garanzie, già favorevolmente sperimentate dalle principali agenzie finanziarie pubbliche internazionali.
Nel corso della riunione del CIAE sono stati approfonditi anche altri specifichi temi oggetto dell’impegno europeo che verranno approfonditi nel corso dei prossimi incontri, molti dei quali riguardano le raccomandazioni che la maggioranza parlamentare ha indirizzato al Governo nel corso delle assemblee del 27 giugno. Questi approfondimenti potranno beneficiare dell’avvio operativo del Comitato Tecnico di Valutazione composto dai rappresentanti dei Ministeri competenti, anch’esso previsto dalla L. 234/2012 che regola il CIAE, la cui costituzione è in corso presso il Dipartimento.
1 commento:
Alla lista degli oligarchi euristi e ai Quisling nostrani vanno inclusi a pieno titolo gli utili idioti di quella che ancora si autoproclama "sinistra radicale".
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