[ 20 giugno 2018 ]
Cosa ci dice in sostanza Magris? Che in un contesto ad economia neoliberista ed ideologicamente individualista, i diritti sociali d'eguaglianza tendono a ridursi progressivamente — perché in contrasto con la logica stessa di un sistema che punta al massimo profitto — mentre i diritti civili a buon mercato ("più facili da ottenere e di maggior effetto mediatico") tendono a dilatarsi. Ci dice poi che le sinistre "nell’impossibilità di realizzare quei diritti sociali, che pure erano fondanti per la loro ideologia, finiscano per privilegiare i diritti civili", tacciando con disprezzo e non comprendendo le esigenze del popolo lavoratore impoverito, che quindi non può fare altro che rivolgersi ai "populisti"
Cosa ci dice in sostanza Magris? Che in un contesto ad economia neoliberista ed ideologicamente individualista, i diritti sociali d'eguaglianza tendono a ridursi progressivamente — perché in contrasto con la logica stessa di un sistema che punta al massimo profitto — mentre i diritti civili a buon mercato ("più facili da ottenere e di maggior effetto mediatico") tendono a dilatarsi. Ci dice poi che le sinistre "nell’impossibilità di realizzare quei diritti sociali, che pure erano fondanti per la loro ideologia, finiscano per privilegiare i diritti civili", tacciando con disprezzo e non comprendendo le esigenze del popolo lavoratore impoverito, che quindi non può fare altro che rivolgersi ai "populisti"
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Totalitarismo vestito da libertà
L’ossessione dei numeri, la trappola della quantificazione. E i veri diritti svaniscono. In un volume edito da La Nave di Teseo l’economista affronta le contraddizioni dell’oggi
Lo sguardo dell’osservatore è spesso condizionato dal suo punto di vista, ma Francesco Magris, docente all’Università di Tours (Francia), dimostra che la visione di un economista può essere a tutto campo. Il suo libro, Libertà totalitaria (La Nave di Teseo) esamina ogni aspetto della nostra contemporaneità — dalla politica alla meritocrazia — evidenziando gli elementi di criticità di maggior rilevanza sociale.
In particolare la questione dei diritti e la quantificazione dell’esistenza. Sui diritti si è discusso a lungo, ma Magris pone l’accento sul diverso esito dei diritti civili e dei diritti sociali. Di solito confusi in un unico ambito, subiscono ora una drastica differenziazione, dove i diritti civili superano di gran lunga quelli sociali. La causa risiede nel costo economico dei secondi (uguaglianza, tutela del lavoro, salari adeguati, pensioni dignitose), mentre ai diritti civili basta una firma. Unioni civili, maternità assistita, eutanasia comportano sì una presa di coscienza culturale, a fronte di un processo di sensibilizzazione collettiva, ma senza alcun costo.
Accade così che i partiti politici, soprattutto di sinistra, nell’impossibilità di realizzare quei diritti sociali, che pure erano fondanti per la loro ideologia, finiscano per privilegiare i diritti civili. Più facili da ottenere e di maggior effetto mediatico. I progressisti rispondono con disprezzo a coloro che si sentono discriminati e non protetti, magari tacciandoli di razzismo. Deludendo e non comprendendo le esigenze di un elettorato impoverito, che trova invece ascolto nelle istanze populiste.
Così il populismo raccoglie la protesta e colma il vuoto lasciato dalle sinistre, ma lo fa solleticando gli istinti meno nobili, benché vitali per la sopravvivenza, alla ricerca di un consenso facile e privo di spirito etico.
L’economista non manca di segnalare il cambiamento delle politiche, la cui responsabilità sociale è innegabile: da una prassi d’ispirazione keynesiana dove l’inflazione era strumentale per accrescere l’occupazione e i profitti delle imprese (giocando sull’illusione monetaria che i salari potessero mantenere valore nel tempo), si è passati a una politica deflazionista all’indomani della crisi del petrolio degli anni Settanta. Resa necessaria a causa di un eccessivo indebitamento pubblico, questa politica «difensiva», confortata dal pensiero neoliberista, spinge a ridurre l’intervento dello Stato nei servizi, determina la fine del welfare e fa sì che la crescita della moneta influisca solo sul livello dei prezzi, ma non sui consumi né tantomeno sulla produzione o l’occupazione. Un’operazione di politica economica che è stata chiamata «crisi».
«S’invoca un radicale riorientamento della politica monetaria — osserva Magris — ispirata ora a rigorosi criteri prudenziali con scarsi margini di discrezionalità, che una politica anticongiunturale, invece, necessariamente richiede».
Alla radice di questa mutazione dei valori, osserva Magris, sta la spinta verso un esasperato individualismo. Si assiste all’affermazione di una sorta di «relativismo etico», in cui ogni opinione è rispettabile quanto l’altra e tutte hanno pari dignità, sicché ogni aspirazione, ogni desiderio del singolo rischia di diventare un diritto. La tendenza a porre l’individuo al di sopra della società — esaltando le peculiarità e le esigenze del singolo — è aggravata da un processo di classificazione e quantificazione dell’esistenza, delle persone, dei bisogni e delle aspirazioni.
Si misurano con valori matematici le attività professionali (dai medici ai docenti universitari), in una corsa a fare della quantità il principio distintivo, seguendo criteri di frequenza, assiduità, produzione e citazione. Così l’eccellenza prescinde dalla qualità, che non si misura in cifre o a peso: sembra questo un criterio oggettivo, affrancato da ogni possibilità di manipolazione, contaminazione o preferenza soggettiva. Ma si dimentica (o si finge di dimenticare) quanto sia facile falsificare i numeri e implementare le citazioni attraverso il gioco dei riferimenti reciproci. Individualizzazione, quantificazione, oggettivazione, assieme alla prevalenza dei diritti civili, danno l’impressione di godere di un’ampia libertà, garantita da una serie infinita di regole, requisiti, condizioni. In realtà, denuncia Magris non senza amarezza, siamo di fronte a un totalitarismo strisciante, che si nasconde dietro il paravento di libertà formali. Un vero totalitarismo della libertà che consuma la nostra esistenza.
In particolare la questione dei diritti e la quantificazione dell’esistenza. Sui diritti si è discusso a lungo, ma Magris pone l’accento sul diverso esito dei diritti civili e dei diritti sociali. Di solito confusi in un unico ambito, subiscono ora una drastica differenziazione, dove i diritti civili superano di gran lunga quelli sociali. La causa risiede nel costo economico dei secondi (uguaglianza, tutela del lavoro, salari adeguati, pensioni dignitose), mentre ai diritti civili basta una firma. Unioni civili, maternità assistita, eutanasia comportano sì una presa di coscienza culturale, a fronte di un processo di sensibilizzazione collettiva, ma senza alcun costo.
Accade così che i partiti politici, soprattutto di sinistra, nell’impossibilità di realizzare quei diritti sociali, che pure erano fondanti per la loro ideologia, finiscano per privilegiare i diritti civili. Più facili da ottenere e di maggior effetto mediatico. I progressisti rispondono con disprezzo a coloro che si sentono discriminati e non protetti, magari tacciandoli di razzismo. Deludendo e non comprendendo le esigenze di un elettorato impoverito, che trova invece ascolto nelle istanze populiste.
Così il populismo raccoglie la protesta e colma il vuoto lasciato dalle sinistre, ma lo fa solleticando gli istinti meno nobili, benché vitali per la sopravvivenza, alla ricerca di un consenso facile e privo di spirito etico.
L’economista non manca di segnalare il cambiamento delle politiche, la cui responsabilità sociale è innegabile: da una prassi d’ispirazione keynesiana dove l’inflazione era strumentale per accrescere l’occupazione e i profitti delle imprese (giocando sull’illusione monetaria che i salari potessero mantenere valore nel tempo), si è passati a una politica deflazionista all’indomani della crisi del petrolio degli anni Settanta. Resa necessaria a causa di un eccessivo indebitamento pubblico, questa politica «difensiva», confortata dal pensiero neoliberista, spinge a ridurre l’intervento dello Stato nei servizi, determina la fine del welfare e fa sì che la crescita della moneta influisca solo sul livello dei prezzi, ma non sui consumi né tantomeno sulla produzione o l’occupazione. Un’operazione di politica economica che è stata chiamata «crisi».
Francesco Magris |
«S’invoca un radicale riorientamento della politica monetaria — osserva Magris — ispirata ora a rigorosi criteri prudenziali con scarsi margini di discrezionalità, che una politica anticongiunturale, invece, necessariamente richiede».
Alla radice di questa mutazione dei valori, osserva Magris, sta la spinta verso un esasperato individualismo. Si assiste all’affermazione di una sorta di «relativismo etico», in cui ogni opinione è rispettabile quanto l’altra e tutte hanno pari dignità, sicché ogni aspirazione, ogni desiderio del singolo rischia di diventare un diritto. La tendenza a porre l’individuo al di sopra della società — esaltando le peculiarità e le esigenze del singolo — è aggravata da un processo di classificazione e quantificazione dell’esistenza, delle persone, dei bisogni e delle aspirazioni.
Si misurano con valori matematici le attività professionali (dai medici ai docenti universitari), in una corsa a fare della quantità il principio distintivo, seguendo criteri di frequenza, assiduità, produzione e citazione. Così l’eccellenza prescinde dalla qualità, che non si misura in cifre o a peso: sembra questo un criterio oggettivo, affrancato da ogni possibilità di manipolazione, contaminazione o preferenza soggettiva. Ma si dimentica (o si finge di dimenticare) quanto sia facile falsificare i numeri e implementare le citazioni attraverso il gioco dei riferimenti reciproci. Individualizzazione, quantificazione, oggettivazione, assieme alla prevalenza dei diritti civili, danno l’impressione di godere di un’ampia libertà, garantita da una serie infinita di regole, requisiti, condizioni. In realtà, denuncia Magris non senza amarezza, siamo di fronte a un totalitarismo strisciante, che si nasconde dietro il paravento di libertà formali. Un vero totalitarismo della libertà che consuma la nostra esistenza.
2 commenti:
Giusto ma non c'è bisogno di Magris per saperlo, lo potevo dire pure io.
"Si misurano con valori matematici le attività professionali (dai medici ai docenti universitari), in una corsa a fare della quantità il principio distintivo"
Questo ossessivo uso distorto della matematica e una caratteristica dello scientismo del pensiero liberista in cui viviamo. Lasciare tutto all'oggettività della matematica in modo che tutte le controversie si regolino da sole senza l'intervento umano che è intrinsecamente corrotto.
Ad esempio le varie soluzioni al problema della disoccupazione, come il basic income o il lavoro garantito della MMT, si pongono il problema: la paga deve essere non troppo alta altrimenti tutti si licenziano e prendono il basic income o il lavoro garantito. In entrambe le proposte la soluzione del problema è delegata alla matematica in modo che la domanda e l'offerta di lavoro possano incontrarsi da sole senza interferenze esterne, che è seguire il principio liberista. Se invece si stabilisse che a chi perde il lavoro viene fornita temporaneamente una indennità di disoccupazione, magari anche uguale allo stipendio che aveva, fino a quando non lo riesci allocare su altro posizione stabile il problema non si pone.
Se gli do un indennità pari ad uno stipendio perché dovrebbe accettare un lavoro? La risposta è semplice: perché non può rifiutare. Devi però costruire le regole (e le istituzioni, questo è lo spazio del partito del lavoro) che governano il modo in cui viene riallocato, quale tipo di lavoro lui può o non può rifiutare. Chi ha già un lavoro perché non si licenzia? Semplice, perché non gli consenti di accedere all'indennità in maniera arbitraria abusando dell'ammortizzatore sociale. Se si vuole licenziare lo fa (altrimenti è schiavitù) ma niente indennità affinché non abusi dell'ammortizzatore. Se vuole essere trasferito faccia richiesta e se ne può discutere ma è un altra cosa. Certo la questione è più complessa di queste poche righe, non pretendo di essere esaustivo, ma ciò non costituisce ragione sufficiente per delegare tutto alla matematica.
Sembra troppo rigido? Io non credo. Fintanto che è al lavoro ha un obbligo, quello di presentarsi regolarmente e svolgere il suo lavoro. Che sia cameriere in un albergo o un insegnante di scuola ha degli obblighi ai quali non può sottrarsi che sono regolati dal relativo CCNL. Ed ovviamente non è l'agenzia per l'impiego che vorrebbe Di Maio e che crea il "lavoratore squillo".
Non dico che la matematica debba essere del tutto estromessa. Ad esempio nel periodo in cui non lo si riesce a ricollocare su un posizione stabile lo si potrebbe lasciar libero di scegliere fra un lavoro garantito temporaneo, ad esempio di un anno, con mansione magari diversa (ma non eccessivamente) dalla sua a pieno stipendio oppure una indennità per un anno ma opportunamente inferiore allo stipendio che aveva.
Quel che intendo dire è che lasciare il problema alla sola matematica è il modo di operare con cui i liberismo fa sì che domanda ed offerta, di qualsiasi cosa, si incontrino da sole. Governare i fenomeni lasciando che la matematica possa eventualmente svolgere un ruolo parziale nel regolamentare le cose è la via per allontanarsi dal liberismo.
Ho qualche altra cosa da aggiungere ma lo faccio più tardi, così separo i commenti.
Giovanni
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