[ 10 marzo 2018 ]
Si erano appena chiuse le urne e registrato il terremoto elettorale che questo blog ha ospitato quelli che ci sono sembrati i commenti più sensati. Ci sembra che l'essenziale sia stato detto da Leonardo Mazzei: nelle urne si è riversata una vera e propria rivolta sociale e politica; la casta eurista è stata travolta; la maggioranza degli italiani chiede una svolta e per questo ha premiato i cosiddetti "populisti". Discutiamo adesso del dopo-elezioni e del che fare. La parola a Moreno Pasquinelli, che si chiede....
Nel nuovo Parlamento i vituperati (dai poteri forti) "populisti" hanno la maggioranza dei seggi. Potrebbero decidere di allearsi per formare il nuovo esecutivo. Invece che abbiamo? Abbiamo la commedia per cui sia Di Maio che Salvini, terrorizzati all'idea di governare assieme, invocano il salvagente del Pd. Perché lo fanno? Lo fanno perché sanno che i poteri forti, euro-oligarchie in primis, si metterebbero di traverso. Come ha affermato il Consiglio nazionale di P101:
* * *
«Le élite, nel tentativo di conservare ben salde nelle loro mani le decisive leve del potere, dovranno evitare che l’instabilità italiana diventi benzina sul fuoco della crisi europea, tenteranno quindi in ogni modo di addomesticare questi populismi, sterilizzando le spinte antieuriste che li hanno portati alla vittoria. Condividere coi populismi (quantomeno uno dei due) la stanza dei bottoni è un prezzo che le élite sono disposte a pagare non solo per evitare pericolosi scossoni, ma perché sanno che questa è la terapia per corromperli e quindi neutralizzarli».
Il disegno di chi comanda davvero è chiaro: essi vogliono sterilizzare M5S e/o Lega, usarli come salvagente del sistema, quindi farli entrare in un governo in cui il pallino resti nelle mani del PD —che per loro è la garanzia che non si uscirà dal seminato (ordoliberista).
Domanda: ci conviene che si realizzi il disegno dei poteri?
Risposta: NO!
Dalla prima domanda ne discende una seconda che so potrà suonare provocatoria o addirittura pazzesca: NON SAREBBE MEGLIO CHE M5S E LEGA FORMINO IL GOVERNO?
Risposta: SÌ, sarebbe meglio.
Questo augurio non viene dall'emozione di un momento ma è frutto di ragionamenti più profondi che andiamo facendo da tempo. Per dimostrarlo ritengo doveroso pubblicare quanto scrissi nell'ottobre 2016, alle porte del decisivo referendum del 4 dicembre, di cui il terremoto elettorale è figlio legittimo.
L’indegna capitolazione delle sinistre ai poteri oligarchici (ultimo caso quello di SYRIZA in Grecia), la debolezza senza precedenti dei movimenti socialisti, non significa affatto che non crescano tra le larghe masse il disprezzo per le élite dominanti e l’opposizione ai regimi oligarchici. Entrambi vanno anzi crescendo in maniera esponenziale in numerosi paesi, tra cui il nostro. Un’opposizione che assume tuttavia forme minimaliste inadeguate, insipienti, spesso inquietanti. Poteva essere diverso dopo che quasi due generazioni sono state cresciute a pane, valori neoliberisti, edonismo consumistico, allucinazioni mediatiche e incantesimi tecno-scientifici? No che non poteva essere diverso.
Le élite intellettuali al servizio dei regimi oligarchici, nel tentativo di azzoppare questa nuove opposizioni, hanno lanciato contro l’anatema, le hanno bollate con quello che per Lorisgnori è un marchio d’infamia: “populismo”, “antipolitica”. Non ci facciamo intruppare nella compagnia del “politicamente corretto”, non commetteremo l’errore in cui ci vuole spingere l’élite dominante, di fare di tutt’erba un fascio. Dovremo anzi ben distinguere il grano dal loglio. Questi populismi hanno infatti forme e nature le più diverse. Alcuni di essi, i neofascisti camuffati, i partiti che mescolano xenofobia e neoliberismo, sono nostri nemici. Altri hanno un segno democratico, raccolgono, seppure in modo distorto e incompiuto, l’eredità anticapitalista e libertaria della sinistra che fu. Per loro natura instabili essi non solo sono destinati a crescere, fino a salire al potere in diversi paesi, attivano forze e soggetti sociali dalla cui fermentazione e maturazione potrebbero venire le energie necessarie per realizzare i cambiamenti che ci auspichiamo.
Occorre fare i conti coi populismi, imparare la lezione che da essi ci viene. Il loro dilagare è la conseguenza della crisi sistemica, della pauperizzazione generale, della compiuta degenerazione oligarchica del sistema, della disperazione che viene dalla sensazione che andrà peggio. I populismi sono la manifestazione del divorzio oramai consumato tra la maggioranza dei cittadini e le élite politiche neoliberiste nelle due varianti conservatrice e progressista —di qui il tramonto dei sistemi politici bipolari. Ciò che spiega il tratto caratteristico di tutti i populismi: il considerarsi oltre la dicotomia destra-sinistra. Un paradigma politico che oltre ad essere il risultato di un intero periodo di peana post-ideologici è anche, ove non sia un’abile stratagemma demagogico, segno inconfondibile della base sociale interclassista di suddetti populismi. Sarebbe vano fare gli esorcismi a questo interclassismo, prodotto delle profonde trasformazioni sociali causate dal lungo ciclo neoliberista (la metafora della “società liquida” post-fordista), esso è il precipitato dell’implosione del movimento operaio, la classe operaia essendo anzi diventata simbolo di un mondo morente. In questo interclassismo populista, connesso com’è al richiamo alle identità nazionali e comunitarie, alla richiesta di Stato come tutore e garante di diritti e sicurezza sociale, v’è un lato che dobbiamo saper apprezzare: esso è fattore di resistenza alla globalizzazione, una reazione ai suoi effetti paralizzanti di spaesamento, di rigetto, per quanto imperfetto della narrazione neoliberista.
Defunto il dogma della missione salvifica e teleologica della classe operaia, richiamandoci alle riflessioni gramsciane sulla egemonia e cultura nazionale popolare, noi vogliamo riappropriarci del concetto di popolo per risignificarlo non solo in quanto oggetto della nostra azione ma come soggetto delle grandi trasformazioni sociali di cui la società abbisogna e di cui è gravida. Essendo la via d’accesso a queste trasformazioni sbarrata dai poteri oligarchici, che infatti procedono rafforzando la spessa corazza difensiva che li protegge, i popoli si vedranno obbligati ad aprire una breccia, a sfondare le linee nemiche. La collisione tra chi sta sotto e chi sta sopra è inevitabile. Nei prossimi anni si decide chi, nel campo di chi sta sotto, sarà alla testa della riscossa sociale, se quindi lo sbocco sarà una rivoluzione democratica o, all’opposto, reazionario.
Noi che vogliamo tenere alta la fiaccola del socialismo, di un sistema che funzioni non nell’interesse di pochi ma per il bene comune e assicuri l’eguaglianza sociale nello stato di diritto, abbiamo responsabilità storiche. Non lasceremo cadere questa bandiera a causa degli enormi ostacoli sulla nostra strada. Non c’è altra possibilità che la lotta, che per produrre effetti deve essere fondata su una strategia adeguata che punti all’egemonia, alla conquista della maggioranza. Per questo, a maggior ragione perché questa battaglia è impari, dobbiamo organizzarci, dotarci degli strumenti adeguato per convincere i cittadini, la gioventù anzitutto, ad attivarsi, a venire dalla nostra parte.
Possiamo oramai prendere atto, di contro alle illusioni movimentiste e operaiste, che la crisi sistemica ha agito come una forbice: più venivano alla luce le crepe ed i limiti congeniti del capitalismo, più erano potenti i fattori che inibivano i conflitti sociali. Davanti ad una crisi sistemica grandi masse non si gettano nella mischia se non vedono un’alternativa (la sindrome di T.I.N.A.), tantomeno i lavoratori possono credere, con ai cancelli milioni di disoccupati che premono, nell’efficacia dei tradizionali metodi di lotta sindacali.
Amiamo la ribellione sociale ma non siamo ribellisti. Accendere scintille è legittimo, ma l’incendio della prateria dipende dal venire a maturazione di condizioni oggettive, Proprio ora questa condizioni vanno maturando: chi sta sopra non più a governare come prima, mentre la moltitudine che sta sotto non vuole più vivere come prima. In quanto minoranza creativa è nostro compito ridare lustro e credibilità alla visione socialista del mondo, ma esso può essere perseguito solo se, stando coi piedi ben piantati nel campo popolare, sapremo diventare il lievito di un’opposizione sociale più matura e avanzata. Bisogna tenere assieme ed in maniere innovative teoria e prassi, con i gesti e l’esempio dimostrare che abbiamo grandi ideali ma non siamo utopisti. Entriamo in tempi duri che premieranno la coerenza morale e la saldezza di principi, che daranno forza a chi saprà scovare l’ordine nel disordine, che chiederanno coraggio e disciplina nell’azione. Tempi che chiedono già oggi flessibilità tattica e fermezza strategica. La consapevolezza che occorre aggiornare metodi, linguaggi e lessico della battaglia politica non fa venir meno che la funzione peculiare di un movimento politico resta quella di dare forma compiuta ad un blocco sociale, ad un fronte popolare in grado di vincere e prendere in mano le redini del Paese.
Per quanto numerose siano le condizioni per conformare un blocco sociale antioligarchico egemonico, quattro sono e restano quelle assolutamente necessarie: (1) che esista nella società una maggioranza disposta al cambiamento nella giustizia sociale; (2) che questa maggioranza sociale, per quanto in forma incompiuta, sia rappresentata politicamente in movimenti antioligarchici; (3) che i movimenti politici che rappresentano questa maggioranza siano disposti a fare blocco per salire al governo per portare fuori il Paese dal marasma; (4) che essi, o anche solo quello dominante, abbiano una visione chiara dei compiti, ovvero un programma di governo che indichi le misure principali per guidare il Paese nel difficile passaggio, in quello che sarà a tutti gli effetti uno “Stato d’eccezione”.
Di queste tre condizioni la prima è presente, la seconda avanzante, la terza latente, la quarta assente.
Se uniamo le nostre forze è per costruire un soggetto politico che acceleri la formazione di questo blocco sociale embrionale e ne diventi il lievito, affinché possa avere la potenza necessaria è la forma adeguata. Se uniamo le nostre forze è infine perché noi sentiamo di poter svolgere una funzione importante affinché questo blocco prenda possesso della condizione oggi mancante, quella programmatica.
Portiamo in dote e mettiamo a disposizione del blocco popolare, la nostra esperienza, i nostri saperi, le nostre idee, le nostre proposte. Abbiamo l’ambizione, unendoci, di allestire un luogo che riesca ad indirizzare centinaia e migliaia di attivisti, che possa fungere da officina ove educarli e se necessario rialfabetizzarli.
VERSO UN GOVERNO POPOLARE D’EMERGENZA PER SALVARE IL PAESE
Che non si esce dal marasma senza una svolta radicale e profonda inizia a diventare senso comune. Cresce la consapevolezza che occorre andare alla radice della crisi del sistema, attuando nel nostro paese grandi trasformazioni economiche, sociali, politiche e istituzionali. Si diffonde la coscienza che queste trasformazioni saranno possibili solo con una svolta radicale, che la sovranità nazionale è il primo dei beni comuni, uscendo dalla gabbia dall’Unione europea. Vi è ancora chi considera l’uscita dall’Unione europea e l’abbandono dell’euro come idee velleitarie ed estremistiche. E’ vero esattamente il contrario. Il disfacimento dell’Unione europea e la fine dell’euro sono processi oggettivi, oramai irreversibili. Velleitari sono coloro che s’illudono di fermare queste tendenze facendo gli esorcismi, mettendo toppe che sono peggiori del buco. Estremisti sono gli oligarchi di Francoforte e Bruxelles ed i loro sodali nostrali, disposti a dissanguare i popoli pur di tenere in vita una moneta moribonda e ingrassare la nuova aristocrazia finanziaria. Il problema non è se abbandonare l’euro o meno, il problema è quando e chi guiderà questo ritorno alle sovranità nazionali. Se al potere resteranno i servi politici del capitalismo finanziario, o se ci saliranno movimenti reazionari, ne faranno pagare le salate conseguenze al popolo lavoratore. Se sarà un governo popolare a pilotare l’uscita, i sacrifici, certo inevitabili, saranno anzitutto in carico ai dominanti, e i frutti di questi sacrifici saranno utilizzati per il bene comune e la rinascita del paese. Come si riconosce un governo popolare? Se i provvedimenti che attua vanno a vantaggio del popolo lavoratore, e non dei dominanti, di qualche corporazione o della casta.
Abbiamo detto che nella società italiana esiste già una maggioranza disposta al cambiamento, ma questa maggioranza, o non si esprime politicamente, o si riconosce in movimenti populisti. Questi movimenti sono, rebus sic stantibus, la sola possibilità di formare un governo antioligarchico, per aprire una fase nuova per il nostro Paese. Il fatto che come ogni strada nuova porti con sé dei rischi non può giustificare, ai nostri occhi, alcun indifferentismo, che si risolverebbe in un aiuto alle classi dominanti.
La crisi combinata, dell’area euro, del traballante sistema finanziario-bancario e del regime politico italiano, potrebbe precipitare, determinando le condizioni per estromettere i partiti dell’oligarchia dal governo, ciò che sarebbe per loro una sconfitta bruciante che darebbe, di converso, forza ai movimenti popolari. Un governo antioligarchico che non abbia idee chiare, che non applichi e in modo deciso provvedimenti d’urgenza, che non sia in grado di vincere le resistenze dei dominanti, getterebbe il Paese in un caos gravido di conseguenze disastrose. Sarebbe fatale da parte nostra una posizione attendista o, peggio, d’indifferenza davanti a questo scontro. Saremo invece a fianco del popolo che vuole giustizia sociale e certezze sul futuro, incalzando il governo che esso ha fatto salire al potere, agendo affinché non indietreggi e colpisca gli interessi e i fortilizi dell’oligarchia, contribuendo a suscitare la più ampia mobilitazione dal basso senza la quale non si neutralizzerà il sabotaggio dei potenti. In una situazione di estrema polarizzazione sociale e politica, in cui si giocano le sorti dell’Italia, noi dovremo farci largo, con l’obbiettivo di dare una testa, se necessario nuova, al blocco popolare, indicando un progetto strategico che mentre in sicurezza il Paese, faccia perno sulla difesa ed il miglioramento delle condizioni materiali e spirituali delle classi popolari, ovvero della grande maggioranza dei cittadini».
* * *
I POPULISMI
L’indegna capitolazione delle sinistre ai poteri oligarchici (ultimo caso quello di SYRIZA in Grecia), la debolezza senza precedenti dei movimenti socialisti, non significa affatto che non crescano tra le larghe masse il disprezzo per le élite dominanti e l’opposizione ai regimi oligarchici. Entrambi vanno anzi crescendo in maniera esponenziale in numerosi paesi, tra cui il nostro. Un’opposizione che assume tuttavia forme minimaliste inadeguate, insipienti, spesso inquietanti. Poteva essere diverso dopo che quasi due generazioni sono state cresciute a pane, valori neoliberisti, edonismo consumistico, allucinazioni mediatiche e incantesimi tecno-scientifici? No che non poteva essere diverso.
Le élite intellettuali al servizio dei regimi oligarchici, nel tentativo di azzoppare questa nuove opposizioni, hanno lanciato contro l’anatema, le hanno bollate con quello che per Lorisgnori è un marchio d’infamia: “populismo”, “antipolitica”. Non ci facciamo intruppare nella compagnia del “politicamente corretto”, non commetteremo l’errore in cui ci vuole spingere l’élite dominante, di fare di tutt’erba un fascio. Dovremo anzi ben distinguere il grano dal loglio. Questi populismi hanno infatti forme e nature le più diverse. Alcuni di essi, i neofascisti camuffati, i partiti che mescolano xenofobia e neoliberismo, sono nostri nemici. Altri hanno un segno democratico, raccolgono, seppure in modo distorto e incompiuto, l’eredità anticapitalista e libertaria della sinistra che fu. Per loro natura instabili essi non solo sono destinati a crescere, fino a salire al potere in diversi paesi, attivano forze e soggetti sociali dalla cui fermentazione e maturazione potrebbero venire le energie necessarie per realizzare i cambiamenti che ci auspichiamo.
Occorre fare i conti coi populismi, imparare la lezione che da essi ci viene. Il loro dilagare è la conseguenza della crisi sistemica, della pauperizzazione generale, della compiuta degenerazione oligarchica del sistema, della disperazione che viene dalla sensazione che andrà peggio. I populismi sono la manifestazione del divorzio oramai consumato tra la maggioranza dei cittadini e le élite politiche neoliberiste nelle due varianti conservatrice e progressista —di qui il tramonto dei sistemi politici bipolari. Ciò che spiega il tratto caratteristico di tutti i populismi: il considerarsi oltre la dicotomia destra-sinistra. Un paradigma politico che oltre ad essere il risultato di un intero periodo di peana post-ideologici è anche, ove non sia un’abile stratagemma demagogico, segno inconfondibile della base sociale interclassista di suddetti populismi. Sarebbe vano fare gli esorcismi a questo interclassismo, prodotto delle profonde trasformazioni sociali causate dal lungo ciclo neoliberista (la metafora della “società liquida” post-fordista), esso è il precipitato dell’implosione del movimento operaio, la classe operaia essendo anzi diventata simbolo di un mondo morente. In questo interclassismo populista, connesso com’è al richiamo alle identità nazionali e comunitarie, alla richiesta di Stato come tutore e garante di diritti e sicurezza sociale, v’è un lato che dobbiamo saper apprezzare: esso è fattore di resistenza alla globalizzazione, una reazione ai suoi effetti paralizzanti di spaesamento, di rigetto, per quanto imperfetto della narrazione neoliberista.
Defunto il dogma della missione salvifica e teleologica della classe operaia, richiamandoci alle riflessioni gramsciane sulla egemonia e cultura nazionale popolare, noi vogliamo riappropriarci del concetto di popolo per risignificarlo non solo in quanto oggetto della nostra azione ma come soggetto delle grandi trasformazioni sociali di cui la società abbisogna e di cui è gravida. Essendo la via d’accesso a queste trasformazioni sbarrata dai poteri oligarchici, che infatti procedono rafforzando la spessa corazza difensiva che li protegge, i popoli si vedranno obbligati ad aprire una breccia, a sfondare le linee nemiche. La collisione tra chi sta sotto e chi sta sopra è inevitabile. Nei prossimi anni si decide chi, nel campo di chi sta sotto, sarà alla testa della riscossa sociale, se quindi lo sbocco sarà una rivoluzione democratica o, all’opposto, reazionario.
LA STRATEGIA, LA TATTICA, L’ORGANIZZAZIONE
Possiamo oramai prendere atto, di contro alle illusioni movimentiste e operaiste, che la crisi sistemica ha agito come una forbice: più venivano alla luce le crepe ed i limiti congeniti del capitalismo, più erano potenti i fattori che inibivano i conflitti sociali. Davanti ad una crisi sistemica grandi masse non si gettano nella mischia se non vedono un’alternativa (la sindrome di T.I.N.A.), tantomeno i lavoratori possono credere, con ai cancelli milioni di disoccupati che premono, nell’efficacia dei tradizionali metodi di lotta sindacali.
Amiamo la ribellione sociale ma non siamo ribellisti. Accendere scintille è legittimo, ma l’incendio della prateria dipende dal venire a maturazione di condizioni oggettive, Proprio ora questa condizioni vanno maturando: chi sta sopra non più a governare come prima, mentre la moltitudine che sta sotto non vuole più vivere come prima. In quanto minoranza creativa è nostro compito ridare lustro e credibilità alla visione socialista del mondo, ma esso può essere perseguito solo se, stando coi piedi ben piantati nel campo popolare, sapremo diventare il lievito di un’opposizione sociale più matura e avanzata. Bisogna tenere assieme ed in maniere innovative teoria e prassi, con i gesti e l’esempio dimostrare che abbiamo grandi ideali ma non siamo utopisti. Entriamo in tempi duri che premieranno la coerenza morale e la saldezza di principi, che daranno forza a chi saprà scovare l’ordine nel disordine, che chiederanno coraggio e disciplina nell’azione. Tempi che chiedono già oggi flessibilità tattica e fermezza strategica. La consapevolezza che occorre aggiornare metodi, linguaggi e lessico della battaglia politica non fa venir meno che la funzione peculiare di un movimento politico resta quella di dare forma compiuta ad un blocco sociale, ad un fronte popolare in grado di vincere e prendere in mano le redini del Paese.
Per quanto numerose siano le condizioni per conformare un blocco sociale antioligarchico egemonico, quattro sono e restano quelle assolutamente necessarie: (1) che esista nella società una maggioranza disposta al cambiamento nella giustizia sociale; (2) che questa maggioranza sociale, per quanto in forma incompiuta, sia rappresentata politicamente in movimenti antioligarchici; (3) che i movimenti politici che rappresentano questa maggioranza siano disposti a fare blocco per salire al governo per portare fuori il Paese dal marasma; (4) che essi, o anche solo quello dominante, abbiano una visione chiara dei compiti, ovvero un programma di governo che indichi le misure principali per guidare il Paese nel difficile passaggio, in quello che sarà a tutti gli effetti uno “Stato d’eccezione”.
Di queste tre condizioni la prima è presente, la seconda avanzante, la terza latente, la quarta assente.
Se uniamo le nostre forze è per costruire un soggetto politico che acceleri la formazione di questo blocco sociale embrionale e ne diventi il lievito, affinché possa avere la potenza necessaria è la forma adeguata. Se uniamo le nostre forze è infine perché noi sentiamo di poter svolgere una funzione importante affinché questo blocco prenda possesso della condizione oggi mancante, quella programmatica.
Portiamo in dote e mettiamo a disposizione del blocco popolare, la nostra esperienza, i nostri saperi, le nostre idee, le nostre proposte. Abbiamo l’ambizione, unendoci, di allestire un luogo che riesca ad indirizzare centinaia e migliaia di attivisti, che possa fungere da officina ove educarli e se necessario rialfabetizzarli.
VERSO UN GOVERNO POPOLARE D’EMERGENZA PER SALVARE IL PAESE
Che non si esce dal marasma senza una svolta radicale e profonda inizia a diventare senso comune. Cresce la consapevolezza che occorre andare alla radice della crisi del sistema, attuando nel nostro paese grandi trasformazioni economiche, sociali, politiche e istituzionali. Si diffonde la coscienza che queste trasformazioni saranno possibili solo con una svolta radicale, che la sovranità nazionale è il primo dei beni comuni, uscendo dalla gabbia dall’Unione europea. Vi è ancora chi considera l’uscita dall’Unione europea e l’abbandono dell’euro come idee velleitarie ed estremistiche. E’ vero esattamente il contrario. Il disfacimento dell’Unione europea e la fine dell’euro sono processi oggettivi, oramai irreversibili. Velleitari sono coloro che s’illudono di fermare queste tendenze facendo gli esorcismi, mettendo toppe che sono peggiori del buco. Estremisti sono gli oligarchi di Francoforte e Bruxelles ed i loro sodali nostrali, disposti a dissanguare i popoli pur di tenere in vita una moneta moribonda e ingrassare la nuova aristocrazia finanziaria. Il problema non è se abbandonare l’euro o meno, il problema è quando e chi guiderà questo ritorno alle sovranità nazionali. Se al potere resteranno i servi politici del capitalismo finanziario, o se ci saliranno movimenti reazionari, ne faranno pagare le salate conseguenze al popolo lavoratore. Se sarà un governo popolare a pilotare l’uscita, i sacrifici, certo inevitabili, saranno anzitutto in carico ai dominanti, e i frutti di questi sacrifici saranno utilizzati per il bene comune e la rinascita del paese. Come si riconosce un governo popolare? Se i provvedimenti che attua vanno a vantaggio del popolo lavoratore, e non dei dominanti, di qualche corporazione o della casta.
Abbiamo detto che nella società italiana esiste già una maggioranza disposta al cambiamento, ma questa maggioranza, o non si esprime politicamente, o si riconosce in movimenti populisti. Questi movimenti sono, rebus sic stantibus, la sola possibilità di formare un governo antioligarchico, per aprire una fase nuova per il nostro Paese. Il fatto che come ogni strada nuova porti con sé dei rischi non può giustificare, ai nostri occhi, alcun indifferentismo, che si risolverebbe in un aiuto alle classi dominanti.
La crisi combinata, dell’area euro, del traballante sistema finanziario-bancario e del regime politico italiano, potrebbe precipitare, determinando le condizioni per estromettere i partiti dell’oligarchia dal governo, ciò che sarebbe per loro una sconfitta bruciante che darebbe, di converso, forza ai movimenti popolari. Un governo antioligarchico che non abbia idee chiare, che non applichi e in modo deciso provvedimenti d’urgenza, che non sia in grado di vincere le resistenze dei dominanti, getterebbe il Paese in un caos gravido di conseguenze disastrose. Sarebbe fatale da parte nostra una posizione attendista o, peggio, d’indifferenza davanti a questo scontro. Saremo invece a fianco del popolo che vuole giustizia sociale e certezze sul futuro, incalzando il governo che esso ha fatto salire al potere, agendo affinché non indietreggi e colpisca gli interessi e i fortilizi dell’oligarchia, contribuendo a suscitare la più ampia mobilitazione dal basso senza la quale non si neutralizzerà il sabotaggio dei potenti. In una situazione di estrema polarizzazione sociale e politica, in cui si giocano le sorti dell’Italia, noi dovremo farci largo, con l’obbiettivo di dare una testa, se necessario nuova, al blocco popolare, indicando un progetto strategico che mentre in sicurezza il Paese, faccia perno sulla difesa ed il miglioramento delle condizioni materiali e spirituali delle classi popolari, ovvero della grande maggioranza dei cittadini».
22 commenti:
Finalmente..! (a.c. siena)
A me pare veramente che la diluizione fino a dosi omeopatiche di anti-eurismo sia già avvenuto prima delle elezioni, e pertanto sono convinto che siano proprio le elite a spingere per un governo Lega-M5S.
Questo governo non potrebbe fare nulla di risolutivo, perchè già in partenza non erano anti-UE le forze politiche che vi farebbero parte, e quindi non ci sono motivi significativi di alleanza. L'unica cosa che risulterebbe risolutiva sarebbe, dato il fallimento palese, la messa in berlina di qualsiasi ipotesi che esca dal recinto della continuità PD/FI, anche perchè sarebbe un governo con opposizione tutta schierata dalla parte globalista, visto che non c'è come sappiamo alcuna rappresentanza realmente sovranista nel parlamento.
Qualche mese di bisticci tra Salvini e Di Maio, e la causa sovranista sarà messa in soffitta per anni ancora.
Non avendo consenso, noi possiamo fare i temerari, ma capisco come chi si trovi la responsabilità di gestire montagne di consensi, debba procedere con i piedi di piombo.
In particolare, alla Lega non conviene ricercare alleanze, è l'unica che non ha da temere nulla da nuove elezioni. Le cose porterebbero in verità a un governo PD/M5S perchè entrambi i partners avrebbero molto da temere da nuove elezioni.
Ottimo articolo, bravo Pasquinelli
L'unico governo possibile?
M5S e LEGA su 6 punti
1) Via riforma pensioni Fornero
2) Nuova legge sull'Immigrazione
3) Reddito di Cittadinanza
4) Via dall'Europa.
5) Legge elettorale con doppio turno alla francese
6) Via Jobs act
Questo è il volere del Popolo Italiano
Il numero dei parlamentari per la maggioranza c'è
Serve solo un po' di CORAGGIO per far seguire alle parole i fatti
"sia Di Maio che Salvini, terrorizzati all'idea di governare assieme, invocano il salvagente del Pd...perché sanno che i poteri forti, euro-oligarchie in primis, si metterebbero di traverso"
E quindi non vogliono farlo, altrimenti avrebbero GIA' fatto un accordo in 5 minuti dopo il voto. Ma se non vogliono farlo e cercano il PD, sapendo benissimo che salirà a bordo solo in cambio della garanzia che saranno succubi all'Europa quanto lo sono stati loro, allora è evidente che il popolo che li ha votati è bue. O quantomeno asino, Non se ne esce. Se voti politici palesemente incapaci o succubi dei poteri forti, voti contro il tuo stesso interesse. (prima che arrivi il solito a dire "allora dovevano votare PD?", no, dovevano astenersi o votare l'unico partito di sinistra anti euro.)
"In particolare, alla Lega non conviene ricercare alleanze, è l'unica che non ha da temere nulla da nuove elezioni."
Ma anche sì.
1) Manca solo un anno al ritorno alla candidabilità di Berlusconi, e non è MAI successo nella storia d'Italia che una legislatura duri meno di due anni. E Berlusconi candidabile col cavolo che dà la leadership del cdx a Salvini. Piuttosto, rompe e ognuno va per sè, e rompendo, il sistema elettorale resta il Rosatellum, e quindi Grillo stravincerà nella quota maggioritaria.
2) Ci sono centinaia migliaia di ex elettori del PD che hanno votato Lega o 5 stelle solo in odio a Renzi, ma tornerebbero a votare di corsa PD senza Renzi.
La Lega ha goduto dell'opportunità irripetibile di essere il primo partito della prima coalizione, ma di suo ha un voto su sei. Con quelli, basta che Berlusconi rompa e Salvini è finito.
Un governo lega+m5* significa flat tax + rdc. Cioè uno sconto fiscale ai ricchi + un provedimento deflattivo.
@amaryllide
Il PD senza Renzi c'era anche nelle elezioni del 4 marzo, si chiama LeU, e ha avuto il 3,3%. Il punto è che gli Italiani non hanno votato a favore di qualcosa, ma solo contro la continuità interpretata dal duo PD/FI, verso cui in assenza di clamorose novità non avrebbero motivo di tornare.
Se si rivota, il PD avrà ancora meno voti e FI si salva solo se continua ad allearsi con FdI e Lega, senza di loro, rischia di non entrare neanche in parlamento. Qui, cosa pensa personalmente Berlusconi diventa giorno dopo giorno sempre meno importante, nessuno in FI si lascerà morire per assecondare un vecchio ultraottantenne che ormai non appare il vincente che conoscevano.
1)Che vuol dire socialismo ( marxista ) ? Vuol dire fase transitoria , verso il comunismo , dove lo Stato esiste ancora ed è nelle mani dei proletari che lo governano in nome dei proletari e in vista di un salto successivo , appunto verso il comunismo , cioè l’ abbattimento degli Stati e quindi delle classi etc..
2)Chi sono oggi , e dove sono oggi , 2018 , i proletari ? Oggi , in occidente , sono gli extracomunitari senza pieni diritti , o totalmente senza diritti , di cittadinanza e quindi senza diritti politici . Più in generale sono i lavoratori del sud del mondo che producono tutto ciò che noi utilizziamo .
2-bis ) Quindi ha senso oggi parlare di , e proporre il , socialismo ? No , chiaramente e logicamente no , ha senso solo parlare di capitalismo , comunismo e nazionalismo ( c’è una ormai ampia e trentennale bibliografia di autori comunisti che lo spiegano : chi oggi parla di socialismo in realtà può solo fiancheggiare e portare acqua al mulino , volontariamente o meno , delle demagogie nazionalsocialiste)
2-tris) Dov’è oggi il Palazzo d’Inverno ? Non esistono più luoghi nazionali dei Palazzi d'inverno , nemmeno a Washington e WallStrett . Il pianeta è totalmente interdipendente e le scelte di consumo degli esseri umani hanno più potere di qualsiasi multinazionale , anche se la forma di partecipazione democratica è ancora ferma al sottolivello nazionale . Ma proporre di risolvere problemi globali con soluzioni locali è solo una maschera per propugnare politiche reazionarie ed una maschera ( senza alcuna reale efficacia sovrana , che oggi può essere solo federale , a meno che non si proponga l’autarchia militarizzata ) per essere in realtà strumenti coercitivi di controllo ravvicinato delle realtà sociali .
3)Perché hanno preso tanti voti Lega e M5S ? Grazie alla retorica antiimmigrati , nazionalista , e anticasta .
Luigi R.
"Il PD senza Renzi c'era anche nelle elezioni del 4 marzo, si chiama LeU, e ha avuto il 3,3%"
No, un partito diverso dal PD NON è il Partito che l'elettore di sinistra (che si crede ancora tale e mediamente ha iniziato a votare quando c'era ancora il PCI, anche se vota un partito di estrema destra liberista) vuole votare.
"Se si rivota, il PD avrà ancora meno voti e FI si salva solo se continua ad allearsi con FdI e Lega, senza di loro, rischia di non entrare neanche in parlamento."
Se vogliamo discutere seriamente, non si possono nemmeno pensare, figuriamoci scrivere, frasi del genere. Un partito da 14% che non entra in parlamento?
E comunque il fatto non è tanto quanto sarà forte FI, ma che senza di essa Salvini non potrà MAI vincere.
Ma il problema non si porrà perchè MAttarella NON farà mai tornare al voto prima di aver costretto Grillo e Salvini a fare una manovra economica come vuole la Germania. E a quel punto entrambi i partiti saranno sputtanati quanto quelli classici. Ed ecco perchè a quel punto PD e FI tornerebbero più forti di pria
Un governo M5S-LEGA non sarebbe alcun danno per le lobby, come non lo sarebbe nessun altro governo, nemmeno un governo PC-PCL. Se c'è qualcosa da imparare dalla Grecia di Tsipras è proprio il fatto che la democrazia è finita è solo una rappresentazione, difenderla, così come difendere la costituzione, ricorda quei giapponesi che venti anni dopo la guerra, ancora credevano di combattere contro gli americani.
La migliore delle ipotesi è che non si faccia alcun governo, che la politica dia prova di un fallimento totale, nemmeno in grado di modificare la legge elettorale, che si torni al voto a giugno. A questo punto altro che sovranismo costituzionale, dobbiamo investire in una "fase nichilista", fare una campagna astensionista molto dura, puntando dichiaratamente alla delegittimazione del sistema e con tono quasi eversivi.
A quel punto, nel caos, chi ha la bussola migliore vincerà
siccome è in corso la II Assemblea di MPL-P101 non ho il tempo di rispondere alle osservazioni ed ai commenti.
LO farò quanto prima.
Chi ha paura di un governo M5S-Lega?
Nel mondo dei comuni mortali: solo sparuti gruppi di isterici andati in meltdown alla diffusione del primo exit poll. Ho passato due minuti - letteralmente due - su Twitter quella notte e ho provato una sensazione tanto sadica quanto sublime chiamata Schadenfreude. Non serve dire altro.
Nel mondo di chi conta e decide delle nostre vite: nessuno. Nessuno in nessuna banca d'affari internazionale, banca centrale, hedge fund, istituzione finanziaria di rilievo, cancelleria di paese che non sia una repubblica delle banane s'è scomposto minimamente. Ma proprio zero. Qualche scossetta in borsa a Milano lunedì. Ma tutto recuparato entro la chiusura di martedì. Ma Milano non è New York, né Londra, né Parigi, né Francoforte, né Shaghai, né Tokyo.
Lì si preoccupano degli attacchi d'autismo acuto che si fa venire il Donald, che se non si sbrigano a fargli un bel Richard Nixon manda di nuovo col culo per aria tutta la finanza internazionale, prima che ci vada da sola con la prossima bolla. Ma lui mica scassa i commerci internazionali per far sorger il sol dell'avvenire. Lo fa solo perché è un mentecatto scatenato. Se contribuisce a mandare a picco il capitalismo, ben venga e ci si tenga pronti, che simili finestre d'opportunità s'aprono raramente - esempio: Russia stremata da anni di guerra e fame oltre a secoli di sfruttamento bestiale - e altrettanto raro è chi può approfittarne con successo - esempio: un genio spregiudicato d'avvocato rivoluzionario in esilio che al momento giusto prende il trenino per Pietroburgo e fa un culo così a tutti.
Ma tornando al punto principale, gente con la faccia e la preparazione - nulla - di Di Maio e Salvini, ma quale rottura vogliono proporre? Io, volgarmente, una rottura ce l'ho in mente, ma mi astengo perché ho già detto "culo" poche righe fa e non voglio essere troppo scurrile.
(prosegue dal commento precedente)
Molti si saranno irritati, ma Amaryllide ha colto perfettamente il punto.
Inutile stare a menare il can per l'aia. La Lega e il M5S sono solo la carta "nazional-liberista" - dove il "nazional" è pura retorica da campagna elettorale, ma zero pratica - che certi settori dell'ormai decrepita e decomposta imprenditoria italiana spera di giocarsi di fronte alle pazzesche corazzate politico-economiche della Francia e della Germania, e magari pure degli USA, della Cina e di tutto il resto del mondo.
Sì, possono avere linguaggi e stili diversi, possono l'uno rivolgersi a fette di elettorato che l'altro non potrebbe acchiappare e viceversa, ma questi il board della BCE li riduce a un mucchietto di teschi come se fosse passata la cavalleria di Gengis Khan.
La verità è che la Rottura potrà farla solo un governo rivoluzionario, formato da gente con un cervello ed un paio di attributi grossi come una casa, coi nervi d'acciaio e il pugno pure, che dovranno manovrare per molti anni in un mare in tempesta per il quale non esistono carte nautiche, pieno d'insidie e di nemici pronti a scatenare rappresaglie mai viste prima - Mario Monti sembrerà essere stato un generoso socialdemocratico, a confronto! - senza contare le eterne forze reazionarie all'interno che sfodereranno le zanne e di brutto. Pensate che roba lo scatenarsi delle mafie e del sottobosco politico neofascista in contemporanea, senza contare le connivenze dei loro storici alleati nelle istituzioni ufficiali. Anni di Piombo e Stragi di Mafia sembreranno un idillio, a confronto. Sarà roba come i Contras in Nicaragua o i Talebani contro l'Armata Rossa in Afghanistan. Si pensi a quello che fanno passare da decenni a Cuba e Venezuela.
La salvezza di ciò che resta di ceti clientelari, corrotti - in senso morale, molto più che in senso mazzettaro -, bacati, micragnosi, nostalgici d'un piatto di lenticchie, pronti a pagare pur di vendersi, regressivi, addormentati, poltroni, attaccati a quattro petecchie e pronti a sbranarsi a sangue l'un con l'altro se rischiano di scendere a tre virgola nove, beh, lasciamola a campioni tipo i due "statisti" in foto all'inizio dell'articolo e ai loro corifei accademici alla Pippo & Pluto (se semo capiti...).
Basta scuse, basta alibi, basta tutto. Nel 2013 s'era già nel pieno della crisi. Nessuno s'è mosso per mettere in piedi una forza autonoma all'altezza della situazione. Passi. Ma nel 2018 non c'erano già più scuse. Di questo passo, nel 2023 assisteremo allo stesso teatrino e alle stesse analisi della sconfitta. Se ci arriviamo, al 2023.
A me pare che la redazione abbia scritto che un governo M5S+Lega sia preferibile rispetto al disegno dei poteri forti che adesso tifano M5S+PD. Non ha mica scritto che sarebbe il governo del socialismo realizzato. Se almeno una volta si riuscisse non esprimere le solite posizioni polarmente opposte le une alle altre sarebbe un passo avanti, certo piccolissimo, ma pur sempre avanti.
Dietro la flat-tax (che non mi piace) e dietro il reddito di cittadinanza (che non mi piace neppure) ci stanno anche bisogni concreti di tutti quei commercianti che non riescono a pagare le tasse e di quelli il cui stipendio è attualmente a zero e per i quali non sarebbe certo deflattivo sul piano individuale. Certo sono risposte errate, questo non implica che la posizione polarmente opposta sia giusta, anzi essa è solo tifoseria che somiglia in apparenza alla politica ma è in realtà impolitica.
Mi sembra che l'unica critica sensata l'abbia espressa il Cucinotta, ipotizzando che questa soluzione possa essere caldeggiata dalle elites. Io penso che questo sia vero ma solo in parte. Penso che per essi sia solo un piano B nel quale può far breccia la parte trumpista, cosa che essi accetterebbero obtorto collo solo se costretti. Sarebbe sì un governo delle elites ma in esso si riprodurrebbe meglio la spaccatura Trump-antiTrump. Cosa che in un eventuale governo M5S-PD mancherebbe. Solo in questo senso è auspicabile un governo M5S-Lega, e solo in questo senso io sono d'accordo con la redazione.
Ecco, sono bisogni concreti urgenti come questo che stanno dietro la richiesta pressante di sicurezza sociale.
Credo che anon del 10 marzo 2018 22:28, che non avevo letto prima di inviare i miei commenti, proponga un'ipotesi interessante. In parole molto povere: inutile emettere magniloquenti comunicati per analizzare al microscopio elettronico questo e quel fattuccio elettorale, tanto se non si è capaci di correre da soli, meglio lavorare in un altro modo e prepararsi al peggio. E, aggiungo io, sarebbe pure il caso che certi strateghi sapientoni contemplino il ritiro a vita privata. Se al massimo vanno a rimorchio degli eventi elettorali, figurati che potrebbero combinare in una fase decisamente più hard.
Una cosa che m'ha sempre un po' scocciato in questo ambiente è il persistente richiamo quasi mistico, direi totemico, alla costituzione del '48. Ora, si tratta di una carta che avrà certo i suoi pregi, ma che ha pure delle pecche gravi sul quale è meglio guardarsi in faccia e dirsi la verità. A parte il fatto che molti cantori della stessa Carta ne ignorano incredibilmente il testo originale: quanti di voi sapevano che il Senato aveva una durata di sei anni, non cinque, e che alla fine delle prime due legislature la camera alta fu dunque sciolta con un anno d'anticipo, salvo riformare il testo costituzionale e portarla a cinque, come la Camera? Chi difende la costituzione del '48, dunque, vuole camere con durate diverse, nonostante la parità di poteri? Poi, il Molise non esisteva, era parte dell'Abruzzo, e fu istituito negli anni '60, sempre con riforma costituzionale. Volete voi dunque che il Molise venga riassorbito dall'Abruzzo?
A parte questo, vogliamo parlare dell'orrido sistema referendario? Solo abrogativo e con quorum molto alto per leggi ordinarie, mentre per riforme costituzionali il quorum non c'è! Ma siamo pazzi! Per un referendum sulla caccia al cinghiale serve la metà più uno degli elettori, mentre per la modifica dell'architettura stessa dello stato ed i suoi principi fondamentali, basterebbe per assurdo che vada a votare soltanto io e assegnerei il 100% dei consensi a favore! Ma sul serio? Ma nessun paludato costituzionalista ha mai fatto notare 'st'abominio? E poi vogliamo parlare del divieto assoluto di porre a referendum l'approvazione di trattati internazionali? La sovranità limitata non inizia con Maastricht 1992, inizia con l'Assemblea Costituente a Roma proprio nel 1948!
Vogliamo poi parlare dei senatori a vita? Vale a dire della possibilità del presidente della repubblica di modificare arbitrariamente gli equilibri parlamentari eventualmente usciti dalle urne? Il vecchio regno aveva un senato tutto di nomina regia, ma cristo!, passiamo alla repubblica e alla democrazia e alla fine dei giochi dobbiamo tenerci la stessa roba? Se volevano la camera dei lord, almeno quella può fare ostruzionismo solo fino a un certo punto, poi basta, e non dà né toglie la fiducia al governo!
E che dire delle regioni? Già previste nel testo originale, ma entrate in vigore solo nel 1970... E per fortuna! Sono state solo un ulteriore guazzabuglio di leggi, leggiucole e leggine che hanno incasinato ancor di più il già bizantino e pachidermico ordinamento italiano, roba che Kafka in persona si sarebbe sparato! Per fortuna che hanno avuto "solo" cinquant'anni d'attività e non settanta!
E poi, quella disposizione finale che invita a "regolamentare" la stampa... Il prodromo per l'ordine dei giornalisti! Altro capolavoro! Ma cristo! La stampa è libera, se qualcuno pubblica ingiurie o diffamazioni, chi si sente ingiuriato o diffamato fa querela, poi il tribunale decide! Esattamente come ogni altra forma d'espressione del pensiero e della parola. Manco il fascismo era riuscito a partorire un principio simile e ho detto tutto...
Le critiche, tanto più quelle più spigolose, meritano una risposta articolata.
Tanto più perché la II Assemblea di P101 ha fatto sua la proposta dil anciare una campagna per un governo M5S -Lega, proverò a rispondere con un post dedicato.
Qualcuno poi le definì addirittura "stenterellesche articolazioni della attuale carta costituzionale postfascista". E se sono stenterellesche poi ciascuno può interpretarla come gli pare vedendoci ciò che più gli aggrada.
A parte il lato elettoralistico, che farebbe somigliare un governo M5S-lega ad un rapporto sadomaso estremo, dove entrambi ne uscirebbero con le ossa rotte, nei contenuti tale rapporto costringerebbe entrambi ad una prova-verità probabilmente insostenibile sul piano delle rispettive "ideologie", o pruriti che dir si vogliano.
Il M5S dovrebbe riconoscere che il suo cavallo di battaglia vincente, il reddito di cittadinanza, è in realtà un vecchio e banale sussidio di disoccupazione di ispirazione USA, mentre la lega dovrebbe riconoscere che la flat tax non illumina sulla via di Damasco i grandi evasori impenitenti, ma è un furto dei ricchi verso i poveri in linea con l'operato della troica e i suoi stessi fini. E soprattutto, stante il sistema attuale con tutta la sua inerzia amministrativa, ridurrebbe il gettito fiscale impedendo qualsivoglia politica keynesiana anche disobbedendo più o meno moderatamente alla troika.
Insomma, il confronto reciproco metterebbe a nudo l'inconsistenza ideologica di entrambi, ovvero quella debolezza popolare utile al sistema per costringerli a rientrare sostanzialmente nelle vecchie regole ordoliberiste.
Di fronte a questo passo indietro modello tsipras, molto meglio tornare alle urne in un clima ancor più arroventato dall'evoluzione della crisi.
"Il M5S dovrebbe riconoscere che il suo cavallo di battaglia vincente, il reddito di cittadinanza, è in realtà un vecchio e banale sussidio di disoccupazione di ispirazione USA, "
Io non ho letto da nessuna parte nel programma del M5S che il RDC vuol dire "stai pure a grattarti la panza sul divano, e ci pensa lo stato a mantenerti". E Non l'ho mai sentito dire da Di Maio. Se gli elettori vogliono credere che sia quello, la colpa è solo loro.
Al contrario, ho sentito spesso e volentieri Salvini ripetere la balla che si può abolire la FOrnero anche con la FT perchè per magia con una FT al 15% tutti gli italiani pagherebbero fino all'ultimo centesimo (e perchè mai? Se posso evadere tutto, evado tutto, che le tasse siano l'1% o il 100, a me evasore non può fregare di meno) e quindi il bilancio dello stato non collasserebbe in 24 ore.
Populismo per populismo, quello di Salvini è criminale, perchè mentre si accinge ad affamare il popolo ha pure il coraggio di dire che gli darà un WS migliore (perchè questo è in sintesi abolire la FOrnero).
Io sono comunista, e non bordighiano, per cui prendo atto dell'evidenza che ciò che rende ridicolo il sovranismo costituzionale è proprio il fatto...che la costituzione è la prima nemica della sovranità popolare, laddove nega la possibilità di referendum sui trattati internazionali, che riguardano per definizione il fondamento dello stato e della sovranità, ovvero i rapporti con gli altri stati sovrani (e quindi confini e/o cessioni di sovranità ad organismi sovranazionali). Quale sovrano al mondo è privo di qualsiasi diritto sulle limitazioni della sovranità stessa? Un "sovrano" da cartolina, come la vecchia babbiona inglese e la sua corte dei miracoli. Ma non certo un popolo sovrano. Ecco perchè ritengo che rivendicare la sovranità costituzionale sia un suicidio. Perchè il servo dell'eurocrazia può sempre risponderti "sta sritto nella costituzione che posso fare carne di porco della tua sovranità, purchè abbia l'accortezza di mettere la cancellazione della stessa all'interno del trattato di Maastricht anzichè in una legge dello stato italiano":
E avrebbe assolutamente ragione!
Gli elementi citati della Costituzione guarda caso non fanno parte dei diritti fondamentali (i primi dodici articoli) e quelli economico sociali (art. 29-47) che sono quelli oggi messi fuori gioco dalla sottomissione alla UE.
Sono la piena occupazione come garanzia della partecipazione di tutti alla vita politica (la cosiddetta "democrazia necessitata"), sono i diritti economici alla retribuzione sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa, le ferie pagate, il lavoro, la pensione, i servizi pubblici, la tutela della salute, dell'istruzione, del paesaggio... in una parola l'antitesi dell'economia liberista.
Sono diritti talmente poco importanti che da quando esistono costituiscono il bersaglio del capitale che tenta in ogni modo di vanificarli.
E noi sì certo continuiamo a non leggerla, o a tirarne fuori solo qualche opera di ingegneria apparentemente filologica, mica la sostanza economico-giuridica che ha permesso le migliori condizioni di vita delle masse nella storia del continente europeo (Costituzioni simili furono adottate in diversi paesi nel dopoguerra).
Cam
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