[ 30 agosto 2017 ]
«Cacciate da Eurostop gli Yes Borders seguaci di Ugo Boghetta e del P101! Come si può battersi contro l’imperialismo UE insieme a gente che, sostenendo che sia giusto che il mondo imperialista chiude le frontiere al proletariato del Terzo Mondo vittima dell’imperialismo, si rende complice dell’imperialismo stesso?».
Questo commento, dalla sintassi pietosa ma dal contenuto inequivocabile, si trova in bella vista nella prima pagina del sito di Eurostop. E' del 24 maggio, più di un mese prima che fosse celebrata il 1 luglio a Roma (senza fretta e senza furia) la cosiddetta "Assemblea Costituente" (vedi foto) con cui Eurostop da coordinamento si è trasformato in nuovo soggetto politico. Un commento che la dice lunga, come dire, sull'aria che si respirava in Eurostop e sulla egemonia ideologica al suo interno di certo ultra-sinistrismo.
Siamo chiamati, con questa assemblea, a decidere se EUROSTOP debba e possa trasformarsi in un soggetto politico —per quanto plurale e confederato. Che lo si debba fare lo sosteniamo da tempo, scontiamo anzi un enorme ritardo (e non sarebbe secondario chiedersi il perché), che sia possibile, dipende. Da cosa dipende?
Diceva Hegel che: “Quando si hanno tutte le condizioni, la cosa deve diventare reale”.
Tra le diverse condizioni, cinque a noi sembrano quelle determinanti: (1) un’analisi della situazione condivisa; (2) una visione strategica comune; (3) un programma politico di fase unico; (4) una medesima concezione sulla natura del soggetto che vogliamo costruire; infine (5) una squadra dirigente che oltre ad essere di alto profilo sia forte della reciproca fiducia dei suoi componenti.
A noi non pare che tutte queste condizioni esistano già. Molte, purtroppo, sono le differenze (e le diffidenze) tra noi. Dobbiamo per questo rinunciare all’impresa? No, non dobbiamo rinunciarvi, dobbiamo tentare, ma facendo il passo secondo la gamba, mettendo ogni cosa al suo posto, individuando le aree di criticità, giocando a carte scoperte, avviando un processo graduale costituente che affronti i problemi invece di nasconderli.
Abbiamo letto con la dovuta attenzione i documenti fondativi sottoposti all’attenzione di tutti noi. C’è un evidente squilibrio tra l’impegnativa chiamata a fondare un soggetto-politico-fronte e la base politica, francamente striminzita, con cui la si giustifica —e che a ben vedere resta sostanzialmente la stessa che avevamo già come coordinamento. I tre NO (all’Unione europea, all’euro e alla NATO) sono condizioni necessarie ma insufficienti. Un salto organizzativo chiede un proporzionale corrispettivo politico altrimenti il rischio —come ad alcuni di voi accadde con ROSS@—, è che il salto sia mortale.
Proviamo quindi ad individuare i nodi che andrebbero sciolti, se vogliamo davvero gettare le fondamenta di una costruzione che non collassi al primo urto, e ce ne saranno diversi nei prossimi anni.
(1) Per quanto riguarda la situazione generale, al netto dell’accordo sul fatto che questa crisi è sistemica, “organica” come avrebbe detto Gramsci, non tutti siamo d’accordo non solo che la globalizzazione è al tramonto, ma che l’Unione europea (che non nacque affatto come polo antagonista a quello americano ma ben al contrario come sorella gemella dell’imperialismo USA) ha imboccato la via del suo inesorabile disfacimento. La conseguenza, che vi segnalavamo da tempo e che ha enormi conseguenze politiche, è quella che vedrà gli stati nazionali riconquistare il centro della scena.
(2) Noi riteniamo un grave errore strategico opporsi alla tendenza geopolitica alla rinazionalizzazione. Invece di fare esorcismi contro il ritorno alla sovranità nazionale —concetto che nei documenti ci si è guardati bene dal solo nominare, preferendo quello di “sovranità popolare”, come se questa e le procedure democratiche possano esistere oggi senza il demos nazionale— noi dovremmo invece impugnarla, con ragionevole audacia. Dovremmo andare incontro ai risorgenti sentimenti nazionalistici tra le masse popolari (che significano più sovranità nazionale, più Stato, più comunità, più democrazia, più sicurezza) opponendo un patriottismo repubblicano, costituzionale e socialista, contro ogni nazionalismo sciovinistico e imperialistico. Questo è secondo noi il discorso per combattere il nemico principale, il blocco oligarchico mondialista dominante (in cui la nostra grande borghesia è pienamente incapsulata), e quindi lanciare e vincere la sfida dell’egemonia nel campo popolare e antioligarchico, oggi presidiato anzitutto da forze come M5S e nuove destre come Lega nord e FdI.
(3) I documenti parlano di ITALEXIT, ma sono vaghi, non ci dicono niente di preciso su come noi vorremmo utilizzare la riconquistata sovranità nazionale e monetaria. Questa reticenza è inammissibile visto che da anni fuori di qui se ne dibatte e sono state prodotte tesi e proposte di indiscutibile valore scientifico. Ma questa reticenza ha una ragione: c’è chi scongiura un’uscita unilaterale e vaticina (in base a discorsi francamente risibili sulle “economie di scala) improbabili nuove zone di mercato e moneta comune, siano esse mediterranee o meno. Di contro al rischio che l’uscita dall’euro e dall’Unione sia pilotata da forze nazional-liberiste, noi dobbiamo opporre un chiaro programma per dare vita ad un ampio blocco costituzionale che in futuro possa dare vita ad un governo popolare d’emergenza, o di transizione, che metta in sicurezza il Paese. Un programma che sia coerente con la democrazia sociale scolpita nella Costituzione del 1948, che per noi deve avere il profilo di un keynesiano radicale, che potrebbe fungere da anticamera di trasformazioni socialiste vere e proprie. Ma, anche qui, c’è chi fa spallucce lancia anatemi contro il keynesismo “borghese”.
(4) Sulla natura del soggetto politico, che viene prima della forma, qui circolano le idee più disparate. Non parliamo tanto delle regole che debbono tenerci assieme. Qui parliamo, lo diciamo senza peli sulla lingua, del populismo. Anche in questo caso tra noi c’è chi lancia anatemi; si tratta, sia di coloro che ritengono sia oggi percorribile la strada della ricostruzione del partito di classe, ovvero comunista, sia di quelli che rispolverano la tradizione sindacalistica.
Il campo sociale e politiconon è più diviso da una retta verticale che divida la destra dalla sinistra, bensì da una retta orizzontale che divide chi sta sopra (l’oligarchia e la cima della piramide sociale) da chi sta sotto (una poltiglia sociale senza più la classe operaia al suo centro). Formenti ci dice che questa è la nuova forma della lotta di classe. E’ vero, a condizione di precisare che è una nuova forma di lotta di classe per cui, inabissatosi il soggetto sociale teleologico che per sua natura avrebbe una funzione guida, spetta al soggetto politico (politico si badi, né sindacale né tantomeno vagamente “sociale” —non amiamo quindi l’aggettivo “sociale” posto dopo il sostantivo “piattaforma”) dare forma e finalità alla eterogenea sfera sociale, di questi tempi un partito che costruisce e plasma un popolo che sia forza di mutamento e capace di esercitare sovranità.
Per questo non basta avere un programma, né rivendicare l’applicazione delle parti progressive della Costituzione, né tanto meno limitarsi ad affermare tre NO. C’è bisogno di un discorso profetico, di simboli forti, e perché no, di miti e nuovi orizzonti di senso. Dobbiamo saper stabilire connessioni emotive con il popolo lavoratore, precario e marginale, capaci di parlare al suo cuore e non solo alla sua testa. Quando la situazione è drammatica nessuna narrazione politica può sperare di diventare egemonica se non ha pathos. Populismo, per quanto ci riguarda populismo socialista, non è quindi solo linguaggio o retorica discorsiva, è l’incontro tra una visione radicale ed una pratica politica di massa.
Per concludere.
C’è molto lavoro da fare affinché “la cosa diventi reale”.
Dobbiamo unire le nostre forze, avviarci su questo sentiero, senza temere le difficoltà esistenti che potremo superare come abbiamo già superato alcune delle divergenze che ci dividevano fino a ieri. In questo contesto ci permettiamo di condensare quelli noi consideriamo i dieci punti d’indirizzo per andare verso il popolo e farne il protagonista della rivoluzione democratica:
(1) IL POTERE SPETTA AL POPOLO NON ALL’OLIGARCHIA CAPITALISTA
(2) LA COMUNITÀ VIENE PRIMA DELL’INDIVIDUO
(3) L’EGUAGLIANZA E LA SOLIDARIETÀ SIANO I PRINCIPI DELLA CONVIVENZA CIVILE
(4) LA DIGNITÀ E IL DIRITTO AL LAVORO DI OGNUNO VENGONO PRIMA DI TUTTO
(5) LA POLITICA DIRIGA E PROGRAMMI L’ECONOMIA, PER DIFENDERE AMBIENTE E TERRITORIO NELL’INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ
(6) LO STATO DEVE COMANDARE, NON IL MERCATO
(7) REGOLARE L’IMMIGRAZIONE IN BASE ALLE ESIGENZE DELLA COMUNITÀ CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE ETNICA, RELIGIOSA O RAZZIALE
(8) PER LA SICUREZZA SOCIALE, CONTRO LA CRIMINALITÀ, I SOPRUSI E LE ANGHERIE
(9) PER LA SOVRANITÀ NAZIONALE , CONTRO GLOBALIZZAZIONE, UNIONE EUROPEA E NATO
(10) PER UN PATRIOTTISMO REPUBBLICANO E INTERNAZIONALISTA».
«Cacciate da Eurostop gli Yes Borders seguaci di Ugo Boghetta e del P101! Come si può battersi contro l’imperialismo UE insieme a gente che, sostenendo che sia giusto che il mondo imperialista chiude le frontiere al proletariato del Terzo Mondo vittima dell’imperialismo, si rende complice dell’imperialismo stesso?».
Questo commento, dalla sintassi pietosa ma dal contenuto inequivocabile, si trova in bella vista nella prima pagina del sito di Eurostop. E' del 24 maggio, più di un mese prima che fosse celebrata il 1 luglio a Roma (senza fretta e senza furia) la cosiddetta "Assemblea Costituente" (vedi foto) con cui Eurostop da coordinamento si è trasformato in nuovo soggetto politico. Un commento che la dice lunga, come dire, sull'aria che si respirava in Eurostop e sulla egemonia ideologica al suo interno di certo ultra-sinistrismo.
Nessuno in verità ha mai cacciato Programma 101 —Ugo Boghetta ci risulta resti in Eurostop a fare il grillo parlante. Affari suoi. Noi abbiamo preferito non aderire al nuovo soggetto politico, non sussistendo una solida base politica comune. Come Consiglio nazionale di P101 spiegammo le ragioni del commiato il 23 giugno: Perché i nostri compagni non confluiranno in Eurostop.
Se ci torniamo su è perché alcuni, e tra questi il compagno Giorgio Cremaschi, sostengono che la nostra decisione è strumentale in quanto, "a parte la questione dell'immigrazione" —Eurostop, come il resto della famiglia di "sinistra radicale, ritiene il diritto ad emigrare un fondamentale diritto umano e condanna ogni controllo statuale dei flussi— non sussisterebbero "vere divergenze politiche". E poi, dice Cremaschi, "anche voi eravate d'accordo a superare la forma di coordinamento e dare vita ad un soggetto politico vero e proprio". Già, noi eravamo d'accordo infatti, ma a condizione che si fosse trattato di soggetto politico vero e proprio —parole chiave: "vero e proprio".
La qual cosa Eurostop non è e non potrà diventare, anzi si romperà alla prima prova seria, malgrado gli sforzi della Rete dei Comunisti, a cui va dato atto di essere il vero e proprio perno che fa reggere in piedi Eurostop, per quanto il metodo sciatto con cui eserciti questa sua funzione sia indigesto ai più.
Questa prova non è lontana, potrebbe essere rappresentata (siamo alle solite!) dalla prossime elezioni politiche. L'organizzazione che tira i fili in Eurostop, la Rete dei Comunisti, ha infatti una imbelle posizione di tipo astensionistico o, quantomeno, indifferentista. Perché? Per qualche ragione di principio? No, quanto perché, essendo per la Rete l'U.S.B. il bene supremo a cui tutto sacrificare, essa non può che rifuggire da una scelta elettorale, quale che sia, in quanto sarebbe divisiva e devastante nel suo sindacato.
Questa prova non è lontana, potrebbe essere rappresentata (siamo alle solite!) dalla prossime elezioni politiche. L'organizzazione che tira i fili in Eurostop, la Rete dei Comunisti, ha infatti una imbelle posizione di tipo astensionistico o, quantomeno, indifferentista. Perché? Per qualche ragione di principio? No, quanto perché, essendo per la Rete l'U.S.B. il bene supremo a cui tutto sacrificare, essa non può che rifuggire da una scelta elettorale, quale che sia, in quanto sarebbe divisiva e devastante nel suo sindacato.
Abbiamo un esempio caldo caldo delle future difficoltà di Eurostop: le prossime, decisive, elezioni regionali del 5 novembre in Sicilia. Che succede? Succede che la forza politica numericamente più consistente di Eurostop, il Partito Comunista Italiano (PCI, gli ex-cossuttiani per capirci), per bocca del suo segretario nazionale Mauro Alboresi ha appena diffuso una dichiarazione a nome del suo partito in cui auspica una lista unitaria con Sinistra Italiana e i dalemiani di Articolo1-MDP. E non c'è alcun dubbio che questa dichiarazione scandalosa precede e anticipa quella che questo partito prenderà in vista delle politiche di primavera.
Eurostop è ancora in vacanza e non si hanno notizie se la "cosetta siciliana" sia stata messa agli atti e se e quale turbamento abbia prodotto. Un fatto è tuttavia evidente: il PCI ha agito per suo conto, senza consultare Eurostop. Che diciamo senza consultare, sbattendosene altamente i coglioni di quel che i sodali (anzitutto Cremaschi e quelli della Rete dei Comunisti) potessero pensare della scelta di andare a braccetto con i Sinistrati Italiani e i dalemiani.
Ma la cacca sotto la neve, com'è noto, è destinata a venire alla luce. In questo caso molto presto. Con le elezioni alle porte e un PCI che implora uno strapuntino nel listone arcobalenico sinistrato che succederà in Eurostop? Può un soggetto politico far coabitare al suo interno il diavolo e l'acqua santa? L'astensionismo di ultra-sinistra e l'indifferentismo elettorale (che è una sindrome peggiore) col più classico opportunismo elettoralistico? Staremo a vedere. Una cosa non sarà accettabile: vedere gli eurostoppisti cadere dal pero, sentirsi dire da Cremaschi ... "questa non me l'aspettavo". C'è infatti, nella scelta di campo del PCI, una logica ben nota a chi conosca storia e visione di questo partito. Non si alberghino quindi scuse per nascondere i limiti profondissimi e il carattere posticcio di Eurostop.
La facciamo corta, non senza rispondere alla critiche rivolteci, quelle per cui ci saremmo tirati indietro strumentalmente, quando eravamo i primi in Eurostop a proporre la costituzione di un "vero e proprio soggetto politico".
Per capire da che parte stia la verità, ovvero stiano la coerenza e la chiarezza politica, consigliamo di leggere la LA FRANCIA INDICA LA VIA , che era appunto una lettera aperta a Eurostop del maggio scorso. P101 spiegava che il processo costituente era impantanato, che i nodi programmatici non venivano affrontati, e quindi si faceva una proposta, seguire la strada indicata da France Insoumise. Pensate ci sia stata qualche risposta? Nessuna, come al solito. Come sempre la più insopportabile sordità.
E, per capire chi sia stato sempre chiaro, trasparente e coerente, vale forse la pena leggere il profetico intervento che Moreno Pasquinelli, di Programma 101, svolse all’assemblea di Eurostop (Roma 28 gennaio 2017). Era questa l'assemblea che diede avvio al percorso costituente di un univco soggetto politico.
Giudichino i lettori da che parte stanno coerenza e chiarezza.
Siamo chiamati, con questa assemblea, a decidere se EUROSTOP debba e possa trasformarsi in un soggetto politico —per quanto plurale e confederato. Che lo si debba fare lo sosteniamo da tempo, scontiamo anzi un enorme ritardo (e non sarebbe secondario chiedersi il perché), che sia possibile, dipende. Da cosa dipende?
Diceva Hegel che: “Quando si hanno tutte le condizioni, la cosa deve diventare reale”.
Tra le diverse condizioni, cinque a noi sembrano quelle determinanti: (1) un’analisi della situazione condivisa; (2) una visione strategica comune; (3) un programma politico di fase unico; (4) una medesima concezione sulla natura del soggetto che vogliamo costruire; infine (5) una squadra dirigente che oltre ad essere di alto profilo sia forte della reciproca fiducia dei suoi componenti.
A noi non pare che tutte queste condizioni esistano già. Molte, purtroppo, sono le differenze (e le diffidenze) tra noi. Dobbiamo per questo rinunciare all’impresa? No, non dobbiamo rinunciarvi, dobbiamo tentare, ma facendo il passo secondo la gamba, mettendo ogni cosa al suo posto, individuando le aree di criticità, giocando a carte scoperte, avviando un processo graduale costituente che affronti i problemi invece di nasconderli.
Abbiamo letto con la dovuta attenzione i documenti fondativi sottoposti all’attenzione di tutti noi. C’è un evidente squilibrio tra l’impegnativa chiamata a fondare un soggetto-politico-fronte e la base politica, francamente striminzita, con cui la si giustifica —e che a ben vedere resta sostanzialmente la stessa che avevamo già come coordinamento. I tre NO (all’Unione europea, all’euro e alla NATO) sono condizioni necessarie ma insufficienti. Un salto organizzativo chiede un proporzionale corrispettivo politico altrimenti il rischio —come ad alcuni di voi accadde con ROSS@—, è che il salto sia mortale.
Proviamo quindi ad individuare i nodi che andrebbero sciolti, se vogliamo davvero gettare le fondamenta di una costruzione che non collassi al primo urto, e ce ne saranno diversi nei prossimi anni.
(1) Per quanto riguarda la situazione generale, al netto dell’accordo sul fatto che questa crisi è sistemica, “organica” come avrebbe detto Gramsci, non tutti siamo d’accordo non solo che la globalizzazione è al tramonto, ma che l’Unione europea (che non nacque affatto come polo antagonista a quello americano ma ben al contrario come sorella gemella dell’imperialismo USA) ha imboccato la via del suo inesorabile disfacimento. La conseguenza, che vi segnalavamo da tempo e che ha enormi conseguenze politiche, è quella che vedrà gli stati nazionali riconquistare il centro della scena.
(2) Noi riteniamo un grave errore strategico opporsi alla tendenza geopolitica alla rinazionalizzazione. Invece di fare esorcismi contro il ritorno alla sovranità nazionale —concetto che nei documenti ci si è guardati bene dal solo nominare, preferendo quello di “sovranità popolare”, come se questa e le procedure democratiche possano esistere oggi senza il demos nazionale— noi dovremmo invece impugnarla, con ragionevole audacia. Dovremmo andare incontro ai risorgenti sentimenti nazionalistici tra le masse popolari (che significano più sovranità nazionale, più Stato, più comunità, più democrazia, più sicurezza) opponendo un patriottismo repubblicano, costituzionale e socialista, contro ogni nazionalismo sciovinistico e imperialistico. Questo è secondo noi il discorso per combattere il nemico principale, il blocco oligarchico mondialista dominante (in cui la nostra grande borghesia è pienamente incapsulata), e quindi lanciare e vincere la sfida dell’egemonia nel campo popolare e antioligarchico, oggi presidiato anzitutto da forze come M5S e nuove destre come Lega nord e FdI.
(3) I documenti parlano di ITALEXIT, ma sono vaghi, non ci dicono niente di preciso su come noi vorremmo utilizzare la riconquistata sovranità nazionale e monetaria. Questa reticenza è inammissibile visto che da anni fuori di qui se ne dibatte e sono state prodotte tesi e proposte di indiscutibile valore scientifico. Ma questa reticenza ha una ragione: c’è chi scongiura un’uscita unilaterale e vaticina (in base a discorsi francamente risibili sulle “economie di scala) improbabili nuove zone di mercato e moneta comune, siano esse mediterranee o meno. Di contro al rischio che l’uscita dall’euro e dall’Unione sia pilotata da forze nazional-liberiste, noi dobbiamo opporre un chiaro programma per dare vita ad un ampio blocco costituzionale che in futuro possa dare vita ad un governo popolare d’emergenza, o di transizione, che metta in sicurezza il Paese. Un programma che sia coerente con la democrazia sociale scolpita nella Costituzione del 1948, che per noi deve avere il profilo di un keynesiano radicale, che potrebbe fungere da anticamera di trasformazioni socialiste vere e proprie. Ma, anche qui, c’è chi fa spallucce lancia anatemi contro il keynesismo “borghese”.
(4) Sulla natura del soggetto politico, che viene prima della forma, qui circolano le idee più disparate. Non parliamo tanto delle regole che debbono tenerci assieme. Qui parliamo, lo diciamo senza peli sulla lingua, del populismo. Anche in questo caso tra noi c’è chi lancia anatemi; si tratta, sia di coloro che ritengono sia oggi percorribile la strada della ricostruzione del partito di classe, ovvero comunista, sia di quelli che rispolverano la tradizione sindacalistica.
Il campo sociale e politiconon è più diviso da una retta verticale che divida la destra dalla sinistra, bensì da una retta orizzontale che divide chi sta sopra (l’oligarchia e la cima della piramide sociale) da chi sta sotto (una poltiglia sociale senza più la classe operaia al suo centro). Formenti ci dice che questa è la nuova forma della lotta di classe. E’ vero, a condizione di precisare che è una nuova forma di lotta di classe per cui, inabissatosi il soggetto sociale teleologico che per sua natura avrebbe una funzione guida, spetta al soggetto politico (politico si badi, né sindacale né tantomeno vagamente “sociale” —non amiamo quindi l’aggettivo “sociale” posto dopo il sostantivo “piattaforma”) dare forma e finalità alla eterogenea sfera sociale, di questi tempi un partito che costruisce e plasma un popolo che sia forza di mutamento e capace di esercitare sovranità.
Per questo non basta avere un programma, né rivendicare l’applicazione delle parti progressive della Costituzione, né tanto meno limitarsi ad affermare tre NO. C’è bisogno di un discorso profetico, di simboli forti, e perché no, di miti e nuovi orizzonti di senso. Dobbiamo saper stabilire connessioni emotive con il popolo lavoratore, precario e marginale, capaci di parlare al suo cuore e non solo alla sua testa. Quando la situazione è drammatica nessuna narrazione politica può sperare di diventare egemonica se non ha pathos. Populismo, per quanto ci riguarda populismo socialista, non è quindi solo linguaggio o retorica discorsiva, è l’incontro tra una visione radicale ed una pratica politica di massa.
Per concludere.
C’è molto lavoro da fare affinché “la cosa diventi reale”.
Dobbiamo unire le nostre forze, avviarci su questo sentiero, senza temere le difficoltà esistenti che potremo superare come abbiamo già superato alcune delle divergenze che ci dividevano fino a ieri. In questo contesto ci permettiamo di condensare quelli noi consideriamo i dieci punti d’indirizzo per andare verso il popolo e farne il protagonista della rivoluzione democratica:
(1) IL POTERE SPETTA AL POPOLO NON ALL’OLIGARCHIA CAPITALISTA
(2) LA COMUNITÀ VIENE PRIMA DELL’INDIVIDUO
(3) L’EGUAGLIANZA E LA SOLIDARIETÀ SIANO I PRINCIPI DELLA CONVIVENZA CIVILE
(4) LA DIGNITÀ E IL DIRITTO AL LAVORO DI OGNUNO VENGONO PRIMA DI TUTTO
(5) LA POLITICA DIRIGA E PROGRAMMI L’ECONOMIA, PER DIFENDERE AMBIENTE E TERRITORIO NELL’INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ
(6) LO STATO DEVE COMANDARE, NON IL MERCATO
(7) REGOLARE L’IMMIGRAZIONE IN BASE ALLE ESIGENZE DELLA COMUNITÀ CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE ETNICA, RELIGIOSA O RAZZIALE
(8) PER LA SICUREZZA SOCIALE, CONTRO LA CRIMINALITÀ, I SOPRUSI E LE ANGHERIE
(9) PER LA SOVRANITÀ NAZIONALE , CONTRO GLOBALIZZAZIONE, UNIONE EUROPEA E NATO
(10) PER UN PATRIOTTISMO REPUBBLICANO E INTERNAZIONALISTA».
3 commenti:
Con quale coerenza politica possono convivere dentro uno stesso movimento persone con orientamenti politici radicalmente diversi?
Giusto per fare un esempio con quale coerenza politica possono convivere dentro uno stesso movimento persone come Cremaschi e Boghetta da un lato e l'altreuropeista Forenza dall'altro lato?
Vorrei capire meglio qual è l'approccio di eurostop sulle elezioni?
Prevale la posizione astensionista, ho capito.
Ma in che senso?
Che avrebbero la forza di presentarsi alle elezioni ma non lo fanno?
La propaganda “buonista” dei media che fino ad oggi ha cercato di occultare il fenomeno ed offrire un aspetto positivo dell’ondata migratoria per farla considerare “una risorsa” e non un problema, attualmente non riesce più a convincere nessuno. Gli stessi esponenti del PD adesso cercano di “nascondere la mano” e fingere di voler mettere argine al fenomeno che rischia di far montare la rabbia contro loro stessi e la loro gestione demenziale. Il rimedio che propongono è quello dello “jus soli”, una forma di cittadinanza automatica preventiva che avrebbe l’effetto di attirare ancora di più masse di migranti in cerca di una “sistemazione” sociale con contributi a carico del paese ospitante.
I cittadini italiani ormai dovrebbero aver imparato a conoscere chi sono i responsabili, mandanti ed complici di questa scellerata politica immigrazionista che sta devastando l’assetto sociale delle varie comunità: sono i governi del Pd, gli Alfano, i prefetti”, il vero braccio armato del governo sui territori, con l’avallo di tutta la sinistra mondialista ed i suoi esponenti istituzionali dalla Boldrini a Mattarella, Renzi, Gentiloni, Pisapia, Bonino, ecc.. quella sinistra dei principi “buonisti” ed universalisti che plaudiva all’accoglienza e che di fatto ha sempre difeso e si è resa complice dei grandi interessi delle mafie e degli scafisti che hanno creato l’enorme business sulla tratta di esseri umani.
Le barricate contro l’insediamento di nuovi migranti nei territori non sono più episodi spot guidati da parti politiche notoriamente poco tolleranti ma piuttosto effettuate da aggregazioni spontanee di cittadini esasperati che esigono il rispetto dei propri diritti.
La sinistra mondialista ha da sempre sostenuto a spada tratta l’immigrazione incontrollata, l’abolizione delle frontiere, il diritto dei migranti ad entrare ed insediarsi dove meglio aggrada loro, la necessità di accogliere tutti, di offrire alloggio e mantenimento a queste persone a carico delle collettività.
Questa posizione ideologica rientra nella logica del piano mondialista di utilizzare le ondate migratorie per i propri fini: in primis di rendere un servizio al grande capitale sovranazionale che può utilizzare la mano d’opera dei migranti a basso costo, oltre ad ottenere una generale riduzione della media dei salari, migliorando il proprio margine di profitto. Questo senza tralasciare poi la prospettiva di fare dei migranti una massa sociale, una nuova classe su cui puntare per ottenere il consenso politico e da utilizzare come ariete contro le resistenze antiglobaliste e sovraniste.
D’altra parte l’abbattimento delle frontiere e l’accoglienza migratoria è predicata dal Papa Bergoglio, dall’ONU, dal FMI e dai principali organismi finanziari come Goldman Sachs e dalla Open Society di George Soros. Organismi questi che a loro volta stipendiano una quantità di persone ed organizzazioni preposte ad agevolare l’ondata migratoria in tutta Europa, dalle ONG che prelevano i migranti dalla costa libica fino a organizzazioni come “No Borders” i cui militanti manifestano a Ventimiglia o al Brennero contro le barriere ed i confini.
Dalle molte situazioni di violenza e di degrado si rende evidente l’impossibilità di integrare soggetti che, a prescindere dalla loro razza o religione, sono totalmente diversi e spesso incompatibili con l’italiano o l’europeo per usi, costumi, abitudini e cultura. Come dimostrato dalle esperienze di altri paesi europei come il Belgio, l’Olanda, la Svezia ed il Regno Unito, dove si sono formate della zone fuori controllo autogovernate dalle stesse comunità straniere (quasi sempre islamiche) che, divenute maggioranza, adottano le loro leggi e le loro usanze anche del tutto in contrasto con le leggi del paese ospitante. Situazioni queste in cui il preteso “multiculturalismo”, feticcio idelaizzato dalla sinistra mondialista, si ritorce contro la società ospitante alterandone le regole e la cultura originaria.
Posta un commento