«Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos».
Mi telefona l'amica M.M.
- come la vedi la situazione politica?
- stiamo lavorando ad una lista sovranista per le politiche del 2018
- vi alleate con il m5s?
- non credo proprio, anche se ci rivolgeremo agli elettori del m5s che non dormono in piedi
- allora vi alleate con la Lega?
- ma scherzi? Sono liberisti, e noi socialisti. Vogliamo uscire dall'euro e dall'UE, per ripristinare la legalità costituzionale
- ah interessante; va bene ciao.
Oddio, mi sono un po' sbilanciato perché non so se la si farà, questa benedetta lista sovranista costituzionale per le politiche del 2018, ma intanto all'amica M.M., sinistrata di razza, gliel'ho detto. Non me ne voglia per il "sinistrata di razza", le voglio bene ma la politica è affare piuttosto rude.
Comunque penso che questa lista si farà. Forse si chiamerà "Italia Ribelle e Sovrana", IReS come ha acrostizzato Barbaro D'Urso, egregio commentatore sul blog Sollevazione.
L'obiezione principale che viene fatta a questa (non ancora certa) scelta è: sarà un fiasco. L'egregio commentatore Barbaro D'Urso, ad esempio, argomenta su Sollevazione: "l'attuale legge elettorale italiana, cioè quel pasticciaccio brutto costituito dall'Italicum 'consultellato' alla camera e dal Porcellum parimenti 'consultellato' al senato, prevede la necessità di raggiungere il 3% su base nazionale alla camera e la stessa percentuale a livello di singole regioni al senato per accedere alla ripartizione dei seggi. Meno di così, magari ci si mette in vista durante la campagna elettorale, ma poi non si può incidere e non si può mantenere una pur minima visibilità a livello mainstream".
Ho evidenziato il passaggio cruciale: "ma poi non si può incidere e non si può mantenere una pur minima visibilità a livello mainstream". Barbaro D'Urso avrebbe perfettamente ragione se l'obiettivo di IReS fosse quello di "incidere" e/o mantenere una visibilità a livello mainstream. Ma, se fosse così, io non sarei della partita, preferendo continuare a zappare l'orto. Il quale, detto en passant, mi sta dando grandi soddisfazioni a dispetto della gran secca. Questo, semmai, è l'obiettivo della sinistra sinistrata, quella che cerca qualche poltroncina per poi condurre battaglie insignificanti, e di pura facciata, sempre rispettose delle compatibilità sistemiche perché, come ebbe a dire uno dei suoi illustri esponenti, il dentifricio è ormai uscito dal tubetto. Per me la battaglia politica, nelle condizioni storiche che stiamo vivendo, è ben altra cosa! Ecco, questo è il momento di invocare il benaltrismo. Per me, e credo non solo per me in questo periodo storico, l'impegno politico è ben altro, significa lotta per la (ri)conquista del potere da parte del mondo del lavoro.
Incidere cosa? Visibilità de che? Sono espressioni, queste, che rivelano, mi scusi Barbaro D'Urso, una subalternità che è, prima che politica, psicologica nei confronti delle classi dominanti capitaliste. Qui non è questione di incidere, o di conquistare "visibilità" nei media di proprietà del capitale, ma di dare inizio a una lunga marcia che abbia come obiettivo finale la conquista del potere in nome e per conto del mondo dei lavoratori. La vera e sola questione, dunque, è se sia più efficace la strategia adottata dal FSI di saltare questo appuntamento elettorale, oppure sfruttarlo per accelerare il processo di costruzione di un'opposizione di classe. Personalmente sostengo la seconda opzione.
A questo punto del discorso mi corre l'obbligo di chiarire un aspetto importante, anzi fondamentale. Non vorrei, infatti, che questa posizione radicale fosse intesa come una qualche inclinazione per la lotta armata, come fecero gli imbecilli delle brigate rosse prima maniera (dopo fu affare di servizi segreti) negli anni settanta. Il punto non è il rifiuto a priori e moralistico del ricorso alla violenza, bensì la banale considerazione che questa strada è intrinsecamente incompatibile con l'obiettivo della costruzione di una democrazia popolare fondata sul lavoro. Semmai, sono le classi dominanti che hanno bisogno di ricorrere alla violenza, e lo fanno ah se lo fanno! per sopperire allo svantaggio di essere numericamente inferiori, mentre per i lavoratori questa strada è sempre un'apparente scorciatoia, quando non la premessa per una sconfitta epocale. Occorre dunque partecipare alla vita democratica, sempre, approfittando di tutte le opportunità che si presentano.
Le elezioni politiche sono una di queste opportunità, sebbene non l'unica. Ci sono, è vero, coloro che ritengono che il punto essenziale sia riaccendere una conflittualità sociale diffusa, mentre partecipare al gioco elettorale sarebbe una forma di cedimento alle regole del gioco imposto dalla borghesia. Non sono d'accordo. Ma l'obiezione più importante viene oggi da quanti, ad esempio il succitato FSI, sostengono la necessità di continuare a rafforzare ancora per qualche anno il movimento sovranista, al più esercitando l'opzione elettorale in occasione di elezioni locali o al massimo regionali, per rimandare la sfida per le politiche a quando avremo raccolto intorno alle nostre idee un numero molto più significativo di militanti. Si tratta di una strategia opposta a quella di IReS, e saranno i fatti a stabilire chi ha ragione.
Le metriche da usare per misurare la validità della scelta di accettare il confronto alle elezioni politiche del 2018 sono due: da un lato, evidentemente, il mero risultato numerico, dall'altro la crescita del movimento sovranista come conseguenza della nostra discesa in campo. La seconda essendo, a mio avviso, ben più importante della prima. Quanto al mero risultato numerico, la soglia che discrimina il successo dal fallimento è, a mio avviso, intorno all'1%, ovviamente nei collegi dove riusciremo, con le nostre forze, a presentarci. Il che significa una proiezione a livello nazionale di alcune centinaia di migliaia di voti. Un obiettivo plausibile, e tale da spingere alla mobilitazione e all'impegno qualche migliaio di militanti.
Una mobilitazione e un impegno che sono indispensabili per la crescita politica e, mi sia consentito, psicologica, delle decine di migliaia di cittadini che, agendo ogni giorno sui social, riescono già ora a costituire un pericolo per la melassa informativa mainstream, così preoccupante da suscitare allarme; ma che devono affrontare un processo di maturazione personale che li trasformi dall'essere agenti atomizzati di controinformazione a cellule viventi di un processo di alternativa politica. Per dire una cosa figa, si tratta di rovesciare la teoria nella prassi, imparando anche ad accettare il fatto che, in questo passaggio, è necessario liberarsi dall'ossessione della purezza ideologica. Dunque l'operazione IReS dovrà essere sia inclusiva che radicale. Ove col termine "radicale" non si intende, ovviamente, la vera centrale ideologica dell'ordoliberismo italiano, quel partito radicale che, in combutta col fogliaccio di Scalfari, è riuscito nell'arco di quarant'anni a cambiare il cuore dei lavoratori italiani!
Il decalogo della CLN, che ha proposto l'operazione IReS (continuo a chiamarla così per il momento) è un ottima sintesi di quella che ho definito una proposta radicale:
«(1) Il potere appartiene al popolo, non all'élite finanziaria. (2) Lo Stato prevale sui "mercati" . (3) La comunità è la base per l'emancipazione della persona. (4) L'eguaglianza e la solidarietà sono i principi della convivenza civile. (5) La dignità e il diritto al lavoro vengono prima di tutto. (6) La politica dirige e programma l'economia nell'interesse della collettività. (7) L'immigrazione va regolata, contro ogni discriminazione etnica e religiosa, in base alle possibilità della comunità. (8) Per la sicurezza sociale, contro ogni forma di criminalità e di sopruso. (9) Per un patriottismo democratico, repubblicano e costituzionale. (10) Per la sovranità nazionale, contro la globalizzazione e l’Unione Europea».Su questa base è possibile aprire un confronto ad ampio spettro sia con le numerose piccole organizzazioni sovraniste e/o critiche dei trattati europei, sia con il pulviscolo di sigle che operano sui social; nonché con le decine di migliaia di italiani che, sperimentando sulla propria pelle il progressivo degrado della vita economica e della nostra convivenza civile, potrebbero rispondere attivamente ad un appello alla mobilitazione politica, in vista del chiaro e puntuale obiettivo rappresentato dall'appuntamento elettorale del 2018. La discussione è aperta, e se ne parlerà in occasione dell'appuntamento dell'1-2-3 settembre organizzato dalla CLN, al quale parteciperò con la speranza nel cuore che questa sia, finalmente, la volta buona.
Se c'è una cosa che posso riferire ai pochi lettori di questo blog, questa è che sulla radicalità c'è già accordo unanime, e chi non l'accetta può risparmiarsi la fatica di venire. Resta da discutere sul versante dell'inclusività, e non sarà facile. Personalmente propendo per la massima apertura, a patto di non arretrare sulla radicalità. E, ovviamente, stando attentissimi alle manovre entriste alla rovescia...
6 commenti:
Per ridare rappresentanza al mondo del lavoro, per costruire un opposizione di classe bisognerebbe riuscire ad unire i vari frammenti di malessere sociale diffuso. Su FQ troviamo questo articolo:
Migranti sgomberati, dalle piazze di Livorno alle botte a Landini: tutti i “caricate” del funzionario di Roma
Un giornale mainstream? Diffidare è d'obbligo.
Forse stanno giocando d'anticipo, se il PD prendesse una sonora batosta in Sicilia essi avrebbero bisogno di qualcuno che possa gestire i diversi rivoli di dissenso che rischiano di cominciare ad unirsi anche se in forma instabile, embrionale, inoffensiva ma che ciononostante essi non vogliono lasciarsi scappare. Un tribuno della plebe che sostituisca il Renzi declinante. Molti scalpitano per quel posto e certamente Landini sarebbe perfetto nel ruolo per lorsignori. Uno che in occasione del referendum per la brexit, dopo anni di crisi ancora dichiarava quello che sentite in questo video e che recentemente, guarda coincidenza, è entrato nella segreteria nazionale di Cgil dopo anni che non accadeva ad un dirigente fiom.
Insomma, si stanno attrezzando per fregarci in curva un altra volta, imbrigliare il dissenso prima ancora che possa nascere, anzi prima ancora che l'ovulo venga fecondato, giocando d'anticipo.
Esatto . Alcuni casi di "entrismo rovesciato" sono già stati neutralizzati. Meglio starne alla lontana. A Chianciano non sarà un convegno estetico e intellettualistico: ma per creare organizzazione necessaria al progetto politico:sarà sul CHE FARE? I tempi dell'accademia sono finiti; è tempo di agire.
Le difficoltà saranno moltissime, la strada è in salita, ma "il NON-OMOLOGATO RIBELLE E SOVRANO deve incominciare a marcare i confini ..... che lo separano dal NULLA e dall'Opportunismo riscaldato e rancido.
nella prospettiva di una maggiore ispirazione e coordinazione con il soggetto politico nascente, se può servire, condivido la mia idea ed esperienza attuale di impegno politico, patriottico e sovranista.
praticamente con quasi tutte le persone con le quali parlo riscontro una visione comune su quanto sta accadendo, in materia di furto di sovranità-democrazia a favore di non meglio identificate entità, centri di potere le cui interfacce istituzionali sono tutelate da accordi e trattati sovranazionali.
di certo il tema del nemico è molto sentito, soprattutto quello cinicamente sfuggente che manipola indisturbato, al sicuro degli stratosferici profitti della finanza parassita.
ma incominciano a definirsi fisionomie.
dopo il volto Ashkenazi del "banchiere" il nemico più odiato è quello dei politici, giornalisti e lobbisti al servizio del complesso militare industriale.
seguono i nemici al servizio di big pharma e dell'industria alimentare.
se è vero che il tema del nemico appassiona ho altresì riscontrato che il protrarsi della conversazione su questo comporta il rischio di essere risucchiati dal buco nero del complottismo, un avvitamento emotivo tra paura e paranoia per qualcosa di umanamente troppo diverso e più potente di noi.
non aiuta nemmeno la lettura alternativa, quella di un congegno di dominio spersonalizzato e retto da leggi animate da una matrice culturale comune a tutti gli elementi agenti nel sistema: il profitto.
no, parlare del nemico e dei suoi orrori non basta, si finisce con il deprimersi, se non se ne vuole assumere la stessa ferocia.
se è importante riconoscere "da" cosa dobbiamo liberarci, nel farlo, non si deve perdere il contatto con noi stessi, il nostro cuore, la nostra umanità, interiormente già liberi "per" qualcosa di più grande e bello da creare.francesco
P.s. Provo molta simpatia-empatia per chi lotta come un "pazzo" come Paolo Barnard, anche quando ogni tanto "svalvola", come tutti quelli che investono molto sul bene del prossimo (come forse anche il caro Alberto B. fa).
Tutti noi in lotta a partire dal nostro "entusiasmo idealistico" siamo esposti allo stesso rischio, perciò quando saremo organizzati e vincolati a un partito dovremo imparare a non chiedere troppo a noi stessi o ai nostri compagni, perché non avrebbe senso vincere avendo perso se stessi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_da_burnout
Saluto e ringrazio nuovamente Fiorenzo Fraioli per aver dato così tanto spazio ad un tema scaturito da un nostro scambio avuto proprio qualche giorno fa qui su Sollevazione.
Avendo già letto e commentato questo articolo sul di lui blog, rimando direttamente chi fosse interessato alla lettura del mio commento e di un ulteriore scambio che lo segue, per evitare di copiare interventi da un blog all'altro.
Detto questo, ora il discorso si sposta sul pericolo di "entrismo al contrario" che il nuovo soggetto politico potrebbe correre. Ebbene, cosa s'intende fare in proposito? Esistono già delle proposte? Oppure bisogna entrare in Modalità Paranoia e così ogni fisiologico e magari minimo dissenso verrà accolto con un simpatico e cordiale «CHI TI PAAAGAAA?!?!?!»?
Se può interessare, cito un piccolo estratto da un libro di cui avevo già parlato in altri commenti, scritto da Gianfranco Miglio riguardo la sua esperienza di vicinanza alla Lega, finita assai malamente. Avevo citato il libro in risposta ad alcuni commentatori molto entusiasti nei confronti del Carroccio per dar loro prova che si tratta solo d'una banda di chiacchieroni. E non da ora, ma da quasi trent'anni! Ora invece riporto un passaggio sul primo di sette consigli che Miglio diede a Bossi riguardo al consolidamento d'un partito nei suoi primi tempi, qualcosa che trascende dunque il discorso leghista e può interessare la nostra discussione:
l. «Mantenere a ogni costo la compattezza del movimento, stroncando ogni tentativo di frazionismo e ogni nascente "corrente". Conservare massimo potere al segretario e mantenere la struttura originaria basata sul collegio ristretto di soci fondatori. Per far questo creare un collegio di probiviri (segretario stesso più due giudici) con il potere di espellere (senza appello) coloro che attentano all'unità del movimento. Giustificare questo modo di procedere con la necessità di attraversare la fase delicata di fondazione e consolidamento del movimento, proteggendolo dalle infiltrazioni e dai sabotaggi degli avversari. Rinviare a un ipotetico futuro una maggiore "democrazia'' interna».
Seguiva un commento col senno di poi di Miglio:
Commento: Io continuavo a ricordare quanto era accaduto alla Liga veneta: nata prima di quella lombarda, ma presto travolta da un irresistibile «frazionismo» (del resto ancora oggi fortemente presente in quelle terre, e sempre risorgente). Poi pensavo alle infiltrazioni e ai sabotaggi che avevano liquidato a suo tempo l'«Uomo qualunque». Dei «Sette consigli» questo è forse il solo che Bossi seguì integralmente: probabilmente perché a fissare tale regola di comportamento era già arrivato per conto suo. Ma (come dirò più avanti) egli mantenne la concentrazione di potere anche quando la Lega raggiunse il vertice della sua efficacia e addirittura incominciò a declinare: e questo atteggiamento si trasformò in un grave errore.
Brani tratti da "Io, Bossi e le Lega. Diario segreto dei miei quattro anni sul Carroccio" di Gianfranco Miglio, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1994.
Cordialmente
Barbaro D'Urso
Per Barbaro D'Urso che cita Miglio: "...egli (Bossi n.d.r.) mantenne la concentrazione di potere anche quando la Lega raggiunse il vertice della sua efficacia e addirittura incominciò a declinare..."
Le domando: è più facile infiltrare un partito strutturato con centinaia e centinaia di "capi" sparsi sul territorio, guidato da un vertice cui si accede attraverso un rigoroso metodo democratico interno, oppure un partito con un solo "Capo" e la sua corte? Non mi sorprende la fine che ha fatto la Lega di Bossi; come non mi sorprende l'accordo sottobanco tra il "Capo" del piccolo Partito Nazionale Fascista e la sua ristretta corte di fedelissimi, con gli agrari e gli industriali: basta comprarne, o minacciarne, pochi, e il gioco è fatto.
Per Fiorenzo Fraioli:
Sicuramente un sistema come quello che Lei propone offre delle garanzie in più riguardo al problema della "comprabibilità" della leadership. Tuttavia mi sembra che la preoccupazione per il cosiddetto "entrismo a rovescio" abbia più a che fare con l'entrata di infiltrati "alla base", non con la corruzione-ricattabilità dei vertici. Potrei aver travisato il discorso, ma la mia impressione è che la paura fosse per operazioni tipo: si fanno aderire alcuni provocatori che ad un certo punto, facendosi ben riconoscere come appartenenti al nuovo movimento, si mettono a fare sparate assurde, imbarazzanti e indifendibili in pubblico trascinando così nel fango la reputazione del movimento tutto, magari con la storia subito amplificata dai media...
In un caso del genere, credo, i vertici dovrebbero avere mano libera nel cacciar via l'interessato nel giro di ventiquattro ore, dando la massima pubblicità alla cosa. Questo il motivo della mia citazione di quei passaggi di Miglio.
Ulteriore precisazione: ho citato quel libro e quel passaggio non per vicinanza ideologica a Miglio (e tantomeno alla Lega, nei suoi tanti ribaltoni) ma solo per rimarcare che certe "costanti" e certi problemi organizzativi sono gli stessi indipendentemente dagli obbiettivi ideologici. Detto questo, si tratta pur sempre d'una lettura interessante, agile (meno di cento pagine) e a tratti divertente. Smaschera definitivamente la natura della Lega Nord (e questo dovrebbe interessare a certi malconsigliati commentatori molto appassionati di Salvini...) già nel 1994, ma soprattutto contiene in appendice un saggio di Miglio intitolato "Vocazione e destino dei lombardi" già pubblicato nel 1989. Questo scritto è di grande interesse perché prevede con incredibile chiarezza certi sviluppi europei e internazionali che oggi vediamo realizzarsi. Ovviamente, tutto descritto da un conservatore liberale e federalista col dentino avvelenato verso Roma e il Mezzogiorno, ma sempre qualcosa che sta su un altro piano rispetto a «Aho! Io ero già contro l'Euro ner 1965! Aho! Absit iniuria verbis, sic transit gloria mundis et quid pro quo!».
Ora ho scocciato abbastanza, altri impegni mi chiamano e credo di non aver tempo di commentare per il resto della settimana. Dovrei ripalesarmi, se lo vuole il Cielo, dopo l'assemblea della CLN, sperando di poter commentare qualche novità succosa.
Un saluto a Fiorenzo Fraioli e a tutti i "sollevatori".
Barbaro D'Urso
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