[ 7 marzo ]
Per l’economista del Levy Economics Institute il governo Syriza ha preso tempo dando un segnale di discontinuità, ma ora la sfida tra Atene e Bruxelles entra nel vivo. E, se si vuole evitare l'uscita della Grecia dall’eurozona, occorre valutare l’introduzione di una moneta parallela all’euro: “per restituire uno spazio di manovra fiscale senza entrare in diretto conflitto con gli attuali vincoli europei”.
intervista a Gennaro Zezza di Giacomo Russo Spena*
“Nel programma originario vi erano maggiori elementi di rottura con le ideologie del capitalismo contemporaneo, tali posizioni sono state accantonate”. Una capitolazione per la Grecia? “Tsipras ha preso tempo ”. Per Gennaro Zezza – economista, docente all’università di Cassino e ricercatore presso il Levy Economics Institute – è prematuro dare giudizi definitivi sul negoziato all’Eurogruppo, “vedremo tra 4 mesi”. Di certo, il regime di “austerità espansiva” imposto ad Atene in questi anni aveva portato al crollo della produzione e del benessere ed aumentato la disoccupazione, creando una tragedia umanitaria. Ora è il momento di voltare pagina. E, tra le exit strategy, si valuta l’idea di una moneta parallela all’euro per “restituire uno spazio di manovra fiscale – da utilizzare per stimolare l’economia – senza entrare in diretto conflitto con le attuali regole dell’eurozona”.
Partiamo dall’accordo politico siglato all’Eurogruppo. Secondo Alexis Tsipras “ha cancellato gli impegni sull'austerità dei precedenti governi verso i creditori internazionali del Paese”. Per il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble, invece, “la Grecia ha accettato senza riserve di realizzare il programma”. Qual è il suo giudizio?
Mi sembra che l’accordo raggiunto abbia semplicemente consentito di spostare in avanti, tra quattro mesi, un confronto più ampio. Syriza è andata al tavolo di discussione dopo pochi giorni dall’insediamento, e con una pressione molto forte derivante dai debiti in scadenza, e da una potenziale crisi di liquidità bancaria. I miei colleghi in Grecia sottolineano che comunque Syriza ha dato ai suoi elettori la percezione di andare al confronto per rappresentare e difendere il popolo greco, e questo non è un risultato trascurabile. Non c’è ancora una rinuncia esplicita e definitiva all’austerità, ma neanche la promessa di proseguire sul programma approvato dal governo precedente.
Le proposte di riforma del governo greco – in cui si parla di lotta all'evasione fiscale e alla corruzione e di misure per arginare la “tragedia umanitaria” – danno un segnale di discontinuità rispetto ai memorandum passati?
Il segnale di discontinuità è dato dalla composizione del nuovo governo, che non ha gli stessi intrecci di interessi del governo precedente. Una delle tante sfide che Syriza deve vincere è proprio nel realizzare queste promesse di cambiamento, attuate tramite una redistribuzione dei redditi verso il basso ed un aumento nell’efficienza della macchina amministrativa. Purtroppo non sono riforme che generano maggiori entrate in tempi brevi.
All’interno di Syriza ci sono forti mal di pancia per il negoziato con le “Istituzioni”. Il KKE è sceso in piazza accusando Tsipras di non aver stralciato i memorandum…
Mi risulta che il governo greco avrebbe potuto trovarsi in una situazione di crisi di liquidità, in caso di fallimento delle trattative ed uscita forzata dall’euro, in quanto scenari alternativi – come il ritorno alla dracma – richiedono tempi tecnici non brevi. Syriza non era quindi in una posizione di forza per “imporre” all’eurogruppo le sue richieste, e l’accordo trovato, a mio avviso, ha solo consentito di prendere tempo. Come in tutti i casi di soluzioni di compromesso, questo consente agli avversari politici di cercare di aumentare il loro consenso.
Il ministro della Finanze greco Yanis Varoufkakis si definisce un marxista irregolare. In un suo scritto dice di voler “salvare il capitalismo da stesso”. In una fase di ideologia neoliberista imperante, le teorie keynesiane rappresentano già politiche rivoluzionarie?
Bisogna intendersi su cosa siano politiche “rivoluzionarie”. Le politiche keynesiane sono di solito quelle che “salvano il capitalismo da se stesso” sostenendo l’occupazione e i salari, e stemperando processi che potrebbero portare a sommovimenti sociali. Nel programma originario di Syriza vi erano elementi di maggiore rottura con le ideologie del capitalismo contemporaneo, ad esempio in tema di nazionalizzazioni, ma mi pare che queste posizioni siano state accantonate, almeno per il momento.
Nel negoziato la posizione di Syriza era isolata: uno contro diciotto. Possiamo sancire l’inesistenza di “una terra di mezzo” e denunciare il ruolo del Pse che ha definitivamente sposato l’austerity e le politiche della destra?
I partiti socialisti tradizionali hanno chiaramente abbandonato le loro radici.
Questi 4 mesi di “prestito-ponte” – il proseguo del salvataggio del 2012 – servono a Tsipras per studiare una nuova strategia? Si temporeggia in attesa che nel resto di Europa vincano altre sinistre (vedi Podemos e Sinn Fein) o si ipotizza anche l’idea di fuoriuscita dall’eEuropa?
Nonostante la devastazione dovuta alle politiche di austerità, sembra che i greci non vogliano abbandonare l’euro. Negli anni fino al 2007, il reddito medio dei greci è aumentato sensibilmente, anche in relazione a quello degli altri partners europei, e probabilmente si attribuisce questo aumento di benessere alla moneta unica, e da qui le resistenze psicologiche all’abbandono dell’euro, di cui Syriza deve tener conto. E le richieste di Tsipras sono molto ragionevoli. Il modello dell’economia greca che abbiamo sviluppato – al Levy Economics Institute – ci dice che, prima delle recenti turbolenze finanziarie legate alle elezioni, il governo ellenico aveva raggiunto un surplus primario, sia pur precario, e i conti con l’estero del Paese erano migliorati, grazie ad un sostenuto aumento nel turismo. Le simulazioni del modello mostrano che è possibile per la Grecia tornare a crescere, stimolando l’economia con una cauta politica fiscale espansiva: in sintesi, la richiesta di mantenere un surplus primario dell’1,5%. Il modello mostra però che tali politiche avrebbero un effetto modesto sulla produzione e sull’occupazione, con dei tempi di ripresa troppo lunghi, data l’a attuale situazione di disoccupazione e povertà. Ci sarebbe bisogno di uno stimolo aggiuntivo, finanziato dall’esterno come un “New Deal”, o in alternativa finanziato dalla sospensione del pagamento degli interessi sul debito pubblico detenuto all’estero. Anche con questi interventi modesti , nell’ordine dei 7/10 miliardi di euro per anno, per la Grecia ci vorranno anni per ripristinare i livelli di occupazione precedenti alla crisi. In queste nostre simulazioni il default sul debito esistente non è inevitabile, purché i creditori siano disponibili a rifinanziarlo a scadenza.
Quindi, secondo lei, la Grexit è una reale opzione in campo?
L’uscita dall’eurozona è una possibilità che Syriza probabilmente presenterebbe come una imposizione dell’Eurogruppo. In quel caso il default sul debito in euro è inevitabile, ma la gestione della crisi ha dato modo ai creditori privati esteri di liberarsi dei titoli greci in bilancio, quindi non si avrebbero “effetti contagio” diretti sui bilanci bancari. Nel caso in cui ci siano effetti indiretti – ad esempio se i mercati finanziari iniziassero a scommettere sulla successiva uscita anche dell’Italia dall’eurozona – le conseguenze sulla stabilità dei sistemi finanziari europei saranno sarebbero non trascurabili. Per la Grecia, la plausibile svalutazione della nuova dracma a seguito dell’uscita dall’eurozona non avrà un impatto immediato sul commercio estero (se non forse sul turismo). Anche in quel caso, quindi, la ripresa dovrà basarsi sulla inversione di rotta della politica fiscale e su un sostegno finanziario esterno.
Cosa ne pensa della proposta di emissione di una moneta nazionale parallela all'euro? Noi di MicroMega abbiamo pubblicato l’appello di Gallino e altri economisti sui certificati di credito fiscale per superare il problema della liquidità. È un’ipotesi?
Al Levy Economics Institute abbiamo simulato le conseguenze per l’economia greca dell’introduzione di una moneta parallela da utilizzare sia per programmi di creazione diretta di posti di lavoro, sia per il sostegno del reddito, e abbiamo mostrato come questa sia coerente con il mantenimento di un bilancio in euro per il governo greco compatibile con gli attuali vincoli europei. La proposta dei certificati di credito fiscale avanzata in Italia da questo appello ha lo stesso obiettivo: restituire uno spazio di manovra fiscale – da utilizzare per stimolare l’economia – senza entrare in diretto conflitto con le attuali regole dell’eurozona.
Per l’Italia ritengo sia da preferire l’uscita dall’euro, ma una proposta come quella dei certificati di credito, che ha il pregio di poter essere implementata in tempi rapidi, può costituire una interessante modalità di finanziamento per uno stimolo fiscale compatibile con i Trattati. Resta da vedere se sarà consentito ad un Paese dell’eurozona di stimolare la domanda interna, in una fase in cui le richieste che provengono dalle istituzioni europee vanno in direzione opposta: ridurre il debito pubblico e tagliare i salari.
Lei è in contatto con la Grecia? Sa se è una possibilità, quella moneta parallela, al vaglio del governo ellenico?
Il gruppo di ricerca con cui collaboro al Levy Institute è in contatto diretto con il governo greco. In particolare, Rania Antonopoulos, sottosegretario al Lavoro, proviene dal Levy Institute, e propone di realizzare un piano di creazione di posti di lavoro suggerito in origine da Hyman Minsky, figura centrale nel lavoro del Levy Institute. Come dicevo, abbiamo verificato che il finanziamento di questo piano tramite la creazione di moneta fiscale è fattibile, e i tecnici del governo greco sono certamente al corrente di questa possibilità, ma credo che – al momento – la considerino come un possibile “piano B”. In ogni caso, qualsiasi stimolo fiscale all’economia greca avrà delle ripercussioni sui conti con l’estero che renderanno necessario un finanziamento esterno, che non può provenire dalla moneta parallela. Come garantirsi questo finanziamento dovrebbe essere la priorità per Syriza.
* Fonte: MicroMega
Per l’economista del Levy Economics Institute il governo Syriza ha preso tempo dando un segnale di discontinuità, ma ora la sfida tra Atene e Bruxelles entra nel vivo. E, se si vuole evitare l'uscita della Grecia dall’eurozona, occorre valutare l’introduzione di una moneta parallela all’euro: “per restituire uno spazio di manovra fiscale senza entrare in diretto conflitto con gli attuali vincoli europei”.
intervista a Gennaro Zezza di Giacomo Russo Spena*
“Nel programma originario vi erano maggiori elementi di rottura con le ideologie del capitalismo contemporaneo, tali posizioni sono state accantonate”. Una capitolazione per la Grecia? “Tsipras ha preso tempo ”. Per Gennaro Zezza – economista, docente all’università di Cassino e ricercatore presso il Levy Economics Institute – è prematuro dare giudizi definitivi sul negoziato all’Eurogruppo, “vedremo tra 4 mesi”. Di certo, il regime di “austerità espansiva” imposto ad Atene in questi anni aveva portato al crollo della produzione e del benessere ed aumentato la disoccupazione, creando una tragedia umanitaria. Ora è il momento di voltare pagina. E, tra le exit strategy, si valuta l’idea di una moneta parallela all’euro per “restituire uno spazio di manovra fiscale – da utilizzare per stimolare l’economia – senza entrare in diretto conflitto con le attuali regole dell’eurozona”.
Partiamo dall’accordo politico siglato all’Eurogruppo. Secondo Alexis Tsipras “ha cancellato gli impegni sull'austerità dei precedenti governi verso i creditori internazionali del Paese”. Per il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble, invece, “la Grecia ha accettato senza riserve di realizzare il programma”. Qual è il suo giudizio?
Mi sembra che l’accordo raggiunto abbia semplicemente consentito di spostare in avanti, tra quattro mesi, un confronto più ampio. Syriza è andata al tavolo di discussione dopo pochi giorni dall’insediamento, e con una pressione molto forte derivante dai debiti in scadenza, e da una potenziale crisi di liquidità bancaria. I miei colleghi in Grecia sottolineano che comunque Syriza ha dato ai suoi elettori la percezione di andare al confronto per rappresentare e difendere il popolo greco, e questo non è un risultato trascurabile. Non c’è ancora una rinuncia esplicita e definitiva all’austerità, ma neanche la promessa di proseguire sul programma approvato dal governo precedente.
Le proposte di riforma del governo greco – in cui si parla di lotta all'evasione fiscale e alla corruzione e di misure per arginare la “tragedia umanitaria” – danno un segnale di discontinuità rispetto ai memorandum passati?
Il segnale di discontinuità è dato dalla composizione del nuovo governo, che non ha gli stessi intrecci di interessi del governo precedente. Una delle tante sfide che Syriza deve vincere è proprio nel realizzare queste promesse di cambiamento, attuate tramite una redistribuzione dei redditi verso il basso ed un aumento nell’efficienza della macchina amministrativa. Purtroppo non sono riforme che generano maggiori entrate in tempi brevi.
All’interno di Syriza ci sono forti mal di pancia per il negoziato con le “Istituzioni”. Il KKE è sceso in piazza accusando Tsipras di non aver stralciato i memorandum…
Mi risulta che il governo greco avrebbe potuto trovarsi in una situazione di crisi di liquidità, in caso di fallimento delle trattative ed uscita forzata dall’euro, in quanto scenari alternativi – come il ritorno alla dracma – richiedono tempi tecnici non brevi. Syriza non era quindi in una posizione di forza per “imporre” all’eurogruppo le sue richieste, e l’accordo trovato, a mio avviso, ha solo consentito di prendere tempo. Come in tutti i casi di soluzioni di compromesso, questo consente agli avversari politici di cercare di aumentare il loro consenso.
Il ministro della Finanze greco Yanis Varoufkakis si definisce un marxista irregolare. In un suo scritto dice di voler “salvare il capitalismo da stesso”. In una fase di ideologia neoliberista imperante, le teorie keynesiane rappresentano già politiche rivoluzionarie?
Bisogna intendersi su cosa siano politiche “rivoluzionarie”. Le politiche keynesiane sono di solito quelle che “salvano il capitalismo da se stesso” sostenendo l’occupazione e i salari, e stemperando processi che potrebbero portare a sommovimenti sociali. Nel programma originario di Syriza vi erano elementi di maggiore rottura con le ideologie del capitalismo contemporaneo, ad esempio in tema di nazionalizzazioni, ma mi pare che queste posizioni siano state accantonate, almeno per il momento.
Nel negoziato la posizione di Syriza era isolata: uno contro diciotto. Possiamo sancire l’inesistenza di “una terra di mezzo” e denunciare il ruolo del Pse che ha definitivamente sposato l’austerity e le politiche della destra?
I partiti socialisti tradizionali hanno chiaramente abbandonato le loro radici.
Questi 4 mesi di “prestito-ponte” – il proseguo del salvataggio del 2012 – servono a Tsipras per studiare una nuova strategia? Si temporeggia in attesa che nel resto di Europa vincano altre sinistre (vedi Podemos e Sinn Fein) o si ipotizza anche l’idea di fuoriuscita dall’eEuropa?
Nonostante la devastazione dovuta alle politiche di austerità, sembra che i greci non vogliano abbandonare l’euro. Negli anni fino al 2007, il reddito medio dei greci è aumentato sensibilmente, anche in relazione a quello degli altri partners europei, e probabilmente si attribuisce questo aumento di benessere alla moneta unica, e da qui le resistenze psicologiche all’abbandono dell’euro, di cui Syriza deve tener conto. E le richieste di Tsipras sono molto ragionevoli. Il modello dell’economia greca che abbiamo sviluppato – al Levy Economics Institute – ci dice che, prima delle recenti turbolenze finanziarie legate alle elezioni, il governo ellenico aveva raggiunto un surplus primario, sia pur precario, e i conti con l’estero del Paese erano migliorati, grazie ad un sostenuto aumento nel turismo. Le simulazioni del modello mostrano che è possibile per la Grecia tornare a crescere, stimolando l’economia con una cauta politica fiscale espansiva: in sintesi, la richiesta di mantenere un surplus primario dell’1,5%. Il modello mostra però che tali politiche avrebbero un effetto modesto sulla produzione e sull’occupazione, con dei tempi di ripresa troppo lunghi, data l’a attuale situazione di disoccupazione e povertà. Ci sarebbe bisogno di uno stimolo aggiuntivo, finanziato dall’esterno come un “New Deal”, o in alternativa finanziato dalla sospensione del pagamento degli interessi sul debito pubblico detenuto all’estero. Anche con questi interventi modesti , nell’ordine dei 7/10 miliardi di euro per anno, per la Grecia ci vorranno anni per ripristinare i livelli di occupazione precedenti alla crisi. In queste nostre simulazioni il default sul debito esistente non è inevitabile, purché i creditori siano disponibili a rifinanziarlo a scadenza.
Quindi, secondo lei, la Grexit è una reale opzione in campo?
L’uscita dall’eurozona è una possibilità che Syriza probabilmente presenterebbe come una imposizione dell’Eurogruppo. In quel caso il default sul debito in euro è inevitabile, ma la gestione della crisi ha dato modo ai creditori privati esteri di liberarsi dei titoli greci in bilancio, quindi non si avrebbero “effetti contagio” diretti sui bilanci bancari. Nel caso in cui ci siano effetti indiretti – ad esempio se i mercati finanziari iniziassero a scommettere sulla successiva uscita anche dell’Italia dall’eurozona – le conseguenze sulla stabilità dei sistemi finanziari europei saranno sarebbero non trascurabili. Per la Grecia, la plausibile svalutazione della nuova dracma a seguito dell’uscita dall’eurozona non avrà un impatto immediato sul commercio estero (se non forse sul turismo). Anche in quel caso, quindi, la ripresa dovrà basarsi sulla inversione di rotta della politica fiscale e su un sostegno finanziario esterno.
Cosa ne pensa della proposta di emissione di una moneta nazionale parallela all'euro? Noi di MicroMega abbiamo pubblicato l’appello di Gallino e altri economisti sui certificati di credito fiscale per superare il problema della liquidità. È un’ipotesi?
Al Levy Economics Institute abbiamo simulato le conseguenze per l’economia greca dell’introduzione di una moneta parallela da utilizzare sia per programmi di creazione diretta di posti di lavoro, sia per il sostegno del reddito, e abbiamo mostrato come questa sia coerente con il mantenimento di un bilancio in euro per il governo greco compatibile con gli attuali vincoli europei. La proposta dei certificati di credito fiscale avanzata in Italia da questo appello ha lo stesso obiettivo: restituire uno spazio di manovra fiscale – da utilizzare per stimolare l’economia – senza entrare in diretto conflitto con le attuali regole dell’eurozona.
Per l’Italia ritengo sia da preferire l’uscita dall’euro, ma una proposta come quella dei certificati di credito, che ha il pregio di poter essere implementata in tempi rapidi, può costituire una interessante modalità di finanziamento per uno stimolo fiscale compatibile con i Trattati. Resta da vedere se sarà consentito ad un Paese dell’eurozona di stimolare la domanda interna, in una fase in cui le richieste che provengono dalle istituzioni europee vanno in direzione opposta: ridurre il debito pubblico e tagliare i salari.
Lei è in contatto con la Grecia? Sa se è una possibilità, quella moneta parallela, al vaglio del governo ellenico?
Il gruppo di ricerca con cui collaboro al Levy Institute è in contatto diretto con il governo greco. In particolare, Rania Antonopoulos, sottosegretario al Lavoro, proviene dal Levy Institute, e propone di realizzare un piano di creazione di posti di lavoro suggerito in origine da Hyman Minsky, figura centrale nel lavoro del Levy Institute. Come dicevo, abbiamo verificato che il finanziamento di questo piano tramite la creazione di moneta fiscale è fattibile, e i tecnici del governo greco sono certamente al corrente di questa possibilità, ma credo che – al momento – la considerino come un possibile “piano B”. In ogni caso, qualsiasi stimolo fiscale all’economia greca avrà delle ripercussioni sui conti con l’estero che renderanno necessario un finanziamento esterno, che non può provenire dalla moneta parallela. Come garantirsi questo finanziamento dovrebbe essere la priorità per Syriza.
* Fonte: MicroMega
1 commento:
"L’uscita dall’eurozona è una possibilità che Syriza probabilmente presenterebbe come una imposizione dell’Eurogruppo."
Ed è anche l'unica opzione per riscattare Syriza "da se stessa", oltre che salvare la faccia, ovvero da quel compromesso tanto insoddisfacente quanto irrealizzabile proprio perché poggia sulla permanenza nell'eurozona, con tutte le sue regole ormai inadempibili in queste condizioni economiche. Mentre questo è chiaro a tutti, cioè che un default di fatto si può imbellettare e procrastinare fin che si vuole, ma non si può negare nella sua cruda sostanza che andrà comunque affrontata, il fatto stesso di non volerne/poterne parlare schiettamente produce ipocrisie e ambiguità a cascata, destinate a deludere profondamente sia il popolo greco, ovviamente, sia i sacerdoti eurofanatici dell'ideologia imperante.
I greci avvantaggiati in una prima fase dall'euro? Ma quanto ancora dovranno patire per accorgersi della fregatura? Ma qui Zezza opportunisticamente non fa distinzioni di classe.
Posta un commento