[ 30 marzo ]
Un commento a tutto campo sui risultati svoltesi in Andalusia il 22 marzo scorso. Le ragioni del successo della candidata del PSOE Susana Díaz [nella foto], il crollo delle destre ed il mancato sfondamento di PODEMOS.
Deve essere sottolineato più e più volte che la chiave è sempre,
tanto più in questi momenti storici, sapere quali sono gli scopi dei dominanti.
La questione fondamentale, a mio avviso, è quella di "leggere e
interpretare la fase": lotta infaticabile, sistematica e incessante tra
passato e futuro, continuità e cambiamento, restauro dinastico-oligarchico o
rottura plebea-democratica. Tutto il resto, a mio avviso, deve essere letto nel
contesto di questo conflitto in classe e, soprattutto, di potere, comprese le
elezioni andaluse.
La politica è un'arte, e la strategia è il suo strumento principale.
Susana Díaz, la Presidente PSOE della Giunta di Andalusia, sapeva quello che faceva
quando decise di anticipare le elezioni andaluse: contenere l’avanzata di PODEMOS,
distruggere il Partito Popolare e liberarsi della non affidabile Izquierda
Unida di Antonio Maíllo. Tutti si sono trovati d'accordo che i risultati
elettorali hanno dato ragione a Susana Díaz. Fin qui, tutto normale,
prevedibile. Dobbiamo andare oltre.
Ma qual’era la posta in palio delle elezioni andaluse? Dovremmo
concentrarci su questo. La Presidente di Andalusia è "organica al
potere", ha coscienza di Stato: difende il regime e si oppone con tutte le
forze alla rottura democratica. Lo strumento per farlo è il PSOE e lei, il
capo, decide. E’ la sua missione storica, difendere la classe politica, il
bipartitismo, e soprattutto i gruppi di potere, quelli che comandano e non si
presentano alle elezioni. Lei lo sa bene, meglio di chiunque altro; poiché lei
è apparato, puro apparato. Il Re è la chiave perché assicura la stabilità del
potere, che tutto rimanga come dovrebbe essere, cioè che bottino resti nelle
mani di chi lo detiene.
Il vero partito di regime è dunque il PSOE. Felipe González lo dimostrò. Il
PP è troppo a destra, troppo legato alle classi parassitarie e classiste. Il
PSOE è 'moderno' e aperto al mondo. Quelli che comandano davvero sanno come
fare, cioè, trovare il "centro di gravità" in cui è possibile che le
classi inferiori (salariati, lavoratori) accettino che i governanti continuino
a governare. Non è facile, ma essi conoscono il segreto. Essi si fidano del
PSOE, lo sostengono e lo finanziano abbondantemente; il PSOE dimostra di essere
in grado di difendere quegli interessi meglio di chiunque altro, meglio del PP di
Rajoy. Questa è la battaglia che Susana Díaz ha vinto in Andalusia. Il dubbio è
se Pedro Sanchez [il segretario nazionale del PSOE, Ndr] sarà all’altezza; se
non lo sarà, lei sarà sempre lì per garantire la linea di ultima difesa e la
governabilità del sistema.
In Andalusia quello del PSOE è un regime, vale a dire, la
cristallizzazione di una struttura di potere, un formidabile dispositivo
politico organizzato, strutturato e legittimato da oltre trenta anni di
controllo sistematico sugli affari pubblici. In pochi anni abbiamo visto come
il PSOE sia diventato il Partito dell’Andalusia. La chiave è un’immensa
capacità di neutralizzare il conflitto sociale. Lo scandalo ERE questo dimostra, mezzi, strumenti per disattivare
il rapporto tra politica e lotta sociale, tra conflitto e potere in Andalusia.
La società civile è stata riorganizzata da parte delle istituzioni e integrata.
Si pratica un gioco in cui la discriminazione e la cooptazione delle diverse e
singolari opposizioni (sociali, culturali, politiche) sono sapientemente dosate.
L'ordito del potere creato nel corso di tanti anni si articola nelle
diverse istituzioni: la Giunta, i consigli, i comuni e tutta una varietà di
organismi che penetrano, organizzano i soggetti e li disattivano. Non si
oppongono frontalmente alla società civile, altra è la modalità: impedire
l'autonomia dei movimenti, disorganizzare ogni opposizione che possa mettere in
pericolo chi comanda e conquistare il "senso comune" del popolo. La
repressione pura e semplice la si lascia condurre a Madrid.
Il PSOE è in Andalusia un partito-regime che s’incarna nella persona
della Presidente. Da quando è stata unta per la più alta carica della Comunità andalusa si è comportata come se fosse l’ultima arrivata, senza passato, al punto che
spesso è apparsa come fosse lei la "opposizione" al governo andaluso,
cioè di se stessa. Essere al contempo "posizione" e
"opposizione" sono elementi caratteristici dei regimi che sono spesso
chiamati derisoriamente "populisti". Questo aspetto non è secondario.
La neutralizzazione del conflitto all'interno è abilmente sostituita dalla
costruzione di un conflitto esterno: la destra di Madrid, Rajoy, che discrimina,
punisce, insulta, e offende l'Andalusia, nella persona del suo presidente.
Il discorso populista di Susana Díaz ha fatto un balzo in avanti in queste
elezioni, fino ad un vero e proprio caudillismo.
Il populismo costruito è una varietà di "nazionalismo senza nazione",
ma agisce con le stesse chiavi: definizione del nemico (la destra di Madrid);
identificazione del Presidente con il popolo andaluso discriminato e offeso;
colpevolizzare i "cattivi andalusi" e, di conseguenza, bollarli come
alleati della destra, quelli che si oppongono alla Giunta ed al suo presidente.
L'asse sinistra-destra è quindi subordinato ad un altro asse: il nemico (Madrid
e Rajoy) e l’amico (Andalusia e Susana Díaz). Questo spiega anche due altre cose: la non-presenza di Pedro Sanchez e la presenza costante
di Rajoy come partito avversario della candidata presidente.
E’ questa forma di partito-regime che spiega chiaramente il dramma,
passato e presente di Izquierda Unida in Andalusia [I.U. è in Andalusia da molti anni alleata di governo del PSOE, Ndr]. La novità e la radicalità della
proposta fatta da Julio Anguita aveva a che fare con il suo obbiettivo di costruire
un’alternativa con vocazione maggioritaria e di governo al partito-regime che
si è costruito in Andalusia intorno al PSOE. Non si trattava di convertirsi in
"sinistra", nella "ala radicale" di complemento del partito di Rodríguez de la Borbolla e di Felipe
González, ma dell'alternativa alle loro politiche ed a come venivano
organizzate. Il concetto di base era quello di costruire l'alternativa.
Rimuovere questo dispositivo di potere rendeva necessario una nuova
forza politica, plurale, unita programmaticamente e organizzata come una forma-movimento.
La strategia era quella della "guerra di posizione": costruire dal basso
un contro-potere combinato con la lotta sociale ed elettorale, lavorando nelle
istituzioni e nei movimenti, forgiando alleanze e programmi comuni. Questo, oggi
va sottolineato, generò unità e speranza, il recupero di militanza e una
politicizzazione significativa delle nuove generazioni.
Nella fase di Luis Carlos Rejon è stato raggiunto da I.U. in Andalusia il
punto più alto, sociale ed elettorale, 20 deputati. Non è questo il momento per
giudicare quel periodo, gli errori eventualmente commessi. Basti dire che non si
fu capaci, dentro e fuori l’Andalusia, di organizzare il dibattito su una
questione strategica che riguardava e riguarda, le basi stesse del progetto.
Questa questione, a mio parere, venne affrontata in maniera politicista: senza
discussione e senza autocritica, e quel che è peggio, nei fatti, si adottò la
posizione della preparazione della "Convocatoria por Andalusia" .
Riapparvero i vecchi fantasmi ed i cliché ereditati dalla Transizione [il
passaggio dal franchismo alla “monarchia costituzionale”, Ndr: si doveva fare
politica ed essere realistici, lasciando i sogni utopici di Anguita ed
abbandonando qualsiasi riferimento alla questione dell'alternativa.
Si è ripetuto l’errore di sempre:
“toccare il potere”, ovvero, governare e farlo partendo da quel 12% di voti che
avevamo in quel periodo. Per questo era necessario allearsi con il PSOE, porre
l’accento su programmi suscettibili di essere approvati dal nostro socio di
riferimento e, ciò che era decisivo, ricostruire un'organizzazione che sarebbe servita
a questo scopo ed a nessun altro. Questi problemi, ma non solo loro, hanno a
che fare con i risultati ottenuti da UI di Andalusia. La campagna è stata
buona, e molto intelligente è stato il recupero del discorso di Anguita nella
tappa finale della campagna elettorale.
Da questo punto di vista, i risultati di PODEMOS sono stati buoni.
C'è sempre un gioco pericoloso che mescola le aspettative, i risultati e la mobilitazione
elettorale. E’ stato detto prima e lo ripetiamo ora: era il momento peggiore ed
il posto peggiore per il partito di Pablo Iglesias. Susana Díaz lo sapeva e i
sondaggi, in un modo o nell'altro, lo confermavano. L'aritmetica è semplice: in
voti ed in seggi, la somma dei voti di PODEMOS e IU è la stessa che ai tempi di
Rejón.
Questo è il tetto da superare e non sarà superato solo con (è la grande
lezione da IU di Andalusia) il lavoro istituzionale e avanzando nei mezzi di
comunicazione. Si tratta di conquistare posizioni, di intrecciare alleanze e
costruire un progetto autonomo a vocazione maggioritaria e di governo; questo
richiede organizzazione, militanza, attivismo per promuovere forme plurali di
articolazione sociale e sfidare i dominanti sul terreno del “senso comune”. Soprattutto
serve unità: IU e PODEMOSe sono insufficienti per costruire una vera
alternativa alla struttura di potere dominante oggi in Andalusia.
I risultati elettorali |
La novità è stata Ciudadanos.
Alla fine (non era facile) sono riusciti a creare una forza di cambiamento da
destra. L'obiettivo era chiaro: contrastare PODEMOS e trovare un jolly, un partito
cerniera capace di allearsi a destra e a sinistra. Presto sapremo la
provenienza dei loro voti e la coerenza e la direzione della politiac di
CIUDADANOS.
CIUDADANOS mostra le debolezze del discorso di PODEMOS, ad esempio, l’insistenza
sulle procedure democratiche e non sul contenuto delle politiche. C'è il
pericolo che una forza liberale come CIUDADANOS possa, senza grandi difficoltà,
fare un discorso in rigenerazione democratica sostenendo al contempo che per
lottare contro la corruzione ha bisogno di meno Stato, più agenzie indipendenti
per regolare il mercato e meno tasse per i ricchi. Ciò che Renzi in Italia fa senza
troppe difficoltà.
Se la "casta" sono i politici si lasciano da parte i
decisivi poteri economici: basterebbe cambiare i primi, ovvero i politici, perché
l'oligarchia finanziaria ubbidisca. Vi è una certa difficoltà a comprendere la
debolezza delle nostre democrazie deboli ha a che fare con il crescente
controllo che i gruppi di potere economico esercitano sugli affari pubblici. Il
problema centrale delle nostre società è la disuguaglianza crescente, che non è
solo economica ma di forza: i dominanti hanno sempre più potere e lo esercitano.
Senza affrontare questo punto, la presunta rigenerazione democratica è mera
retorica.
* Fonte: Quarto Poder
** Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE
1 commento:
La chiave del successo e della forza elettorale di certi partiti che si autodefiniscono di sinistra "tradizionale" è un’immensa capacità di neutralizzare il conflitto sociale così che trovano patrocinatori in chi il potere ce l'ha veramente.
La responsabilità di questo fenomeno?
Penso ce l'abbia soprattutto chi non osa parlare chiaramente e si dà ad una specie di mainstream di comodo evitando grane e polemiche mettendo il bavaglio a coloro che scoprirebbero gli "altarini" smuovendo un po' le acque con verità scomode e ragionamenti coerenti..
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