[ 22 giugno 2018]
Sinistrainrete ha avuto la cortesia di pubblicare l'articolo di Pasquinelli LA FATWA (E LE FESSERIE) DI GIORGIO CREMASCHI. L'articolo ha ricevuto sul quel sito alcuni commenti, a dimostrazione di quanto si sapeva: che a sinistra la posizione sulle migrazioni — leggi "frontiere aperte a tutti" —, è considerata IL paradigma da cui tutto dipende. Per la sinistra filantropica esso segna la linea che divide i buoni dai cattivi. Per quella radicale è il paradigma che traccerebbe la distanza tra marxisti e non. Ne è nata una disputa che riteniamo utile far conoscere ai nostri lettori.
* * *
Mentre c’è poco da dire a chi approva le fatwe (che qualificano chi le fa) [1], men che meno a chi considera la sovranità un concetto fascista, è invece importante che risponda alle critiche di Mario Galati.
Cosa mi rimprovera Galati? [2] Che non andrei “alla radice” dei grandi flussi migratori. Ove la radice, scopriamo l’acqua calda, è senza dubbio alcuno il saccheggio imperialistico (aggravatosi con l’ultima globalizzazione i.e. con l’uso predatorio della finanza speculativa) dei paesi semicoloniali.
Oddio! Quello mio non era un trattatello sulle migrazioni, ma una più modesta e specifica critica a Cremaschi per smentire l’affermazione che flussi migratori di massa (tanto più dentro una crisi storico-sistemica, non solo di valorizzazione del capitale) non avrebbero alcun impatto deflattivo sui salari ed i diritti dei lavoratori (nonché sui cicli di lotta di classe).
Riguardo alle cause del fenomeno migratorio restituisco dunque a Galati l’accordo di massima che egli manifesta con la mia chiosa a Cremaschi.Non senza far notare che una posizione autenticamente antimperialista, così come denunciava le “guerre umanitarie”, deve denunciare la demagogia umanitaria che considera la nuova tratta degli schiavi non come un concorso all’impoverimento e allo stato di soggezione coloniale dei paesi dai quali si emigra, ma come un legittimo “diritto” di libertà.
Si tratta, palesemente, di una visione individualistica. Gli antimperialisti dei paesi che conoscono la piaga dell’emigrazione di massa la condannano infatti, se non come diserzione dalla lotta di liberazione, come collusione con le corrotte classi dominanti compratore di quei paesi, che l’emigrazione la facilitano perché così si sbarazzano di una rogna, una rogna chiamata ribellione sociale. Si potrebbe così esprimere un’equazione: più migranti fuggono dai paesi del Sud meno sovversione sociale in loco, più migranti giungono a Nord più difficile costruire un fronte di lotta unitario anticapitalista.
La critica del Galati diventa però un’accusa: esprimerei una “posizione subalterna e corporativa della classe lavoratrice nazionale, non una posizione di classe cosciente e autonoma”.
E perché? Perché sostengo che, nel contesto dato, l’immigrazione di massa non sia sostenibile, e sia necessario regolarla. Non è sostenibile perché, oltre ad avere un effetto deflattivo sui salari e i diritti dei lavoratori, nel contesto dato — austerità, pareggio di bilancio, smantellamento del welfare e dello stato sociale, rispetto dei vincoli ordoliberisti europei — è fattore di emarginazione crescente e sottoproletarizzazione, di spappolamento del tessuto sociale, civile e repubblicano.
C’è poi un altro aspetto, l’immigrazione di massa è un elemento funzionale alle oligarchie globaliste che usano ogni mezzo per privare le nazioni delle loro sovranità statuali, in conformità al loro disegno di uno spazio giuridico imperiale-libero scambista destinato a sovraodinare gli spazi politici nazionali.
Galati considera inaccettabile regolare i flussi? Tertium non datur: frontiere aperte a tutti, abolizione dei confini, eliminazione di ogni controllo.
In che senso questo casino (non saprei come altrimenti chiamarlo se non anarco-capitalismo) sia funzionale alla lotta di classe e porti beneficio alla causa rivoluzionaria, per me è un mistero.
* * *
Caro Barone, alquanto bislacca, per non dire opinabile la tua “ironia”. Mi del fascitoide, dunque “social-imperialista” e pretendi che la prenda come una cosa spiritosa..
Non è così che funziona tra gente seria..
Ma il tuo ultimo predicozzo [3], siccome in questa polemica tiri in ballo l’autorità di Marx, merita una risposta.
Ti riferisci alla lettera inviata da quest’ultimo a Sigfried Meyer e August Vogt il 9 aprile 1870, quindi passi al predicozzo dandola “per nota”. Ora, proprio perché, come dici citando Hegel “ciò che è noto spesso non è affatto conosciuto”, è bene andare a vedere le carte e verificare se le tue non siano truccate.
Cosa ci dice Marx nella lettera — che ricapitola quanto contenuto nella circolare del 1 gennaio 1870 del Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori? Da forse man forte ai pronunciatori di fatwe per cui la terra è quadrata e l’immigrazione di massa non avrebbe alcun impatto su salari? Ovviamente no! Che forse Marx svolge una smielata orazione umanitaria sui “poveri immigrati irlandesi”. Ma figuriamoci!
Il Nostro svolge un discorso tutto politico e strategico sulle condizioni della rivoluzione proletaria in Inghilterra ed afferma (“terzomondista”! esclamerebbero gli operaisti d’antan) che finché il popolo irlandese non insorgerà togliendo così linfa vitale al capitalismo britannico, mai si avrà una rivoluzione sociale in Inghilterra. Sostiene dunque — facendo autocritica rispetto a quanto precedentemente riteneva *— che la liberazione nazionale della “arretrata” Irlanda era la condizione per la vittoria proletaria nella “avanzata” Inghilterra:
«L’avvento della rivoluzione in Inghilterra è la principale ragion d’essere dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Il solo modo per accelerare l’avvento è quello di rendere l’Irlanda indipendente».E’ in questa cornice che Marx, contestualmente, denuncia l’uso divisivo che la classe dominante inglese fa “dei pregiudizi religiosi, nazionali sociali e nazionali” anti-irlandesi per tenere in “uno stato d’impotenza la classe operaia inglese malgrado la sua organizzazione”.
Qual era sul piano dell’azione politica, la conseguenza di questa analisi? Si misero forse i marxisti a costruire associazioni caritatevoli (mutualismo) per dare alloggi e pasti a gratis agli immigrati irlandesi? Per niente! Costruirono in Inghilterra comitati per l’indipendenza irlandese e in Irlanda militavano nel movimento di liberazione nazionale. Perorarono forse umanitariamente i flussi migratori dall’Irlanda verso l’Inghilterra? Al contrario incitavano gli irlandesi a combattere in patria, visto che l’emigrazione era funzionale al capitalismo inglese.
Nella stessa lettera a Vogt Marx scrive infatti:
Ergo: al netto della lotta senza quartiere contro xenofobia e razzismo, i rivoluzionari, per le ragioni opposte alle borghesia predatrice cosmopolitica, sono contro l’emigrazione (deportazione) di massa. Marx (per chi lo conosce davvero) avrebbe riservato il massimo disprezzo agli araldi della deportazione, peggio ancora ove essi camuffassero la cosa, come i preti, dietro a motivi filantropici e morali.
Ps
Noto che, sempre “facendo dell’ironia”, mi accusi di far parte della “sinistra cattivista, nazionalista-listiana”. E così tiri in ballo anche l’economista tedesco Friedrich List, contro cui il giovane Marx libero-scambista scagliò i suoi strali. Davvero interessante. Il Barone è un libero scambista. Faccio notare che Marx farà autocritica rispetto al suo primigenio liberoscambismo e giungerà alla posizione di List, che il libero scambismo era una frode dei paesi più forti per soggiogare e depredare quelli più deboli e industrialmente meno avanzati. Ma capisco: solo una mentalità libero-scambista può perorare le migrazione di massa, scambiando l’atto della deportazione schiavistica come un diritto umano. Evviva la libertà di essere deportati!
* «Astraendo da tutti i discorsi sulla giustizia “internazionale” ed “umanitaria”… è questa la mia convinzione. Per lungo tempo ho creduto che fosse possibile rovesciare il regime irlandese mediante l’ascendenza della classe operaia inglese». Ho sempre sostenuto questa tesi sul New York Tribune. Uno studio più approfondito i ha convinto del contrario. La classe operaia inglese non farà mai nulla prima che si sia riusciti a disfarsi del problema irlandese. La leva si deve applicare in Irlanda. Per questo motivo la questione irlandese è così importante per il movimento sociale in generale.
«Per quanto riguarda la borghesia inglese, essa ha innanzi tutto l’interesse, insieme all’aristocrazia inglese, a trasformare l’Irlanda in un immenso pascolo tale da fornire al mercato inglese carne e lana al più basso prezzo. Essa ha ugualmente interesse a ridurre con l’espulsione violenta e l’emigrazione forzata, la popolazione irlandese ad un numero così piccolo che il capitale inglese (investito nella terra data in affitto ai fittavoli) possa là funzionare in tutta sicurezza».Dunque: l’emigrazione di massa è funzionale al capitalismo imperialista sotto un duplice profilo. E’ necessaria al centro schiavista per avere un esercito industriale di riserva, forza lavoro a basso costo e senza diritti, per calmierare i salari e accrescere quindi il tasso di sfruttamento. Al lato delle periferie serve per tenere meglio soggiogati i paesi semicoloniali, ciò che si ottiene deportando la loro gioventù, privandoli così della loro più importante forza produttiva. L’emigrazione di massa, come lo schiavismo al tempo, è uno dei meccanismi principali del saccheggio imperialista del “terzo mondo” nonché mezzo per disattivare i movimenti di liberazione.
Ergo: al netto della lotta senza quartiere contro xenofobia e razzismo, i rivoluzionari, per le ragioni opposte alle borghesia predatrice cosmopolitica, sono contro l’emigrazione (deportazione) di massa. Marx (per chi lo conosce davvero) avrebbe riservato il massimo disprezzo agli araldi della deportazione, peggio ancora ove essi camuffassero la cosa, come i preti, dietro a motivi filantropici e morali.
Ps
Noto che, sempre “facendo dell’ironia”, mi accusi di far parte della “sinistra cattivista, nazionalista-listiana”. E così tiri in ballo anche l’economista tedesco Friedrich List, contro cui il giovane Marx libero-scambista scagliò i suoi strali. Davvero interessante. Il Barone è un libero scambista. Faccio notare che Marx farà autocritica rispetto al suo primigenio liberoscambismo e giungerà alla posizione di List, che il libero scambismo era una frode dei paesi più forti per soggiogare e depredare quelli più deboli e industrialmente meno avanzati. Ma capisco: solo una mentalità libero-scambista può perorare le migrazione di massa, scambiando l’atto della deportazione schiavistica come un diritto umano. Evviva la libertà di essere deportati!
* «Astraendo da tutti i discorsi sulla giustizia “internazionale” ed “umanitaria”… è questa la mia convinzione. Per lungo tempo ho creduto che fosse possibile rovesciare il regime irlandese mediante l’ascendenza della classe operaia inglese». Ho sempre sostenuto questa tesi sul New York Tribune. Uno studio più approfondito i ha convinto del contrario. La classe operaia inglese non farà mai nulla prima che si sia riusciti a disfarsi del problema irlandese. La leva si deve applicare in Irlanda. Per questo motivo la questione irlandese è così importante per il movimento sociale in generale.
(Lettera di Marx a Engels del 10 dicembre 1869)
NOTE
[1] Scrive Eros Barone:
«Approvo "la fatwa di Giorgio Cremaschi" (espressione talmente insulsa, per la grettezza piccolo-borghese che rivela, da qualificare perfettamente chi l'ha usata) nei confronti dei socialsciovinisti, 'vulgo' rosso-bruni. E l'approvo pur avendo spesso dissentito dalle valutazioni e dalle scelte di Giorgio Cremaschi, il cui percorso politico e intellettuale tuttavia, per la coerenza e la radicalità dello 'spirito di scissione' che lo caratterizzano, non può non suscitare il massimo rispetto. Ciò detto, occorre ribadire che il populismo è intrinsecamente reazionario, perché promuovendo gli interessi economici di una determinata frazione della borghesia, a cui subordina quelli delle classi subalterne mediante un ‘mix’ di concessioni limitate e di demagogia nazionalista, fa leva non sul fattore di classe (= conflitto verticale e blocco progressivo) ma sulla nozione interclassista di popolo (= conflitto orizzontale e blocco neocorporativo): ciò implica che non esista una variante genetica 'di sinistra' di questo ircocervo e, se qualcuno si illude che esista, mi dispiace per lui ma è quella che, 'mutatis mutandis', si incarnò, se non nelle SA di Römer e di Strasser, nell’ideologia e nell’azione di Nicola Bombacci, ex socialista, ex comunista, fascista e repubblichino, nonché estensore della Carta di Verona. Il populismo converge pertanto, sul piano ideologico, economico e sociale, con la concezione fascista, rispecchiata, in una certa misura, dal linguaggio ibrido del governo Di Maio-Salvini. Il populismo è un fattore aliorelativo dell’europeismo, che gli ha spianato la strada e di cui costituisce l’altra faccia (i riconoscimenti elargiti da Salvini a Minniti sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, così come al governo Gentiloni per le politiche del lavoro lo attestano inequivocabilmente): l’uno genera, alimenta e riproduce l’altro (il paradosso si spiega tenendo conto che sono entrambi al servizio di un’unica classe, anche se esprimono gli interessi di due frazioni confliggenti di essa). Il populismo, come dimostrano le misure fiscali e lavorative che propone (l’introduzione della regressiva e antipopolare ‘flat tax’ e il ripristino dei ‘voucher’), si atteggia ad ‘amico’, ‘avvocato’, ‘difensore’ del popolo, ma è in realtà un ‘falso amico’ del proletariato, un rappresentante della piccola e media borghesia reazionaria e un vassallo, ancorché riottoso e instabile, della grande borghesia. Se quanto precede è esatto, ne consegue che i sintagmi di “sinistra patriottica” (Leonardo Mazzei) e/o di “patriottismo laburista” (Giulio Sapelli) sono, nella fase attuale, lustre che coprono ben altra mercanzia (= fascistizzazione). In un regime capitalistico e in un contesto inter-imperialistico non esiste un ‘interesse nazionale’ in cui la classe operaia possa riconoscersi, l’unico interesse imposto e prevalente essendo quello della borghesia imperialista. Donde consegue che non esiste (e, anche se esistesse, non va appoggiata) una ‘borghesia nazionale’ e che, pertanto, occorre escludere l’uso fuorviante di espressioni come ‘colonialismo’ e ‘sovranità nazionale’ applicate alle vicende interne della UE: ‘questa’ Europa è stata infatti voluta dalle classi dominanti di ciascun paese aderente (basti pensare che l’inserimento nella Costituzione del pareggio di bilancio, intangibile dogma liberista, è stato approvato con una maggioranza quasi assoluta). Pertanto, chi indica come bersaglio da colpire la Germania della Merkel, oltre a sbagliare mira politica, fornisce all’arciere che tiene sotto tiro l’intero continente, cioè agli USA del fascista Trump, la freccia con la quale questi mantiene la sua minaccia (solo in Italia 40 basi militari e 90 testate nucleari del tutto al di fuori di ogni controllo da parte del governo). Il modo in cui si pone il tema della lotta per la sovranità nazionale deriva per i comunisti dalle indicazioni contenute nell’articolo di Lenin “Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”, ove l’obiettivo della lotta per la sovranità e l’indipendenza nazionale acquista un contenuto politico e sociale avanzato in un processo rivoluzionario guidato dalla classe operaia e dai suoi alleati: processo che, vigendo la legge economica dello sviluppo ineguale, può nascere anche nel quadro del polo imperialista europeo, di cui l’Unione Europea è il braccio economico-finanziario e la Nato il braccio politico-militare».
[2] Scrive Mario Galati:
«Sulla posizione scientifica analitica di Marx circa la sovrappopolazione relativa non ci piove. Così come sull'effetto deflattivo sui salari dell'esercito industriale di riserva a seconda dei cicli economici (Emiliano Brancaccio, per es., sostiene che attualmente non ci sono evidenze di un'apprezzabile influenza dell'immigrazione sulle dinamiche salariali attuali in Italia).
Il nodo però sta nella soluzione sulla quale si concentra l'attenzione, la quale indica la collocazione di classe.
Propendere per la fermata dei flussi alla Minniti e alla Salvini, invece che andare alla radice della devastazione imperialistica delle aree di provenienza, esprime una posizione subalterna e corporativa della classe lavoratrice nazionale., non una posizione di classe cosciente e autonoma.
Cosa significa, infatti, fermiamo i flussi perchè se no ci abbassano i salari? E' la piena sottomissione dei lavoratori al capitale e la guerra tra poveri. Non mi sembra che così si faccia opera di coscientizzazione e di formazione di una classe per sé. Si crea, invece, una mentalità corporativa, gretta e subalterna, come quella socialdemocratica al guinzaglio del colonialismo. E perdente.
Non mi sembra che Marx, constatato il problema, abbia assunto o indicato mai una posizione del genere. Al contrario, ha indicato nell'unità di classe e nella lotta al capitalismo la soluzione. (v. la questione degli operai irlandesi in Inghilterra).
Questa insistenza continua sul carattere di esercito industriale di riserva dannoso per i lavoratori italiani lancia un messaggio preciso nel senso corporativo detto; se non peggio, dato l'attuale contesto tendente alla xenofobia e al razzismo (o vogliamo negare anche questo e chiamarlo semplicemente legittimo disagio delle classi popolari?).
E' bene dire certe cose in modo scientifico, chiaro e spregiudicato; ma insistere su un aspetto della questione (l'esercito industriale di riserva e l'interesse del capitale alla mobilità piena, alla deportazione, della forza lavoro) e farlo prevalere sull'altro decisivo (lo sfruttamento, le guerre e l'oppressione imperialistica del capitalismo, causa delle migrazioni (non i complotti mondialisti)), assume un significato e un valore favorevole alla destra; diviene propaganda di destra.
Infine chiedo: per quale motivo considerare i lavoratori stranieri come parte necessaria della lotta di classe deve necessariamente voler dire considerarli "base di rimpiazzo" della sinistra radicale mutualistica?
La sinistra "patriottica" vuole forse organizzare soltanto i lavoratori italiani?
Attenzione che a forza di ripetere certi concetti, al posto dell'analisi e della proposta realistica, si scivola senza accorgersene su un altro terreno ideologico e politico fangoso».
[3] Replica Eros Barone
«Ricordo a Mario Galati che Emiliano Brancaccio sostiene la tesi opposta a quella che lui gli attribuisce e che qui riporto da un’intervista di questo studioso: «Le evidenze empiriche di cui disponiamo ci comunicano che l’apertura globale dei mercati risulta correlata a un declino delle quote dei salari sul Prodotto Interno Lordo». Per quanto riguarda, invece, l’estensore dell’articolo sulla ‘fatwa di Giorgio Cremaschi’, se costui manifesta un livello di comprensione del tema del quale si discute pari a quello che dimostra di possedere sui meccanismi dell’ironia vi è motivo di preoccuparsi seriamente ma anche di sorridere apertamente. Così, il suo modo di reagire mi ha fatto venire in mente la situazione comica di un novello Calandrino che all’affermazione: “Questa birra è divina!”, risponda: “No, è un prodotto umano e industriale”… Sennonché, come accade ormai da tempo, all'ipertiroidismo globalista ed europeista succede (o s'intreccia) l'ipertiroidismo sovranista e nazionalista: l'uno riproduce, alimenta e rigenera l'altro. Il 'cattivo infinito' di questa storica patologia della “coscienza europea” si inciprignisce sempre di più e segue, essendo determinato da processi oggettivi, un ritmo in apparenza inarrestabile. Come nel 1904-1914, come nel 1929-1939... Non per nulla, i marxisti internazionalisti, un secolo fa (ripeto: un secolo fa), sostenevano che, data la società capitalistica nella sua fase imperialista, ogni discorso intorno alla sovranità nazionale dei popoli non è solo una pia illusione di stampo borghese-risorgimentale, ma è soprattutto una menzogna che incatena i proletari al carro del nazionalismo, la più velenosa e sanguinosa delle ideologie. E proprio su questo tema nevralgico è possibile misurare tutta la straordinaria attualità scientifica e politica dell’analisi di Karl Marx. Infatti, la lettera inviata da quest’ultimo a Sigfried Meyer e August Vogt il 9 aprile 1870, che qui dò per nota (pur avvertendo con Hegel che ciò che è noto spesso non è affatto conosciuto), potrebbe essere stata scritta oggi, tanto risulta attuale. Basterebbe sostituire “proletari inglesi” con “lavoratori italiani” (o di qualsiasi altro paese europeo) e “proletari irlandesi” con “immigrati od extracomunitari” e i conti tornerebbero perfettamente. Oggi sono presenti ormai in tutti paesi europei forze politiche di destra, populiste o fasciste, la cui funzione è esattamente quella di strumentalizzare i ceti popolari, persuadendoli che la causa della loro condizione di precarietà e di impoverimento è dovuta alla ‘concorrenza’ dei lavoratori immigrati e non alle basi strutturali del sistema capitalistico. Come afferma Marx nella lettera testé citata, è proprio questo «il segreto grazie al quale la classe capitalista mantiene il suo potere». In effetti, l’immigrazione è il prodotto dell’organizzazione del capitalismo nel mondo. Le potenze imperialiste sfruttano i paesi del Terzo Mondo, si appropriano delle loro ricchezze e, quando i popoli di quei paesi si ribellano, li massacrano con la “guerra celeste” (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria). Perciò, è del tutto normale che da consimili situazioni di povertà, guerra e sfruttamento molte persone cerchino di fuggire e quindi decidano di emigrare. Ma tale scelta non è né naturale né romantica, come vorrebbe la ‘sinistra’ buonista, cosmopolita e filo-imperialista (riflesso speculare di essa: la ‘sinistra’ cattivista, nazionalista-listiana e anti-imperialista). Gli immigrati non sono animali, per loro non è naturale migrare. Sono uomini che scappano dalla guerra o più spesso dalla fame e dalla povertà. Ma la soluzione di questo problema esiste: ritirare tutti i reparti militari presenti in tutti i paesi, smascherare le operazioni di “peacekeeping”, fermare le guerre, le occupazioni militari ed ogni ingerenza in quei paesi. In poche parole: uscire dalla NATO. Insieme con l’interruzione delle azioni militari, occorre poi sopprimere il rapporto di dominio economico con quei paesi e, di conseguenza, smettere di sottrarre ad essi risorse e materie prime, sfruttando in modo disumano la loro manodopera, come è prassi comune di tutte le imprese multinazionali. Solo ripristinando con quelle nazioni rapporti di cooperazione e non di rapina, si può regolamentare in modo risolutivo il fenomeno dell’immigrazione. Se questa politica fosse applicata nell’arco di un ventennio, il numero degli immigrati comincerebbe a diminuire fino a livelli normali. Ma ovviamente nessuna politica di questo genere può essere applicata in un sistema che è fondato sul potere dei grandi monopoli, in un sistema che vede gli Stati interamente asserviti ai loro interessi. Compito dei comunisti è ribadire che il socialismo è l’unica soluzione giusta e razionale di questo problema, poiché è l’unica soluzione che permette di realizzare con i paesi del Terzo Mondo una politica di cooperazione, non di rapina. Altre strade non esistono. E merito di Cremaschi è aver rammentato ai 'fuorviati' che quella di Bombacci conduce all'inferno».
[1] Scrive Eros Barone:
«Approvo "la fatwa di Giorgio Cremaschi" (espressione talmente insulsa, per la grettezza piccolo-borghese che rivela, da qualificare perfettamente chi l'ha usata) nei confronti dei socialsciovinisti, 'vulgo' rosso-bruni. E l'approvo pur avendo spesso dissentito dalle valutazioni e dalle scelte di Giorgio Cremaschi, il cui percorso politico e intellettuale tuttavia, per la coerenza e la radicalità dello 'spirito di scissione' che lo caratterizzano, non può non suscitare il massimo rispetto. Ciò detto, occorre ribadire che il populismo è intrinsecamente reazionario, perché promuovendo gli interessi economici di una determinata frazione della borghesia, a cui subordina quelli delle classi subalterne mediante un ‘mix’ di concessioni limitate e di demagogia nazionalista, fa leva non sul fattore di classe (= conflitto verticale e blocco progressivo) ma sulla nozione interclassista di popolo (= conflitto orizzontale e blocco neocorporativo): ciò implica che non esista una variante genetica 'di sinistra' di questo ircocervo e, se qualcuno si illude che esista, mi dispiace per lui ma è quella che, 'mutatis mutandis', si incarnò, se non nelle SA di Römer e di Strasser, nell’ideologia e nell’azione di Nicola Bombacci, ex socialista, ex comunista, fascista e repubblichino, nonché estensore della Carta di Verona. Il populismo converge pertanto, sul piano ideologico, economico e sociale, con la concezione fascista, rispecchiata, in una certa misura, dal linguaggio ibrido del governo Di Maio-Salvini. Il populismo è un fattore aliorelativo dell’europeismo, che gli ha spianato la strada e di cui costituisce l’altra faccia (i riconoscimenti elargiti da Salvini a Minniti sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, così come al governo Gentiloni per le politiche del lavoro lo attestano inequivocabilmente): l’uno genera, alimenta e riproduce l’altro (il paradosso si spiega tenendo conto che sono entrambi al servizio di un’unica classe, anche se esprimono gli interessi di due frazioni confliggenti di essa). Il populismo, come dimostrano le misure fiscali e lavorative che propone (l’introduzione della regressiva e antipopolare ‘flat tax’ e il ripristino dei ‘voucher’), si atteggia ad ‘amico’, ‘avvocato’, ‘difensore’ del popolo, ma è in realtà un ‘falso amico’ del proletariato, un rappresentante della piccola e media borghesia reazionaria e un vassallo, ancorché riottoso e instabile, della grande borghesia. Se quanto precede è esatto, ne consegue che i sintagmi di “sinistra patriottica” (Leonardo Mazzei) e/o di “patriottismo laburista” (Giulio Sapelli) sono, nella fase attuale, lustre che coprono ben altra mercanzia (= fascistizzazione). In un regime capitalistico e in un contesto inter-imperialistico non esiste un ‘interesse nazionale’ in cui la classe operaia possa riconoscersi, l’unico interesse imposto e prevalente essendo quello della borghesia imperialista. Donde consegue che non esiste (e, anche se esistesse, non va appoggiata) una ‘borghesia nazionale’ e che, pertanto, occorre escludere l’uso fuorviante di espressioni come ‘colonialismo’ e ‘sovranità nazionale’ applicate alle vicende interne della UE: ‘questa’ Europa è stata infatti voluta dalle classi dominanti di ciascun paese aderente (basti pensare che l’inserimento nella Costituzione del pareggio di bilancio, intangibile dogma liberista, è stato approvato con una maggioranza quasi assoluta). Pertanto, chi indica come bersaglio da colpire la Germania della Merkel, oltre a sbagliare mira politica, fornisce all’arciere che tiene sotto tiro l’intero continente, cioè agli USA del fascista Trump, la freccia con la quale questi mantiene la sua minaccia (solo in Italia 40 basi militari e 90 testate nucleari del tutto al di fuori di ogni controllo da parte del governo). Il modo in cui si pone il tema della lotta per la sovranità nazionale deriva per i comunisti dalle indicazioni contenute nell’articolo di Lenin “Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”, ove l’obiettivo della lotta per la sovranità e l’indipendenza nazionale acquista un contenuto politico e sociale avanzato in un processo rivoluzionario guidato dalla classe operaia e dai suoi alleati: processo che, vigendo la legge economica dello sviluppo ineguale, può nascere anche nel quadro del polo imperialista europeo, di cui l’Unione Europea è il braccio economico-finanziario e la Nato il braccio politico-militare».
[2] Scrive Mario Galati:
«Sulla posizione scientifica analitica di Marx circa la sovrappopolazione relativa non ci piove. Così come sull'effetto deflattivo sui salari dell'esercito industriale di riserva a seconda dei cicli economici (Emiliano Brancaccio, per es., sostiene che attualmente non ci sono evidenze di un'apprezzabile influenza dell'immigrazione sulle dinamiche salariali attuali in Italia).
Il nodo però sta nella soluzione sulla quale si concentra l'attenzione, la quale indica la collocazione di classe.
Propendere per la fermata dei flussi alla Minniti e alla Salvini, invece che andare alla radice della devastazione imperialistica delle aree di provenienza, esprime una posizione subalterna e corporativa della classe lavoratrice nazionale., non una posizione di classe cosciente e autonoma.
Cosa significa, infatti, fermiamo i flussi perchè se no ci abbassano i salari? E' la piena sottomissione dei lavoratori al capitale e la guerra tra poveri. Non mi sembra che così si faccia opera di coscientizzazione e di formazione di una classe per sé. Si crea, invece, una mentalità corporativa, gretta e subalterna, come quella socialdemocratica al guinzaglio del colonialismo. E perdente.
Non mi sembra che Marx, constatato il problema, abbia assunto o indicato mai una posizione del genere. Al contrario, ha indicato nell'unità di classe e nella lotta al capitalismo la soluzione. (v. la questione degli operai irlandesi in Inghilterra).
Questa insistenza continua sul carattere di esercito industriale di riserva dannoso per i lavoratori italiani lancia un messaggio preciso nel senso corporativo detto; se non peggio, dato l'attuale contesto tendente alla xenofobia e al razzismo (o vogliamo negare anche questo e chiamarlo semplicemente legittimo disagio delle classi popolari?).
E' bene dire certe cose in modo scientifico, chiaro e spregiudicato; ma insistere su un aspetto della questione (l'esercito industriale di riserva e l'interesse del capitale alla mobilità piena, alla deportazione, della forza lavoro) e farlo prevalere sull'altro decisivo (lo sfruttamento, le guerre e l'oppressione imperialistica del capitalismo, causa delle migrazioni (non i complotti mondialisti)), assume un significato e un valore favorevole alla destra; diviene propaganda di destra.
Infine chiedo: per quale motivo considerare i lavoratori stranieri come parte necessaria della lotta di classe deve necessariamente voler dire considerarli "base di rimpiazzo" della sinistra radicale mutualistica?
La sinistra "patriottica" vuole forse organizzare soltanto i lavoratori italiani?
Attenzione che a forza di ripetere certi concetti, al posto dell'analisi e della proposta realistica, si scivola senza accorgersene su un altro terreno ideologico e politico fangoso».
[3] Replica Eros Barone
«Ricordo a Mario Galati che Emiliano Brancaccio sostiene la tesi opposta a quella che lui gli attribuisce e che qui riporto da un’intervista di questo studioso: «Le evidenze empiriche di cui disponiamo ci comunicano che l’apertura globale dei mercati risulta correlata a un declino delle quote dei salari sul Prodotto Interno Lordo». Per quanto riguarda, invece, l’estensore dell’articolo sulla ‘fatwa di Giorgio Cremaschi’, se costui manifesta un livello di comprensione del tema del quale si discute pari a quello che dimostra di possedere sui meccanismi dell’ironia vi è motivo di preoccuparsi seriamente ma anche di sorridere apertamente. Così, il suo modo di reagire mi ha fatto venire in mente la situazione comica di un novello Calandrino che all’affermazione: “Questa birra è divina!”, risponda: “No, è un prodotto umano e industriale”… Sennonché, come accade ormai da tempo, all'ipertiroidismo globalista ed europeista succede (o s'intreccia) l'ipertiroidismo sovranista e nazionalista: l'uno riproduce, alimenta e rigenera l'altro. Il 'cattivo infinito' di questa storica patologia della “coscienza europea” si inciprignisce sempre di più e segue, essendo determinato da processi oggettivi, un ritmo in apparenza inarrestabile. Come nel 1904-1914, come nel 1929-1939... Non per nulla, i marxisti internazionalisti, un secolo fa (ripeto: un secolo fa), sostenevano che, data la società capitalistica nella sua fase imperialista, ogni discorso intorno alla sovranità nazionale dei popoli non è solo una pia illusione di stampo borghese-risorgimentale, ma è soprattutto una menzogna che incatena i proletari al carro del nazionalismo, la più velenosa e sanguinosa delle ideologie. E proprio su questo tema nevralgico è possibile misurare tutta la straordinaria attualità scientifica e politica dell’analisi di Karl Marx. Infatti, la lettera inviata da quest’ultimo a Sigfried Meyer e August Vogt il 9 aprile 1870, che qui dò per nota (pur avvertendo con Hegel che ciò che è noto spesso non è affatto conosciuto), potrebbe essere stata scritta oggi, tanto risulta attuale. Basterebbe sostituire “proletari inglesi” con “lavoratori italiani” (o di qualsiasi altro paese europeo) e “proletari irlandesi” con “immigrati od extracomunitari” e i conti tornerebbero perfettamente. Oggi sono presenti ormai in tutti paesi europei forze politiche di destra, populiste o fasciste, la cui funzione è esattamente quella di strumentalizzare i ceti popolari, persuadendoli che la causa della loro condizione di precarietà e di impoverimento è dovuta alla ‘concorrenza’ dei lavoratori immigrati e non alle basi strutturali del sistema capitalistico. Come afferma Marx nella lettera testé citata, è proprio questo «il segreto grazie al quale la classe capitalista mantiene il suo potere». In effetti, l’immigrazione è il prodotto dell’organizzazione del capitalismo nel mondo. Le potenze imperialiste sfruttano i paesi del Terzo Mondo, si appropriano delle loro ricchezze e, quando i popoli di quei paesi si ribellano, li massacrano con la “guerra celeste” (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria). Perciò, è del tutto normale che da consimili situazioni di povertà, guerra e sfruttamento molte persone cerchino di fuggire e quindi decidano di emigrare. Ma tale scelta non è né naturale né romantica, come vorrebbe la ‘sinistra’ buonista, cosmopolita e filo-imperialista (riflesso speculare di essa: la ‘sinistra’ cattivista, nazionalista-listiana e anti-imperialista). Gli immigrati non sono animali, per loro non è naturale migrare. Sono uomini che scappano dalla guerra o più spesso dalla fame e dalla povertà. Ma la soluzione di questo problema esiste: ritirare tutti i reparti militari presenti in tutti i paesi, smascherare le operazioni di “peacekeeping”, fermare le guerre, le occupazioni militari ed ogni ingerenza in quei paesi. In poche parole: uscire dalla NATO. Insieme con l’interruzione delle azioni militari, occorre poi sopprimere il rapporto di dominio economico con quei paesi e, di conseguenza, smettere di sottrarre ad essi risorse e materie prime, sfruttando in modo disumano la loro manodopera, come è prassi comune di tutte le imprese multinazionali. Solo ripristinando con quelle nazioni rapporti di cooperazione e non di rapina, si può regolamentare in modo risolutivo il fenomeno dell’immigrazione. Se questa politica fosse applicata nell’arco di un ventennio, il numero degli immigrati comincerebbe a diminuire fino a livelli normali. Ma ovviamente nessuna politica di questo genere può essere applicata in un sistema che è fondato sul potere dei grandi monopoli, in un sistema che vede gli Stati interamente asserviti ai loro interessi. Compito dei comunisti è ribadire che il socialismo è l’unica soluzione giusta e razionale di questo problema, poiché è l’unica soluzione che permette di realizzare con i paesi del Terzo Mondo una politica di cooperazione, non di rapina. Altre strade non esistono. E merito di Cremaschi è aver rammentato ai 'fuorviati' che quella di Bombacci conduce all'inferno».
5 commenti:
Condivido pienamente, questa è la vera sinistra che vorrei.
Fatelo presto un movimento di sinistra sovranista perchè
abbiamo voglia di sinistra ma siamo stanchi di inutili
dispersivi e divisivi cespuglietti rossi e di quel aborto
del PD. A loro il compito di fare il partito dell'immigrazione.
Voi, con una giusta comunicazione potreste facilmente
fagocitarli e ambire al 20% per poi allearvi con il M5S.
C'è ancora un passo della lettera a Vogt che merita di essere riportato: "Ma la borghesia inglese ha interessi ancora più notevoli nell'attuale economia irlandese. Attraverso la continua e crescente concentrazione dei contratti di affitto l'Irlanda fornisce il suo sovrappiú al mercato del lavoro inglese e in tal modo comprime i salari nonché la posizione materiale e morale della classe operaia inglese”. (lo prendo dal recente e interessante articolo di Visalli: http://tempofertile.blogspot.com/2018/06/frammenti-circa-piccole-polemiche-sulle.html ).
E' straordinario questo passaggio del Barone: "Oggi sono presenti ormai in tutti paesi europei forze politiche di destra, populiste o fasciste, la cui funzione è esattamente quella di strumentalizzare i ceti popolari, persuadendoli che la causa della loro condizione di precarietà e di impoverimento è dovuta alla ‘concorrenza’ dei lavoratori immigrati e non alle basi strutturali del sistema capitalistico."
Come se fra queste basi non ci fosse proprio la messa in concorrenza fra lavoratori! Naturalmente non solo e non primariamente, almeno in Italia (in paesi come Dubai, in cui l'80% della forza lavoro è composta di immigrati, si può avere qualche dubbio), attraverso l'immigrazione (vedi alla voce libero movimento di capitali), ma *anche* attraverso l'immigrazione.
Concordo con la posizione espressa, ci sono dei modi di pensare davvero esoterici nei due interlocutori citati, ed un certo romantico spirito religioso che il buon Moro avrebbe respinto con orrore. Si riferiscono sistematicamente a testi che sono fatti storici e come tali risentono del contesto tattico, delle ipotesi politiche e della fallibilità loro propria, come se fossero testo sacro. Molto spesso verrebbe da rispondere alle loro argomentazioni, rivolte sistematicamente all'ipse dixit con un semplice: "e allora?".
Qual era sul piano dell’azione politica, la conseguenza di questa analisi? Si misero forse i marxisti a costruire associazioni caritatevoli (mutualismo) per dare alloggi e pasti a gratis agli immigrati irlandesi? Per niente! Costruirono in Inghilterra comitati per l’indipendenza irlandese e in Irlanda militavano nel movimento di liberazione nazionale. Perorarono forse umanitariamente i flussi migratori dall’Irlanda verso l’Inghilterra? Al contrario incitavano gli irlandesi a combattere in patria, visto che l’emigrazione era funzionale al capitalismo inglese.
Ah, adesso il buon PAsquinelli di fronte all'evidenza che Marx non si è mai sognato di fare la (esclusivamente sua) equiparazione razzista immigrati=lumpen e quindi nemici del proletariato, tenta di svicolare parlando di quello che hanno fatto i marxisti inglesi, gente di cui Marx nemmeno perdeva tempo a parlare tanto li riteneva buoni a nulla (se KM polemizzava coi marxisti francesi e scriveva la critica del programma di Gotha, e non la critica dei cartisti inglesi, c'è un motivo). Hanno fatto esattamente quello che ci si aspetta da una sinistra nata completamente succube della propaganda borghese, che è risucita a imporre il razzismo antiirlandese necessario per avere centinaia di migliaia di proletari inglesi in armi a occupare l'Irlanda. Ecco cos'ha fatto. Un fallimento completo.
E questo dovrebbe provare che i marxisti dovrebbero combattere l'emigrazione, o il suo esatto contrario?
Non capirò mai questi immigrazionisti che si
arrampicano sugli specchi con le loro elucubrazioni
per sostenere la teoria che bisogna farne entrare
il più possibile forse nella speranza che essendo
poveri, un giorno saranno dei compagni lavoratori
che li aiuteranno nella lotta di classe, votando
falce e martello.
Non capiscono che quelli che vengono in italia
da tutto il mondo non sono i più deboli dei loro
rispettivi paesi ma i più furbi e spregiudicati,
sostenitori dell'individualismo e della competizione.
Qui in italia abbiamo avuto un forte impoverimento
della classe media e del proletariato con aumento
delle disuguaglianze ma non solo. Rispetto a 20
anni fa abbiamo 5 milioni di immigrati il 9% che
lavorano e si stanno facendo una casa e una vita.
Mentre abbiamo 6 milioni di disoccupati italiani.
Come fate a non vedere l'atroce beffa perpetrata
da imprenditori e politici a danno degli italiani?
Forse siete contenti perchè voi sinistrati avete
sempre avuto un certo odio per gli artigiani e i
commercianti quando se la passavano bene.
Per 160 anni ci hanno scassato i maroni con la patria,
morire per la patria, non passa lo straniero, il piave
mormorò e adesso non vale più ? eh no! eh no cazzo!
SINISTRATI - PARTITO DEMOCRATICO - IMPRENDITORI
CHE ASSUMONO STRANIERI - SIETE I TRADITORI DELLA PATRIA.
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