[ 31 ottobre 2017 ]
Pareva una tragedia, è finita in una farsa. Il condottiero dell’indipendentismo catalano, Puigdemont —per sfuggire al giudizio della Audencia Nacional, un tribunale speciale erede di quello franchista—, è scappato in Belgio con mezzo suo governo. E’ stato accolto dai sodali dell’Alleanza neo-fiamminga (N-va), partito ultra-liberista, secessionista ed europeista. Una vecchia amicizia quella tra Junts pel Sì, il partito di Puigdemont e N-va, visto che nel Parlamento di Strasburgo fan parte dello stesso gruppo liberista, l’Alde. Il Belgio, poi, è il Paese dove risiedono le massime autorità della Ue. Il segnale è chiaro, mentre vuole secedere da Madrid Puigdemont implora che la Catalogna sia annessa dall’Euro-Germana.
La marcia indietro dei secessionisti catalani è talmente clamorosa che hanno accettato —lasciando quindi sola la C.U.P.— di partecipare alle elezioni del 21 dicembre indette da Rajoy. Che in soldoni significa che hanno capitolato su quasi tutta la linea, di fatto accettando le clausole dell’Art. 155. E’ comprensibile che molti catalani indipendentisti che per settimane si sono mobilitati illudendosi che la secessione fosse cosa fatta, si sentano smarriti, altri traditi.
Alla fine della fiera, chi più ha guadagnato dalla politica squinternata di Puigdemont, è il fronte spagnolista, con in testa il Partito popolare di Rajoy, erede diretto del regime franchista. Questo, almeno, confermano i sondaggi pubblicati questa mattina a Madrid, mentre annaspano le forze d’opposizione, anzitutto Podemos e Izquierda Unida.
Podemos in particolare ha subito un forte contraccolpo dalla vicenda catalana. E’ notizia di ieri sera che l’ala catalana di Podemos (Podem), schierata su posizioni indipendentiste, ha abbandonato il movimento guidato da Pablo Iglesias.
Non si pensi ad una scissione su linee etno-linguistiche o nazionalitarie.
Il problema per Iglesias è più serio, si chiama Izquierda Anticapitalista, la corrente dei trotskysti che fa entrismo in Podemos. Il fatto è che l’ala catalana di Podemos è appunto capeggiata dai trotskysti, convinti assertori della secessione catalana, vicini alla C.U.P e decisi a presentarsi alle prossime elezioni in un blocco elettorale con i seguaci di Puigdemont.
La direzione di Podemos è di diverso avviso: nessuna coalizione con gli indipendentisti in vista delle prossime elezioni di dicembre, alleanza invece con Catalunya en Comù della sindaca di Barcellona Ad Colau, la quale, ricordiamo, si oppose alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza.
Ma la questione catalana spacca anche gli stessi trotskysti. La loro principale dirigente, l’andalusa Teresa Rodriguez, assieme al popolare sindaco di Cadice Josè Maria Gonzales, sostengono la posizione di Pablo Inglesias e hanno condannato quella della loro corrente.
-->Pareva una tragedia, è finita in una farsa. Il condottiero dell’indipendentismo catalano, Puigdemont —per sfuggire al giudizio della Audencia Nacional, un tribunale speciale erede di quello franchista—, è scappato in Belgio con mezzo suo governo. E’ stato accolto dai sodali dell’Alleanza neo-fiamminga (N-va), partito ultra-liberista, secessionista ed europeista. Una vecchia amicizia quella tra Junts pel Sì, il partito di Puigdemont e N-va, visto che nel Parlamento di Strasburgo fan parte dello stesso gruppo liberista, l’Alde. Il Belgio, poi, è il Paese dove risiedono le massime autorità della Ue. Il segnale è chiaro, mentre vuole secedere da Madrid Puigdemont implora che la Catalogna sia annessa dall’Euro-Germana.
La marcia indietro dei secessionisti catalani è talmente clamorosa che hanno accettato —lasciando quindi sola la C.U.P.— di partecipare alle elezioni del 21 dicembre indette da Rajoy. Che in soldoni significa che hanno capitolato su quasi tutta la linea, di fatto accettando le clausole dell’Art. 155. E’ comprensibile che molti catalani indipendentisti che per settimane si sono mobilitati illudendosi che la secessione fosse cosa fatta, si sentano smarriti, altri traditi.
Alla fine della fiera, chi più ha guadagnato dalla politica squinternata di Puigdemont, è il fronte spagnolista, con in testa il Partito popolare di Rajoy, erede diretto del regime franchista. Questo, almeno, confermano i sondaggi pubblicati questa mattina a Madrid, mentre annaspano le forze d’opposizione, anzitutto Podemos e Izquierda Unida.
Podemos in particolare ha subito un forte contraccolpo dalla vicenda catalana. E’ notizia di ieri sera che l’ala catalana di Podemos (Podem), schierata su posizioni indipendentiste, ha abbandonato il movimento guidato da Pablo Iglesias.
Non si pensi ad una scissione su linee etno-linguistiche o nazionalitarie.
Il problema per Iglesias è più serio, si chiama Izquierda Anticapitalista, la corrente dei trotskysti che fa entrismo in Podemos. Il fatto è che l’ala catalana di Podemos è appunto capeggiata dai trotskysti, convinti assertori della secessione catalana, vicini alla C.U.P e decisi a presentarsi alle prossime elezioni in un blocco elettorale con i seguaci di Puigdemont.
Ada Colau e Pablo Inglesias |
La direzione di Podemos è di diverso avviso: nessuna coalizione con gli indipendentisti in vista delle prossime elezioni di dicembre, alleanza invece con Catalunya en Comù della sindaca di Barcellona Ad Colau, la quale, ricordiamo, si oppose alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza.
Ma la questione catalana spacca anche gli stessi trotskysti. La loro principale dirigente, l’andalusa Teresa Rodriguez, assieme al popolare sindaco di Cadice Josè Maria Gonzales, sostengono la posizione di Pablo Inglesias e hanno condannato quella della loro corrente.
Insomma, l'avventurismo secessionista di Puigdemont, mentre ha portato alla fine della stessa autonomia catalana, ha rafforzato le destre spagnoliste, causando gravi fratture nei parti della sinistra popolare.
Niente male Puigdemont! Invece di un mandato di cattura Rajoy dovrebbe darti un premio.
3 commenti:
Gli utili idioti del capitale non si smentiscono mai.E ora cosa diranno i nostrani "sinistri"che hanno visto, o meglio,vaneggiato di un moto di popolo genuinamente antiliberista e,udite udite, contrario ai programmi devastatori della troika,gli ultrasinistri che non riescono proprio a capire che è il proprio nemico che sta marciando alla loro testa.Ma tant'è, il tempo e la Storia sono, come sempre, galantuomini.
Quando gli “agnelli”, in nome e in riferimento ad un “mondo giusto e democratico”, parteggiano e si compiacciono della sconfitta inflitta al “lupo ribelle” dal proprio branco, svela e rende palese che questo approccio politico-culturale è la fondamentale causa che da sempre ha condotto gli agnelli a finire inevitabilmente e ingloriosamente fra le loro fauci. E continuare a perdersi dentro questa concezione politica, con l’aggravante di nascondersi e mimetizzarsi dietro o all’ombra di una collocazione pilatesca (da Ponzio Pilato) del “né-né” la quale ha sempre finito, volente o no, per sostenere, favorire e premiare il “né” dominante, non solo è sbagliato ma è da irresponsabili. Contro questa tragica deriva degli agnelli che accresce le opportunità e le possibilità ad maiora dei lupi di sgozzarli, un vero rivoluzionario o un vero movimento rivoluzionario quando in una qualsiasi parte del mondo viene eretta una barricata che per qualsiasi motivo o ragione possa mettere in crisi, in difficoltà il potere dominante dei lupi non può esimersi e politicamente o tatticamente schierarsi e rendere palese da quale parte della barricata sia giusto stare.
Pasquino55
"Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico.La voce che li comanda è la voce del loro nemico.E chi parla del nemico è lui stesso il nemico" BERTOLD BRECHT (Il nemico)
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