[ 23 ottobre 2017 ]
«Torna in libreria (ancora per i tipi di Meltemi, che l’aveva pubblicata una prima volta nel 2002) l’opera più conosciuta di Elisabeth Noelle Neumann, La spirale del silenzio, per una teoria dell'opinione pubblica, con una Introduzione di Stefano Cristante, docente di Sociologia della Comunicazione all’Università del Salento, il quale ha sempre dedicato particolare attenzione sia al tema dell’opinione pubblica che al modo in cui questa controversa autrice tedesca lo affronta. [1]
In cosa consiste questo contributo della Neumann?
Il costante, contemporaneo, ridondante e contorto afflusso di notizie da parte dei media può, col passare del tempo, causare un'incapacità nel pubblico nel selezionare e comprendere i processi di percezione e di influenza dei media; in questo modo verrebbe a formarsi la cosiddetta spirale del silenzio. In questa situazione la persona singola ha il timore costante di essere una minoranza rispetto all'opinione pubblica generale. Per non rimanere isolata, la persona anche se con un'idea diversa rispetto alla massa non la mostra e cerca di conformarsi con il resto dell'opinione generale.
In cosa consiste questo contributo della Neumann?
Ne La spirale del silenzio (uscito per la prima volta nel1980) La Neumann, oltre ad affermare che l’opinione pubblica è definizione moderna di una serie di fenomeni sociali
che sono esistiti —sia pure in forme diverse— in tutte le fasi della storia sociale dell’umanità, sostiene le seguenti quattro tesi di fondo:
Elisabeth Noelle Neumann |
1) la società esercita sugli individui una pressione costante attraverso la minaccia dell’isolamento; 2) per ogni essere umano la paura dell’isolamento è un sentimento tanto forte quanto costantemente avvertito; 3) a causa del timore di subire tale sanzione sociale —e al fine di non incorrervi — ogni individuo si sforza incessantemente di valutare “il clima di opinione” prevalente in ogni particolare momento; 4) in base a tale valutazione regola il proprio comportamento in modo da adattarlo all’opinione maggioritaria.
Un corollario di queste tesi è che, nell’attuale fase storica, le tecnologie di comunicazione —i media— svolgono un ruolo strategico in quanto, contribuendo in misura determinante alla valutazione del clima di opinione, influenzano i nostri comportamenti.
Cristante richiama giustamente l’attenzione sulle conseguenze anti-individualistiche delle tesi della Neumann: la proclamata onnipotenza dell’individuo —che oggi viene sbandierata anche attraverso l’esaltazione del presunto ruolo emancipatorio e democratizzante della rete— è in realtà del tutto illusoria perché, ieri come oggi, l’espressione umana è limitata dall’appartenenza del singolo a un insieme di relazioni sociali che ne giudicano —ed eventualmente ne sanzionano— i comportamenti. Resta il fatto che lo schema della spirale del silenzio offre poco spazio alla comprensione dei motivi che possono determinare un radicale (e a volte fulmineo) cambiamento del clima di opinione.
Notiamo, per inciso, che analoghe difficoltà incontra il pensiero di un altro grande sociologo tedesco —anche lui esponente del pensiero conservatore e vicino alla CDU— come Niklas Luhmann, il quale, mentre analizza in modo convincente le dinamiche dell’equilibrio sistemico, appare assai meno efficace quando deve rendere conto di quelle che possono provocarne la rottura. Intendiamoci, non è che la Neumann non affronti il problema, che ignori cioè il fatto che opinione pubblica vuol dire controllo sociale ma può anche voler dire rottura del controllo sociale, tuttavia, annota Cristante, preferisce concentrarsi sul ruolo che possono svolgere in tal senso gli “sfidanti” come outsider, avanguardisti, eretici, riformatori, missionari (rovesciando così la sua prospettiva anti individualista!) mentre trascura quello delle pressioni “oggettive” (crisi economiche, crollo dei sistemi istituzionali, ecc.).
Mi pare di poter concludere che, ancorché interessante, al pensiero della Neumann, come a quello di altri grandi autori conservatori, manca del tutto la capacità di cogliere l’inscindibile unità —il continuo movimento di conversione incrociata degli uni negli altri— fra fattori soggettivi e oggettivi, fra rapporti sociali e relazioni individuali o, per usare il lessico marxiano (non nell’accezione volgare del diamat, ma in quella che ne offrono autori come Lukacs e Gramsci) fra struttura e sovrastruttura. Per illuminare l’enigma del mutamento del clima di opinione, più della teoria della spirale del silenzio, serve probabilmente il concetto gramsciano di egemonia inteso come lotta per il controllo del senso comune fra blocchi sociali antagonisti».
Cristante richiama giustamente l’attenzione sulle conseguenze anti-individualistiche delle tesi della Neumann: la proclamata onnipotenza dell’individuo —che oggi viene sbandierata anche attraverso l’esaltazione del presunto ruolo emancipatorio e democratizzante della rete— è in realtà del tutto illusoria perché, ieri come oggi, l’espressione umana è limitata dall’appartenenza del singolo a un insieme di relazioni sociali che ne giudicano —ed eventualmente ne sanzionano— i comportamenti. Resta il fatto che lo schema della spirale del silenzio offre poco spazio alla comprensione dei motivi che possono determinare un radicale (e a volte fulmineo) cambiamento del clima di opinione.
Notiamo, per inciso, che analoghe difficoltà incontra il pensiero di un altro grande sociologo tedesco —anche lui esponente del pensiero conservatore e vicino alla CDU— come Niklas Luhmann, il quale, mentre analizza in modo convincente le dinamiche dell’equilibrio sistemico, appare assai meno efficace quando deve rendere conto di quelle che possono provocarne la rottura. Intendiamoci, non è che la Neumann non affronti il problema, che ignori cioè il fatto che opinione pubblica vuol dire controllo sociale ma può anche voler dire rottura del controllo sociale, tuttavia, annota Cristante, preferisce concentrarsi sul ruolo che possono svolgere in tal senso gli “sfidanti” come outsider, avanguardisti, eretici, riformatori, missionari (rovesciando così la sua prospettiva anti individualista!) mentre trascura quello delle pressioni “oggettive” (crisi economiche, crollo dei sistemi istituzionali, ecc.).
Mi pare di poter concludere che, ancorché interessante, al pensiero della Neumann, come a quello di altri grandi autori conservatori, manca del tutto la capacità di cogliere l’inscindibile unità —il continuo movimento di conversione incrociata degli uni negli altri— fra fattori soggettivi e oggettivi, fra rapporti sociali e relazioni individuali o, per usare il lessico marxiano (non nell’accezione volgare del diamat, ma in quella che ne offrono autori come Lukacs e Gramsci) fra struttura e sovrastruttura. Per illuminare l’enigma del mutamento del clima di opinione, più della teoria della spirale del silenzio, serve probabilmente il concetto gramsciano di egemonia inteso come lotta per il controllo del senso comune fra blocchi sociali antagonisti».
* FONTE: MICROMEGA
NOTE
[1] Controversa perché la Neumann è stata accusata – con particolare acredine dal sociologo ebreo americano Leo Bogart – di collusione con il regime nazista e di antisemitismo. In effetti la lunga vita (1916 – 2010) della Neumann non appare, sotto questo aspetto, esente da sospetti. Recatasi nella seconda metà degli anni Trenta negli Stati Uniti, dove studia i metodi e le tecniche di Gallup, il fondatore della sondaggistica, al rientro in Germania collabora con il settimanale “Das Reich” (sulle cui pagine, osserva Bogart, definisce “giudeo” il saggista americano Walter Lippmann). Nel 1946 si sposa con il giornalista Peter Neumann (a suo tempo iscritto al partito nazista) assieme al quale conduce, per conto delle autorità americane, ricerche demoscopiche sulle opinioni del popolo tedesco. Da allora fino alla morte lavora a stretto contatto con i leader della CDU, da Adenauer a Kohl. Ritornata in America negli anni 70, deve lasciare l’insegnamento a Chicago anche a causa (anche se non ufficialmente) della polemica innescata da Bogart.
Cristante documenta la linea di difesa della Neumann – linea che si basa su argomenti a dir poco deboli e che si fonda, essenzialmente, sul fatto che gli alleati non hanno ritenuto necessario sottoporla a un processo di denazificazione (i maligni potrebbero obiettare che, in quanto usata dai vincitori per le sue competenze tecniche, le è stato riservato il trattamento di favore concesso ad altri “cervelli” tedeschi). Ciò detto, resta il fatto che il suo contributo scientifico-culturale andrebbe valutato – come si è fatto per quello di altri grandi intellettuali tedeschi in odore di simpatie naziste, come Heidegger, Schmitt e Junger per citare i più noti – a prescindere dalla sua complicità vera, presunta o dettata dall’accettazione opportunistica delle circostanze, con il nazismo.
[1] Controversa perché la Neumann è stata accusata – con particolare acredine dal sociologo ebreo americano Leo Bogart – di collusione con il regime nazista e di antisemitismo. In effetti la lunga vita (1916 – 2010) della Neumann non appare, sotto questo aspetto, esente da sospetti. Recatasi nella seconda metà degli anni Trenta negli Stati Uniti, dove studia i metodi e le tecniche di Gallup, il fondatore della sondaggistica, al rientro in Germania collabora con il settimanale “Das Reich” (sulle cui pagine, osserva Bogart, definisce “giudeo” il saggista americano Walter Lippmann). Nel 1946 si sposa con il giornalista Peter Neumann (a suo tempo iscritto al partito nazista) assieme al quale conduce, per conto delle autorità americane, ricerche demoscopiche sulle opinioni del popolo tedesco. Da allora fino alla morte lavora a stretto contatto con i leader della CDU, da Adenauer a Kohl. Ritornata in America negli anni 70, deve lasciare l’insegnamento a Chicago anche a causa (anche se non ufficialmente) della polemica innescata da Bogart.
Cristante documenta la linea di difesa della Neumann – linea che si basa su argomenti a dir poco deboli e che si fonda, essenzialmente, sul fatto che gli alleati non hanno ritenuto necessario sottoporla a un processo di denazificazione (i maligni potrebbero obiettare che, in quanto usata dai vincitori per le sue competenze tecniche, le è stato riservato il trattamento di favore concesso ad altri “cervelli” tedeschi). Ciò detto, resta il fatto che il suo contributo scientifico-culturale andrebbe valutato – come si è fatto per quello di altri grandi intellettuali tedeschi in odore di simpatie naziste, come Heidegger, Schmitt e Junger per citare i più noti – a prescindere dalla sua complicità vera, presunta o dettata dall’accettazione opportunistica delle circostanze, con il nazismo.
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