[ 2 ottobre 2017 ]
Otto note sintetiche sul referendum di ieri
Ci sarà tempo per riflettere più a fondo sui possibili sviluppi della crisi catalana. Intanto però il referendum è alle nostre spalle e alcune cose già le possiamo dire.
1. L'autoritarismo centralista del governo di Madrid ha finito per rafforzare l'indipendentismo filo-eurista di quello di Barcellona.
Non era un esito difficile da prevedere. Aver mandato la polizia a disturbare il referendum, senza peraltro riuscire ad impedirlo, è stato un segno di grande debolezza, un atto repressivo figlio di una concezione parafranchista. Fondamentalmente un atto stupido, sia in considerazione del fatto che i sondaggi davano gli indipendentisti in minoranza, sia perché la contestazione della legalità del voto avrebbe potuto essere comunque sostenuta politicamente senza bisogno di ricorrere alla magistratura ed alla polizia. Ma la stupidità ha da sempre un certo ruolo nella storia. Vedremo alla fine quale sarà stato il suo peso stavolta. Intanto, però, la gestione della vicenda da parte di Rajoy ha regalato agli indipendentisti catalani un indubbio successo propagandistico.
2. Un successo che non c'è stato nelle urne. Il sì all'indipendenza fermo ai valori del 2015.
Certo, quello di ieri è stato un referendum del tutto anomalo, ma le autorità catalane hanno comunque diffuso dei dati ufficiali che - a loro avviso - legittimerebbero un'imminente "dichiarazione d'indipendenza". Proviamo allora a prendere questi dati per buoni. Essi ci dicono due cose: primo, i votanti sono stati solo il 42,5% degli aventi diritto (2 milioni e 260mila su oltre 5 milioni e 300mila); secondo - visto che i sostenitori del No non hanno partecipato al voto - i Sì hanno raggiunto oltre il 92% dei voti espressi, ma si sono fermati a 2 milioni e 20mila, cioè solo 24mila voti in più di quel che ottennero le forze indipendentiste (Junt per Sì e Cup) alle elezioni del parlamento catalano nel 2015. In quella occasione queste due formazioni ottennero la maggioranza dei seggi ma non quella dei voti, visto che si fermarono esattamente ad una percentuale del 48%. Le urne di ieri parlano dunque chiaro: in Catalogna non c'è stato nessun plebiscito per l'indipendenza, anzi l'indipendentismo è probabilmente ancora in minoranza. Al massimo è attorno ad un 50%, un po' poco per correre verso la separazione dalla Spagna.
3. Indipendenza o solo la sua dichiarazione?
Vedremo nelle prossime ore, o al massimo nei prossimi giorni, se alle parole seguiranno i fatti. Vedremo cioè se una dichiarazione d'indipendenza vedrà davvero la luce. E soprattutto vedremo le sue conseguenze. Cosa succederà a Madrid? Andrà avanti la linea intransigente di Rajoy, o si aprirà una crisi nello stesso governo spagnolo? Difficile a dirsi, ma in un caso come nell'altro è possibile che si avvii in qualche modo una trattativa. Di certo ne ha bisogno il governo catalano, perché l'indipendenza (con referendum o senza) si conquista di norma per due vie, o attraverso un percorso concordato tra le parti (come sarebbe successo in Scozia nel 2014 se il Sì avesse vinto) o con una lotta di liberazione includente lo scontro armato. Gli indipendentisti catalani hanno chiusa attualmente la prima via e sono del tutto impreparati alla seconda.
4. Appello al popolo o all'oligarchia eurista?
Questo è davvero un punto dirimente ai fini del giudizio politico. Come sbloccare la situazione davanti all'irremovibilità di Madrid, con una chiamata alla mobilitazione popolare o con un appello all'oligarchia eurista? Carles Puigdemont, presidente della Generalitat de Catalunya, guarda ovviamente all'Europa. Ma come, dice, abbiamo attuato appieno la politica d'austerità e dei tagli sociali, siamo liberisti e per l'euro, abbiamo fatto un giuramento di servile fedeltà all'UE (1) e voi non ci venite incontro? In tanti, nell'élite eurista, gli risponderebbero volentieri di sì, ma - piccolo problema - al momento non possono proprio farlo, mica possono mettersi contro alla Spagna. Piccole contraddizioni in casa unionista...
5. «Senza sovranità economica l'indipendenza è pura finzione».
Questo ci ha ricordato (vedi nota 1) Diosdado Toledano al recente convegno di Chianciano, nella sessione dedicata alla questione catalana. Che senso ha l'indipendenza dalla Spagna se non si conquista quella dall'Unione Europea? E' questa la domanda posta anche da un recente articolo di Mimmo Porcaro ed Ugo Boghetta che condividiamo. In realtà un senso ce l'ha, quello di ricercare (magari illusoriamente) un posto a tavola tra le regioni più ricche d'Europa, fregandosene di tutto il resto. Insomma, una prospettiva piuttosto meschina quella delle forze borghesi e liberiste che guidano l'indipendentismo catalano.
6. Il pericolo dell'«Europa delle regioni», che riguarda anche l'Italia.
Difficile, di fronte alla vicenda catalana, non vedere il risorgere di una potente tentazione delle classi dominanti. Quella di farla finita una volta per tutte con gli Stati nazionali, per procedere verso un super-Stato europeo fatto di una moltitudine di regioni prive di vera sovranità. Chi non è troppo giovane si ricorderà quanto fosse in voga questa teoria nei primi anni novanta del secolo scorso. E si ricorderà anche chi e perché (la Lega Nord) se ne faceva paladina in Italia. L'idea era fondamentalmente quella di dare attuazione all'egoismo sociale delle regioni più ricche del Paese, andando al contempo in pasto al dominio tedesco sull'Europa. E' un'idea che si riproporrà nei due referendum del prossimo 22 ottobre in Veneto e Lombardia. Ma c'è qualcosa di più, come confessò il candido Romano Prodi nel 2014. L'intervistatore gli chiede: «Lei crede che sia possibile un’Europa delle Regioni in un momento in cui la crisi economica, almeno in Italia, sembra gonfiare le vene di un nuovo centralismo statale?». Ecco la sua illuminante risposta: «Oggi c’è un’Europa degli Stati. Attenzione però: la contrapposizione vera non è tra Europa degli Stati e Europa delle Regioni, ma tra un’Europa guidata da un’autorità sovranazionale molto forte, cioè un’Europa federale, e un’Europa delle nazioni. Non vedo le Regioni in contrapposizione a un’Europa federale, due regioni non fanno uno Stato nuovo». Traduzione: gli Stati nazionali sono il problema, l'Europa disgregata delle regioni è invece la strada maestra per portare a termine la costruzione del mostro eurista. Chi vuole davvero opporsi a quel mostro antisociale ha di che riflettere.
7. La Catalogna, la crisi della globalizzazione, il risorgere delle nazioni.
C'è però un altro aspetto di cui ci parla la vicenda catalana. Ed è la multiforme rinascita della nazione come risposta ad una globalizzazione distruttiva e comunque in crisi. Non sempre questa rinascita può avere le forme a noi più simpatiche, ma il fenomeno rimane. Ed esso ci segnala appunto quanto sia potente la crisi del disegno delle èlite globaliste. Nella devastazione sociale prodotta dal liberismo pienamente dispiegato; di più, nel cuore di un'Unione Europea pensata e realizzata proprio a tal fine, la rinascita del nazionalismo - sia pure in forme così diverse tra loro - è fondamentalmente una risposta della società ad un dominio delle oligarchie che può essere sconfitto solo con la costruzione di comunità resistenti. Il fatto che nello specifico caso catalano questa spinta sia stata raccolta principalmente da forze liberiste, interessate pure a nascondere gli effetti della loro stessa politica, non cambia la sostanza di un fenomeno profondo quanto potente. Farci i conti, facendolo evolvere verso un'idea ed una prospettiva di patriottismo costituzionale, è esattamente il compito che abbiamo in Italia. Pensare invece di esorcizzarlo - magari a corrente alternata, come fanno alcuni nella sinistra italiana - è il modo sicuro per esserne travolti.
8. Infine l'Unione Europea, con un altro elemento di crisi in più.
Si è detto al punto 4 che tanti nella UE aprirebbero volentieri le porte a Puigdemont e compagnia. E si è detto anche (vedi il punto 6) quanto l'Europa delle regioni piacerebbe a lorsignori. Questo dal punto di vista della dottrina. Ma dottrina e politica non sempre possono coincidere. Ed a Bruxelles hanno proprio una bella gatta da pelare. Paradosso dei paradossi: non hanno contro né Madrid né Barcellona, ma mentre queste paiono destinate ad uno scontro ancor più duro tra di loro, entrambe alimentano un problema pressoché irrisolvibile nell'ottica dell'Unione Europea. Ogni apertura a Barcellona sarebbe la guerra con Madrid, ed a Bruxelles non se lo possono permettere. D'altra parte, trincerarsi solo dietro al formale rispetto della costituzione spagnola, impedirebbe l'assunzione di un qualsivoglia ruolo negoziale. Come ne verranno fuori non si sa. In apparenza sia Madrid che Barcellona sembrano portare acqua alla retorica del «più Europa». Ma, attenzione, anche le indigestioni possono far male, al punto che talvolta se ne può anche morire. Ed a forza di dire tutti «più Europa», è assai probabile che si finisca per mostrane invece l'impotenza, l'incapacità di gestire questa ennesima crisi. Mettendo così in luce, in altre parole, l'insostenibilità stessa di un'Unione che prima crolla meglio è.
NOTE
(1) Diosdado Toledano - Dalla relazione tenuta a Chianciano il 1° settembre scorso:
«L'indipendentismo catalano prosegue il suo cammino verso l'incoerenza alla frustrazione. Nella recente proposta di legge di "Transitorietà giuridica e fondativa della Repubblica" [16], presentata insieme da PDeCAT, ERC e CUP, l'articolo 13 del "regime giuridico della continuità" si stabilisce che "le leggi organiche dello Statuto di autonomia e della Costituzione spagnola vigenti al momento dell'entrata in vigore della presente legge, assumono rango di legge ordinaria se non sono state incorporate nella presente legge e purché non la contravvengano".
Ci si chiede allora perché non si rifiuta esplicitamente la legge organica di stabilità o l'articolo 135 della Costituzione spagnola. La risposta implicita a questo viene dall'articolo 14 che ha come titolo "Continuità del diritto dell'Unione europea". L'articolo stabilisce:
1) Le norme dell'Unione europea vigenti in Catalogna al momento dell'entrata in vigore della presente legge continueranno ad applicarsi per gli obblighi che riguardano le istituzioni catalana e di quelli che si applicano nel territorio catalano da parte delle istituzioni dell'amministrazione centrale dello Stato spagnolo, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
2) Le norme dell'Unione europea che entrino in vigore posteriormente all'entrata in vigore della presente legge si integreranno automaticamente nell'ordinamento giuridico della Catalogna, per quanto riguarda gli obblighi che siano di applicazione in Catalogna, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
Siamo davanti a una confessione di servilismo nei confronti della Ue e delle sue istituzioni, di rinuncia alla sovranità economica. Gli indipendentisti di Catalogna sono bravi ragazzi e la Signora Merkel non tema: continueranno ad applicare le politiche di tagli sociali necessarie per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico e garantire la restituzione del debito».
Otto note sintetiche sul referendum di ieri
Ci sarà tempo per riflettere più a fondo sui possibili sviluppi della crisi catalana. Intanto però il referendum è alle nostre spalle e alcune cose già le possiamo dire.
1. L'autoritarismo centralista del governo di Madrid ha finito per rafforzare l'indipendentismo filo-eurista di quello di Barcellona.
Non era un esito difficile da prevedere. Aver mandato la polizia a disturbare il referendum, senza peraltro riuscire ad impedirlo, è stato un segno di grande debolezza, un atto repressivo figlio di una concezione parafranchista. Fondamentalmente un atto stupido, sia in considerazione del fatto che i sondaggi davano gli indipendentisti in minoranza, sia perché la contestazione della legalità del voto avrebbe potuto essere comunque sostenuta politicamente senza bisogno di ricorrere alla magistratura ed alla polizia. Ma la stupidità ha da sempre un certo ruolo nella storia. Vedremo alla fine quale sarà stato il suo peso stavolta. Intanto, però, la gestione della vicenda da parte di Rajoy ha regalato agli indipendentisti catalani un indubbio successo propagandistico.
2. Un successo che non c'è stato nelle urne. Il sì all'indipendenza fermo ai valori del 2015.
Certo, quello di ieri è stato un referendum del tutto anomalo, ma le autorità catalane hanno comunque diffuso dei dati ufficiali che - a loro avviso - legittimerebbero un'imminente "dichiarazione d'indipendenza". Proviamo allora a prendere questi dati per buoni. Essi ci dicono due cose: primo, i votanti sono stati solo il 42,5% degli aventi diritto (2 milioni e 260mila su oltre 5 milioni e 300mila); secondo - visto che i sostenitori del No non hanno partecipato al voto - i Sì hanno raggiunto oltre il 92% dei voti espressi, ma si sono fermati a 2 milioni e 20mila, cioè solo 24mila voti in più di quel che ottennero le forze indipendentiste (Junt per Sì e Cup) alle elezioni del parlamento catalano nel 2015. In quella occasione queste due formazioni ottennero la maggioranza dei seggi ma non quella dei voti, visto che si fermarono esattamente ad una percentuale del 48%. Le urne di ieri parlano dunque chiaro: in Catalogna non c'è stato nessun plebiscito per l'indipendenza, anzi l'indipendentismo è probabilmente ancora in minoranza. Al massimo è attorno ad un 50%, un po' poco per correre verso la separazione dalla Spagna.
3. Indipendenza o solo la sua dichiarazione?
Vedremo nelle prossime ore, o al massimo nei prossimi giorni, se alle parole seguiranno i fatti. Vedremo cioè se una dichiarazione d'indipendenza vedrà davvero la luce. E soprattutto vedremo le sue conseguenze. Cosa succederà a Madrid? Andrà avanti la linea intransigente di Rajoy, o si aprirà una crisi nello stesso governo spagnolo? Difficile a dirsi, ma in un caso come nell'altro è possibile che si avvii in qualche modo una trattativa. Di certo ne ha bisogno il governo catalano, perché l'indipendenza (con referendum o senza) si conquista di norma per due vie, o attraverso un percorso concordato tra le parti (come sarebbe successo in Scozia nel 2014 se il Sì avesse vinto) o con una lotta di liberazione includente lo scontro armato. Gli indipendentisti catalani hanno chiusa attualmente la prima via e sono del tutto impreparati alla seconda.
4. Appello al popolo o all'oligarchia eurista?
Questo è davvero un punto dirimente ai fini del giudizio politico. Come sbloccare la situazione davanti all'irremovibilità di Madrid, con una chiamata alla mobilitazione popolare o con un appello all'oligarchia eurista? Carles Puigdemont, presidente della Generalitat de Catalunya, guarda ovviamente all'Europa. Ma come, dice, abbiamo attuato appieno la politica d'austerità e dei tagli sociali, siamo liberisti e per l'euro, abbiamo fatto un giuramento di servile fedeltà all'UE (1) e voi non ci venite incontro? In tanti, nell'élite eurista, gli risponderebbero volentieri di sì, ma - piccolo problema - al momento non possono proprio farlo, mica possono mettersi contro alla Spagna. Piccole contraddizioni in casa unionista...
5. «Senza sovranità economica l'indipendenza è pura finzione».
Questo ci ha ricordato (vedi nota 1) Diosdado Toledano al recente convegno di Chianciano, nella sessione dedicata alla questione catalana. Che senso ha l'indipendenza dalla Spagna se non si conquista quella dall'Unione Europea? E' questa la domanda posta anche da un recente articolo di Mimmo Porcaro ed Ugo Boghetta che condividiamo. In realtà un senso ce l'ha, quello di ricercare (magari illusoriamente) un posto a tavola tra le regioni più ricche d'Europa, fregandosene di tutto il resto. Insomma, una prospettiva piuttosto meschina quella delle forze borghesi e liberiste che guidano l'indipendentismo catalano.
6. Il pericolo dell'«Europa delle regioni», che riguarda anche l'Italia.
Difficile, di fronte alla vicenda catalana, non vedere il risorgere di una potente tentazione delle classi dominanti. Quella di farla finita una volta per tutte con gli Stati nazionali, per procedere verso un super-Stato europeo fatto di una moltitudine di regioni prive di vera sovranità. Chi non è troppo giovane si ricorderà quanto fosse in voga questa teoria nei primi anni novanta del secolo scorso. E si ricorderà anche chi e perché (la Lega Nord) se ne faceva paladina in Italia. L'idea era fondamentalmente quella di dare attuazione all'egoismo sociale delle regioni più ricche del Paese, andando al contempo in pasto al dominio tedesco sull'Europa. E' un'idea che si riproporrà nei due referendum del prossimo 22 ottobre in Veneto e Lombardia. Ma c'è qualcosa di più, come confessò il candido Romano Prodi nel 2014. L'intervistatore gli chiede: «Lei crede che sia possibile un’Europa delle Regioni in un momento in cui la crisi economica, almeno in Italia, sembra gonfiare le vene di un nuovo centralismo statale?». Ecco la sua illuminante risposta: «Oggi c’è un’Europa degli Stati. Attenzione però: la contrapposizione vera non è tra Europa degli Stati e Europa delle Regioni, ma tra un’Europa guidata da un’autorità sovranazionale molto forte, cioè un’Europa federale, e un’Europa delle nazioni. Non vedo le Regioni in contrapposizione a un’Europa federale, due regioni non fanno uno Stato nuovo». Traduzione: gli Stati nazionali sono il problema, l'Europa disgregata delle regioni è invece la strada maestra per portare a termine la costruzione del mostro eurista. Chi vuole davvero opporsi a quel mostro antisociale ha di che riflettere.
7. La Catalogna, la crisi della globalizzazione, il risorgere delle nazioni.
C'è però un altro aspetto di cui ci parla la vicenda catalana. Ed è la multiforme rinascita della nazione come risposta ad una globalizzazione distruttiva e comunque in crisi. Non sempre questa rinascita può avere le forme a noi più simpatiche, ma il fenomeno rimane. Ed esso ci segnala appunto quanto sia potente la crisi del disegno delle èlite globaliste. Nella devastazione sociale prodotta dal liberismo pienamente dispiegato; di più, nel cuore di un'Unione Europea pensata e realizzata proprio a tal fine, la rinascita del nazionalismo - sia pure in forme così diverse tra loro - è fondamentalmente una risposta della società ad un dominio delle oligarchie che può essere sconfitto solo con la costruzione di comunità resistenti. Il fatto che nello specifico caso catalano questa spinta sia stata raccolta principalmente da forze liberiste, interessate pure a nascondere gli effetti della loro stessa politica, non cambia la sostanza di un fenomeno profondo quanto potente. Farci i conti, facendolo evolvere verso un'idea ed una prospettiva di patriottismo costituzionale, è esattamente il compito che abbiamo in Italia. Pensare invece di esorcizzarlo - magari a corrente alternata, come fanno alcuni nella sinistra italiana - è il modo sicuro per esserne travolti.
8. Infine l'Unione Europea, con un altro elemento di crisi in più.
Si è detto al punto 4 che tanti nella UE aprirebbero volentieri le porte a Puigdemont e compagnia. E si è detto anche (vedi il punto 6) quanto l'Europa delle regioni piacerebbe a lorsignori. Questo dal punto di vista della dottrina. Ma dottrina e politica non sempre possono coincidere. Ed a Bruxelles hanno proprio una bella gatta da pelare. Paradosso dei paradossi: non hanno contro né Madrid né Barcellona, ma mentre queste paiono destinate ad uno scontro ancor più duro tra di loro, entrambe alimentano un problema pressoché irrisolvibile nell'ottica dell'Unione Europea. Ogni apertura a Barcellona sarebbe la guerra con Madrid, ed a Bruxelles non se lo possono permettere. D'altra parte, trincerarsi solo dietro al formale rispetto della costituzione spagnola, impedirebbe l'assunzione di un qualsivoglia ruolo negoziale. Come ne verranno fuori non si sa. In apparenza sia Madrid che Barcellona sembrano portare acqua alla retorica del «più Europa». Ma, attenzione, anche le indigestioni possono far male, al punto che talvolta se ne può anche morire. Ed a forza di dire tutti «più Europa», è assai probabile che si finisca per mostrane invece l'impotenza, l'incapacità di gestire questa ennesima crisi. Mettendo così in luce, in altre parole, l'insostenibilità stessa di un'Unione che prima crolla meglio è.
NOTE
(1) Diosdado Toledano - Dalla relazione tenuta a Chianciano il 1° settembre scorso:
«L'indipendentismo catalano prosegue il suo cammino verso l'incoerenza alla frustrazione. Nella recente proposta di legge di "Transitorietà giuridica e fondativa della Repubblica" [16], presentata insieme da PDeCAT, ERC e CUP, l'articolo 13 del "regime giuridico della continuità" si stabilisce che "le leggi organiche dello Statuto di autonomia e della Costituzione spagnola vigenti al momento dell'entrata in vigore della presente legge, assumono rango di legge ordinaria se non sono state incorporate nella presente legge e purché non la contravvengano".
Ci si chiede allora perché non si rifiuta esplicitamente la legge organica di stabilità o l'articolo 135 della Costituzione spagnola. La risposta implicita a questo viene dall'articolo 14 che ha come titolo "Continuità del diritto dell'Unione europea". L'articolo stabilisce:
1) Le norme dell'Unione europea vigenti in Catalogna al momento dell'entrata in vigore della presente legge continueranno ad applicarsi per gli obblighi che riguardano le istituzioni catalana e di quelli che si applicano nel territorio catalano da parte delle istituzioni dell'amministrazione centrale dello Stato spagnolo, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
2) Le norme dell'Unione europea che entrino in vigore posteriormente all'entrata in vigore della presente legge si integreranno automaticamente nell'ordinamento giuridico della Catalogna, per quanto riguarda gli obblighi che siano di applicazione in Catalogna, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
Siamo davanti a una confessione di servilismo nei confronti della Ue e delle sue istituzioni, di rinuncia alla sovranità economica. Gli indipendentisti di Catalogna sono bravi ragazzi e la Signora Merkel non tema: continueranno ad applicare le politiche di tagli sociali necessarie per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico e garantire la restituzione del debito».
21 commenti:
Mi pare che comunque si è mobilitato un popolo
Imvece di giudicare noi dei suoi motivi apprezziamo il fatto che ribellarsi si può e impariamo da loro quello che si dovrebbe fare per secedere dall'UE
Attenzione all'eterogenesi dei fini...
Non sempre quello che si fa e quello che si pensa di fare coincidono.
Non si può escludere che un processo nato con un segno non possa mutare, potrebbe essere questo il ruolo storico di una sinistra patriottica catalana.
Adriano Ottaviani
Certo, la ribellione di un popolo è una forza meravigliosa. Per questo è bene che sia informata e consapevole, perché non diventi un nuovo modo di consegnarsi mani e piedi al peggior dominatore
Fare questioni di cifre nelle condizioni in cui si è svolto il voto è abastanza assurdo anche perché sappiamo che settecento seggi sono stati chiusi con la forza. Quindi se prima dell'intervento armato di Madrid che si è sviluppato nelle ultime settimane la causa indipendentista era minoritaria, ma non è detto che lo sia oggi, soprattutto perché Madrid non è più un imterlocutore, ma un nemico. Trovo comunque che le analisi diciamo così di sinistra dimostrino al di là di ogni ragionevole dubbio che il presente sfugge completamente all'analisi e che si contnua giudicare in base a categorie consolidate dalle dottrine o sulla base di motivazioni eterogenee. C'è stata comunque una mobilitazione popolare di cui alla fine dei conti non si vuole davvero prendere atto perché non corrisponde a ciò che dai tavolini si ritiene debba essere una mobilitazione o che tradizionalmente è una mobilitazione.
Vedo nei commenti un certo riflesso pavloviano di supporto alla piazza, totalmente acritico e spinto, al solito, da slanci sentimentalisti. Appena si vede un pugno alzato, si pensa che sia una nuova rivoluzione d'ottobre.
Con questo criterio, non mi stupirei che in futuro qualcuno appoggiasse una ipotetica nuova Marcia su Roma, nel caso venga fatta in maniera ben mimetizzata.
Comprendo le critiche e le osservazioni di chi è intervenuto.
Certo, viva la mobilitazione popolare, ma possiamo prescindere dagli obiettivi e dal segno politico impresso dalla principale forza indipendentista? Penso proprio di no. Il nodo si chiama Unione Europea: pensare di uscire dalla Spagna per consegnarsi mani e piedi all'UE che senso ha dal punto di vista delle classi popolari? Mutatis mutandis, approveremmo un domani un distacco del Veneto dall'Italia (ma per restare nell'UE) guidato dalla Lega?
Naturalmente è vero che le cose sono più complesse. Difatti l'UE sta con Madrid, ed oltretutto la Merkel non può abbandonare il fido Rajoy, ma questo nell'articolo l'ho scritto.
Alberto Capece Minutolo pone la questione dei numeri. Chiaro che quelli del referendum di ieri sono aleatori. In realtà lo sono sia per la repressione poliziesca, ma anche perché è difficile giudicare l'attendibilità delle cifre diffuse dal governo di Barcellona.
Se mi sono permesso di commentare quei dati è solo perché Puigdemont ha detto che quelle cifre (quelle, non altre ipotetiche) sono sufficienti per arrivare alla dichiarazione di indipendenza, questo anche in virtù di regole referendarie che non prevedevano la necessità del numero legale.
In sostanza, credo che - al di là delle diverse opinioni che abbiamo sul (non) senso di un'indipendenza che non rompa con l'UE - la posizione di Podemos sia la più corretta: arrivare ad una riforma costituzionale e ad un referendum concordato.
Si dirà che questa strada è chiusa in partenza. Bene, anche in questo caso le forze indipendentiste avrebbero la possibilità di dimettersi e di andare alle elezioni anticipate in Catalogna, trasformandole esplicitamente in questo modo in un referendum. Un percorso che Madrid non potrebbe in alcun modo contrastare. Invece si fa appello all'UE...
Da vecchio amico del Campo Antimperialista sono rimasto basito dalle posizioni che avete espresso sulla vicenda catalana. Credo che l'antieuropeismo vi stia dando un po' alla testa... bene inteso anche io sono contro Euro e Nato, ma quando un obbiettivo centrale diventa deformante per la propria praxis e la propria etica non è più un nodo strategico, per quanto centrale, ma una... FISSAZIONE.
Purtroppo, come sempre, tra il dire e il fare c'è in mezzo il mare. Avete TEORIZZATO giustamente, l'importanza del popultismo in questa fase, ma poi non siete proprio capaci di metterlo in pratica.
Di fronte a centinaia di migliaia di persone in piazza, di fronte a due milioni di catalani che prende le pallottole di gomma, viene trascinato per i capelli, viene molestato sessualmente e nonostante ciò va a votare...beh una forza AUTENTICAMENTE POPULISTA sarebbe stata da quella parte e all'interno dell'ondata popolare avrebbe agitato parole d'ordine di rottura verso la dirigenza borghese e eurista del movimento indipendentista, cercando di portare il popolo su posizioni rivoluzionarie.
Dovevate stare lì in mezzo e dire: fuori dalla Spagna, dall'Europa e dalla NATO. Una posizione intermittente, per il federalismo sotto il trono di Sua Maestà erede di Francisco Franco è una posizione complessa e in quanto tale, mediaticamente e politicamente, NON-POPULISTA.
Un'utopia? Niente affatto. A parte il fatto che i populisti agitano anche le utopie, per far sollevare il popolo. Ma che la direzione politica borghese e eurista degli indipentisti non sia così salda lo dimostra lo sciopero generale di questa mattina. Uno sciopero proclamato da sindacati di base e CNT a cui i sindacati confederali sono stati costretti ad accorre. Gli aereoporti sono chiusi, le autostrade sono bloccate, i porti sono fermi e ci sono migliaia di persone sui binari. Una risposta di classe, dove i lavoratori catalani, con la parola d'ordine del dire no alla violenza franchista stanno mettendo in imbarazzo i signori euroisti indipendentisti che in poche ore sembra stiano già perdendo molti soldi e ora fanno pressioni perchè lo sciopero finisca oggi e non presegui ad oltranza.
E' il solito vostro difetto, teorizzate bene ma poi non siete conseguenti. Non siete stati all'altezza dell'impegno che una prassi populista rivoluziona avrebbe richiesto. Domenica contro la polizia, oggi con i lavoratori.
Sveglia.
Ve lo diciamo in tanti amici e da un po' di tempo ormai. La vostra traiettoria fra poco potrebbe non essere più corregibile
Lo stesso commento di Mazzei dimostra che il populismo lo avete teorizzato ma non lo sapete praticare. Mazzei si districa, la mobilitazione popolare, ma gli obbiettivi di fondo, ma la UE sta con Madrid, la situazione è complessa, ha ragione Podemos una riforma costituzionale...ma senza mettere in dubbio il Re!... Macchè questo è popoliusmo? Questo è politicismo!!! Il populismo ha bisgono di parole nette, urlate, aggressive. Non riuscerete mai ad ammettere, per una volta, abbiamo sbagliato?
Poi la castroneria più eclatante: "Mutatis mutandis, approveremmo un domani un distacco del Veneto dall'Italia (ma per restare nell'UE) guidato dalla Lega".
Leonardo, ma sei impazzito! Il veneto non ha alcuna identità nazionale propria. Dai tempi della Serenissima è pienamente inserito nell'humus culturale dell'italianità, della penisola dei comuni e delle repubbliche marinare! La catalogna ha un'altra storia: è stata castiglianizzata, come il resto della penisola, sterminando i mussulmani, attaccando il Ghetto Ebraico, con operazioni dirette da agenti castigliani (spesso lavoratori purtuali) per cristianizzare la penisola, affinchè potesse nascere un regno nazionale cattolico castigliano. Fin dal medioevo la storia della spagna è una storia infame. L'unico elemento di dignità, la rivoluzione del 19 luglio 1936, guarda caso, lo deve a Barcellona.
Bei tempi quelli in cui il sito del Campo Antimperialista traduceva i comunica dell'ETA. Oggi siete totalmente rincitrulliti.
Aveva ragione Amedeo in questo caso si mutatis mutandi: il peggior prodotto dell'europeismo sarà l'anteurupeismo.
Ho provato a spiegare a mia madre che quello che è successo in Catalogna ha spezzato mediaticamente il movimento "sovranista e patriota" spagnolo, non ci sono riuscito.
Questo è un sintomo che l'operazione mediatica è riuscita, persino in Italia.
Un altro sintomo è che oggi un sovranista patriota madrileno avrebbe più problemi a comunicare con il popolo catalano, come il popolo spagnolo ne avrebbe ascoltando le ragioni di un sovranista patriota catalano.
Ma la divulgazione del tema "sovranità" (no-euro), alla luce della questione "catalana" (pro e no-euro), si è complicata anche all'interno dei confini definiti dai propositi secessionisti.
Non so se è un effetto voluto tutto ciò, se qualcuno ha voluto giocare con il primo paradosso di Zenone:
"Contro la pluralità delle cose, sostiene che se le cose sono molte, esse sono allo stesso tempo un numero finito e un numero infinito: sono finite in quanto esse sono né più né meno di quante sono, e infinite poiché tra la prima e la seconda ce n'è una terza e così via".
Ma il risultato è che la caciara intorno al tema sovranismo è aumentata perché sono aumentati i confini, i quali non coincidendo fanno mancare un territorio, quindi un popolo, cioè l'interlocutore, senza il quale la comunicazione non può accadere.francesco
Ci pare necessario ricapitolare la la posizione generale di Programma 101 sul conflitto in corso in Spagna:
(1) si riconosce in linea di principio il diritto di ogni nazione storica alla autodeterminazione;
(2) questo riconoscimento non implica tuttavia il sostegno a priori alla secessione, che dipende invece da concreti fattori politici (che natura avrà il nuovo eventuale stato? quale sarà il suo posizionamento geopolitico, ecc.)
(3) la causa principale dell'attuale conflitto sta nel fatto che la Spagna è uno Stato plurinazionale (la Catalogna è una nazione storica) mentre la sua Costituzione, seguendo le orme del centralismo franchista, non riconosce questo carattere plurinazionale e federale;
(4) le scaturigini del conflitto risiede infatti nel rifiuto da parte del regime di Madrid di accettare lo Statuto Catalano del 2006 che definiva "nazione" quella catalana con pari dignità rispetto alle altre;
(5) la soluzione auspicabile è quindi non la secessione della Catalogna bensì la trasformazione della Spagna in uno Stato federale, democratico, repubblicano e sovrano;
(6) mentre condanniamo la prepotenza autoritaria di Madrid respingiamo il disegno delle élite catalane di secedere dalla Spagna per diventare il 29° Stato nella Unione europea, sarebbe come passare dalla padella alla brace;
(7) data la natura oligarchica e neoliberista nell'Unione europea, che priva gli Stati della loro sovranità politica ed economica, non c'è infatti nel suo seno alcuna possibilità per i popoli di esercitare la propria autodeterminazione;
(8) i popoli di Spagna, maciullati dalle politiche austeritarie della Ue, hanno due nemici comuni: l'Unione europea e le classi dominanti spagnole (catalana compresa) che fanno a gara nell'obbedire ai dettami eurocratici. E' nell'interesse dei popoli spagnoli uscire dall'Unione europea e coabitare con pari diritti in un forte e sovrano Stato federale di Spagna.
chi non capisce che in questo momento appoggiare istanze secessioniste che prevedano il più europa è un suicidio popolare....chi non capisce questo lo mettiamo con gli altreuropeisti.
Ma lo avete visto lo sciopero generale di oggi? Più che una lotta popolare, una lotta di classe. Cosa sono questi 8 punti contraddittori? Ha ragione antimperialista.. Questo non è populismo...
inoltre sembra che il popolo catalano abbia tutta questa tradizione di indipendentismo. 10 anni fa volevano secedere? NO!
e allora è poco più di un istinto dettato dalla crisi e dal desiderio di tenere per sè un residuo fiscale comunque molto limitato data l'economia della regione...
le istanze secessioniste vere erano quelle basche. non i catalani che si svegliano perlopiù quando arringati dalla loro borghesia capitalistica.
Solo una settimana fa Fiorenzo su Egodellarete commentando le elezioni tedesche concludeva:
"Nel frattempo prepariamoci a ballare: in politica, come nella dinamica newtoniana, la dinamica di un sistema con tre corpi (globalismo, nazionalismo, sovranismo) è ancora di natura deterministica, ma sconfina con il caos".
Mi sembra la fotografia perfetta di quello che sta accadendo in Spagna.
Nell'ultimo articolo sul tema "Catalogna", sempre su Egodellarete, e che consiglio, conclude con un'altra previsione:
"Ma se il governo di Madrid non è l'erede del franchismo (daje a ride) allora cos'è? Il governo di Madrid è europeista, è il governo, élitario, di una nazione sul cui popolo ha costruito un'egemonia quasi completa con la favoletta che l'adesione all'Unione Europea lo ha liberato dal franchismo. Il governo di Madrid è questo! Il governo di Madrid è un'articolazione dell'Unione Europea! Pertanto il premier Rajoy e il governatore della Generalidad catalana Puigdemont sono come i ladri di Pisa, che derubano i popoli spagnoli di notte e litigano di giorno per spartirsi il bottino. Entrambi aderiscono all'ordine internazionale dei mercati, che chiede sempre e soltanto una sola cosa, dai tempi della marcia dei 40mila, e anche da prima: tutto il plusvalore ai ricchi, tutta la merda ai sottoposti.
Cosa ci racconta, invece, il me(r)diastream? Che un intero popolo si starebbe ribellando all'oppressione autoritaria e violenta di Madrid. Che bel fogno! Dai, giù le mani da'r valoroso popolo catalano! E' quello che il grande fratello televisivo ci dirà nei prossimi mesi, che i fognatori vogliono sentirsi dire,(ma*) che il popolo potrà respingere se, e solo se, le sue élite (popolari**) saranno capaci di tenere ben ferma l'attenzione sul punto centrale: la democrazia deve prevalere sull'ordine internazionale dei mercati".
* la congiunzione avversativa la ho aggiunta io, immaginandola sottintesa o superflua per chi leggerà tutto l'articolo.
** questo aggettivo è omesso ma sottinteso, se leggiamo dall'inizio, dove l'ossimoro "élites popolari" viene contrapposto a "élites finanziarie".francesco
C'E' ANTIMPERIALISMO E ANTIMPERIALISMO
C'E' POPULISMO E POPULISMO
Se c'è una cosa che ha caratterizzato il Campo Antimperialista è stata sempre quella per cui il particolare va subordinato al generale.
Vedi lo squartamento della Iugoslavia, che pare non aver insegnato nulla. E certo che i croati avevano in linea di principio il diritto all'autodeterminazione, cos' come sloveni e albanesi del Kosovo. Ma noi non siamo mai stati wilsoniani. Quando una lotta secessionista o una sommossa è funzionale a questo o a quell'imperialismo non la si può sostenere. Vedi i curdi di Barzani oggi in Iraq. Per non parlare del caso degli shiiti iracheni che insorsero contro il regime baathista durante l'aggressione degli Stati Uniti nel 1991.
Per quanto concerne il populismo, respingiamo la lezioncina capziosa al mittente.
Ci sembra di sentire la teoria middle range di Chantal Mouffe o dell'ultimo periodo di Ernesto Laclau per cui, sarebbero saltati nella postmodernità tutti i parametri del Politico, leggi parametri strategici, e tutto sarebbe frutto della mera contingenza, tutto ruoterebbe quindi attorno ai movimenti di cittadinanza, quale che sia la loro natura. Non esisterebbero per i due, linee di tendenza oggettive, o qualsivoglia legge sociale, né classi sociali con propri interessi La lotta di classe sarebbe diventata un mero (cito) "agonismo politico".
Per capirci: una cosa che va a genio ai negriani e a certa destra di Podemos.
Non a noi.
@Francesco
Non condivido le tue correzioni.
1) L'espressione "élites popolari" non è un ossimoro, a meno di pensare che il popolo sia composto di persone in posizione subordinata per cause endogene (tare genetiche, inferiorità razziale o altro) e non per cause esogene, ossia storiche. Detto in ciociaro: in ogni classe sociale ci sono i geni e gli imbecilli, quindi anche il popolo ha le sue élites, e anche i dominanti hanno i loro imbecilli, come constatiamo ogni giorno.
2) Relativamente all'espressione da te corretta: ("E' quello che il grande fratello televisivo ci dirà nei prossimi mesi, che i fognatori vogliono sentirsi dire,(ma*) che il popolo potrà respingere se, e solo se, le sue élite (popolari**) saranno capaci di tenere ben ferma l'attenzione sul punto centrale: la democrazia deve prevalere sull'ordine internazionale dei mercati") ti segnalo la presenza del pronome possessivo "sue élites". Dunque non è necessario ripetere l'aggettivo "popolari". Ma credo che questa disattenzione sia conseguenza del tuo ritenere l'espressione "élites popolari" un ossimoro.
Un saluto.
Moreno non arrampicarti sugli specchi. Perché hai votato m5s, perché hai sostenuto i forconi? Perché condividevi la linea? O perché quelle erano espressioni della rabbia popolare?
Non riesci proprio mai ad ammettere per una volta che hai sbagliato? In catalogna dovevate stare con la passione popolare, per sganciarla dalle dirigenze borghesi.
La tesi che i catalani stiano lavorando per il re di Prussia è così ridicola che è proprio l'Europa la prima ad averli scaricati.
Semmai bisognava, dopo essersi guadagnate le masse sostenendo la secessione, approfittare del NO europeo per ridicolizzare la direzione eurista catalana e liberare un movimento che come indica lo sciopero di martedì è a maggioranza proletaria.
Allora ho fatto bene a metterle tra parentesi, Fiorenzo, il mio intento era condividere le correzioni che ho effettuato a una prima lettura del senso che IO ho dato a una espressione (élites popolari) credo sentita per la prima volta: avendo visto il pronome possessivo, il significato poteva volgere in senso non "sovrastrutturale", non raro in questo contesto.
A differenza di quanti sapevano del tuo articolo perché segnalato dal mio commento avevo già incontrato l'espressione più in alto nell'articolo, e chiaramente usata nel senso che ho specificato (contrapposta a élites finanziarie).
Pur tuttavia leggendo d'un fiato, come sempre mi capita con le cose interessanti che scrivi, ho dovuto rileggere quel passaggio che la prima volta mi aveva rinviato pavloniamente al senso "strutturale": il popolo e i suoi oppressori. Un saluto.francesco
CARO ANONIMO "ANTIMPERIALISTA"
Scrivi rivolgendoti al sottoscritto come se fossi una mia vecchia conoscenza. Ma non ho la più pallida idea di chi tu sia. Vuoi usare un nick name? è tua facoltà. Ti sarei grato se invii una mail alla redazione, così capirò chi sei, se davvero ero un nostro amico o, non invece, un falso-amico, se non addirittura uno dei tanti nemici.
Detto questo, sorvolo sulla saccente lezione di tattica politica, salta agli occhi che di Spagna e Catalogna capisci quanto i giornalisti italiani che ci bombardano di reportage emozionati a favore della secessione catalana.
In Catalogna la maggioranza dei cittadini non vuole la secessione, e in questa maggioranza sono la stragrande maggioranza dei proletari, in larga parte immigrati delle altre comunità spagnole. La composizione sociale del fronte indipendentista è piccola e media borghesia. Quel che è peggio è che il blocco è saldamente nelle mani di furfanti corrotti, liberisti ed euristi (nel Parlamento europeo nel gruppo ALDE) che han sostenuto infatti, a Madrid, tutte le misure antipopolari ed austeritarie imposte dalla Ue e dalla Bce. Blocco reazionario in cui la CUP svolge la parte di stampella.
Per la cronaca, ed eccezione della CUP, tutte le sinistre, anche estreme, catalane e spagnole (inclusi Podemos e la Colau) sono contrarie alla secessione.
Poi lezione per lezione, noi siamo alla posizione di Lenin: sì in linea di principio all'esercizio all'autodeterminazione via referendum democratico [democratico!], ma no al secessionismo tanto più se guidato dalla destra nazionalista.
Ebbene, il referendum concepito dalla destra catalana (con il vergognoso appoggio della CUP) non è democratico perché ha eliminato il quorum per convalidarlo, ovvero il criterio del 50+1% degli aventi diritto.
Che legittimità storica e democratica può avere un referendum in cui vota una minoranza dei cittadini e la cui eventuale maggioranza è una minoranza nella stessa catalogna?
Non si è mai visto!
"In Catalogna la maggioranza dei cittadini non vuole la secessione , e in questa maggioranza sono la stragrande maggioranza dei proletari,"
In Catalogna un cittadino su 4 aveva il seggio chiuso dalla polizia e a centinaia sono stati bastonati. E' semplicemente ridicolo contare i dati ufficiali come se tutti avessero potuto esprimere liberamente il proprio voto. In ogni caso, quando mai si è vista una piccola borghesia che pesa per il 40% della popolazione?
C’è un’apparente contraddizione negli argomenti filo-spagnoli contro l’autodeterminazione catalana: da un lato ci si dice che si tratta di un processo guidato dalla borghesia, e dall’altro si afferma che le società se ne andranno dalla Catalogna nel caso ci sia l’indipendenza. Di fatto l’esodo degli industriali è già cominciato davanti alla mera possibilità che diventi effettiva la disconnessione catalana dallo Stato spagnolo. Ma dato che la borghesia è formata dall’insieme degli imprenditori, quali sono i suoi motivi per guidare il processo indipendentista e poi andarsene dal paese indipendente?
Prosegue...
https://ciptagarelli.jimdo.com/2017/10/12/la-lotta-di-classe-in-catalogna/
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