[ 31 marzo ]
Dopo una lunga militanza, la mia permanenza nel PRC finisce qui. C’è chi mi ha detto che è stato insensato andarsene prima del congresso. È un’obiezione ragionevole ma, prima o poi, bisogna guardare in faccia la realtà. In ogni caso, al massimo sarei arrivato alla prossima, inevitabile “listarella” elettoralistica.
Questa decisione è stata lunga e sofferta. L’avevo deciso d’impulso al Cpn. Poi mi sono dato tempo: sono passati oltre due mesi. Ma quella sensazione di inutilità di questo congresso e, peggio ancora, di Rifondazione, non mi ha abbandonato.
Del resto, questi anni, dopo il congresso di Perugia, sono stati un continuo tormento, un continuo sforzo per rimanere. Che Rifondazione sia morta l’ho pensato da tanto tempo, come altri che lo pensano ma non lo dicono. Sarebbe stato necessario un miracolo per provocare una svolta, ma l’approccio al congresso ha dimostrato che Rifondazione è irriformabile.
Le gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono molte.
La prima è il documento Ferrero-Fantozzi che omette qualsiasi bilancio del gruppo dirigente uscente. In pochi anni 20/25.000 compagni/e non si sono più tesserati, ma non è un problema!!! Fenomeno che è continuato anche nel 2016: non era mai successo in un anno precongressuale. Nessun bilancio della mezza dozzina di fallimenti dell’unica proposta politica: la sinistra plurale.
La gestione di Ferrero e del suo cerchio è malata di renzismo.
Chi fa così andrebbe preso a calci in culo; invece il 70% del Comitato Politico Nazionale, dei comitati politici federali (il gruppo dirigente largo) lo ha sottoscritto. I culi da prendere a calci sarebbero davvero troppi!
Il documento è così segnato dalla mancanza di una qualsiasi riflessione critica. Lo si vota per un atto di fede, di ignoranza o di stanchezza. Le principali motivazioni infatti sono: siamo insufficienti quindi dobbiamo allearci con il resto della sinistra. Prima si indebolisce il partito, poi si afferma che per la sua debolezza bisogna unirsi con il resto della sinistra. È un comportamento simile a quello dei capitalisti: la cura della crisi è uguale alle cause che l’hanno prodotta! L’altra motivazione è che l’Italia è troppo piccola per uscire dall’Unione. Tutto è un problema di quantità. L’incapacità a costruire una linea politica è palese: è il pensiero che si fa piccolo piccolo. Povero Lenin; e siamo nel centenario!
Il documento, inoltre, sanziona il passaggio da una partito comunista ad uno genericamente di sinistra. La Rifondazione è ufficialmente morta. Il primo a saperlo è Ferrero che cerca di affrettarsi a depositarla da qualche parte prima che si squagli del tutto. Per altro, ha più volte affermato che condivide il 90% dei contenuti con il resto della sinistra. In effetti la cultura largamente maggioritaria nel PRC è il sinistrismo: un impasto di banalità, luoghi comuni, afflati umanitari. Unico impedimento è il simulacro del nome comunista da mantenere per motivi di tenuta interna.
In questo contesto, il comunismo diventa un sentimento, un vago “orizzonte”. Il socialismo del XXI secolo non ha nulla della pregnanza dei movimenti latino-americani: è un belletto. È un’identità debole, quella forte è rappresentata dall’elettoralismo.
Sul piano teorico – la questione dell’abbondanza – sposta defintivamente il PRC nell’economicismo: sviluppo delle forze produttive anziché rapporto fra forze produttive e rapporti sociali di produzione. È l’anticamera del tradimento di qualsiasi ipotesi rivoluzionaria. In merito alla lettura della fase il documento è già vecchio in quanto fa riferimento alla globalizzazione; eppure sono quasi ormai dieci anni che si sta arenando. E non è un caso che non si riesca a fare i conti con Tsipras, Brexit, Trump, Unione e la stessa vittoria dei No al referendum.
Anche l’obiettivo della sinistra plurale è vago perchè questa è sempre più impazzita. La scissione dal PD complica ulteriormente il quadro: l’unità della sinistra è ormai una arma di distrazione di massa. Il problema, infatti, non è se la sinistra deve essere una o plurale, ma che questa sinistra è autoreferenziale, inutile, dannosa: è l’ala sinistra del capitale.
In questo quadro sarebbe stata necessaria una proposta strategica alternativa: vera, complessiva. Senza ci si condanna, soprattutto in una fase di grande turbolenza, alla perpetuazione dell’inefficacia.
Putroppo chi non la pensa così ha deciso di emendare un documento inemendabile. Questo era già stata sperimentata la volta scorsa. Il tatticismo è sempre una rovina.
Una parte del documento 2: Forenza in primis, condivide con Ferrero l’unionismo europeo, la globalizzazione. È espressione del mainstream anarco-negriano. Condivide con Ferrero anche l’unità della sinistra che, però, va fatta dal basso, dai movimenti: Ci mancherebbe!?
In questa melassa scompare il paese in cui viviamo, la nuova fase geopolitica. Non si vedono i nodi vecchi e nuovi: tanto dobbiamo diventare un popolo europeo!?
I nodi politici che condannano il PRC, e non solo, all’irrilevanza, sono sempre quelli.
Il primo sta nella necessità di affrontare l’analisi e la lotta a partire dalla propria realtà, dal proprio proletariato, dal proprio paese: base per qualsiasi internazionalismo concreto. Tanto più grave ora che, dopo il 4 dicembre, è emersa la Costituzione come potenziale punto catalizzatore del disagio sociale. Costituzione che necessiterebbe di una battaglia egemonica per strapparla di nuovo dall’oblio e da chi la uccide di nuovo come i D’Alema. L’attuazione della Costituzione comporta però l’uscita dell’Unione, dall’euro, dal liberoscambismo di capitali, merci e persone: un po’ troppo per le anime belle.
Il tema della nazione è uno psicodramma. Abbiamo sostenuto le lotte nazionali di tutto il mondo e di tutti i tempi, ma quella del nostro paese non si può fare!? Così si inventano tutte le fughe lessicali: sovranità popolare (che non significa nulla fuori dalla sovranità nazionale), i popoli (ma quelli veri in genere sono etnie). Parole che però suonano bene alle orecchie delicate della sinistra: sanno di sinistrese. Ovviamente tutti auspicano che l’Unione cambi per un movimento sinergico dei 27 paesi: un’illusione da idioti.
Ovviamente tutti sono per il popolo, i lavoratori ma non si vogliono affrontare temi difficili ma cruciali: la questione sicurezza (reale o presunta che sia), la corruzione, l’immigrazione. Eppure è attraverso questi problemi che gran parte dei lavoratori si sono allontanati dalla sinistra; anzi è la sinistra che si è allontanata da loro. Anche qui non mancano i cortocircuiti. La sicurezza è un tema di destra. La corruzione non basta. Se poi affermi che i giovani emigranti italiani (ora più numerosi degli immigrati) devono poter vivere in Italia è tutto Ok. Se affermi che gli immigrati devono poter rimanere nel loro paese: questo è razzismo. Non si riesce a distinguere i migranti (degni di tutto il nostro appoggio) dal fenomeno immigrazione che è un problema da affrontare in termini marxisti: imperialismo, costruzione dell’esercito di riserva, uso politico del fenomeno stesso. Invece della soluzione da perseguire attraverso la lotta democratica e di classe anche nei paesi d’origine, la questione è diventata solo un problema di accoglienza e di coscienza.
Dinanzi a cambiamenti di fondo, la questione del socialismo dovrebbe essere all’ordine del giorno, invece si rincorre una sinistra obsoleta ed interna al sistema! Il nome rimane Rifondazione Comunista ma dentro c’è il vuoto. Come un tempo si diceva del Pci: rossi fuori e bianchi nel cervello.
Come si vede, la linea politica non si costruisce per analisi marxista delle contraddizioni, rapporti di forza, faglie di rottura ma per auspici, desideri, preferenze. È la sinistra benpensante!
Questa, del PRC, è tuttavia un impazzimento che condivide con gran parte della sinistra. E proprio qui sta il punto: le forze organizzate della sinistra in larga parte sono il problema e non la soluzione.
A gran parte del PRC, dei comunisti, della sinistra si potrebbe applicare la famosa definizione di Gramsci della crisi: “… il vecchio muore, il nuovo non nasce”.
Il risultato finale del congresso è stato il 70% al documento Ferrero, il 30% al documento 2, e, mi dicono, il 7/8% agli emendamenti. Ciò denota un partito bloccato, dove a causa degli abbandoni di massa, il gruppo “dirigente” può continuare a spadroneggiare e a fare anche il magnanimo; ma non ci sarà nessuna dialettica vera.
È questa una situazione che deve interrogare profondamente una parte dei compagni/e che hanno votato il documento 2 e gli emendamenti. Bisogna chiedersi che senso abbia oggi un PRC: apparentemente comunista, politicamente inefficace, organizzativamente al collasso.
Nel percorso congressuale con alcuni compagni si era messa a tema la centralità del riferimento alla grande diaspora comunista e a come riunificarla. Appare definitivamente evidente che non sarà Rifondazione che lo potrà fare; ma si farà finta. Le prossime elezioni porteranno altre sofferenze. La legge elettorale potrebbe comportare anche un’alleanza con D’Alema: non ci sarebbe nulla di illogico.
E non è vero che al di fuori del PRC non c’è nulla.
Certo le difficoltà, le resistenze al cambiamento ci sono ovunque, ma Eurostop e la nascente Confederazione dei gruppi noeuro [Confederazione per la Liberazione Nazionale, Ndr] sono luoghi pubblici di vero confronto e di iniziativa.
Ma, al di là della permanenza o meno nel PRC, si tratta di mettere a tema nuove basi teoriche e politiche dei comunisti senza partito e di quelli i cui partiti vanno molto stretti. E di prospettare una strategia per ritornare ad essere efficaci e popolari.
Si apre oggi a Spoleto il X. Congresso del partito della Rifondazione Comunista.
Abbiamo letto i documenti, gli emendamenti, seguito l'esito dei congressi locali. Oggi stesso consegneremo ai lettori i risultati di questa indagine.
Nel frattempo Ugo Boghetta, fondatore e storico dirigente del PRC, ha reso noto il suo abbandono del partito.
“La cosa più terribile è l’ignoranza attiva”.
Goethe
Dopo una lunga militanza, la mia permanenza nel PRC finisce qui. C’è chi mi ha detto che è stato insensato andarsene prima del congresso. È un’obiezione ragionevole ma, prima o poi, bisogna guardare in faccia la realtà. In ogni caso, al massimo sarei arrivato alla prossima, inevitabile “listarella” elettoralistica.
Questa decisione è stata lunga e sofferta. L’avevo deciso d’impulso al Cpn. Poi mi sono dato tempo: sono passati oltre due mesi. Ma quella sensazione di inutilità di questo congresso e, peggio ancora, di Rifondazione, non mi ha abbandonato.
Del resto, questi anni, dopo il congresso di Perugia, sono stati un continuo tormento, un continuo sforzo per rimanere. Che Rifondazione sia morta l’ho pensato da tanto tempo, come altri che lo pensano ma non lo dicono. Sarebbe stato necessario un miracolo per provocare una svolta, ma l’approccio al congresso ha dimostrato che Rifondazione è irriformabile.
Le gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono molte.
La prima è il documento Ferrero-Fantozzi che omette qualsiasi bilancio del gruppo dirigente uscente. In pochi anni 20/25.000 compagni/e non si sono più tesserati, ma non è un problema!!! Fenomeno che è continuato anche nel 2016: non era mai successo in un anno precongressuale. Nessun bilancio della mezza dozzina di fallimenti dell’unica proposta politica: la sinistra plurale.
La gestione di Ferrero e del suo cerchio è malata di renzismo.
Chi fa così andrebbe preso a calci in culo; invece il 70% del Comitato Politico Nazionale, dei comitati politici federali (il gruppo dirigente largo) lo ha sottoscritto. I culi da prendere a calci sarebbero davvero troppi!
Il documento è così segnato dalla mancanza di una qualsiasi riflessione critica. Lo si vota per un atto di fede, di ignoranza o di stanchezza. Le principali motivazioni infatti sono: siamo insufficienti quindi dobbiamo allearci con il resto della sinistra. Prima si indebolisce il partito, poi si afferma che per la sua debolezza bisogna unirsi con il resto della sinistra. È un comportamento simile a quello dei capitalisti: la cura della crisi è uguale alle cause che l’hanno prodotta! L’altra motivazione è che l’Italia è troppo piccola per uscire dall’Unione. Tutto è un problema di quantità. L’incapacità a costruire una linea politica è palese: è il pensiero che si fa piccolo piccolo. Povero Lenin; e siamo nel centenario!
Il documento, inoltre, sanziona il passaggio da una partito comunista ad uno genericamente di sinistra. La Rifondazione è ufficialmente morta. Il primo a saperlo è Ferrero che cerca di affrettarsi a depositarla da qualche parte prima che si squagli del tutto. Per altro, ha più volte affermato che condivide il 90% dei contenuti con il resto della sinistra. In effetti la cultura largamente maggioritaria nel PRC è il sinistrismo: un impasto di banalità, luoghi comuni, afflati umanitari. Unico impedimento è il simulacro del nome comunista da mantenere per motivi di tenuta interna.
In questo contesto, il comunismo diventa un sentimento, un vago “orizzonte”. Il socialismo del XXI secolo non ha nulla della pregnanza dei movimenti latino-americani: è un belletto. È un’identità debole, quella forte è rappresentata dall’elettoralismo.
Sul piano teorico – la questione dell’abbondanza – sposta defintivamente il PRC nell’economicismo: sviluppo delle forze produttive anziché rapporto fra forze produttive e rapporti sociali di produzione. È l’anticamera del tradimento di qualsiasi ipotesi rivoluzionaria. In merito alla lettura della fase il documento è già vecchio in quanto fa riferimento alla globalizzazione; eppure sono quasi ormai dieci anni che si sta arenando. E non è un caso che non si riesca a fare i conti con Tsipras, Brexit, Trump, Unione e la stessa vittoria dei No al referendum.
Anche l’obiettivo della sinistra plurale è vago perchè questa è sempre più impazzita. La scissione dal PD complica ulteriormente il quadro: l’unità della sinistra è ormai una arma di distrazione di massa. Il problema, infatti, non è se la sinistra deve essere una o plurale, ma che questa sinistra è autoreferenziale, inutile, dannosa: è l’ala sinistra del capitale.
In questo quadro sarebbe stata necessaria una proposta strategica alternativa: vera, complessiva. Senza ci si condanna, soprattutto in una fase di grande turbolenza, alla perpetuazione dell’inefficacia.
Putroppo chi non la pensa così ha deciso di emendare un documento inemendabile. Questo era già stata sperimentata la volta scorsa. Il tatticismo è sempre una rovina.
Una parte del documento 2: Forenza in primis, condivide con Ferrero l’unionismo europeo, la globalizzazione. È espressione del mainstream anarco-negriano. Condivide con Ferrero anche l’unità della sinistra che, però, va fatta dal basso, dai movimenti: Ci mancherebbe!?
In questa melassa scompare il paese in cui viviamo, la nuova fase geopolitica. Non si vedono i nodi vecchi e nuovi: tanto dobbiamo diventare un popolo europeo!?
I nodi politici che condannano il PRC, e non solo, all’irrilevanza, sono sempre quelli.
Il primo sta nella necessità di affrontare l’analisi e la lotta a partire dalla propria realtà, dal proprio proletariato, dal proprio paese: base per qualsiasi internazionalismo concreto. Tanto più grave ora che, dopo il 4 dicembre, è emersa la Costituzione come potenziale punto catalizzatore del disagio sociale. Costituzione che necessiterebbe di una battaglia egemonica per strapparla di nuovo dall’oblio e da chi la uccide di nuovo come i D’Alema. L’attuazione della Costituzione comporta però l’uscita dell’Unione, dall’euro, dal liberoscambismo di capitali, merci e persone: un po’ troppo per le anime belle.
Il tema della nazione è uno psicodramma. Abbiamo sostenuto le lotte nazionali di tutto il mondo e di tutti i tempi, ma quella del nostro paese non si può fare!? Così si inventano tutte le fughe lessicali: sovranità popolare (che non significa nulla fuori dalla sovranità nazionale), i popoli (ma quelli veri in genere sono etnie). Parole che però suonano bene alle orecchie delicate della sinistra: sanno di sinistrese. Ovviamente tutti auspicano che l’Unione cambi per un movimento sinergico dei 27 paesi: un’illusione da idioti.
Ovviamente tutti sono per il popolo, i lavoratori ma non si vogliono affrontare temi difficili ma cruciali: la questione sicurezza (reale o presunta che sia), la corruzione, l’immigrazione. Eppure è attraverso questi problemi che gran parte dei lavoratori si sono allontanati dalla sinistra; anzi è la sinistra che si è allontanata da loro. Anche qui non mancano i cortocircuiti. La sicurezza è un tema di destra. La corruzione non basta. Se poi affermi che i giovani emigranti italiani (ora più numerosi degli immigrati) devono poter vivere in Italia è tutto Ok. Se affermi che gli immigrati devono poter rimanere nel loro paese: questo è razzismo. Non si riesce a distinguere i migranti (degni di tutto il nostro appoggio) dal fenomeno immigrazione che è un problema da affrontare in termini marxisti: imperialismo, costruzione dell’esercito di riserva, uso politico del fenomeno stesso. Invece della soluzione da perseguire attraverso la lotta democratica e di classe anche nei paesi d’origine, la questione è diventata solo un problema di accoglienza e di coscienza.
Dinanzi a cambiamenti di fondo, la questione del socialismo dovrebbe essere all’ordine del giorno, invece si rincorre una sinistra obsoleta ed interna al sistema! Il nome rimane Rifondazione Comunista ma dentro c’è il vuoto. Come un tempo si diceva del Pci: rossi fuori e bianchi nel cervello.
Come si vede, la linea politica non si costruisce per analisi marxista delle contraddizioni, rapporti di forza, faglie di rottura ma per auspici, desideri, preferenze. È la sinistra benpensante!
Questa, del PRC, è tuttavia un impazzimento che condivide con gran parte della sinistra. E proprio qui sta il punto: le forze organizzate della sinistra in larga parte sono il problema e non la soluzione.
A gran parte del PRC, dei comunisti, della sinistra si potrebbe applicare la famosa definizione di Gramsci della crisi: “… il vecchio muore, il nuovo non nasce”.
Il risultato finale del congresso è stato il 70% al documento Ferrero, il 30% al documento 2, e, mi dicono, il 7/8% agli emendamenti. Ciò denota un partito bloccato, dove a causa degli abbandoni di massa, il gruppo “dirigente” può continuare a spadroneggiare e a fare anche il magnanimo; ma non ci sarà nessuna dialettica vera.
È questa una situazione che deve interrogare profondamente una parte dei compagni/e che hanno votato il documento 2 e gli emendamenti. Bisogna chiedersi che senso abbia oggi un PRC: apparentemente comunista, politicamente inefficace, organizzativamente al collasso.
Nel percorso congressuale con alcuni compagni si era messa a tema la centralità del riferimento alla grande diaspora comunista e a come riunificarla. Appare definitivamente evidente che non sarà Rifondazione che lo potrà fare; ma si farà finta. Le prossime elezioni porteranno altre sofferenze. La legge elettorale potrebbe comportare anche un’alleanza con D’Alema: non ci sarebbe nulla di illogico.
E non è vero che al di fuori del PRC non c’è nulla.
Certo le difficoltà, le resistenze al cambiamento ci sono ovunque, ma Eurostop e la nascente Confederazione dei gruppi noeuro [Confederazione per la Liberazione Nazionale, Ndr] sono luoghi pubblici di vero confronto e di iniziativa.
Ma, al di là della permanenza o meno nel PRC, si tratta di mettere a tema nuove basi teoriche e politiche dei comunisti senza partito e di quelli i cui partiti vanno molto stretti. E di prospettare una strategia per ritornare ad essere efficaci e popolari.
* Fonte: Socialismo 2017
7 commenti:
Se permettete una domanda
Se avete comtatti con dei compagni francesi potreste dirci cosa farebbero a un eventuale ballottaggio a cui partecipasse la Le Pen contro un candidato dell'establishment?
Grazie
In risposta all'anonimo di cui sopra:
i nostri compagni francesi del Partito della Demondializzazione al ballottaggio, quali che saranno i due candidati, voteranno "Cartellino rosso", ovvero depositeranno nell'urna un cartoncino rosso. Un modo di annullare la scheda però con un segno politico. Quella del "cartellino rosso" è una modalità adottata in alcune occasioni dalle forze antagoniste in caso di ballottaggio tra due candidati sistemici.
Ok grazie.
Personalmente lo ritengo un errore, la vittoria della Le Pen sarebbe un colpo mortale per le élite mentre lei e il FN a questo stadio sarebbero un nemico molto più abbordabile dell'attuale establishment.
Grazie per la risposta.
Anch'io lo ritengo un errore. In un eventuale scontro fra un candidato oligarchico globalista ed uno oligarchico nazionalista si potrebbe almeno lasciare libertà di coscienza ma facendo una forte invettiva contro il candidato oligarchico globalista.
Scusate ma avete letto cosa ha detto Enrico Letta?
"Se vince la Le Pen l'Europa è finita"
http://www.tgcom24.mediaset.it/politica/presidenziali-francia-letta-se-vince-le-pen-l-europa-e-finita-_3064555-201702a.shtml
ABBIAMO IL MATCH POINT IN MANO E LO DOBBIAMO SPRECARE CON QUEL RIDICOLO CARTELLINO ROSSO?
Cercate di convincere in ogni modo i compagni francesi che con una piccolissima turata di naso si risolve tutto in meno di un mese da adesso e si potrà finalmente cominciare a lottare sul serio contro dei nemici molto più semplici da sconfiggere.
So che sarà impossibile, che voi non siete d'accordo e che i francesi non capiscono una mazza per costruzione ma mi fa rabbia vedere che saremmo a un passo dalla vittoria e invece per l'ennesima volta faremo la scelta sbagliata.
Ugo Boghetta ha scritto: "il sinistrismo: un impasto di banalità, luoghi comuni, afflati umanitari". Perfetta definizione dell'ideologia oggi corrente a sinistra. Per di più è il sinistrismo salottiero e borghese, da anime belle che si guardano l'ombelico. Nessuna riflessione autentica sul marxismo, sulla sua storia, sul suo possibile futuro. Al contrario una ideologia i cui componenti principali provengono quasi tutti dalla cultura liberal anglosassone con l'aggiunta, nel nostro sciagurato paese, del condimento cattolico-umanitario, che è, sempre e comunque, a mio giudizio, l'espressione di un paternalismo retrivo, antistatale e antipolitico perché chiesastico.
Io, insieme ad altri tre membri del mio circolo, abbiamo abbandonato Rifondazione proprio dopo aver letto un articolo in cui Boghetta esprimeva posizioni che Lenin definiva reazionarie*. Non ho sempre concordato con la linea del partito, per esempio non sull'euro e sull'UE, su cui la penso come l'USB, ma pensavo che l'unità dei comunisti fosse la cosa più importante da salvaguardare.
Poi ho visto che in Rifondazione l'elettoralismo arriva al punto di far rinnegare ad alcuni suoi esponenti, come questo ex deputato filo-prodiano, l'internazionalismo proletario fino al punto di rendersi complici dell'imperialismo facendo apologia delle frontiere che l'occidente imperialista alza proprio contro quella parte del proletariato che segue le rotte dei profitti generati dal dissanguamento, ad opera del capitale imperialista occidentale, dei propri paesi di origine, apologia che arriva molto esplicitamente, in un altro articolo di Boghetta, a criticare l'UE, le cui politiche migratorie, con Frontex, stanno causando un genocidio nel Mediterraneo, sostenendo che "abbiamo bisogno di confini, di regolazione [...] delle persone", che credo possa tradursi con "regolamentazione dell'accesso delle persone", ma Boghetta spenderà il lauto vitalizio in altro da un corso di italiano. E la cosa più grave è che la parte meno reazionaria di Rifondazione, a differenza ad esempio di ciò che fecero con i compagni Ferrando e Turigliatto, non ha mosso un dito contro gli apologeti delle frontiere erette a difesa del proprio privilegio dal capitale imperialista che depreda risorse, invade mercati là, applicando il protezionismo qua ed impone trattati iniqui con il ricatto del debito, della corruzione e della guerra, e poi lava il cervello, tramite un'incessante propaganda padronale xenofoba, ad un proletariato oriundo sempre più trasformato in aristocrazia operaia (o terzosettoriale) e sottoproletariato interessati più a negare diritti agli altri che a reclamarne per sé e per la propria classe, per definizione senza barriere etniche. E quando parlo di propaganda padronale xenofoba non mi riferisco solo a Il Giornale, Libero, La Verità e simili marche di carta igienica o a televisione spazzatura targata Mediaset, ma anche all'etnicizzazione della cronaca che fanno ormai tutti i media allineati sia con la destra berlusconian-salviniana sia con quella grillina, sia con quella piddina, ché anche alla borghesia apparentemente meno destrista fa comodo la divisione tra proletari italopadani e non, divisione che Marx definiva, con riferimento alla mancanza di solidarietà di classe tra operai inglesi ed irlandesi, "il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica".
Ma i boghettiani preferiscono prendere la scorciatoia di dividere il proletariato in italici (o padani) e non, piuttosto di creare coscienza di classe contro ogni etnismo, e il resto di Rifondazione sembra accettarli, tutti noncuranti del fatto che, tra una Lega Nord esaltatrice di frontiere contro i proletari del resto del mondo, o un M5S pigliatutto, e una brutta copia pseudocomunista in nanoscala, vince l'originale.
«Non c'è dubbio che solo l'estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna dei popoli. La liberazione dall'oppressione del capitale non avviene e non può avvenire senza un ulteriore sviluppo del capitalismo, senza la lotta di classe sul terreno del capitalismo stesso. E proprio a questa lotta il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il mondo, spezzando il ristagno e l'arretratezza della vita locale, distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi nelle più grandi fabbriche e miniere dell'America, della Germania, ecc.»
Lenin, Il capitalismo e l'immigrazione operaia
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