[ 24 ottobre ]
«L'avversario politico principale del fronte del No è, dunque, il partito del centrosinistra, oggi il partito di Renzi. Non è che manchino del tutto nel dibattito tra le forze del No, le voci che fanno vivere una critica da sinistra alla riforma costituzionale proposta, ma esse non configurano un polo attrattivo, non sono in grado di far vivere un discorso politico così connotato»
Ci vorrebbe, un polo di sinistra in questa strana battaglia referendaria. Ci vorrebbe per proporre un punto di vista che è stato presente in tutta la storia politica del paese e che oggi rischia invece di uscire di scena. Ci vorrebbe, per restituire un senso alla contesa anche in quella parte della popolazione che altrimenti non lo può vivere. La composizione di uno schieramento ha sempre avuto, del resto, un peso significativo anche nelle vicende referendarie.
L'ha avuta persino nelle più importanti delle loro esperienze e nelle più originali, quelle sul divorzio e sull'aborto, quelle, cioè, inventate e meritatamente egemonizzate dai radicali di Pannella, Fortuna, Adele Faccio e dei loro compagni. Persino in esse la composizione politico sociale delle forze in campo ha avuto un peso nella mobilitazione popolare e nel risultato finale. Si pensi a quello avuto dallo stesso Pci, seppure con quella sua discutibile impostazione.
Figurarsi quanto la percezione di massa delle forze in campo possa pesare oggi, in un panorama sociale così disgregato, con una parte rilevante della popolazione impoverita ormai fuoriuscita dalla politica e con una sinistra politica inesistente o condannata all'irrilevanza. Né si può trascurare il fatto che è il partito del centrosinistra, con il sostegno di tutto il centro sinistra europeo e nord-americano ad essere il protagonista di questa sua riforma costituzionale sulla quale investe direttamente la sua stessa sorte.
«L'avversario politico principale del fronte del No è, dunque, il partito del centrosinistra, oggi il partito di Renzi. Non è che manchino del tutto nel dibattito tra le forze del No, le voci che fanno vivere una critica da sinistra alla riforma costituzionale proposta, ma esse non configurano un polo attrattivo, non sono in grado di far vivere un discorso politico così connotato»
L'ha avuta persino nelle più importanti delle loro esperienze e nelle più originali, quelle sul divorzio e sull'aborto, quelle, cioè, inventate e meritatamente egemonizzate dai radicali di Pannella, Fortuna, Adele Faccio e dei loro compagni. Persino in esse la composizione politico sociale delle forze in campo ha avuto un peso nella mobilitazione popolare e nel risultato finale. Si pensi a quello avuto dallo stesso Pci, seppure con quella sua discutibile impostazione.
Figurarsi quanto la percezione di massa delle forze in campo possa pesare oggi, in un panorama sociale così disgregato, con una parte rilevante della popolazione impoverita ormai fuoriuscita dalla politica e con una sinistra politica inesistente o condannata all'irrilevanza. Né si può trascurare il fatto che è il partito del centrosinistra, con il sostegno di tutto il centro sinistra europeo e nord-americano ad essere il protagonista di questa sua riforma costituzionale sulla quale investe direttamente la sua stessa sorte.
L'avversario politico principale del fronte del No è, dunque, il partito del centrosinistra, oggi il partito di Renzi. Non è che manchino del tutto nel dibattito tra le forze del No, le voci che fanno vivere una critica da sinistra alla riforma costituzionale proposta, ma esse non configurano un polo attrattivo, non sono in grado di far vivere un discorso politico così connotato.
Il tema, è ovvio, è quello del rapporto tra la democrazia e l'eguaglianza. So bene che esso vive nella Costituzione del '48 senza bisogno di essere aggettivato (socialista, di sinistra, o altro) e che, anzi, ne costituisce proprio l'ispirazione di fondo. Ma so anche che questa stessa ispirazione è stata culturalmente demolita nell'ultimo quarto di secolo, tanto da vederne smarrita l'evidenza nel paese reale. La Costituzione materiale ha fatto strame, nel contempo, delle conquiste sociali che il conflitto e la politica avevano realizzato su quella traccia. Così quel panorama è stato desertificato, tanto che oggi è assai difficile che la Costituzione possa, nella vita reale, essere associata al contratto di lavoro, al diritto allo studio, alla sanità pubblica, all'ambiente, alla qualità della vita.
Il tema, è ovvio, è quello del rapporto tra la democrazia e l'eguaglianza. So bene che esso vive nella Costituzione del '48 senza bisogno di essere aggettivato (socialista, di sinistra, o altro) e che, anzi, ne costituisce proprio l'ispirazione di fondo. Ma so anche che questa stessa ispirazione è stata culturalmente demolita nell'ultimo quarto di secolo, tanto da vederne smarrita l'evidenza nel paese reale. La Costituzione materiale ha fatto strame, nel contempo, delle conquiste sociali che il conflitto e la politica avevano realizzato su quella traccia. Così quel panorama è stato desertificato, tanto che oggi è assai difficile che la Costituzione possa, nella vita reale, essere associata al contratto di lavoro, al diritto allo studio, alla sanità pubblica, all'ambiente, alla qualità della vita.
Il rapporto perduto andrebbe allora riconquistato al fine di dare credibilità a un qualsiasi discorso costituzionale.
Ma riconquistato da chi? Uno schieramento del No come quello oggi in campo non lo può fare, non lo sa fare, e di fatti, non lo fa. La causa non può essere rintracciata nella estrema diversità delle posizioni politiche in esso contenuto. Il problema dell'omogeneità delle forze riguarda solo quelle portatrici della proposta, non già i suoi oppositori che possono farlo, come è evidente, anche da posizioni opposte. Tuttavia quando questo fronte diventa indistinto, esso accumula un handicap molto serio. Bastano le foto di gruppo che siamo costretti a vedere a dirci quanto questo handicap sia pesante.
Ma riconquistato da chi? Uno schieramento del No come quello oggi in campo non lo può fare, non lo sa fare, e di fatti, non lo fa. La causa non può essere rintracciata nella estrema diversità delle posizioni politiche in esso contenuto. Il problema dell'omogeneità delle forze riguarda solo quelle portatrici della proposta, non già i suoi oppositori che possono farlo, come è evidente, anche da posizioni opposte. Tuttavia quando questo fronte diventa indistinto, esso accumula un handicap molto serio. Bastano le foto di gruppo che siamo costretti a vedere a dirci quanto questo handicap sia pesante.
Esso si riverbera direttamente sui contenuti, sulla piattaforma della lotta che, infatti, è scivolata sul terreno scelto dall'avversario, quello della personalizzazione del conflitto e del suo risucchio sul terreno politicista e istituzionalista.
E' proprio la questione fondamentale della contesa, quella racchiusa nel rapporto tra ordinamento costituzionale e costituzione materiale, che così esce di scena, e non c'è più chi la possa riportare al suo posto. Sarebbe, invece, questo il compito peculiare di una posizione di sinistra. Ci vorrebbe, appunto, allora un polo per farla vivere. Un fortunato slogan delle Cisl storica recitava: "Marciare divisi per colpire uniti". E' uno slogan che servirebbe oggi al fronte del No, anche per evitare che sia il "nemico a marciare alla tua testa".
E' proprio la questione fondamentale della contesa, quella racchiusa nel rapporto tra ordinamento costituzionale e costituzione materiale, che così esce di scena, e non c'è più chi la possa riportare al suo posto. Sarebbe, invece, questo il compito peculiare di una posizione di sinistra. Ci vorrebbe, appunto, allora un polo per farla vivere. Un fortunato slogan delle Cisl storica recitava: "Marciare divisi per colpire uniti". E' uno slogan che servirebbe oggi al fronte del No, anche per evitare che sia il "nemico a marciare alla tua testa".
Ma un polo siffatto, cioè di dichiarato orientamento di sinistra, avrebbe una legittimità culturale su un tema come quello della riforma costituzionale? Per verificarlo bisognerebbe indagare la natura di alcune possibili ragioni di contrasto con il progetto del governo e vedere se esse, effettivamente, accetterebbero una tale caratterizzazione politica, quella di sinistra. E si potrebbe anche verificare se, in assenza di questa presenza, esse non siano destinate a scomparire dalla scena. La prima ragione dovrebbe riguardare la plausibilità stessa di una riforma costituzionale in questo nostro tempo.
No, non c'è ne sono proprio le condizioni soggettive, non ci sono cioè le condizioni storiche perché questa strada possa essere intrapresa. Lo dimostrano anche i precedenti susseguitesi dagli anni 80 sino a noi. Introdurre nel dibattito il peso della storia, che è sempre sociale e politica insieme, diventa decisivo al fine di rivelare il segno dei tempi.
Diceva Kelsen che una grande Costituzione si fa o quando un paese ha perso la guerra o quando un popolo ha vinto la rivoluzione. Non sono il caso nostro.
Chi sei tu per porre mano alla Costituzione proprio adesso? E' proprio in questo adesso che si consuma in tutta Europa una crisi di civiltà e il rovesciamento del conflitto di classe. Perciò le regole scritte oggi sono quelle dei pessimi vincitori nell'oggi. La seconda ragione potrebbe riguardare il da dove dovrebbe cominciare un discorso di riforma costituzionale nel caso, seppure insensato, vi si volesse porre mano. Chi volesse intraprendere oggi un cammino di riforma dovrebbe applicarsi non già a quella Costituzione repubblicana già sospesa e sovvertita nell'ultimo quarto di secolo, bensì alla costituzione materiale che ha riempito il corso sociale, politico, e istituzionale. Ne aveva piena coscienza un protagonista della storia dell'Italia del dopoguerra come Bruno Trentin che infatti nei già bui anni 90 scrive:
Chi sei tu per porre mano alla Costituzione proprio adesso? E' proprio in questo adesso che si consuma in tutta Europa una crisi di civiltà e il rovesciamento del conflitto di classe. Perciò le regole scritte oggi sono quelle dei pessimi vincitori nell'oggi. La seconda ragione potrebbe riguardare il da dove dovrebbe cominciare un discorso di riforma costituzionale nel caso, seppure insensato, vi si volesse porre mano. Chi volesse intraprendere oggi un cammino di riforma dovrebbe applicarsi non già a quella Costituzione repubblicana già sospesa e sovvertita nell'ultimo quarto di secolo, bensì alla costituzione materiale che ha riempito il corso sociale, politico, e istituzionale. Ne aveva piena coscienza un protagonista della storia dell'Italia del dopoguerra come Bruno Trentin che infatti nei già bui anni 90 scrive:
«Rovescerei i tempi e i termini della ricerca sulle riforme istituzionali lavorando a un progetto davvero di "grande riforma" che cominci da una legislazione sui diritti individuali, da una nuova regolamentazione dei diritti collettivi, dalla definizione delle regole di rappresentanza che devono vincolare le associazioni volontarie (come il sindacato) per arrivare anche alle questioni istituzionali che riguardano il ruolo e la funzione dei partiti, che va oggi rivista attentamente, per risalire infine al funzionamento delle assemblee rappresentative locali e nazionali».
Aver scelto il cammino opposto se non è rivelatore di una qualche propensione fascistizzante o tradizionalmente autoritaria è l'espressione di una adesione organica a quella tendenza neoautoritaria e concretamente oligarchica che l'avvento del capitalismo finanziario globale sta proponendo e realizzando nell'Europa intera.
La terza ragione investe, infine, il rapporto tra la democrazia e la tanto perseguita governabilità. Qui bisognerebbe saper sfidare il senso comune. Le assolutizzazioni della governabilità e della consorella stabilità politica costituiscono il retroterra di cultura politica della riforma proposta dal governo Renzi e approvata dal parlamento italiano. Ma sono proprio le assolutizzazioni della governabilità e della stabilità politica ad essere incompatibili con la democrazia e con la partecipazione democratica, il fatto che la governabilità e la stabilità siano diventate parti decisive della cultura istituzionale prevalente pressoché in tutto il campo delle forze politiche di centrosinistra come di centrodestra non riduce ma anzi aggrava la drammaticità della questione.
La terza ragione investe, infine, il rapporto tra la democrazia e la tanto perseguita governabilità. Qui bisognerebbe saper sfidare il senso comune. Le assolutizzazioni della governabilità e della consorella stabilità politica costituiscono il retroterra di cultura politica della riforma proposta dal governo Renzi e approvata dal parlamento italiano. Ma sono proprio le assolutizzazioni della governabilità e della stabilità politica ad essere incompatibili con la democrazia e con la partecipazione democratica, il fatto che la governabilità e la stabilità siano diventate parti decisive della cultura istituzionale prevalente pressoché in tutto il campo delle forze politiche di centrosinistra come di centrodestra non riduce ma anzi aggrava la drammaticità della questione.
Tra democrazia e governabilità bisogna scegliere e questo vale nel campo del No come in quello del Sì. Ci vorrebbe, davvero, un polo di sinistra in questa contesa referendaria!
1 commento:
...se ce lo dice Faustolo I che la sinistra non c'è più possiamo solo credergli, lui ne sa abbastanza.....purtroppo non ci sono più comunisti in giro, almeno io non li vedo ...anche di questo il Divino (ma da che?!) ne sa abbastanza, fin troppo!! E chi la farebbe la "rivoluzione" lui nei salotti della roma bene e capitalista?! Stiamo messi proprio male, malissimo....
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