7 gennaio
Il «Fine pena: mai» degli eurocrati di Bruxelles
«Irreversibile». Così, per molti giornali, l'UE ha definito l'euro. «L'appartenenza all'euro è irrevocabile», ha precisato - con tanto di riferimento ai trattati - la portavoce della Commissione, la signora Annika Breidthardt. Irreversibile o irrevocabile, la sostanza non cambia. Per la Grecia, e per gli altri popoli del sud Europa, la sentenza ha da essere chiara: fine pena mai. Almeno nelle loro intenzioni.
Il bailamme delle dichiarazioni di questi giorni è davvero interessante. Tutto ha preso il via da un articolo del giornale tedesco Der Spiegel, che ha fatto sapere che il governo Merkel considera l'uscita della Grecia dall'euro «quasi inevitabile». Un'uscita che Berlino non riterrebbe drammatica per l'Eurozona, e comunque inevitabile nel caso ad Atene si decidesse di porre fine alla politica d'austerità.
Giustamente, tutti hanno letto in questo articolo - che il governo tedesco non ha minimamente smentito - la volontà di minacciare la Grecia, intervenendo a gamba tesa nella campagna elettorale per favorire il successo di Nea Dimokratia, il partito del fido Samaras. Il succo è chiaro: o continuate la politica dei sacrifici (la Troika ne ha chiesti recentemente di nuovi), oppure siete fuori.
In realtà le cose sono più complesse, ma grazie a Der Spiegel sappiamo - non che avessimo dubbi - come la Germania intende condurre il cosiddetto «negoziato» con Atene.
Ora, però, il messaggio firmato Merkel non è piaciuto troppo alle Borse. I mercati, si sa, amano la «stabilità» almeno quanto odiano la democrazia. E così Bruxelles è corsa ai ripari decretando, come fosse una legge della fisica, l'«irreversibilità» della moneta unica. Un concetto che applicato alla storia, od anche all'economia, fa semplicemente ridere. Ecco allora la puntualizzazione: l'euro non è tanto «irreversibile» per una legge di natura, quanto piuttosto «irrevocabile» in base alle norme previste dai trattati.
Un tempo l'euro era il bene a prescindere. Poi è diventato una necessità dell'economia nell'era della globalizzazione. Adesso, dopo il visionario e l'economista, scende in campo l'avvocato con il codice alla mano. Ma quando arriva l'avvocato vuol dire che l'unione è finita, che si tratta solo di discutere le modalità della divisione. E' così nei matrimoni, nelle società, nelle associazioni. Ed è così anche nel caso ben più grande dell'Unione Europea.
Se parlare di irreversibilità di un fatto storico, come quello rappresentato dalla scelta della moneta comune da parte di un certo numero di paesi europei, fa a pugni con le vicende tutt'altro che uni-lineari della storia stessa, il parlare di irrevocabilità mostra una concezione non meno assurda, ma ancor più totalitaria nella negazione di ogni sovranità democratica.
Tutti i trattati hanno normalmente la pretesa di stabilire l'ultima parola sull'oggetto di cui si occupano. Ma essendo nati da un determinato contesto storico-politico e da determinati rapporti di forza, essi vengono inevitabilmente rimessi in discussione ogni qual volta questi fattori subiscono una modificazione sostanziale.
In altre parole, anche i trattati muoiono. O perché «trattano» di un contesto ormai venuto meno, o perché alcuni dei contraenti decidono di sganciarsi per tutelare i propri legittimi interessi. Detto più chiaramente: uno stato che ha aderito ad un trattato ha sempre il diritto di sganciarsene. Magari ne pagherà un prezzo in termini di ritorsioni, come spesso è inevitabile, ma nessuno può togliergli questo diritto. Anche perché, se la parola «democrazia» ha un senso, la politica di uno stato può sempre cambiare a seconda delle forze politiche che ne assumono la direzione.
La cosa è talmente evidente che in «tempi normali» non meriterebbe neppure discuterne. Ma questi non sono «tempi normali». Mettiamo allora in luce la contraddittorietà dei protagonisti della scena europea. Se fosse vera la tesi della «irrevocabilità», perché la Commissione non se la prende con gli ispiratori di Der Spiegel, cioè (come tutti sanno) con la signora Merkel ed il signor Schäuble, che hanno ammesso in maniera esplicita - considerandola addirittura «quasi inevitabile» - l'ipotesi dell'uscita della Grecia dall'Eurozona?
Il fatto è che Berlino e Bruxelles stanno facendo il più spudorato gioco delle parti. Alla Commissione di Juncker il ruolo degli inflessibili eurocrati, al governo tedesco quello del cattivo, quello che però dice la verità sia pure soltanto per interposta persona. L'obiettivo è comune, ed è quello di raddrizzare l'esito delle elezioni greche del 25 gennaio.
Le contraddizioni però non sono finite. La stessa signora Breidthardt ha detto che: «L'euro c'è per restare e ha dato prova di resistenza». Una frasetta che dice tutto e niente, ma in realtà assai rivelatrice. L'euro resterà perché «irrevocabile» o solo perché «resistente»? E cosa succede se la resistenza si affievolisce? La risposta è abbastanza ovvia, ma è proprio quella che la portavoce di Juncker non può proprio pronunciare.
Ma non è certo l'unica a contraddirsi, perché il cortocircuito neuronale della classe dirigente europea è più grave di quel che si pensa. Dopo aver ribadito che «i greci devono rispettare gli impegni presi», ecco come si è espresso Hollande: «La Grecia è libera di scegliere i suoi governanti. Quanto alla zona euro (se rimanervi o meno, ndr) è ai greci che spetta la decisione».
Da notare l'insistenza del presidente francese sulla «scelta dei greci», quasi a voler sottolineare, certo inconsciamente, la gigantesca coda di paglia dei cosiddetti «democratici europei». Essi sanno bene quanto la democrazia sia stata schiacciata in nome dell'«irrevocabile» euro, ma tutto possono fare fuorché ammetterlo.
Tuttavia, in questo esercizio di improbabile equilibrismo, l'inquilino dell'Eliseo ammette anch'egli la possibilità dell'uscita della Grecia dall'euro. Perché la Commissione non lo redarguisce? Non sarà che alla «irrevocabilità», come alla «irreversibilità» nessuno più crede?
Zitti, che non si può dire! Almeno non in Italia, dove l'ultimo dei Savoia lo ha sentenziato anche nel discorso di fine anno.
PS - Al momento della pubblicazione di questo articolo, leggiamo sulla home de la Repubblica la seguente notizia: «UE, Katainen annuncia la nuova linea: "Più minacce di sanzioni ai Paesi che ritardano con le riforme"».
Ecco, questa è l'Europa. La sua natura. Questa sì irreversibile, irrevocabile...
2 commenti:
C'è anche una questione economica che da senso, per i tedeschi, alla irreversibilità dell'euro.
Si tratta del recupero crediti, inteso come un diritto più che giuridico. Mettiamoci nei panni del tedesco medio, quello patriottico che crede nelle regole, perchè così è abituato, a vederle funzionare. Il suo pensiero è semplice e lineare:
"Ma come, abbiamo lavorato sodo, con compensi tra l'altro "moderati", per produrre ogni ben di Dio a basso prezzo, e voi porci lo avete apprezzato, comprando a piene mani le nostre merci. E dopo tutti questi anni in cui ci siamo impegnati per farvi felici, in cambio dei vostri soldi beninteso, volete tirarvi indietro, volete negare il valore di quei soldi che ancora ci dovete? Non è solo questione di trattati e regole del gioco, è un fatto di elementare giustizia, coincidente col rispetto delle regole. Non ci si può ritirare senza saldare il conto."
Difficilmente il mondo bancario poteva trovare un supporto migliore alle sue porcate di questo, dell'appoggio dell'opinione pubblica, basato su fatti incontestabili.
E infatti il rapporto del tedesco con la sua banca è radicalmente diverso dal rapporto dell'italiano con la sua banca. Un MPS tedesco è inconcepibile, sarebbe stato uno scandalo gigantesco, altro che l'indifferenza di chi ne ha viste tante da farci il callo.
Con questo intendo dire che il caso politico si è ingigantito al punto da non avere alcuna possibile soluzione accettabile da entrambi i lati, quello che si può definire un conflitto insanabile. La guerra d'Europa ha prodotto, oltre che morti e feriti, i presupposti concreti per una guerra in senso lato, non solo economico-monetario.
Mentre la fase 7 del ciclo di Frenkel è stata possibile in Argentina, con l'abbandono della parità del cambio e successivo default, nella gabbia dell'euro questo è proibito, più che dai trattati dai fatti che si sono accumulati, dai debiti target2, dai bond detenuti all'estero, dal consolidamento delle posizioni di forza e di debolezza delle rispettive economie, con tutta l'inerzia delle cattive abitudini che ogni situazione ha indotto e poi obbligato.
E' veramente un pasticciaccio brutto, esattamente quello che fa comodo agli USA per annaspare con maggior speranza nei loro specifici guai.
Di irreversibile per l'euro c'è soltanto la sua lenta agonia. Il paragone potrà sembrare forzato, ma ricorda l'acribia con cui durante i mesi di agonia del dittatore Franco la stampa di regime smentiva ogni notizia di peggioramento e continuava a sostenere che la malattia sarebbe finita ... come infatti poi avvenne, con l'esito naturale al termine di ogni agonia. Anche la dittatura dell'euro avrà la sua logica conclusione, ma non senza aver mietuto altre vittime e causato ulteriore miseriaeconomica e sociale.
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