31 luglio. Tre anni fa, a Pisa, dopo breve malattia, si spegneva lo storico e filosofo Massimo Bontempelli (nella foto). Un ricordo di Nello De Bellis, seguito dal necrologio di Marino Badiale e dal giudizio di Costanzo Preve.
Per Massimo Bontempelli (1946-2011) di Marino Badiale
Massimo Bontempelli è morto a Pisa lo scorso 31 luglio. Nato a Pisa nel 1946, Massimo si era laureato in Giurisprudenza all’Università di Pisa, nel 1968, con una tesi di Filosofia del Diritto, e dopo la laurea ha insegnato storia e filosofia in vari istituti superiori, e negli ultimi anni presso il Liceo Classico “Galilei” di Pisa. Aveva iniziato negli anni Settanta a pubblicare testi scolastici (manuali di storia e di storia della filosofia) di grande originalità e profondità, dedicandosi contemporaneamente allo studio di temi storici e filosofici, studio che si è tradotto nella produzione di numerose pubblicazioni. Pur non avendo quasi mai svolto attività politica diretta (le uniche eccezioni sono la sua militanza nel gruppo del PDUP-Manifesto negli anni Settanta, e il suo impegno in Alternativa, il laboratorio politico-culturale recentemente fondato da Giulietto Chiesa), l’elaborazione culturale e filosofica di Massimo ha sempre avuto una irrinunciabile dimensione etico-politica, perché per lui la filosofia non era una disciplina accademica soggetta ai vincoli tipici del mondo accademico, ma era, secondo il suo concetto, la riflessione razionale sul senso dell’esistenza umana, riflessione che non può escludere la dimensione politica in quanto parte costitutiva dell’esperienza umana nel mondo.
Per chi come me l’ha conosciuto e ne è stato profondamente influenzato, è difficile spiegare quanto profonda sia la perdita che la sua morte rappresenta. Forse le parole migliori, proprio perché prive di ogni enfasi, le ha trovate una giovane che è stata sua studentessa, e ha scritto, in una pagina facebook a lui dedicata, un breve ricordo:
“Il più eroico degli uomini che ho conosciuto era piuttosto basso, non sapeva guidare e aveva paura dei cani perché da piccolo era stato morso. Aveva una buffa risata, le maniche delle giacche troppo lunghe (o le braccia troppo corte) e sempre un libro in tasca. Sapeva di balsamo di tigre e caffè. Quando spiegava giocherellava con una bic. (…)
Per me è stato la mia rivoluzione. Buonanotte professore. Serena”
Di queste parole forse la più importante è “eroico”. Perché un mite docente (la “mitezza” di Massimo viene giustamente citata in un ricordo che gli ha dedicato l’Associazione Culturale Punto Rosso, con la quale aveva collaborato) di storia e filosofia di un liceo di provincia dovrebbe essere considerato “eroico”? Addirittura “il più eroico degli uomini che ho conosciuto”? Perché Massimo era un cercatore di verità, e in questa ricerca era sì mite, ma anche appassionato e intransigente. E se la verità filosofica, come s’è detto, ha una dimensione etico-politica, cercare la verità significa anche rifiutare i compromessi di basso livello e le tante piccole infamie che la politica, specie in questi anni di decadenza, porta con sé. Per questo Massimo è rimasto al di fuori delle tante consorterie politico-culturali che si spartiscono gli spazi accademici e mediatici. Per questo ha insegnato per tutta la vita in licei di provincia, lui che avrebbe potuto tranquillamente salire su molte cattedre più prestigiose. Per questo riusciva a pubblicare solo con piccole case editrici. Questa sua mite intransigenza è ciò che affascinava molti, specie giovani (per i quali l’incontro con lui poteva rappresentare una autentica “rivoluzione”, come nel ricordo sopra citato), ed è anche la ragione del fastidio, a volte dell’odio, che pure qualcuno gli ha riservato.
Chi lo ha conosciuto sa quali tesori di sapienza e conoscenza ci fossero dentro di lui, quante cose avesse ancora da insegnare. Il dolore per la sua perdita, per la perdita di tutto quello che poteva ancora darci, può essere reso meno aspro solo dall’impegno a fare il possibile per diffondere il suo pensiero, e, per cominciare, a raccogliere tutti i suoi testi, dispersi quasi sempre in riviste di scarsa diffusione o in pubblicazioni locali, per rendere possibile uno studio sistematico della sua opera.
Pensatore di rara profondità ed originalità, aveva aggiornato i classici cui si deve l'immagine fondamentale del nostro Tempo (Hegel, Marx, Heidegger, etc.) per ricavarne il profilo inedito e sconvolgente della nostra epoca, caratterizzata (come per il collega Costanzo Preve con cui ebbe un polemico ma in ogni caso proficuo confronto) dall'avvento del Totalitarismo neoliberista, o capitalismo assoluto, ovvero l'hegeliano "regno animale dello Spirito" senza "coscienza infelice".
Massimo partecipò attivamente alle prime riunioni di Chianciano da cui ebbe inizio, anche sulla scorta del suo insegnamento, il percorso seguito negli anni successivi, che portò alla costituzione di Rivoluzione democratica prima, di MPL e Sinistra No euro dopo.
Il vuoto che lascia sul piano della teoria, dell'analisi critica del presente inteso "come Storia", dell'opposizione lucida e coerente alla barbarie neoliberista, oltreché sul piano umano e affettivo, per quanti ebbero il privilegio di conoscerlo, è incolmabile.
L'unico modo di tener viva la sua memoria è divulgare la conoscenza del suo pensiero ed attenersi al suo fecondo, inesauribile insegnamento, che fu all'altezza, per chi lo abbia compreso, di Adorno, Croce e Gramsci.
Per Massimo Bontempelli (1946-2011) di Marino Badiale
Massimo Bontempelli è morto a Pisa lo scorso 31 luglio. Nato a Pisa nel 1946, Massimo si era laureato in Giurisprudenza all’Università di Pisa, nel 1968, con una tesi di Filosofia del Diritto, e dopo la laurea ha insegnato storia e filosofia in vari istituti superiori, e negli ultimi anni presso il Liceo Classico “Galilei” di Pisa. Aveva iniziato negli anni Settanta a pubblicare testi scolastici (manuali di storia e di storia della filosofia) di grande originalità e profondità, dedicandosi contemporaneamente allo studio di temi storici e filosofici, studio che si è tradotto nella produzione di numerose pubblicazioni. Pur non avendo quasi mai svolto attività politica diretta (le uniche eccezioni sono la sua militanza nel gruppo del PDUP-Manifesto negli anni Settanta, e il suo impegno in Alternativa, il laboratorio politico-culturale recentemente fondato da Giulietto Chiesa), l’elaborazione culturale e filosofica di Massimo ha sempre avuto una irrinunciabile dimensione etico-politica, perché per lui la filosofia non era una disciplina accademica soggetta ai vincoli tipici del mondo accademico, ma era, secondo il suo concetto, la riflessione razionale sul senso dell’esistenza umana, riflessione che non può escludere la dimensione politica in quanto parte costitutiva dell’esperienza umana nel mondo.
Per chi come me l’ha conosciuto e ne è stato profondamente influenzato, è difficile spiegare quanto profonda sia la perdita che la sua morte rappresenta. Forse le parole migliori, proprio perché prive di ogni enfasi, le ha trovate una giovane che è stata sua studentessa, e ha scritto, in una pagina facebook a lui dedicata, un breve ricordo:
“Il più eroico degli uomini che ho conosciuto era piuttosto basso, non sapeva guidare e aveva paura dei cani perché da piccolo era stato morso. Aveva una buffa risata, le maniche delle giacche troppo lunghe (o le braccia troppo corte) e sempre un libro in tasca. Sapeva di balsamo di tigre e caffè. Quando spiegava giocherellava con una bic. (…)
Per me è stato la mia rivoluzione. Buonanotte professore. Serena”
Di queste parole forse la più importante è “eroico”. Perché un mite docente (la “mitezza” di Massimo viene giustamente citata in un ricordo che gli ha dedicato l’Associazione Culturale Punto Rosso, con la quale aveva collaborato) di storia e filosofia di un liceo di provincia dovrebbe essere considerato “eroico”? Addirittura “il più eroico degli uomini che ho conosciuto”? Perché Massimo era un cercatore di verità, e in questa ricerca era sì mite, ma anche appassionato e intransigente. E se la verità filosofica, come s’è detto, ha una dimensione etico-politica, cercare la verità significa anche rifiutare i compromessi di basso livello e le tante piccole infamie che la politica, specie in questi anni di decadenza, porta con sé. Per questo Massimo è rimasto al di fuori delle tante consorterie politico-culturali che si spartiscono gli spazi accademici e mediatici. Per questo ha insegnato per tutta la vita in licei di provincia, lui che avrebbe potuto tranquillamente salire su molte cattedre più prestigiose. Per questo riusciva a pubblicare solo con piccole case editrici. Questa sua mite intransigenza è ciò che affascinava molti, specie giovani (per i quali l’incontro con lui poteva rappresentare una autentica “rivoluzione”, come nel ricordo sopra citato), ed è anche la ragione del fastidio, a volte dell’odio, che pure qualcuno gli ha riservato.
Chi lo ha conosciuto sa quali tesori di sapienza e conoscenza ci fossero dentro di lui, quante cose avesse ancora da insegnare. Il dolore per la sua perdita, per la perdita di tutto quello che poteva ancora darci, può essere reso meno aspro solo dall’impegno a fare il possibile per diffondere il suo pensiero, e, per cominciare, a raccogliere tutti i suoi testi, dispersi quasi sempre in riviste di scarsa diffusione o in pubblicazioni locali, per rendere possibile uno studio sistematico della sua opera.
LA FILOSOFIA DI MASSIMO BONTEMPELLI di Costanzo Preve
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