«Così tanto, così troppo, sopra il film che del film finisce per non dire più nulla. Mi riferisco a "La grande bellezza", che ho visto (peraltro prevenuto, anche per la recensione che avevo letto dello stesso Bertelli, oltre che per l'eccesso di riconoscimenti che stava mietendo; mi sono poi ricreduto, abituato a fare i conti con me stesso e con quel che mi si pone di fronte e ad analizzare la relazione, con annessi e connessi, tra me e ciò che mi fronteggia). Non ho invece visto "The Wolf of Wall Street".
Può non piacere lo stile e la linea estetica adottati da Sorrentino, oscillante tra nichilismo ed estetismo (intesi nella tradizione di una letteratura franco-germanofona collocata tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento; da Flaubert a Proust, da Gide a Céline, da Musil a Mann - e sono stati tutti ficcati dentro, eccome se ci sono...! magari filtrati da registi precedenti che li avevano più esplicitamente inseriti). Si può senz'altro elencarne i punti deboli e quel che non convince, dire che è avvilente, ridondante, un po' pretenzioso, zeppo di citazioni poco amalgamate, ecc. ecc., ma come si può dire che "La grande bellezza" non sia un film con forza iconica e narrativa (che si fa anche con pochi dialoghi, visto che parliamo di cinema e non di prosa letteraria...)? Non si può negare l'interesse e l'attenzione che suscita il film, a suo modo ambizioso - e non solo pretenzioso - e vivaddio!! tenuto conto di come vivacchia il 90% della cinematografia italiana. Tenuto poi conto della scarsità di attori nostrani di alto livello. Sorrentino, a tal proposito, è riuscito a "sfruttarli", anche in senso proprio, e di farlo al meglio... Il film anche di quello e su quello voleva parlare. E ogni bravo regista, o almeno la volta in cui riesce ad esserlo, è sempre un po' "figlio di buona donna" con i suoi attori, anzitutto... A leggere Bertelli sembra che "La grande bellezza" sia proprio una schifezza al pari dei cinepanettoni, con l'aggravante che si prende sul serio e fa il verso al cinema colto.
Così mi sembra che si faccia un torto all'intelligenza propria e altrui. Certo, si può dire tutto e il suo contrario, ma allora perché poi meravigliarsi dell'assenza della vera critica dell'esistente?
E poi, cosa c'entrano con l'analisi e la valutazione del film di Sorrentino le affermazioni che seguono?
"Tutta questa allegra brigata di estimatori di La grande bellezza, sembrano non sapere che ogni apologia non è che l’assassinio del vero, del giusto, del bello, per eccessivo uso dell’entusiasmo. È impossibile conciliare l’onnipotenza del mercato (non solo cinematografico) con la libertà, il rispetto, la solidarietà degli ultimi, degli esclusi, degli offesi... l’ossessione del successo impera e quando ogni opera d’arte è esclusivo possedimento delle banche, della politica o dei mercati, c’è un po’ più dolore nel mondo".
Marx metteva in guardia dalla falsa coscienza e dalla mistificazione. Qui si prende in oggetto qualcosa, un film, la cui unica colpa è di risultare vincente (magari anche per una serie di fortuite coincidenze e opportunità od opportunismi, com'è indubbiamente accaduto per l'Oscar a Sorrentino, e come accade sempre o spesso per simili riconoscimenti), per parlare di tutt'altro. Con articoli e critiche così si galleggia sulla sovrastruttura pensando di andare a scalfire la struttura. A me sembra il contrario. Mi sembra che si parta con il fare il verso a Debord e si finisca con l'alimentare una babele ed una cacofonia indubbiamente imperanti nelle società intasate dai mass media. Tra parentesi, personalmente starei attento a prendere troppo dal surrealismo (e post) e dallo strutturalismo (e post) d'Oltralpe. I francesi sono sovente assai più vacui e fumosi di Sorrentino e Jep Gambardella... E maggiormente grave credo sia alimentare caos scrivendo senza costrutto, anzitutto grammaticale. A rimetterci è anzitutto il pensiero, che resta inarticolato, così che infine annega lo stesso intento critico militante. Insomma, da critiche così non ci si cava un ragno dal buco.
Cordialmente,
Danilo Breschi»
LA RISPOSTA DI PINO BERTELLI
Caro Danilo,
ho molto apprezzato la tua lettera in risposta alla mia critica su "La grande bellezza" (mi veniva da scrivere la grande schifezza)...
penso però che non sia mai bene andare o non andare a vedere un film, un'opera d'arte, leggere un libro o frequentare puttane dabbene
dietro la critica o il suggerimento di qualcuno (come nel mio caso) che ne ha scritto e inteso sviscerarne i contenuti attraverso un'analisi estetica/etica...
non penso affatto che Sorrentino abbia fabbricato un'opera nichilista (non conosce a fondo la velenosità ereticale di Nietzsche, Turgenev, Villon, Céline, Cioran)...
ha tuttavia alimentato il suo film nell'estetismo mercantile con dovizia di citazioni, nemmeno di grande spessore...
non c'è qui il peggior Fellini (La dolce vita, che non mi è piaciuto o Roma) e nemmeno la scrittura calligrafica del più grande arredatore del cinema italiano (Luchino Visconti)...
c'è invece tutta la casistica superficiale della commedia italiana di peggior pregio... penso ai Mattoli, Steno, Corbucci... non Ferreri, Scola, Monicelli...
Sorrentino, si vede bene, affastella scenette e cammei da compitino elementare... musiche facili, attori sovra le righe, inquadrature e movimenti di macchina ricercati ma vuoti...
la Roma di "La grande bellezza" è provinciale, mai universale... non si sceglie tra la l'emulazione e l'opportunismo, si condannano entrambi...
l'essenza del cinema è la verità, l'essenza della verità è l'indignazione sociale...
una sequenza di Buñuel, Vigo, Godard o Cassavetes... vale l'intera filmografia di Sorrentino...
non esistono buoni attori, esistono buoni registi... Servillo fa il verso a se stesso e basta un'alzata di ciglio di Mastroianni in "La dolce vita" e dappertutto
per fare piazza pulita di tutta la teatralità napoletana banalizzata (Totò ne è un fulgido esempio, fatti salvi i film fatti con Rossellini, Pasolini, Lattuada, Monicelli)...,
la Ferilli poi, nuda come un'anziana Maîtresse su un divano in bella posa per un pubblico cinetelevisivo abituato alla pubblicità dei divani, non so se commuove o fa pena...
i ricchi, i nobili, i "nuovi mostri" buttati sulla scena del film sembrano solo tappezzeria riempitiva, e Sorrentino si guarda bene di non trattarli come meritano... cioè a calci in culo...
Flaubert, Proust, Gide, Céline, Musil, Mann, dici?... ma dove diavolo li hai visti? qui non c'è nemmeno la comicità ridanciana o salace da avanspettacolo!...
Marx poi... ho scritto centinaia di pagine contro Proudhon e Stirner per mostrare che la ragione della storia è sempre dalla parte del plotone di esecuzione...
i regimi comunisti (senza mai avere conosciuto davvero il Comunismo) ne sono la prova...
fare il verso a Debord, caro Breschi non è possibile... Debord si ama fino in fondo o non si capisce cosa ha lasciato in eredità alle giovani generazioni in rivolta...
Debord si plagia, e il plagio caro Breschi è un'arte di vivere, diceva Benjamin, un altro plagiario immortale come Debord...
a memoria di ubriaco e per eccesso di eresia, ho sempre messo i poveri, gli illetterati, i diversi, i ribelli al di sopra degli dèi (non solo quelli di "celluloide")...
so che non c'è storia che non sia dell'anima... essere compreso è una vera sfortuna per autore...
i miti, come i coglioni, muoiono per mancanza di paradossi... e ogni apologia non è che l'assassinio del vero, del bello, del giusto, per entusiasmo...
non si capisce nulla del cinema se si crede che il mercimonio non contenga il servaggio e l'adorazione al padrone...
la civiltà sacerdotale dello spettacolo è il deposito di tutte le verità dominanti e solo la mediocrità e l'impostura dei Vangeli è pari alla nefandezza del cinema-merce...
Può non piacere lo stile e la linea estetica adottati da Sorrentino, oscillante tra nichilismo ed estetismo (intesi nella tradizione di una letteratura franco-germanofona collocata tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento; da Flaubert a Proust, da Gide a Céline, da Musil a Mann - e sono stati tutti ficcati dentro, eccome se ci sono...! magari filtrati da registi precedenti che li avevano più esplicitamente inseriti). Si può senz'altro elencarne i punti deboli e quel che non convince, dire che è avvilente, ridondante, un po' pretenzioso, zeppo di citazioni poco amalgamate, ecc. ecc., ma come si può dire che "La grande bellezza" non sia un film con forza iconica e narrativa (che si fa anche con pochi dialoghi, visto che parliamo di cinema e non di prosa letteraria...)? Non si può negare l'interesse e l'attenzione che suscita il film, a suo modo ambizioso - e non solo pretenzioso - e vivaddio!! tenuto conto di come vivacchia il 90% della cinematografia italiana. Tenuto poi conto della scarsità di attori nostrani di alto livello. Sorrentino, a tal proposito, è riuscito a "sfruttarli", anche in senso proprio, e di farlo al meglio... Il film anche di quello e su quello voleva parlare. E ogni bravo regista, o almeno la volta in cui riesce ad esserlo, è sempre un po' "figlio di buona donna" con i suoi attori, anzitutto... A leggere Bertelli sembra che "La grande bellezza" sia proprio una schifezza al pari dei cinepanettoni, con l'aggravante che si prende sul serio e fa il verso al cinema colto.
Così mi sembra che si faccia un torto all'intelligenza propria e altrui. Certo, si può dire tutto e il suo contrario, ma allora perché poi meravigliarsi dell'assenza della vera critica dell'esistente?
E poi, cosa c'entrano con l'analisi e la valutazione del film di Sorrentino le affermazioni che seguono?
"Tutta questa allegra brigata di estimatori di La grande bellezza, sembrano non sapere che ogni apologia non è che l’assassinio del vero, del giusto, del bello, per eccessivo uso dell’entusiasmo. È impossibile conciliare l’onnipotenza del mercato (non solo cinematografico) con la libertà, il rispetto, la solidarietà degli ultimi, degli esclusi, degli offesi... l’ossessione del successo impera e quando ogni opera d’arte è esclusivo possedimento delle banche, della politica o dei mercati, c’è un po’ più dolore nel mondo".
Marx metteva in guardia dalla falsa coscienza e dalla mistificazione. Qui si prende in oggetto qualcosa, un film, la cui unica colpa è di risultare vincente (magari anche per una serie di fortuite coincidenze e opportunità od opportunismi, com'è indubbiamente accaduto per l'Oscar a Sorrentino, e come accade sempre o spesso per simili riconoscimenti), per parlare di tutt'altro. Con articoli e critiche così si galleggia sulla sovrastruttura pensando di andare a scalfire la struttura. A me sembra il contrario. Mi sembra che si parta con il fare il verso a Debord e si finisca con l'alimentare una babele ed una cacofonia indubbiamente imperanti nelle società intasate dai mass media. Tra parentesi, personalmente starei attento a prendere troppo dal surrealismo (e post) e dallo strutturalismo (e post) d'Oltralpe. I francesi sono sovente assai più vacui e fumosi di Sorrentino e Jep Gambardella... E maggiormente grave credo sia alimentare caos scrivendo senza costrutto, anzitutto grammaticale. A rimetterci è anzitutto il pensiero, che resta inarticolato, così che infine annega lo stesso intento critico militante. Insomma, da critiche così non ci si cava un ragno dal buco.
Cordialmente,
Danilo Breschi»
LA RISPOSTA DI PINO BERTELLI
Caro Danilo,
ho molto apprezzato la tua lettera in risposta alla mia critica su "La grande bellezza" (mi veniva da scrivere la grande schifezza)...
penso però che non sia mai bene andare o non andare a vedere un film, un'opera d'arte, leggere un libro o frequentare puttane dabbene
dietro la critica o il suggerimento di qualcuno (come nel mio caso) che ne ha scritto e inteso sviscerarne i contenuti attraverso un'analisi estetica/etica...
non penso affatto che Sorrentino abbia fabbricato un'opera nichilista (non conosce a fondo la velenosità ereticale di Nietzsche, Turgenev, Villon, Céline, Cioran)...
ha tuttavia alimentato il suo film nell'estetismo mercantile con dovizia di citazioni, nemmeno di grande spessore...
non c'è qui il peggior Fellini (La dolce vita, che non mi è piaciuto o Roma) e nemmeno la scrittura calligrafica del più grande arredatore del cinema italiano (Luchino Visconti)...
c'è invece tutta la casistica superficiale della commedia italiana di peggior pregio... penso ai Mattoli, Steno, Corbucci... non Ferreri, Scola, Monicelli...
Sorrentino, si vede bene, affastella scenette e cammei da compitino elementare... musiche facili, attori sovra le righe, inquadrature e movimenti di macchina ricercati ma vuoti...
la Roma di "La grande bellezza" è provinciale, mai universale... non si sceglie tra la l'emulazione e l'opportunismo, si condannano entrambi...
l'essenza del cinema è la verità, l'essenza della verità è l'indignazione sociale...
una sequenza di Buñuel, Vigo, Godard o Cassavetes... vale l'intera filmografia di Sorrentino...
non esistono buoni attori, esistono buoni registi... Servillo fa il verso a se stesso e basta un'alzata di ciglio di Mastroianni in "La dolce vita" e dappertutto
per fare piazza pulita di tutta la teatralità napoletana banalizzata (Totò ne è un fulgido esempio, fatti salvi i film fatti con Rossellini, Pasolini, Lattuada, Monicelli)...,
la Ferilli poi, nuda come un'anziana Maîtresse su un divano in bella posa per un pubblico cinetelevisivo abituato alla pubblicità dei divani, non so se commuove o fa pena...
i ricchi, i nobili, i "nuovi mostri" buttati sulla scena del film sembrano solo tappezzeria riempitiva, e Sorrentino si guarda bene di non trattarli come meritano... cioè a calci in culo...
Flaubert, Proust, Gide, Céline, Musil, Mann, dici?... ma dove diavolo li hai visti? qui non c'è nemmeno la comicità ridanciana o salace da avanspettacolo!...
Marx poi... ho scritto centinaia di pagine contro Proudhon e Stirner per mostrare che la ragione della storia è sempre dalla parte del plotone di esecuzione...
i regimi comunisti (senza mai avere conosciuto davvero il Comunismo) ne sono la prova...
fare il verso a Debord, caro Breschi non è possibile... Debord si ama fino in fondo o non si capisce cosa ha lasciato in eredità alle giovani generazioni in rivolta...
Debord si plagia, e il plagio caro Breschi è un'arte di vivere, diceva Benjamin, un altro plagiario immortale come Debord...
a memoria di ubriaco e per eccesso di eresia, ho sempre messo i poveri, gli illetterati, i diversi, i ribelli al di sopra degli dèi (non solo quelli di "celluloide")...
so che non c'è storia che non sia dell'anima... essere compreso è una vera sfortuna per autore...
i miti, come i coglioni, muoiono per mancanza di paradossi... e ogni apologia non è che l'assassinio del vero, del bello, del giusto, per entusiasmo...
non si capisce nulla del cinema se si crede che il mercimonio non contenga il servaggio e l'adorazione al padrone...
la civiltà sacerdotale dello spettacolo è il deposito di tutte le verità dominanti e solo la mediocrità e l'impostura dei Vangeli è pari alla nefandezza del cinema-merce...
che è l'ultimo asilo della stupidità...
un abbraccio fraterno.
* Fonte: Utopia Rossa
4 commenti:
Il signor Bertarelli dà l'impressione di non aver capito granché, per dire la verità.
Gli faccio una domanda se vuol essere cosí gentile da rispondermi: il film si chiama La Grande Bellezza ma i due personaggi positivi del film sono due nane ossia due Piccole Bruttezze; cosa ne pensa Bertarelli?
Ma c'è una seconda domanda molto più sottile: di cosa è malata Ramona (la Ferilli, che infatti morirà)? Perché è su questo punto che si capisce che non si tratta di un film nichilista ma di qualcos'altro, molto più "italiano" (in senso negativo).
Dispiace vedere che ancora nel XXI secolo certi intellettuali di sinistra, come negli anni '70, sentono il dovere di marcare il territorio spruzzando ognuno il suo apodittico giudizietto a sensazione: dire che La Dolce Vita è il peggior Fellini non è solamente una pretenziosa assurdità ma è l'epitome di un certo atteggiamento sinistrese che è la vera causa del distacco totale in senso politico del "popolo" dalle nostre idee.
Per questo uso un tono leggermente sarcastico ma se Bertarelli vuole rispondermi mi interesserebbe molto leggere un approfondimento della sua opinione.
Non ho visto il film e non l'andrò a vedere perché sono anni ed anni che non vedo un film, neppure alla TV. Ormai sono troppo vecchio e malandato. Il Cinema è un mezzo per fare della cultura mediante uno spettacolo, come il teatro, il balletto. le opere liriche ecc. e non entro nella discussione se "La grande bellezza" faccia della cultura. Per altro sono dell'opinione che tutto fa brodo in fatto di Cultura: dipende anche da dove si vuol arrivare.
La Cultura tuttavia può essere anch'essa un mezzo di sovversione e persino un'arma. Oggi tutto è volto ad indottrinare, persino i cartoni animati di Paperino. Gli hanno dato un Premio? Probabilmente se lo meritava :tanto meglio per il regista. gli interpreti e la Produzione. Dipende però anche da chi glielo ha dato. Come i Premi Nobel per la Pace, del resto.
Desidererei forse sapere cosa c'entri il Film con Sollevazione e le drammatiche e direi pure tragiche questioni di cui normalmente si occupa. Va bene che tout se tient, ma questo sarebbe un punto interessante.
Leggete qui Il Moralista
http://www.ilmoralista.it/2014/03/17/alle-europee-non-resta-che-turarsi-il-naso-e-votare-5-stelle/
Forza ragazzi, diamoci una mossa anche noi e sosteniamo Grillo tutti insieme.
Non sono un grillino ma se il M5S farà un grande risultato è possibile che si aprano degli spiragli importanti.
Non perdiamo questa garndissima occasione.
Segnalo:
Un'opera astuta, che ricostruisce l'immaginario della Dolce vita a Roma dopo la decadenza. In sostanza è un sequel.
Sembra un'opera pensata per il pubblico dei film, il quale vuole avere una sua semplice sintesi mitica di una città. La sintesi ottenuta da Sorrentino è grottesca e lascia fuori innumerevoli aspetti di Roma. E' proprio per questo che ha successo.
Delle infinite realtà della Roma polimorfica, politeista, multirazziale di oggi (1), il film sceglie di rappresentare quella delle classi privilegiate, le persone che dovrebbero essere spensierate e si rivelano invece come un branco di falliti.
La Roma che lavora, quella che fatica a mandare avanti la famiglia e crescere i figli, tartassata dal fisco e dagli usurai, è completamente assente. Il duro lavoro quotidiano, la necessità di inventare e costruire la propria vita per dare un futuro alla famiglia, non interessa Sorrentino (o meglio non interessa il suo target di spettatore).
Ma le persone rappresentate hanno difficoltà a trovare valori nella vita perché la scelta iniziale era proprio di partire dalle persone più vuote, i ricchi. Qui è la grande mistificazione del film.
Il film ha comunque parecchi contenuti (si presta a varie letture).
C'è l'acido realismo di chi ha superato molte illusioni e si fa beffe di tutti.
C'è il contrasto ripetuto tra sacro e profano.
C'è la ricerca di qualcosa di fondamentale, e qui qualche risposta viene fornita: "le radici sono importanti".
Sullo sfondo una Roma notturna, quasi sempre buia ma non cupa. E' un film senile ma non disperato. Non esiste la grande bellezza, ma ci sono tante piccole bellezze.
Se "La dolce vita" aveva dei riflessi esistenzialisti, "La grande bellezza" a volte sfiora il Tao, la perenne contraddizione della vita, all'interno della quale ci può essere qualche saggezza.
Truman
Fonte: www.comedonchisciotte.org
5.3.2014
NOTA:
1) A titolo di esempio, mi risulta che a Roma c'è la moschea più grande d'Europa. E ho visto di recente anche un'incredibile pagoda cinese.
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