[ 22 luglio 2010 ]
È più grave la crisi economica del capitalismo o quella teorica degli economisti?
In risposta a Antonio Guarino
di Moreno Pasquinelli
Che l’ultima crisi economica sia una cosa serissima lo si vede anche dagli effetti teorici collaterali: nessuna delle recessioni recenti aveva mobilitato come questa le truppe speciali mentali del sistema. Centinaia di economisti, accademici o addirittura premi Nobel, disquisiscono da almeno tre anni sulle cause della crisi, sulle terapie per uscirne, nonché sull’efficacia delle misure poste in essere dai governi. Testate come Financial Times, Economist, Wall Street Journal e, da noi, Il Sole 24 Ore, pubblicano un giorno sì e l’altro no, interventi e contro-interventi. Il risultato è una vera e propria Babele. Tutti contro tutti. «La conclusione è sconcertante: gli economisti sono divisi in tribù: liberisti, post-keynesiani, marxisti, monetaristi, sraffiani, neoclassici; e non si mettono d’accordo su nulla». (1)
Questa Babele è significativa: demolisce la pretesa che l’economia sia una scienza, almeno nella sua apparente accezione empiristico-galileiana, che è quella che va per la maggiore tra gli stessi accademici. Ove il galileismo in economia è in verità, oramai, una metafora per intendere la più brutale matematizzazione dei modelli e delle teorie economiche. Ma su questo torneremo più avanti.
In verità l’affermazione di cui sopra contiene un falso. L’analisi attenta di questa “sconcertante” olimpiade accademica tra economisti, vede gareggiare solo partigiani del capitalismo, per quanto multiformi siano le loro posizioni dottrinarie. Nessun economista marxista è stato infatti ospitato da queste blasonate testate, e chi volesse ascoltare le voci marxiste deve andarsele a cercare negli abissi di internet o in qualche rivista cenacolare. La qual cosa è sintomatica. E’ vero che si assiste ad una riscoperta di Marx, ma essa matura sottotraccia e gli organi di stampa liberali si guardano bene dal dare voce ai marxisti, verso i quali opera un ostinato ostracismo.
Cosa intendano per “economisti marxisti” i sodali mentali e gli accademici del capitalismo-casino è presto detto, si riferiscono ad esempio allo “Appello dei cento” (da noi pubblicato l’altro giorno). Cosa ci sia di marxista è per noi difficile da capire, per Antonio Guarino invece, luminare della London School of Economics, è quanto mai evidente. Sentiamo: «L’Appello dei 100 economisti si basa su teorie marxiste, a cui la comunità scientifica internazionale non da alcun valore, semplicemente per lanciare un messaggio politico. Non a caso l’Appello ci spiega all’inizio “che l’attuale instabilità dell’Unione monetaria costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione. E’ questa un’affermazione scientifica? Ovviamente no, è solo una dichiarazione ideologica». (2)
Abbiamo così che Guarino demonizza (lui sì in modo ideologico!) l’Appello dei cento come “marxista” in virtù della ferma condanna del liberismo e delle scelte rigoriste adottate di recente dalla BCE e dai governi europei. E’ evidente che Guarino, della teoria economica marxista, non ha capito un’acca, quali che siano i titoli onorifici o accademici che gli hanno attribuito. Anche il più sprovveduto tra gli economisti teorici dovrebbe sapere, ed usiamo il condizionale non a caso, che la denuncia del liberismo a la riproposizione di una politica economica espansiva, di stimolo dei consumi interni, sta al marxismo più o meno come l’animismo sta all'Islam. Tutt’al più, l’Appello dei cento, avanza una miscela a base di keynesismo e di sraffismo, ma nulla, decisamente nulla a che vedere col marxismo. In nessuna parte dell’Appello i firmatari utilizzano l’impianto categoriale marxista, in nessun modo spiegano la crisi andando alla radice, alle contraddizioni intrinseche del modo capitalistico di produzione. E’ di tutta evidenza che essi non partono affatto dalla teoria marxiana del valore (e del plusvalore). L’Appello, politicamente parlando, non a caso sostiene le più classiche ricette socialdemocratiche.
Tuttavia il bello sta da un'altra parte: veniamo a sapere che definire liberisti le concezioni che sono state alla base dell’euro e dei successivi trattati, nonché i piani di rigore di recente adottatati, è considerato dalla “comunità scientifica” volgare ideologia. Ciò è come minimo disarmante e la dice lunga su cosa questa “comunità” intenda per scienza. Che l’euro sia nato all’insegna di concezioni liberiste e monetariste, anche stando alla discutibile dicotomia weberiana, è infatti un banale “giudizio di fatto”, e non anzitutto “di valore”. Se affermo che Milton Friedman, in quanto fondatore della scuola monetarista, era un “liberista convinto”, compio forse un oltraggio alla scienza? Ovvio che no! Dare un nome alle cose non è “ideologico”, è al contrario un imprescindibile modalità della scienza di cui Guarino immagina essere una vestale, proprio come un etologo è tenuto ad attenersi ad una rigorosa classificazione del mondo animale, distinguendo ad esempio i mammiferi dai molluschi. Evidentemente per Guarino, dire che la tigre è una bestia, è … pura ideologia.
L’intervento di Guarino è disarmante proprio su quello che dovrebbe essere il suo punto di forza, quando, in indiretta polemica col marxismo, deve spiegare cosa sia la cosiddetta “scienza economica”.
Ecco la seconda chicca teorica: «Che scienza è quella in cui ci si distingue in scuole, peraltro chiaramente legate a opinioni politiche? Per fortuna le cose non stanno così. In tutti i dipartimenti di economia del mondo in cui si fa ricerca scientifica, da Harvard a Standford alle migliori scuole europee, gli economisti non si distinguono in base a faziose visioni del mondo, ma solo in base alla specializzazione scientifica. (…) La scienza economica progredisce con ricercatori che propongono nuove teorie e altri che le sottopongono a verifica empirica. Così si fa in economia, così come in tutte le scienze. I ricercatori di economia cercano solo di capire i fenomeni economici con gli strumenti matematici e statistici che negli anni hanno sviluppato, non vogliono proporre una visione del mondo». (3)
Che abbiamo? Che scienza equivale per Guarino a specializzazione, matematizzazione e successiva verifica empirica. Senza scomodare Feyerabend, di sicuro anche Popper resterebbe basito. Notoria è la spocchia che certi cattivi scienziati hanno per la filosofia, vaglielo a spiegare che la loro concezione della scienza è anch’essa una “visione del mondo”. Vaglielo a spiegare che la matematizzazione compulsiva è indizio sicuro di razionalismo cartesiano se non di vero e proprio platonismo, che quindi dietro ad ogni empirismo radicale c’è un malcelato idealismo filosofico altrettanto dogmatico!
Veniamo così a sapere che la “comunità scientifica” “cerca solo di capire i fenomeni”, e che “le migliori scuole… non si distinguono in scuole”, tanto più se “legate ad opinioni politiche”. Siamo quindi in presenza, in barba all’epistemologia moderna, della puerile e antidiluviana idea che i fenomeni sociali , tanto più quelli attinenti alla società capitalistica, possano essere considerati alla stregua di quelli fisici o naturali. Dobbiamo ancora conoscere un economista che non abbia un’idea politica, e che in sede analitica possa sbarazzarsi delle sue idee politiche, così come ci si libera di un paio di scarpe. Il solo fatto che la “comunità scientifica” di cui parla il Guarino la pensi a questo modo, ovvero che studi il capitalismo a prescindere dalla sua storicità, che non consideri la sua natura antagonistica, è indice sicuro di una determinata concezione del mondo, quella della società borghese, che considera sé stessa eterna nonché perfettibile, sinonimo, sic et simpliciter, di economia.
Del resto l’idea che scienziato, anche quello fisico, possa porre tra sé e l’oggetto da indagare, un arbitrale distacco, è una stupidaggine della più bell’acqua.
Se le cose stessero davvero come proclama Guarino, come mai la Babele? Le divergenze tra economisti attengono forse solo alla sfera delle tecniche? Dei modelli matematici o statistici? O non sono anzitutto riferibili a diverse dottrine o scuole? E ove si trattasse di scuole e dottrine, come in effetti è il caso, sono esse scevre da condizionamenti politici? Non hanno forse esse un pur implicito sostrato ideologico? Peggio: non debbono forse rispondere ai loro famigerati committenti (quasi sempre grandi gruppi finanziari e bancari globali)
Sentite cosa dice Guarino: « Certo che c’è un dibattito scientifico che va avanti e vengono espresse valutazioni diverse. (…) Questo dibattito scientifico deriva dal fatto che si fa fatica a scoprire la verità, semplicemente perché il ciclo economico, la crescita, le crisi finanziarie, etc. sono fenomeni molto complicati dei quali abbiamo ancora una comprensione tutt’altro che perfetta». (4)
Si fa dunque fatica a scoprire, niente meno, che la “verità”. Cosa intende Guarino per “verità”? Tutto ci saremmo aspettati, da un accolito della concezione primitiva ed empiristica sulle scienze, meno che egli stesse cercando la “verità”. Un empirista dovrebbe almeno sentirsi in dovere, tra una ricerca di modelli matematici e l’altra, di farsi una ripassata, se non altro, di David Hume, che da scettico realista qual’era, sottolineava i limiti della ragione umana, e liquidava “la ricerca della verità” come l’oggetto per antonomasia di “filosofie astruse, precettive e consolatorie”.
Siamo dunque al di sotto dello stesso empirismo, siamo davanti alla pura e semplice ignoranza, che Guarino pensa di giustificare affermando bellamente che «Leggere La Teoria generale di Keynes non serve a niente: un chimico o un biologo non consultano libri di 200 anni fa ma guardano alle scoperte più recenti». (sic!).
In questa affermazione intimidatoria quanto volgare, c’è in effetti un salto logico rispetto all’empirismo, che faceva spallucce rispetto alla filosofia, o degli economisti neoclassici rispetto al marxismo. C’è tutta la tracotanza dello scientismo lillipuziano di scuola anglosassone che pretende di essere considerato la “sola scienza”, che non ha ancora scoperto la verità, ma dichiara di essere il solo in grado di scovarla.
Per tornare al nostro titolo, la presunzione di questi sacerdoti della neo-scienza imperialistica è pari solo al loro fallimento. La crisi storico-sistemica è sopraggiunta, e i nostri “scienziati” non sanno che pesci pigliare. Essi saranno dunque gli ultimi a poter scoprire le cause della crisi, che le si può trovare solo andando alla radice, e per andare alla radice di un sistema sociale in gravissima crisi, l’econometria, la matematica, le diavolerie algoritmiche, servono a ben poco. Serve appunto la scienza, ovvero un pensiero radicale. Ma chiedere a questi “scienziati” un pensiero radicale è come pretendere di cacciare sangue da una rapa.
Una prova inquietante di questa sì radicale e costitutiva impotenza, non solo metodologica, ce la da William Scarpe, anche lui professore emerito e Nobel per l’economia. Per dare un’idea dello stato confusionale in cui versano gli economisti (e le giurie del Nobel) e in che cosa egli sia affacendato mentre il capitalismo occidentale crolla dalle fondamenta, citiamo da una sua recentissima intervista:
«Ci parla degli esperimenti di finanza comportamentale che sta facendo?
Sto lavorando a un test che usa un software per cambiare il look delle foto dei soggetti dell’esperimento, mentre fanno delle scelte sulla loro pensione. I soggetti sono giovani lavoratori che si possono muovere su una scala grafica che va da sinistra —zero risparmi— a destra, il massimo di risparmi: andando verso sinistra la faccia di un giovane diventa sempre più felice, ma la sua faccia da vecchio, elaborata al computer, è sempre più triste, viceversa verso destra il vecchio diventa più felice. Io sto costruendo la parte finanziaria del test. Di fronte a una rappresentazione visiva delle conseguenze delle proprie scelte la gente dovrebbe capire meglio che deve risparmiare di più». (5)
Minchia!
Note
(1) Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2010
(2) Il Sole 24 Ore, ibidem
(3) Il Sole 24 Ore, ibidem
(4) Il Sole 24 Ore, ibidem
(5) Corriereeconomia, 19 luglio 2010
È più grave la crisi economica del capitalismo o quella teorica degli economisti?
In risposta a Antonio Guarino
di Moreno Pasquinelli
Che l’ultima crisi economica sia una cosa serissima lo si vede anche dagli effetti teorici collaterali: nessuna delle recessioni recenti aveva mobilitato come questa le truppe speciali mentali del sistema. Centinaia di economisti, accademici o addirittura premi Nobel, disquisiscono da almeno tre anni sulle cause della crisi, sulle terapie per uscirne, nonché sull’efficacia delle misure poste in essere dai governi. Testate come Financial Times, Economist, Wall Street Journal e, da noi, Il Sole 24 Ore, pubblicano un giorno sì e l’altro no, interventi e contro-interventi. Il risultato è una vera e propria Babele. Tutti contro tutti. «La conclusione è sconcertante: gli economisti sono divisi in tribù: liberisti, post-keynesiani, marxisti, monetaristi, sraffiani, neoclassici; e non si mettono d’accordo su nulla». (1)
Questa Babele è significativa: demolisce la pretesa che l’economia sia una scienza, almeno nella sua apparente accezione empiristico-galileiana, che è quella che va per la maggiore tra gli stessi accademici. Ove il galileismo in economia è in verità, oramai, una metafora per intendere la più brutale matematizzazione dei modelli e delle teorie economiche. Ma su questo torneremo più avanti.
In verità l’affermazione di cui sopra contiene un falso. L’analisi attenta di questa “sconcertante” olimpiade accademica tra economisti, vede gareggiare solo partigiani del capitalismo, per quanto multiformi siano le loro posizioni dottrinarie. Nessun economista marxista è stato infatti ospitato da queste blasonate testate, e chi volesse ascoltare le voci marxiste deve andarsele a cercare negli abissi di internet o in qualche rivista cenacolare. La qual cosa è sintomatica. E’ vero che si assiste ad una riscoperta di Marx, ma essa matura sottotraccia e gli organi di stampa liberali si guardano bene dal dare voce ai marxisti, verso i quali opera un ostinato ostracismo.
Cosa intendano per “economisti marxisti” i sodali mentali e gli accademici del capitalismo-casino è presto detto, si riferiscono ad esempio allo “Appello dei cento” (da noi pubblicato l’altro giorno). Cosa ci sia di marxista è per noi difficile da capire, per Antonio Guarino invece, luminare della London School of Economics, è quanto mai evidente. Sentiamo: «L’Appello dei 100 economisti si basa su teorie marxiste, a cui la comunità scientifica internazionale non da alcun valore, semplicemente per lanciare un messaggio politico. Non a caso l’Appello ci spiega all’inizio “che l’attuale instabilità dell’Unione monetaria costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione. E’ questa un’affermazione scientifica? Ovviamente no, è solo una dichiarazione ideologica». (2)
Abbiamo così che Guarino demonizza (lui sì in modo ideologico!) l’Appello dei cento come “marxista” in virtù della ferma condanna del liberismo e delle scelte rigoriste adottate di recente dalla BCE e dai governi europei. E’ evidente che Guarino, della teoria economica marxista, non ha capito un’acca, quali che siano i titoli onorifici o accademici che gli hanno attribuito. Anche il più sprovveduto tra gli economisti teorici dovrebbe sapere, ed usiamo il condizionale non a caso, che la denuncia del liberismo a la riproposizione di una politica economica espansiva, di stimolo dei consumi interni, sta al marxismo più o meno come l’animismo sta all'Islam. Tutt’al più, l’Appello dei cento, avanza una miscela a base di keynesismo e di sraffismo, ma nulla, decisamente nulla a che vedere col marxismo. In nessuna parte dell’Appello i firmatari utilizzano l’impianto categoriale marxista, in nessun modo spiegano la crisi andando alla radice, alle contraddizioni intrinseche del modo capitalistico di produzione. E’ di tutta evidenza che essi non partono affatto dalla teoria marxiana del valore (e del plusvalore). L’Appello, politicamente parlando, non a caso sostiene le più classiche ricette socialdemocratiche.
Tuttavia il bello sta da un'altra parte: veniamo a sapere che definire liberisti le concezioni che sono state alla base dell’euro e dei successivi trattati, nonché i piani di rigore di recente adottatati, è considerato dalla “comunità scientifica” volgare ideologia. Ciò è come minimo disarmante e la dice lunga su cosa questa “comunità” intenda per scienza. Che l’euro sia nato all’insegna di concezioni liberiste e monetariste, anche stando alla discutibile dicotomia weberiana, è infatti un banale “giudizio di fatto”, e non anzitutto “di valore”. Se affermo che Milton Friedman, in quanto fondatore della scuola monetarista, era un “liberista convinto”, compio forse un oltraggio alla scienza? Ovvio che no! Dare un nome alle cose non è “ideologico”, è al contrario un imprescindibile modalità della scienza di cui Guarino immagina essere una vestale, proprio come un etologo è tenuto ad attenersi ad una rigorosa classificazione del mondo animale, distinguendo ad esempio i mammiferi dai molluschi. Evidentemente per Guarino, dire che la tigre è una bestia, è … pura ideologia.
L’intervento di Guarino è disarmante proprio su quello che dovrebbe essere il suo punto di forza, quando, in indiretta polemica col marxismo, deve spiegare cosa sia la cosiddetta “scienza economica”.
Ecco la seconda chicca teorica: «Che scienza è quella in cui ci si distingue in scuole, peraltro chiaramente legate a opinioni politiche? Per fortuna le cose non stanno così. In tutti i dipartimenti di economia del mondo in cui si fa ricerca scientifica, da Harvard a Standford alle migliori scuole europee, gli economisti non si distinguono in base a faziose visioni del mondo, ma solo in base alla specializzazione scientifica. (…) La scienza economica progredisce con ricercatori che propongono nuove teorie e altri che le sottopongono a verifica empirica. Così si fa in economia, così come in tutte le scienze. I ricercatori di economia cercano solo di capire i fenomeni economici con gli strumenti matematici e statistici che negli anni hanno sviluppato, non vogliono proporre una visione del mondo». (3)
Che abbiamo? Che scienza equivale per Guarino a specializzazione, matematizzazione e successiva verifica empirica. Senza scomodare Feyerabend, di sicuro anche Popper resterebbe basito. Notoria è la spocchia che certi cattivi scienziati hanno per la filosofia, vaglielo a spiegare che la loro concezione della scienza è anch’essa una “visione del mondo”. Vaglielo a spiegare che la matematizzazione compulsiva è indizio sicuro di razionalismo cartesiano se non di vero e proprio platonismo, che quindi dietro ad ogni empirismo radicale c’è un malcelato idealismo filosofico altrettanto dogmatico!
Veniamo così a sapere che la “comunità scientifica” “cerca solo di capire i fenomeni”, e che “le migliori scuole… non si distinguono in scuole”, tanto più se “legate ad opinioni politiche”. Siamo quindi in presenza, in barba all’epistemologia moderna, della puerile e antidiluviana idea che i fenomeni sociali , tanto più quelli attinenti alla società capitalistica, possano essere considerati alla stregua di quelli fisici o naturali. Dobbiamo ancora conoscere un economista che non abbia un’idea politica, e che in sede analitica possa sbarazzarsi delle sue idee politiche, così come ci si libera di un paio di scarpe. Il solo fatto che la “comunità scientifica” di cui parla il Guarino la pensi a questo modo, ovvero che studi il capitalismo a prescindere dalla sua storicità, che non consideri la sua natura antagonistica, è indice sicuro di una determinata concezione del mondo, quella della società borghese, che considera sé stessa eterna nonché perfettibile, sinonimo, sic et simpliciter, di economia.
Del resto l’idea che scienziato, anche quello fisico, possa porre tra sé e l’oggetto da indagare, un arbitrale distacco, è una stupidaggine della più bell’acqua.
Se le cose stessero davvero come proclama Guarino, come mai la Babele? Le divergenze tra economisti attengono forse solo alla sfera delle tecniche? Dei modelli matematici o statistici? O non sono anzitutto riferibili a diverse dottrine o scuole? E ove si trattasse di scuole e dottrine, come in effetti è il caso, sono esse scevre da condizionamenti politici? Non hanno forse esse un pur implicito sostrato ideologico? Peggio: non debbono forse rispondere ai loro famigerati committenti (quasi sempre grandi gruppi finanziari e bancari globali)
Sentite cosa dice Guarino: « Certo che c’è un dibattito scientifico che va avanti e vengono espresse valutazioni diverse. (…) Questo dibattito scientifico deriva dal fatto che si fa fatica a scoprire la verità, semplicemente perché il ciclo economico, la crescita, le crisi finanziarie, etc. sono fenomeni molto complicati dei quali abbiamo ancora una comprensione tutt’altro che perfetta». (4)
Si fa dunque fatica a scoprire, niente meno, che la “verità”. Cosa intende Guarino per “verità”? Tutto ci saremmo aspettati, da un accolito della concezione primitiva ed empiristica sulle scienze, meno che egli stesse cercando la “verità”. Un empirista dovrebbe almeno sentirsi in dovere, tra una ricerca di modelli matematici e l’altra, di farsi una ripassata, se non altro, di David Hume, che da scettico realista qual’era, sottolineava i limiti della ragione umana, e liquidava “la ricerca della verità” come l’oggetto per antonomasia di “filosofie astruse, precettive e consolatorie”.
Siamo dunque al di sotto dello stesso empirismo, siamo davanti alla pura e semplice ignoranza, che Guarino pensa di giustificare affermando bellamente che «Leggere La Teoria generale di Keynes non serve a niente: un chimico o un biologo non consultano libri di 200 anni fa ma guardano alle scoperte più recenti». (sic!).
In questa affermazione intimidatoria quanto volgare, c’è in effetti un salto logico rispetto all’empirismo, che faceva spallucce rispetto alla filosofia, o degli economisti neoclassici rispetto al marxismo. C’è tutta la tracotanza dello scientismo lillipuziano di scuola anglosassone che pretende di essere considerato la “sola scienza”, che non ha ancora scoperto la verità, ma dichiara di essere il solo in grado di scovarla.
Per tornare al nostro titolo, la presunzione di questi sacerdoti della neo-scienza imperialistica è pari solo al loro fallimento. La crisi storico-sistemica è sopraggiunta, e i nostri “scienziati” non sanno che pesci pigliare. Essi saranno dunque gli ultimi a poter scoprire le cause della crisi, che le si può trovare solo andando alla radice, e per andare alla radice di un sistema sociale in gravissima crisi, l’econometria, la matematica, le diavolerie algoritmiche, servono a ben poco. Serve appunto la scienza, ovvero un pensiero radicale. Ma chiedere a questi “scienziati” un pensiero radicale è come pretendere di cacciare sangue da una rapa.
Una prova inquietante di questa sì radicale e costitutiva impotenza, non solo metodologica, ce la da William Scarpe, anche lui professore emerito e Nobel per l’economia. Per dare un’idea dello stato confusionale in cui versano gli economisti (e le giurie del Nobel) e in che cosa egli sia affacendato mentre il capitalismo occidentale crolla dalle fondamenta, citiamo da una sua recentissima intervista:
«Ci parla degli esperimenti di finanza comportamentale che sta facendo?
Sto lavorando a un test che usa un software per cambiare il look delle foto dei soggetti dell’esperimento, mentre fanno delle scelte sulla loro pensione. I soggetti sono giovani lavoratori che si possono muovere su una scala grafica che va da sinistra —zero risparmi— a destra, il massimo di risparmi: andando verso sinistra la faccia di un giovane diventa sempre più felice, ma la sua faccia da vecchio, elaborata al computer, è sempre più triste, viceversa verso destra il vecchio diventa più felice. Io sto costruendo la parte finanziaria del test. Di fronte a una rappresentazione visiva delle conseguenze delle proprie scelte la gente dovrebbe capire meglio che deve risparmiare di più». (5)
Minchia!
Note
(1) Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2010
(2) Il Sole 24 Ore, ibidem
(3) Il Sole 24 Ore, ibidem
(4) Il Sole 24 Ore, ibidem
(5) Corriereeconomia, 19 luglio 2010
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