[ 24 febbraio 2010 ]
Lettera
ad un amico di Venezia
«Qui, per fare quattro riforme, ci vuole una rivoluzione»
Leggo le tue riflessioni, e la tua amarezza, sulle “grandi manovre in corso per le elezioni regionali venete e le comunali di Venezia”.
MA COSA C’E' DA STUPIRSI? COSA C’E' DI NUOVO?
Non so se hai visto (sicuramente sì) le impressionanti immagini della frana di Maierato.
Mi pare la più calzante metafora dello sfascio italiano.
La crisi sistemica coglie questo paese quando esso era già in avanzato processo di decomposizione: morale, politico, sociale, economico.
Di questo sfascio il ceto politico è la più fedele rappresentazione.
Oramai i partiti sono davvero solo comitati d’affari dei dominanti, di capitalisti alla canna del gas, e la politica solo una piattaforma per il ladrocinio, per arraffare quattrini.
Le elezioni sono oramai solo una farsa indecente, per mezzo quella quale malfattori, ladri e parassiti cercano e ottengono il consenso pubblico, per occupare le posizioni istituzionali dalle quali perpetrare la loro rapina ai danni della comunità e dello Stato.
L’illegalità è da tempo la norma.
Partecipare a queste gare (truccate) d’appalto istituzionali (elezioni) significa farsi complici della criminalità politica organizzata.
La sola possibilità che resta al popolo è l’Aventino, l’esodo dal terreno di gioco della casta; si deve voltare le spalle, non a questo o a quel partito, ma al sistema politico tutto, delegittimandolo, privandolo dell’alibi del consenso popolare, consenso che finché l’avranno useranno come argomento per dire che per mezzo di loro il popolo esercita la propria sovranità.
In questa condizioni la sola politica giusta è l’astensionismo, deciso, radicale, inequivoco. Più siamo lontani da questa casta fetida e dal suo gioco elettorale, meglio è.
Siamo al punto che il paese abbisogna di poche ma profonde TRASFORMAZIONI sociali, economiche e politiche.
Ma la metastasi è talmente avanzata che occorre agire chirurgicamente per estirparla.
Cieco e avventurista è colui che si rifiuta di ammettere che qui, per fare quattro riforme, ci vuole una rivoluzione.
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