[ giovedì 24 ottobre 2019 ]
Torniamo ad occuparci dell'economista Emiliano Brancaccio.
No, non per commentare il dibattito teorico tra lui e il liberista Olivier Blanchard sorto dopo la pubblicazione del contro-manuale di economia "ANTI-BLANCHARD. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia" — chi fosse interessato veda anche QUI, QUI, QUI E QUI).
Vorremmo invece scendere dalle "stelle" alla "stalle per segnalare quanto ha dichiarato Brancaccio a Rassegna Sindacale, la rivista della CGIL, in merito alla Legge di bilancio del governo Conte Bis. In alcuni punti la sua critica alla anti-popolare finanziaria targata Pd-M5s-Italiaviva-Leu è condivisibile.
Poi però Brancaccio scivola sulla sua solita buccia di banana.
Quale? E' presto detto: il suo disprezzo viscerale proto-marxista per la piccola borghesia, considerata per sua natura una classe sociale reazionaria.
Ma sentiamo. Alla domanda del giornalista: "C’erano margini per attuare politiche più incisive?", il nostro risponde:
Né ci vuole molto per capire che questo governo "progressista" si muove sul solco di quelli mondialisti precedenti, ovvero in base al principio liberista, mercatista e globalista per cui i piccoli sono poco produttivi e che occorra facilitare la concentrazione del capitale e la "più efficiente" grande distribuzione. Ergo: che chiudano pure e vengano gettati sul lastrico piccoli imprenditori, artigiani, commercianti. Centinaia di migliaia di disoccupati sono quindi il prezzo da pagare sull'altare del "progresso".
Non vogliamo farla lunga, non è questa la sede. Vorremmo segnalare a Brancaccio il recente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, secondo cui, considerato il tessuto economico di ben 99 paesi capitalistici, sette lavoratori su dieci sono lavoratori autonomi o di piccole imprese. Si dissolve dunque, assieme al paradigma marxiano, la leggenda che questo fenomeno sia una patologia essenzialmente italiana.
Sul fatto che la piccola borghesia sia per sua natura una classe reazionaria, che dire? Come è vero che è stato uno dei carburanti della reazione, è stato vero anche il contrario. Di sicuro l'approccio che ci propone il Brancaccio (la profezia che si autoavvera), agevola lo sforzo egemonico delle destre reazionarie, liberiste e non, lasciando loro campo libero nell'apparire paladini dei ceti medi, dei piccolo imprenditori, ecc..
E' il contrario che occorre invece fare. Come socialisti e patrioti noi dobbiamo difendere queste classi sociali contro il comune nemico, il grande capitalismo globalista e i suoi lacchè politici.
Torniamo ad occuparci dell'economista Emiliano Brancaccio.
No, non per commentare il dibattito teorico tra lui e il liberista Olivier Blanchard sorto dopo la pubblicazione del contro-manuale di economia "ANTI-BLANCHARD. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia" — chi fosse interessato veda anche QUI, QUI, QUI E QUI).
Vorremmo invece scendere dalle "stelle" alla "stalle per segnalare quanto ha dichiarato Brancaccio a Rassegna Sindacale, la rivista della CGIL, in merito alla Legge di bilancio del governo Conte Bis. In alcuni punti la sua critica alla anti-popolare finanziaria targata Pd-M5s-Italiaviva-Leu è condivisibile.
Poi però Brancaccio scivola sulla sua solita buccia di banana.
Quale? E' presto detto: il suo disprezzo viscerale proto-marxista per la piccola borghesia, considerata per sua natura una classe sociale reazionaria.
Ma sentiamo. Alla domanda del giornalista: "C’erano margini per attuare politiche più incisive?", il nostro risponde:
«Dal punto di vista della lotta alle disuguaglianze certamente sì, almeno introducendo una patrimoniale sulle grandi ricchezze ed eliminando anche la flat tax salviniana sulle partite Iva, chiaro preludio di un aggiramento definitivo del principio costituzionale di progressività delle imposte. Ma questo governo sembra avere troppe velleità “ecumeniche”: non vuole scontentare né i ricchi, né i piccoli proprietari, e così facendo si ritrova con pochi spiccioli per i lavoratori dipendenti».
Brancaccio esulterà dunque alla notizia che invece nella Finanziaria del Governo è eliminata la cosiddetta "flat tax" al 20% per le Partite IVA fra i 65mila e i 100mila euro — norma che era stata inserita nella legge di Bilancio de passato governo giallo-verde.
Si capisce che egli contesterà invece la decisione (sensata) di mantenere il regime forfettario con aliquota al 15% per chi abbia ricavi sotto i 65mila euro.
Non vogliamo perderci nei meandri del farraginoso e ingiusto sistema fiscale italiano, sulla carta equo, nel fatti massimamente ingiusto. Tutte le indagini mostrano infatti che i pesci grandi pagano poco e niente mentre il fisco si accanisce oltre che sul lavoro dipendente sulle piccole e micro imprese, sugli artigiani, sugli esercenti, nonché sui tanti lavoratori che son costretti per lavorare ad aprire una partita Iva.
Karl Marx |
Conferma infatti la Cgia di Mestre che "L'evasione fiscale delle grandi aziende è 16 volte maggiore di quella delle piccole".
Né ci vuole molto per capire che questo governo "progressista" si muove sul solco di quelli mondialisti precedenti, ovvero in base al principio liberista, mercatista e globalista per cui i piccoli sono poco produttivi e che occorra facilitare la concentrazione del capitale e la "più efficiente" grande distribuzione. Ergo: che chiudano pure e vengano gettati sul lastrico piccoli imprenditori, artigiani, commercianti. Centinaia di migliaia di disoccupati sono quindi il prezzo da pagare sull'altare del "progresso".
L'acredine verso la piccola borghesia non si giustifica se non in base ad un vetusto paradigma marxiano. Scrivevano Marx ed Engels nel manifesto del partito comunista:
«Nei paesi in cui si è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una nuova piccola borghesia che oscilla fra il proletariato e la borghesia e che si ricostituisce sempre di nuovo come complemento della società borghese. Ma i piccoli borghesi vengono regolarmente risospinti dalla concorrenza verso il proletariato, anzi, con lo sviluppo della grande industria essi si avvicinano al punto in cui spariranno del tutto come elemento autonomo della società moderna e verranno rimpiazzati — nel commercio, nella manifattura e nell'agricoltura — da sorveglianti di fabbrica e da servitori».Poco più avanti Marx ed Engels saranno ancor più trancianti:
«In Germania la piccola borghesia rappresenta l'effettivo bastione sociale della società attuale, una piccola borghesia costituitasi nel XVI secolo e da allora sempre riaffiorante in forme diverse. La sua conservazione è la conservazione dell'attuale società tedesca. Essa teme di essere ineluttabilmente distrutta dall'egemonia industriale e politica della borghesia, sia per effetto della concentrazione del capitale che per il sorgere di un proletariato rivoluzionario».E' evidente quel fosse il paradigma: la piccola borghesia è un lascito sociale del passato precapitalista, un'anticaglia destinata ad essere spazzata via dal progresso rappresentato dalla grade industria e dalla legge generale dell'accumulazione capitalistica. Altrettanto evidente che questa previsione contenga un giudizio di valore: questo processo di annientamento è cosa buona e giusta.
Ammesso e non concesso che Marx ed Engels avessero ragione nel loro giudizio storico politico sulla piccola borghesia, la previsione si è dimostrata sostanzialmente sballata — così come si è dimostrata sbagliata l'idea che il "contadiname" non avrebbe potuto giocare alcun ruolo rivoluzionario — vedi Cina ed altri paesi a debole capitalismo —, ruolo che invece sarebbe spettato solo alla classe operaia industriale.
Sul fatto che la piccola borghesia sia per sua natura una classe reazionaria, che dire? Come è vero che è stato uno dei carburanti della reazione, è stato vero anche il contrario. Di sicuro l'approccio che ci propone il Brancaccio (la profezia che si autoavvera), agevola lo sforzo egemonico delle destre reazionarie, liberiste e non, lasciando loro campo libero nell'apparire paladini dei ceti medi, dei piccolo imprenditori, ecc..
E' il contrario che occorre invece fare. Come socialisti e patrioti noi dobbiamo difendere queste classi sociali contro il comune nemico, il grande capitalismo globalista e i suoi lacchè politici.
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8 commenti:
Ben detto Piemme!
il 15% per chi sta sotto i 65 è giusto.
il 20% fino ai 100 mila è troppo poco.
davvero sono troppi soldi in più per chi fa professioni che necessitano solo di pochi attrezzi e poco costosi.
e oltre i 65 mila certe categorie professionali stanno abbastanza bene.
il lavoro dipendente paga oltre il 40% per quelle cifre (ed è troppo poco per chi va verso i 100mila comunque)
7 lavoratori su 10 sono autonomi "o di piccole imprese".
Sono autonomi o sono dipendenti?
Andate a vedere i numeri in USA, GB, Germania e in tutti i paesi a "capitalismo avanzato", la stragrande maggioranza dei lavoratori è alle dipendenze, generalmente è nei paesi più "arretrati" che ci sono molti autonomi, vedere alla voce Sud Italia ad esempio.
Per cui l'analisi vetusta di Marx è sempre attuale checché ne dicano delle sagome che non valgono un'unghia dell'ubriacone di Treviri.
A parte che bisogna pure vedere tutte queste piccole imprese se campano perché "lavorano" per i "grandi"...
Saluti,
Carlo.
caro anonimo di cui sopra,
con tutto il rispetto che si deve a Marx, questi sono i dati ISTAT più recenti riguardo agli addetti nel tuo Occidenete "avanzato":
«La struttura produttiva italiana mostra il ruolo primario delle PMI: il nostro Paese è leader tra i maggiori Paesi dell’Unione Europea per rilevanza dell’occupazione nelle PMI con il 78,7% degli addetti delle imprese – di cui 45,6% relative a Micro Imprese fino a 10 addetti, 20,4% relativo a Piccole tra 10 e 49 addetti e il restante 12,7% relativo a Medie imprese fino a 250 addetti – valore nettamente superiore alla media europea del 69,4%. Per il peso degli addetti addensati nelle PMI l’Italia sopravanza Regno Unito (75,3%), Spagna (72,8%), Germania (62,9%) e Francia (61,4%).
In Italia le Micro e Piccole imprese con meno di 50 addetti italiane rappresentano l’asse portante del sistema di PMI e rappresentano, infatti, l’83,9% degli addetti delle imprese fino a 250 addetti.
Il ruolo determinante delle PMI in Italia per i processi di crescita economica si conferma anche nel settore manifatturiero in cui l’Italia è il secondo Paese dell’Unione per addetti nelle PMI manifatturiere: i 2,8 milioni di addetti seguono i 3,3 milioni di addetti della Germania, ma staccano Regno Unito, Francia, Polonia e Spagna. Le PMI manifatturiere italiane rappresentano i tre quarti (76,5%) degli addetti del settore, staccando di 6,8 punti percentuali la Spagna (69,7%); seguono Regno Unito (65,5%), Francia (52,7%) e Germania dove le PMI concentrano meno della metà (45,6%) degli addetti manifatturieri».
Un'altra cosa: come stanno le cose confrontando Nord e SU dello Stivale?
Smentita radicalmente la tesi che piccola impresa corrisponda a Sud arretrato:
«In Italia gli addetti delle Piccole e Medie imprese rappresentano oltre la metà (56,6%) del totale degli occupati con le incidenze maggiori in Provincia Autonoma di Bolzano (67,2%), Veneto (64,2%), Lombardia (62,7%), Marche (60,9%), seguono, tutte con un peso del 60,3%, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta. A livello provinciale l’incidenza supera i due terzi dell’occupazione totale a Prato (82,1%), Milano (74,0%), Rimini (73,5%), Padova (69,5%), Vicenza (69,3%), Fermo (67,8%) e Brescia (66,7%)».
E quindi? Gli "addetti" sono nella maggioranza lavoratori salariati.
I numeri Istat confermano semplicemente che l'Italia e i paesi del Sud Europa (Spagna e simili) sono paesi capitalisticamente "arretrati" nell'Occidente avanzato. Controprova: in Italia dov'è la percentuale più alta di lavoro "autonomo" rispetto al totale della forza-lavoro? Dalla risposta molto probabilmente vedrete quali sono le zone che stanno messe peggio economicamente e socialmente. E si dovrebbe considerare la tara delle finte partite IVA, che sono "dipendenti" senza nessun diritto, per cui i numeri reali sarebbero parecchio diversi da quelli ufficiali.
L'articolo poi parla del fisco e le riforme flat tax e robe simili non sono roba fatta per favorire la maggior parte dei lavoratori salariati, ma solo per autonomi, i padroni e quei dipendenti che hanno alti stipendi, non molti.
Poi che piccolo sia bello è cosa relativa, basta solo ricordare che già l'articolo 18 non dava tutele sul licenziamento ingiustificato ai lavoratori delle piccole aziende, e nessuno che ancora oggi osa modificare lo status quo, perché sennò i troppi piccoli padroni si incazzano.
Uno dei grossi problemi del cambiamento a mio modesto parere è proprio questo, troppi piccoli padroni che ciurlano nel manico.
Questa è una situazione che va bene per degli anarco-capitalisti, non per chi si dice "socialista".
Saluti,
Carlo.
Brancaccio ogni tanto va ancora in tv e a volte usa pure un linguaggio "popolare". Ma al fondo resta un intellettuale difficile con un pensiero stratificato. Per capirlo bisogna capire la sua interpretazione della legge marxiana di tendenza alla centralizzazione dei capitali. Altrimenti è come pretendere di guidare una formula 1 semplicemente avendo una patente B. Robbie
Mi limito a due osservazioni: la prima è che l'idea che la piccola borghesia sia destinata a sparire era già stata accantonata dalla Luxemburg e in ogni caso oggi ci han pensato i fatti (a meno che non si voglia sostenere che dati come quelli inglesi riflettano residui precapitalistici: anche al ridicolo c'è un limite).
La seconda è che, sul piano politico, Marx ed Engels non hanno mai escluso che i lavoratori debbano allearsi, naturalmente nel ruolo egemonico!, con altre classi sociali, con la piccola borghesia in modo particolare. Questa è se mai una posizione lasalliana, non marxiana: “While the Manifesto was laconic and noncommittal on the immediate political program in the leading countries, this subject required concrete attention as soon as the revolution broke out. When Berlin erupted on March 18, Marx, Engels, and a Communist League group were in Paris, and drew up the flysheet of demands in preparation for activity in Germany. These seventeen demands constituted an adaptation of the ten-point program suggested in the Manifesto as the first steps of proletarian rule. Besides the fact that proletarian rule was not yet here, that ten-point list had been abstractly drafted for disparate countries, and before the onset of a directly revolutionary situation. The new list of seventeen “Demands” is specifically directed to Germany, and is tailored to the uncertain circumstances that obtained at the end of March.”
“Finally, the Demands definitely dropped the Manifesto’s view of the petty-bourgeoisie as counterrevolutionary; rather, it includes this class in the united front of potentially revolutionary forces.- “It is to the interest of the German proletariat, the petty-bourgeoisie and the small peasantry to support these demands with all possible energy.” This united front pointedly excludes the bourgeoisie itself. In other words, on this issue it turned out that the view embodied in the Manifesto was a temporary aberration. From this time on, it was the conception developed by Engels that became the joint view of the partnership.” (H. Draper, Karl Marx’s Theory of Revolution, vol. II, Monthly Review Press, N.Y., 1978, pagg. 199-200).
Questo, sia chiaro, non per dire che Marx aveva sempre ragione, ma solo per dare a Marx quel è che di Marx e a Brancaccio quel che è di Brancaccio.
Il potere massonico-finanziario mondialista mira a creare una piccola schiera di ricchissimi che dovranno dominare su una massa enorme di poveri. In quest'ottica la classe media, piccolo borghese, non trova posto nello schema e deve essere eliminata. Trattasi di ingegneria sociale.
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