[ 10 maggio 2018 ]
Giorni addietro segnalavamo un articolo su LA STAMPA in cui, alla rinfusa, venivano messi nello stesso sacco Putin, Dugin, il fascismo e quindi l'euroasiatismo.
Una paccottiglia ignobile.
Ci eravamo ripromessi (anche per dare una lezione, non fosse che di stile, ai pennivendoli euro-atlantisti) di tornare sulla corrente specificamente russa di pensiero che va sotto il nome di euroasiatismo, le sue origini, la sua evoluzione, e le sue diverse, in alcuni casi opposte, ramificazioni.
Presentiamo dunque questo contributo. Lo divideremo in due parti, la seconda sarà sulla "Quarta teoria politica" sostenuta del neo-euroasiatista Alexander Dugin.
Ci auguriamo che questo lavoro contribuisca a fare chiarezza.
Giorni addietro segnalavamo un articolo su LA STAMPA in cui, alla rinfusa, venivano messi nello stesso sacco Putin, Dugin, il fascismo e quindi l'euroasiatismo.
Una paccottiglia ignobile.
Ci eravamo ripromessi (anche per dare una lezione, non fosse che di stile, ai pennivendoli euro-atlantisti) di tornare sulla corrente specificamente russa di pensiero che va sotto il nome di euroasiatismo, le sue origini, la sua evoluzione, e le sue diverse, in alcuni casi opposte, ramificazioni.
Presentiamo dunque questo contributo. Lo divideremo in due parti, la seconda sarà sulla "Quarta teoria politica" sostenuta del neo-euroasiatista Alexander Dugin.
Ci auguriamo che questo lavoro contribuisca a fare chiarezza.
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LE ORIGINI
L’euroasiatismo russo acquisisce una dimensione culturale di vasto respiro con Konstantin Nikolaevič Leont’ev (1831-1891), filosofo, monaco, console in diverse località dell’impero ottomano, scrittore di buon valore con una visione apertamente reazionaria e antiliberale. Una certa critica, non solo della sinistra russa, ma anche occidentale, ha spesso messo Leont’ev in relazione allo spagnolo Doloso Cortès (1809-153), filosofo della politica molto importante per comprendere il decisionismo di Carl Schmitt (1888-1985).
Leont’ev è il primo pensatore russo di rilevanza a valutare in maniera positiva il significato spirituale degli elementi orientali metamorfosati nella cultura russa. In Bizantismo e mondo slavo (Vizantizm i slavjanstvo, 1875), Leont’ev dà un’interpretazione effettivamente originale della specificità e dell’eccezionalismo russi, tentando di dileguare l’eredità slava, valorizzando invece l’influsso bizantino come idea forza archetipica del destino metafisico della russicità, che supera la dimensione naturale-etnica dell’essere russo.
Nella visione del mondo leont’evana la Russia costituisce un universo eccezionale, un cosmo a sé: né asiatico né europeo. Leont’ev non può quindi essere considerato né un nazionalista né uno slavofilo né un panslavista ma vede invece nella Russia un grande impero basato sull’Ortodossia e sull’Autocrazia. Un grande impero multirazziale, multinazionale e multireligioso.
Va considerato che il 1863 è la data spartiacque, nella storia russa, in cui la corrente culturale dello Slavofilismo (cfr A. Walicki, Una utopia conservatrice, Einaudi 1973) si trasforma sempre più in azione politica, divaricandosi da un lato in panrussismo dall’altra in panslavismo (Cfr. W. Giusti, Il Panslavismo, Bonacci 1993).
SUL PANSLAVISMO
Il nodo politico-strategico è proprio rappresentato dal respiro euroccidentale del grande continente russo: di fronte alle continue rivolte antizariste del nazionalismo polacco, i panslavisti ex slavofili appoggiano esplicitamente il governo che vuole russificare la Polonia dal punto di vista scolastico e amministrativo. Così si ha una linea ufficiale panslavista sempre più accentuata, da parte dei vari ministeri esteri, che taluni vedono tra le cause del primo conflitto mondiale. Da un lato infatti la Russia zarista fa balenare vaghe speranze agli Slavi sottomessi alla Turchia e all’Austria, mentre dall’altro essa nega ai Polacchi molti di quei diritti di cui godono, p.es, i Cèchi e gli Sloveni in Austria.
N.J. Danilevskij |
Il più rilevante ed interessante pensatore politico panslavista è Nikolaj Jakovlevic Danilevskij, il cui saggio fondamentale Rossija i Evropa (La Russia e l’Europa) identifica il nazionalismo Imperialista granderusso non con lo sciovinismo o la volontà di conquista ma anzi con la necessità di non restare stritolati dalla tenaglia strategica tra Islam ottomano e imperialismo anglosassone: i popoli slavi in genere, ma il popolo russo in particolare è un popolo pacifico, intimamente cristiano, per questo deve armarsi e combattere, per non perire di fronte all’aggressività strategica anglosassone, tedesca, mussulmana. Il mito strategico dei panslavisti è Costantinopoli liberata, che Danilevskij chiama Zarigrad, la città degli zar: tuttavia essa non dovrà diventare capitale della Russia trovandosi in una posizione defilata e marginale ma dovrebbe semplicemente essere la capitale della “federazione Panslava”.
Questa la soluzione dell’orientalismo panslavista. Fortissimi indirizzi panslavisti ed antieuroasiatisti si hanno nel Diario di uno scrittore di Dostoevskij: certi pensieri dostoevskiani rappresentano veramente la quintessenza di un panslavismo antigiudaico, antioccidentale ed anticattolico. L’Europa panslavista è infatti l’Europa slava o slavizzata — volontari panslavisti accorreranno dalla Russia per difendere i “fratelli Serbi” aggrediti e Dostoevskij dirà che la «Serbia è il sole occidentale, l’unico sole occidentale del grande popolo russo …Noi soffriamo per la morte dei bambini serbi sgozzati dai Turchi sostenuti dagli Inglesi come per la morte dei nostri…» — e così l’Oriente panslavista.
Leont’ev, di contro, che considera, ai suoi tempi, imminente la fine della Russia “europea” di Pietroburgo e del russismo eurocentrico, fa l’apologia della sostanza bizantina e eurasiatica della Russia in quanto quest’ultima è destinata fatalmente alla contrapposizione con l’Occidente. Nella sua ottica, inoltre, il popolo russo è spiritualmente e moralmente più affine ai Turchi, agli Asiatici, ai Tartari, che agli europei ed agli occidentali.
Abbiamo accennato alla concezione del Leont’ev per un motivo preciso: il pensiero leont’eviano è un pensiero intimamente politico, e il diplomatico è il padre spirituale effettivo della geopolitica dell’Eurasia.
Pjotr N. Savickij |
IL SECONDO EUROASIATISMO
Nel '900, con Pjotr Nikolajevič Savickij (1895-1968), definito da più parti l’unico vero “geopolitico” russo, il movimento eurasiatista acquista un significativo spessore politico.
Savickij fonde i lavori di precedenti studiosi russi (Danilevskij, Mendeleev, Lamanskij) con i punti essenziali della geopolitica europea del suo tempo. Nella concezione di Savickij la Russia-Eurasia è un organico sistema unitario, capace di unificare e conciliare differenti popoli, culture, tradizioni in un grande spazio (mestorazvitie) con tutta l’assonanza ideologica che tale immagine di “grande spazio” ha in Carl Schmitt.
Questo “grande spazio” attende di conoscere il pieno sviluppo, attuabile solo allorquando i russi si lasceranno alle spalle la loro infatuazione eurocentrica ed occidentalista; per tale ragione, Savickij, pur emigrato bianco ed antibolscevico, si dichiara entusiasta riguardo l’espansione industriale in Siberia e verso la diffusione della cultura russa in Asia, che stavano contraddistinguendo la politica strategica sovietica. D’altra parte, già in epoca zarista la Transiberiana aveva contribuito a unire l’Asia alla Russia, mentre la Transcaspica fu interrotta soltanto dalla guerra. Savickij riteneva che la moderna costruzione di una complessa rete ferroviaria, aerea, automobilistica avrebbe consentito, collegando strategicamente la Russia con l’Asia, l’indispensabile autarchia economico-sociale. Differentemente dagli stati marittimi, che esportano ed importano merci con grande profitto, sul piano delle opportunità strategiche del mercato mondiale, la Russia è per il teorico euroasiatista un “paese diseredato” e può risolvere questa sua lacuna strategica esclusivamente mediante una politica direttrice di tipo eurasiano, che le consenta di realizzare una “autarchia completa”:
«Tra le entità politico-economiche del mondo la Russia Eurasia costituisce la sfera dell’autarchia per eccellenza ed è pertanto in accordo con regioni non collegate da destini politici, come avviene per i paesi coloniali degli “imperi oceanici”, ma unite da una attrazione reciproca, irreversibile, derivante dalla forza “oceanica” del loro essere diseredate. Tale attrazione reciproca è determinata da un determinato elemento geografico, oggettivo, che una politica statale mirante alla creazione dell’autarchia può soltanto completare e rinforzare» (P.N. Savickij, Continente Eurasia, cit in A. Ferrari, Eurasianism: A Russian approach to Geopolitcs, Roma 2001, II, pp. 879-887 ).
Da tale angolatura tattica, la secolare corsa russa allo sbocco sul mare non corrispondeva per Savickij ai reali interessi strategici russi: solo rafforzando le regioni interne e declinando il proprio respiro con una connessione strategica asiatica, la Russia poteva conoscere un progresso economico ed una centralità politica.
Gli euroasiatisti, con Savickij in testa, ritenevano infatti che dopo le fasi storiche “fluviale” e “marittima”, l’umanità avesse ormai raggiunto la fase “oceanica”, contrassegnata dalla costituzione dei due grandi stati continentali, Usa e Urss. L’estensione di questi “grandi spazi” esigeva la costituzione di nuove forme politiche. Per quanto non sia esistito un partito politico eurasiano, il progetto politico e socioeconomico degli euroasiatisti, che vide la collaborazione tra Trubeckoj, Savickij, Karsavin, Ccheidze, Alekseev, si condensava nei due manifesti programmatici. L’eurasismo. Tentativo di esposizione sistematica (1926) e Dichiarazione, formulazione, tesi (1932).
L’ideologia eurasiana, poiché di ideologia si può parlare, per quanto solidarizzi evidentemente con la controrivoluzione bianca, capisce che la causa zarista, prima che dai leninisti, fu condannata dal divenire storico dei popoli. Il neozarismo era ormai una “fuga dalla storia”. In tale prospettiva, nasce la definizione della corrente euroasiatista come corrente post-rivoluzionaria, mentre sia bianchi sia rossi sono rappresentanti di correnti ideologiche prerivoluzionarie. Il valore della rivoluzione non sarebbe incarnato dal comunismo — dal mito leninista della rivoluzione mondiale che avrebbe fatto sua la dottrina decadente occidentale — ma invece dal carattere spiritualmente russo ed anti-occidentale della stessa. Di contro alle previsioni strategiche dei leader bolscevichi, i teorici della Russia Eurasia comprendono già dal 1919 che la rivoluzione è una premessa di rinascita nazionale; il comunismo russo, affermatosi in un paese arretrato, poneva perciò le basi di una decisiva orientalizzazione del marxismo a differenza dei propositi di una rivoluzione mondiale, con centro occidentale e il popolo russo quale "legna da ardere sul fuoco di una sovversione globale".
Si possono notare punti di incontro con il movimento nazionalbolscevico affermatosi in quegli stessi anni nell’emigrazione russa, ma si rimarrebbe alla superficie: i nazionalbolscevichi miravano ad una semplice identificazione tra stato potenza sovietico e nazionalismo grande-russo (ciò che effettivamente si verifica nell’ultima fase stalinista 1941-1953), il movimento euroasiatista progettava invece una Ideocrazia eurasiana che avrebbe dovuto superare la forma ideologica dell’Urss, con un nuovo solidarismo sociale di orientamento fortemente religioso.
Nikolaj S. Trubeckoj |
L’euroasiatista Nikolaj Sergeevič Trubeckoj è l’ideatore del concetto di Ideocrazia che farà tanta fortuna.
La rinascita della Chiesa ortodossa, duramente repressa dai sovietici ma la cui autorità era stata compromessa già in epoca imperiale, doveva condurre ad una sua più autonoma ed organica, sinfonica, definizione del suo rapporto con lo stato. C'è chi ha sottolineato le affinità ideologiche di questo discorso con il corporativismo imperialista del fascismo italiano, secondo Savickij tuttavia il fascismo era destinato al fallimento in quanto minato alle fondamenta dallo scarso peso globale dell’Italia.
La Russia-Eurasia vagheggiata era concepita come l’unione di tutte le nazionalità di questo “grande spazio”, ritenute geopoliticamente inscindibili e bisognose di uno sviluppo libero e federale nel contesto però di una libera confederazione eurasiatica.
Tendenze eurasiane vivranno in seguito in talune marginali frazioni del PCUS e del KGB, ma a nostro avviso con scarso peso geopolitico e politico durante l’intera fase postleninista, che è tutta orientata, seppur con le differenti metodiche, in senso fortemente nazionalbolscevico. L’analisi di Zjuganov per comprendere la strategia politica sovietica rimane a mio avviso la più profonda. La storia politica sovietica è interamente segnata dalla lotta mortale tra due frazioni, la prima, "nazionalista ed imperiale", che puntava realisticamente alla costruzione della potenza statale e nazionale; la seconda, "rivoluzionaristica ed avventuristica", di taglio classista, cosmopolita e internazionalista.
La visione strategica staliniana, sintesi della visione imperiale, caratterizzata dalla autosufficienza dello stato potenza, e di quella nazionalista grande russa o addirittura pan-russista più che panslavista, poneva le basi per una profonda compenetrazione dello stato sovietico con l’ideologia nazionalbolscevica. In questa luce sarebbe da analizzare la strategia del krushovismo, rimodulata poi con effetti definitivamente catastrofici da Breznev e Andropov, se ed in che misura essa sia stata una declinazione della politica di potenza staliniana o non invece, nel suo essere sfida diretta agli USA per la supremazia mondiale, un suo abbandono.
Esula da questa ricerca analizzare il fenomeno della Stella rossa su Shamballa e la misteriosa attività del professore bolscevico dell’Occulto: A. Barchenko.
Con Lev Gumilev (1912-1992) duramente perseguitato dal regime sovietico, rinasce
gradualmente in tempi recenti l’idea euroasiatista, annientata nelle sue radici e nei suoi propositi dal neo-panrussismo imperialista staliniano.
Lev Gumilev |
Non è qui importante ripercorrere la vita e l’azione di quell’eccelso studioso che fu Gumilev; ma viceversa è importante notare che dello spirito cristiano degli euroasiatisti originari in lui non vi è traccia, il nucleo della sua concezione essendo infatti costituito dalla teoria cosmista della passionarietà, che sicuramente è una rottura totale con il vago spiritualismo del movimento euroasiatista originaria.
Lo stesso Gumilev ne è consapevole: per questo si autodefinisce “l’ultimo euroasiatista”. Per questo non smette di notare che se egli è da un lato un continuatore di Trubeckoj dall’altro era estranea ai “primi euroasiatisti” l’essenza della teoria etnogenica, ovvero il concetto di passionarietà, l’esplosione della onda di potenza energetica nella vita di un popolo e del successivo invecchiamento decadente.
Per quanto concerne gli “sbalzi energici” Gumilev portò anche l’esempio delle formiche tropicali che abbandonano improvvisamente i loro sicuri sistemi sociali e migrano distruggendo ogni cosa con il solo fine di morire. E così avviene anche per popoli e ondate collettive, colte dalle spinte della “passionarietà”.
Ricordiamo di passata che Gumilv considerò una "sciagura" l'invasione russa dell'Afghanistan, così come una "catastrofe storica" l'auto-dissoluzione dell'URSS.
Parleremo nella seconda parte del neo-eurasiatismo russo, successivo agli anni ’90 dello scorso secolo.
Per quanto riguarda il putinismo risulta evidente che esso, differentemente da quanto sostengono molti analisti occidentali, tra cui, tra le righe, C. Rocca de LA STAMPA, è estraneo alla dimensione dell’Ideocrazia Eurasiatista.
L’odierna Unione Economica Eurasiatica — Russia, Bielorussia, Armenia e Khazachistan — vista con gli occhi del movimento eurasiatista dell’epoca, sarebbe oggi vittima delle più radicali critiche da parte di un Trubeckoj. La guerra cecena, il battesimo del putinismo politico, avrebbe portato probabilmente gli euroasiatisti, come fece E. Limonov, a schierarsi con gli indipendentisti ceceni e forse anche con gli islamisti di S. Bassaiev. Sicuramente avrebbero invece appoggiato, come la sta appoggiando Limonov, la salvaguardia dei russi e dei filorussi in Crimea ed in Ucraina.
Putin, peraltro, come ha mostrato la declinazione mediterranea della sua realpolitik, non è affatto un continentalista. Una Ideocrazia Eurasiatica oggi dovrebbe porre all’ordine del giorno l’alleanza strategica e ideologica con Cina e Corea, senza dimenticare Nuova Dehli, come propose anni fa il leader del Partito comunista russo Zjuganov. Il modello putinista è perciò un modello classico di nazionalismo grande-russo, non panslavista né eurasiatista e nemmeno accentuatamente panrussista (come mostrano i tristi casi delle Repubbliche baltiche), o se si preferisce un modello di “gollismo in salsa russa”.
(Fine prima parte)
2 commenti:
Utile panoramica sul problema ma alquanto sommaria. Si , sono appena tratteggiate le componenti etniche che per l'impero zarista sono rimaste a margine della rivoluzione bolscevica. Le componenti religiose sono rimaste ignorate ed è sorprendente come dopo lo sfascio dell'URSS non abbiano provocato terremoti devastanti. Sì., ci ha provato la Cecenia ma tutto è naufragato nel sangue della repressione. Il problema tuttavia cova sotto la cenere perché i fermenti islamisti non sono certo scomparsi. Probabilmente i tempi non sono ancora maturi ...
Si , sono appena tratteggiate le componenti etniche che per l'impero zarista sono rimaste a margine della rivoluzione bolscevica
In che senso? non ho capito. Grazie
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