[ 6 marzo ]
La crociata antipopulista che le élite politiche, economiche, accademiche e mediatiche del mondo intero stanno conducendo negli ultimi anni, tende a presentare il proprio bersaglio come un fenomeno unico, sostanzialmente simile sotto ogni latitudine e in ogni continente: dai socialismi bolivariani a Podemos, da Marine Le Pen al Movimento 5 Stelle, da Alba Dorata alle destre dell’Est Europa, da Sanders a Trump passando per Putin. Questa semplificazione/banalizzazione, che ignora sistematicamente le differenze ideologiche, organizzative e programmatiche fra i vari movimenti e i rispettivi leader, più che ad analizzare il fenomeno, serve a svelare la natura e gli interessi del blocco di potere neoliberista, il quale si sforza con ogni mezzo di nascondere la crisi irreversibile in cui si dibatte e di reprimere le rivolte dei cittadini ridotti a sudditi.
Detto questo, occorre ammettere che le insorgenze populiste presentano effettivamente alcuni tratti comuni: in particolare l’opposizione fra noi e loro, alto/basso, popolo/élite (tipico lo slogan del movimento Occupy Wall Street che oppone “noi il 99%” all’1% dei super ricchi responsabili della crisi e dell’immiserimento delle classi medie); ma soprattutto la radicale, profonda sfiducia nei confronti della “casta”, di un sistema politico percepito come corrotto e inaffidabile (la rivolta argentina all’inizio del Duemila iniziò al grido “que se vayan todos”, uno slogan che incarna perfettamente questo rifiuto totale nei confronti della politica tradizionale). Questo secondo aspetto, che è trasversale e condiviso da tutti i populismi, ne rappresenta al tempo stesso uno dei punti deboli, nella misura in cui concentra la mobilitazione esclusivamente attorno al tema della corruzione del sistema politico, ignorandone le cause. Quando questo punto di vista prevale, si finisce inevitabilmente per neutralizzare il potenziale antisistemico dei movimenti, in quanto si alimenta l’illusione che basti sostituire amministratori onesti a quelli corrotti per risolvere i problemi che ci affliggono.
Ecco perché la svolta che il recente congresso di Vistalegre ha impresso al progetto politico di Podemos è di estrema importanza, in quanto sposta l’obiettivo strategico del movimento verso un vero e proprio cambio di civiltà, invece che verso un semplice cambio di governo.
La crociata antipopulista che le élite politiche, economiche, accademiche e mediatiche del mondo intero stanno conducendo negli ultimi anni, tende a presentare il proprio bersaglio come un fenomeno unico, sostanzialmente simile sotto ogni latitudine e in ogni continente: dai socialismi bolivariani a Podemos, da Marine Le Pen al Movimento 5 Stelle, da Alba Dorata alle destre dell’Est Europa, da Sanders a Trump passando per Putin. Questa semplificazione/banalizzazione, che ignora sistematicamente le differenze ideologiche, organizzative e programmatiche fra i vari movimenti e i rispettivi leader, più che ad analizzare il fenomeno, serve a svelare la natura e gli interessi del blocco di potere neoliberista, il quale si sforza con ogni mezzo di nascondere la crisi irreversibile in cui si dibatte e di reprimere le rivolte dei cittadini ridotti a sudditi.
Detto questo, occorre ammettere che le insorgenze populiste presentano effettivamente alcuni tratti comuni: in particolare l’opposizione fra noi e loro, alto/basso, popolo/élite (tipico lo slogan del movimento Occupy Wall Street che oppone “noi il 99%” all’1% dei super ricchi responsabili della crisi e dell’immiserimento delle classi medie); ma soprattutto la radicale, profonda sfiducia nei confronti della “casta”, di un sistema politico percepito come corrotto e inaffidabile (la rivolta argentina all’inizio del Duemila iniziò al grido “que se vayan todos”, uno slogan che incarna perfettamente questo rifiuto totale nei confronti della politica tradizionale). Questo secondo aspetto, che è trasversale e condiviso da tutti i populismi, ne rappresenta al tempo stesso uno dei punti deboli, nella misura in cui concentra la mobilitazione esclusivamente attorno al tema della corruzione del sistema politico, ignorandone le cause. Quando questo punto di vista prevale, si finisce inevitabilmente per neutralizzare il potenziale antisistemico dei movimenti, in quanto si alimenta l’illusione che basti sostituire amministratori onesti a quelli corrotti per risolvere i problemi che ci affliggono.
Manolo Monereo e Pablo Iglesias |
Ecco perché la svolta che il recente congresso di Vistalegre ha impresso al progetto politico di Podemos è di estrema importanza, in quanto sposta l’obiettivo strategico del movimento verso un vero e proprio cambio di civiltà, invece che verso un semplice cambio di governo.
Tale svolta trova espressione anche sul terreno linguistico attraverso la proposta di sostituire il termine casta con quello di trama. Ne spiega le ragioni un articolo apparso sulla testata El Confidencial che fa riferimento al promotore di questa innovazione, il deputato di Cordoba Manolo Monereo (vedere in proposito il libro da lui pubblicato con Hector Illueca poco più di un anno fa, con il titolo “Por un nuevo proyecto de pais”).
Il ragionamento di Monereo e Illueca prende le mosse dall’esigenza di definire con chiarezza il nemico. Palare di casta significa dare per scontato che questi è in primo luogo la classe politica, ma così si distrae l’attenzione dal vero nemico, vale a dire da quel processo di concentrazione oligarchica che unifica e centralizza i tre grandi poteri —economico, politico e mediatico— che oggi gestiscono stato e società. È giusto puntare il dito contro i corrotti, ma ciò non deve farci dimenticare i corruttori (cioè le élite economiche) né chi ne difende e diffonde le idee e i valori (cioè i media). Parlare di trama vuol dire alludere al meccanismo unificato che organizza una sorta di “matrice” del potere in cui convergono il capitalismo monopolista finanziario, i poteri mediatici e una classe politica strutturata secondo uno schema bipartitico (conservatori/”progressisti”) e totalmente subordinata agli interessi del capitale.
Nello specifico spagnolo (ma la diagnosi è estendibile a tutti i paesi del Sud Europa) questa trama oligarchica è a sua volta subordinata agli interessi transnazionali dell’Unione Europea, interessi che essa difende e garantisce attraverso politiche antipopolari e in palese contrasto con gli interessi del Paese. Infine Monereo e Illueca descrivono il popolo che Podemos deve organizzare politicamente in termini classicamente gramsciani: vale a dire come un blocco sociale delle classi subalterne, al quale non va offerta la soluzione di un governo alternativo nel quadro istituzionale esistente, bensì quella di un processo costituente capace di legittimare nuove istituzioni democratiche e di garantire la sovranità e l’indipendenza nazionale del popolo iberico. Forse nella nostra lingua il termine trama suona meno efficace che in quella spagnola, però è comunque il caso di inventare definizioni del nemico più appropriate della parola casta.
Il ragionamento di Monereo e Illueca prende le mosse dall’esigenza di definire con chiarezza il nemico. Palare di casta significa dare per scontato che questi è in primo luogo la classe politica, ma così si distrae l’attenzione dal vero nemico, vale a dire da quel processo di concentrazione oligarchica che unifica e centralizza i tre grandi poteri —economico, politico e mediatico— che oggi gestiscono stato e società. È giusto puntare il dito contro i corrotti, ma ciò non deve farci dimenticare i corruttori (cioè le élite economiche) né chi ne difende e diffonde le idee e i valori (cioè i media). Parlare di trama vuol dire alludere al meccanismo unificato che organizza una sorta di “matrice” del potere in cui convergono il capitalismo monopolista finanziario, i poteri mediatici e una classe politica strutturata secondo uno schema bipartitico (conservatori/”progressisti”) e totalmente subordinata agli interessi del capitale.
Nello specifico spagnolo (ma la diagnosi è estendibile a tutti i paesi del Sud Europa) questa trama oligarchica è a sua volta subordinata agli interessi transnazionali dell’Unione Europea, interessi che essa difende e garantisce attraverso politiche antipopolari e in palese contrasto con gli interessi del Paese. Infine Monereo e Illueca descrivono il popolo che Podemos deve organizzare politicamente in termini classicamente gramsciani: vale a dire come un blocco sociale delle classi subalterne, al quale non va offerta la soluzione di un governo alternativo nel quadro istituzionale esistente, bensì quella di un processo costituente capace di legittimare nuove istituzioni democratiche e di garantire la sovranità e l’indipendenza nazionale del popolo iberico. Forse nella nostra lingua il termine trama suona meno efficace che in quella spagnola, però è comunque il caso di inventare definizioni del nemico più appropriate della parola casta.
* Fonte: Micromega
1 commento:
Scusate spiegate a Formenti che il suo discorso non deve essere letto solo dagli anziani signori che frequentano le pallosissime riunioni politiche ma DEVE INTERESSARE E ESSERE CAPITO DAL POPOLO.
Allora se tu parli del "capitale" come se fosse il nome di un signore la gente smette subito di seguirti.
Perché funziona la storia della "casta"?
Perché indichi dell persone riconoscibili alle quali i cittadini possono dare un nome e un cognome.
Bisogna saper "NOMINARE IL NEMICO".
Per quanto riguarda la "trama" in italiano basta dire "le oligarchie" e capiscono tutti.
Solo che se poi non nomini e non identifichi non funziona.
Di questo parlava Guy Debord nella "Società dello spettacolo".
I politici sono come i divi del cinema e della musica che esistono solo come pupazzi che la gente scambia per i veri potenti quindi adorandoli ma potendo anche criticarli aspramente senza per questo minacciare minimamente l'ordine costituito.
Ma qualcuno da "nominare" deve esistere altrimenti la gente ripiega sulla "casta".
Posta un commento