[ 12 agosto ]
Ragazzi, questa sì che è una notizia!
Ragazzi, questa sì che è una notizia!
Bertinotti ne ha detta una giusta. Anzi, ben quattro cose giuste tutte insieme, in una breve intervista a la Repubblica. Una roba che non gli capitava da decenni. E dunque da annotare con piacere.
L'occasione è stata un po' casuale. Gliel'ha fornita Renzi che, ad una festa dell'Unità nel modenese, ha parlato di "Sindrome Bertinotti" come simbolo dell'instabilità delle coalizioni di governo. Ora, questa leggenda del Bertinotti che faceva saltare i governi è davvero una bufala coi fiocchi. Nel gennaio 2008, quando il governo Prodi cadde su iniziativa di Mastella, ma dopo essere stato già delegittimato dal neo-segretario piddino Veltroni, la colpa toccò curiosamente a Rifondazione Comunista, i cui parlamentari dopo essersi tranquillamente votati di tutto (incluso il finanziamento alla "missione" in Afghanistan) rimasero a fare la guardia dell'ormai vuoto bidone prodiano fino all'ultimo istante. Quasi commoventi.
Ma lasciamo perdere. La leggenda del Bertinotti sabotatore dei governi di centrosinistra - magari lo fosse stato! - fa comodo a troppi, ed è inevitabile che il più incallito tra i venditori di luoghi comuni attualmente sulla scena ne faccia uso senza ritegno.
Quel che invece dobbiamo rilevare sono le risposte di Bertinotti al suo intervistatore. Ben lungi dal difendersi dalle trite accuse renziane, sposta il discorso su questioni di sostanza.
Riportiamo queste tre risposte al giornalista Andrea Carugati.
La prima è l'affermazione sulla continuità del ventennio che va da Prodi a Renzi. La seconda è quella sul fatto che il centrosinistra, e non solo in Italia, è stata - ben più della destra - la parte politica responsabile della gestione delle politiche di austerità al servizio delle oligarchie finanziarie. La terza è che l'esito del referendum non dipende certo dal posizionamento della ridicola sinistra piddina, quanto piuttosto dalla rivolta popolare (il "basso") contro le élite (l'"alto). La quarta, meno esplicita ma pur sempre significativa, è il riferimento in qualche modo positivo alla Brexit.
Roba pesante come si vede. Che ben poco ha a che fare con l'attuale blaterare nel vuoto dei suoi confusi epigoni, sia nel campo falcemartellato di Rifondazione che in quello ancora più fumoso dei sellini.
Eh già, bel problema quello dell'eredità politica! Prendete, ad esempio, quel che ha combinato ieri alla Camera il sellino Sannicandro, che per giustificare la difesa degli stipendi dei parlamentari ha gridato che loro (i deputati) non appartengono mica «all'ultima categoria dei metalmeccanici»! Ci mancherebbe altro!...
Ecco, forse nel quadretto regalatoci dal parlamentare pugliese Sannicandro si capisce cosa sono l'alto e il basso, ma si capisce soprattutto dove tende a collocarsi con naturalezza la sinistra sinistrata. E poi ci si meraviglia se i ceti popolari guardano sempre più altrove, assimilando l'attuale "sinistra" alle èlite che ci hanno portato dove sappiamo.
Detto questo dobbiamo però tornare a Fausto Bertinotti. Le tesi sommariamente esposte nell'intervista sono da sottoscrivere. Ma se quel che è stato detto è giusto, troppe sono le cose non dette. Facciamola corta: se - testuale e pienamente condivisibile - «Il centrosinistra degli anni Novanta è stato la culla delle politiche che Renzi attua oggi», com'è possibile non accennare minimamente agli errori commessi?
Errori che vanno dal 1994-1996 - prima l'alleanza con Occhetto, poi la desistenza e quindi l'appoggio esterno al primo governo Prodi - al 2008, con la morte del governo e della maggioranza unionista che aveva portato il Nostro sullo scranno più alto di Montecitorio. Quattordici anni (14) e quattro legislature, in termini politici un'eternità.
Bene, su quei 14 anni da leader di Rifondazione Bertinotti tace. Eppure sono gli anni che hanno portato il partito di cui era segretario dall'essere una concreta speranza ad essere la certezza del nulla.
Chi scrive è convinto da sempre che se il Prc avesse scelto la rottura strategica con il centrosinistra già nel 1995 (governo Dini), quel partito sarebbe arrivato vivo e vegeto al decisivo appuntamento con le dinamiche sociali prodotte dalla crisi economica iniziata nel 2008. Le rotture, che pure ci sono state come nel 1998, hanno sempre avuto invece un carattere tattico, parziale e temporaneo; momenti transitori in cui si coltivava l'alleanza futura. E' arrivato così il 2006, che non poteva non portare con se la disfatta del 2008.
Su questo Bertinotti - che se non è l'unico responsabile del disastro, di certo è il più importante - tace. Eppure le conseguenze di quel posizionamento subalterno, ed in alcuni momenti financo servile nei confronti del centrosinistra, sono state semplicemente letali. Probabilmente l'ex segretario del Prc sa che se il suo partito avesse mantenuto in quegli anni la necessaria autonomia politica dal centrosinistra, molte sarebbero state le possibilità di raccogliere la spinta antisistemica che ha fatto invece emergere M5S.
Riconoscerlo non sarebbe male.
L'occasione è stata un po' casuale. Gliel'ha fornita Renzi che, ad una festa dell'Unità nel modenese, ha parlato di "Sindrome Bertinotti" come simbolo dell'instabilità delle coalizioni di governo. Ora, questa leggenda del Bertinotti che faceva saltare i governi è davvero una bufala coi fiocchi. Nel gennaio 2008, quando il governo Prodi cadde su iniziativa di Mastella, ma dopo essere stato già delegittimato dal neo-segretario piddino Veltroni, la colpa toccò curiosamente a Rifondazione Comunista, i cui parlamentari dopo essersi tranquillamente votati di tutto (incluso il finanziamento alla "missione" in Afghanistan) rimasero a fare la guardia dell'ormai vuoto bidone prodiano fino all'ultimo istante. Quasi commoventi.
Ma lasciamo perdere. La leggenda del Bertinotti sabotatore dei governi di centrosinistra - magari lo fosse stato! - fa comodo a troppi, ed è inevitabile che il più incallito tra i venditori di luoghi comuni attualmente sulla scena ne faccia uso senza ritegno.
Quel che invece dobbiamo rilevare sono le risposte di Bertinotti al suo intervistatore. Ben lungi dal difendersi dalle trite accuse renziane, sposta il discorso su questioni di sostanza.
Riportiamo queste tre risposte al giornalista Andrea Carugati.
«Renzi, citandola, paragona se stesso a Prodi. Condivide?"Lui rivendica l'eredità di quel centrosinistra, che effettivamente parte con Prodi e finisce con Renzi. Capisco che i nostalgici dell'Ulivo possano soffrire ma è la verità. C'è stata una involuzione? Non spetta a me dare giudizi, io dico che c'è continuità e non riguarda solo l'Italia. Vale per Manuel Valls, e per le altre socialdemocrazie che hanno subito una mutazione genetica".Quali sono le quattro cose giuste in queste risposte?
Bersani non sarebbe d'accordo..."Chi ha governato la globalizzazione? Chi ha inventato i trattati di Maastricht? Chi ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione? L'unica critica fondata a Renzi, come a Valls, è di essere i gestori delle politiche di austerity elaborate dal capitalismo finanziario globale. Il centrosinistra degli anni Novanta è stato la culla delle politiche che Renzi attua oggi".
Se al referendum la minoranza dem vota no, Renzi rischia di finire come Prodi sotto i colpi di Rifondazione?"L'esito del referendum non dipende dalla manovre dentro il ceto politico. Ma dal rapporto tra "alto" e "basso" della società, come in Gran Bretagna. Per chi sta in basso, le forze che stanno in alto sono sostanzialmente omologate. Il No fonda le sue radici sul basso e per questo ha maggiori chance di successo..."».
La prima è l'affermazione sulla continuità del ventennio che va da Prodi a Renzi. La seconda è quella sul fatto che il centrosinistra, e non solo in Italia, è stata - ben più della destra - la parte politica responsabile della gestione delle politiche di austerità al servizio delle oligarchie finanziarie. La terza è che l'esito del referendum non dipende certo dal posizionamento della ridicola sinistra piddina, quanto piuttosto dalla rivolta popolare (il "basso") contro le élite (l'"alto). La quarta, meno esplicita ma pur sempre significativa, è il riferimento in qualche modo positivo alla Brexit.
Roba pesante come si vede. Che ben poco ha a che fare con l'attuale blaterare nel vuoto dei suoi confusi epigoni, sia nel campo falcemartellato di Rifondazione che in quello ancora più fumoso dei sellini.
Eh già, bel problema quello dell'eredità politica! Prendete, ad esempio, quel che ha combinato ieri alla Camera il sellino Sannicandro, che per giustificare la difesa degli stipendi dei parlamentari ha gridato che loro (i deputati) non appartengono mica «all'ultima categoria dei metalmeccanici»! Ci mancherebbe altro!...
Ecco, forse nel quadretto regalatoci dal parlamentare pugliese Sannicandro si capisce cosa sono l'alto e il basso, ma si capisce soprattutto dove tende a collocarsi con naturalezza la sinistra sinistrata. E poi ci si meraviglia se i ceti popolari guardano sempre più altrove, assimilando l'attuale "sinistra" alle èlite che ci hanno portato dove sappiamo.
Detto questo dobbiamo però tornare a Fausto Bertinotti. Le tesi sommariamente esposte nell'intervista sono da sottoscrivere. Ma se quel che è stato detto è giusto, troppe sono le cose non dette. Facciamola corta: se - testuale e pienamente condivisibile - «Il centrosinistra degli anni Novanta è stato la culla delle politiche che Renzi attua oggi», com'è possibile non accennare minimamente agli errori commessi?
Errori che vanno dal 1994-1996 - prima l'alleanza con Occhetto, poi la desistenza e quindi l'appoggio esterno al primo governo Prodi - al 2008, con la morte del governo e della maggioranza unionista che aveva portato il Nostro sullo scranno più alto di Montecitorio. Quattordici anni (14) e quattro legislature, in termini politici un'eternità.
Bene, su quei 14 anni da leader di Rifondazione Bertinotti tace. Eppure sono gli anni che hanno portato il partito di cui era segretario dall'essere una concreta speranza ad essere la certezza del nulla.
Chi scrive è convinto da sempre che se il Prc avesse scelto la rottura strategica con il centrosinistra già nel 1995 (governo Dini), quel partito sarebbe arrivato vivo e vegeto al decisivo appuntamento con le dinamiche sociali prodotte dalla crisi economica iniziata nel 2008. Le rotture, che pure ci sono state come nel 1998, hanno sempre avuto invece un carattere tattico, parziale e temporaneo; momenti transitori in cui si coltivava l'alleanza futura. E' arrivato così il 2006, che non poteva non portare con se la disfatta del 2008.
Su questo Bertinotti - che se non è l'unico responsabile del disastro, di certo è il più importante - tace. Eppure le conseguenze di quel posizionamento subalterno, ed in alcuni momenti financo servile nei confronti del centrosinistra, sono state semplicemente letali. Probabilmente l'ex segretario del Prc sa che se il suo partito avesse mantenuto in quegli anni la necessaria autonomia politica dal centrosinistra, molte sarebbero state le possibilità di raccogliere la spinta antisistemica che ha fatto invece emergere M5S.
Riconoscerlo non sarebbe male.
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