[ 20 novembre ]
Il Seminario per un nuovo movimento politico di unità popolare (Roma, 12-13 dicembre) è alle porte.
Il Consiglio nazionale di Ora-Costituente, riunitosi a Bologna l' 8 novembre scorso, ha licenziato i documenti per i cinque tavoli di lavoro previsti. Presentiamo il primo, frutto di una lunga e vivace discussione. Ne è valsa la pena, data la qualità del documento.
Il Consiglio nazionale di Ora-Costituente, riunitosi a Bologna l' 8 novembre scorso, ha licenziato i documenti per i cinque tavoli di lavoro previsti. Presentiamo il primo, frutto di una lunga e vivace discussione. Ne è valsa la pena, data la qualità del documento.
QUI le informazioni per compagni ed i cittadini che vogliano darci una mano e partecipare al Seminario. Astenersi perditempo.
Cos’e il socialismo?
Esso può essere racchiuso in una proposizione: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Il fallimento dei primi tentativi di passare al socialismo
* * *
Il capitalismo non funziona
Il sistema capitalistico —grazie allo sfruttamento
senza precedenti delle capacità produttive e creative del lavoro, all’uso
sistematico delle risorse naturali, ed all’applicazione su larga scala delle
nuove scoperte tecnico-scientifiche— ha prodotto progressi economici, sociali e
civili senza precedenti.
Questo sistema non ha solo conservato le diseguaglianze e gli antagonismi tra le classi sociali, è segnato da una menomazione congenita: i beni vengono prodotti come merci, cioè come cose finalizzate a soddisfare la brama di profitto della esigua minoranza dei detentori di capitale, le esigenze della società nel suo insieme essendo solo un pretesto.
Questo sistema non ha solo conservato le diseguaglianze e gli antagonismi tra le classi sociali, è segnato da una menomazione congenita: i beni vengono prodotti come merci, cioè come cose finalizzate a soddisfare la brama di profitto della esigua minoranza dei detentori di capitale, le esigenze della società nel suo insieme essendo solo un pretesto.
Mossi da questa brama i capitali, in accanita
concorrenza fra loro sono costretti, ognuno per non soccombere, ad investimenti
crescenti ed a sfornare merci senza limiti, a tal punto che, esssendosene
prodotte troppe, esse non possono essere vendute a prezzi che consegnino il
profitto atteso. Il valore economico dei capitali crolla, con la conseguenza
che molte imprese chiudono i battenti, interi paesi sprofondano nel marasma,
masse enormi di lavoratori gettati sul lastrico e dunque costretti ad accettare
condizioni di vita miserabili.
E’ la crisi generale, come quella il sistema conosce
oggigiorno.
Ogni crisi generale accentua diseguaglianze e
conflitti sociali, causa il collasso della democrazia e la nascita di regimi di
tirannia, accresce la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi grandi
gruppi monopolistici, accentua i contrasti tra le diverse potenze. I fiumi di
sangue e le immani distruzioni delle due guerre mondiali sono la prova provata
che il sistema capitalistico è una minaccia per l’intera umanità e la vita
stessa sulla terra. L’iper-finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione
e la concentrazione della ricchezza nelle mani di poche centinaia di
multinazionali, aggravano e non attenuano i conflitti all’interno delle nazioni
e fra le nazioni. Un crollo generale dalle conseguenze catastrofiche è
probabile.
Un’alternativa di società è necessaria. Noi la
chiamiamo socialismo.
Cos’e il socialismo?
Esso può essere racchiuso in una proposizione: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
E’ l’idea di una società in cui il lavoro non sia una
condanna alla schiavitù per valorizzare il capitale ma un’attività necessaria
per vivere tutti meglio; in cui si produca e si consumi quanto basta per
condurre una vita dignitosa; dove l’eguaglianza formale nella sfera politica
sia sostanziale; in cui forze produttive e scienza siano orientate ad
assicurare il bene comune e non i privilegi di pochi.
Quest’idea, per cui masse sterminate di uomini e donne
hanno combattuto segnando nel profondo la storia, è considerata dalle classi
dominanti, che hanno il monopolio dei mezzi d’informazione, come un’utopia.
E’ invece un’idea ragionevole quella per cui i settori strategici di produzione e di scambio, oggi monopolio di una minoranza assetata di profitto, diventino proprietà pubblica e vengano amministrati e gestiti dai lavoratori associati, siano essi manuali che intellettuali. Già oggi i grandi capitalisti, quelli che mettono il capitale, poco o niente sanno dei reali processi produttivi delle loro aziende, e nulla potrebbero senza l’ausilio del personale tecnico e amministrativo dirigente.
E’ invece un’idea ragionevole quella per cui i settori strategici di produzione e di scambio, oggi monopolio di una minoranza assetata di profitto, diventino proprietà pubblica e vengano amministrati e gestiti dai lavoratori associati, siano essi manuali che intellettuali. Già oggi i grandi capitalisti, quelli che mettono il capitale, poco o niente sanno dei reali processi produttivi delle loro aziende, e nulla potrebbero senza l’ausilio del personale tecnico e amministrativo dirigente.
Grazie all’enorme progresso delle tecnologie sarebbe
ben possibile lavorare tutti meno e meglio. I dominanti invece fanno il
contrario: usano questo progresso per ridurre i dipendenti, sfruttandoli di più
e condannando masse sempre più ampie alla precarizzazione ed alla
disoccupazione perpetua.
La società dev’essere concepita come una totalità
organica, i diversi settori sono arti dell’unico corpo sociale, di qui la
necessità che l’economia sia sottratta alle cieche leggi di mercato, con
un’allocazione efficiente e giusta delle risorse, dei beni, quindi
razionalmente organizzata, finalizzata a soddisfare i plurimi bisogni del
genere umano, il tutto nel pieno rispetto di Madre natura. Alla concezione
feticistica che la ricchezza consiste nell’ammucchiare denaro —che
inevitabilmente implica la lotta egoistica di una minoranza a spese della
maggioranza per possederne sempre di più— noi opponiamo quella per cui una
società è tanto più ricca quanto più riesce ad assicurare ai cittadini una vita
buona, soddisfando i loro variopinti bisogni, materiali e spirituali.
Nel secolo scorso, dopo quello russo, diversi popoli,
sotto la guida di potenti partiti comunisti, si sono incamminati sulla via del
socialismo.
Quei tentativi, dopo enormi successi iniziali, si sono
conclusi in un fallimento. Ciò non è dipeso solo dalle difficoltà legate ad
ogni grande processo di trasformazione sociale, ma da alcuni errori basilari
insiti nella stessa teoria politica dei comunisti, cinque spiccano sugli altri.
(1) I comunisti erano convinti che la classe proletaria possedesse un’intrinseca e spontanea vocazione rivoluzionaria, quindi la capacità di guidare il passaggio al socialismo. Questa vocazione non è invece innata, che essa si manifesti dipende dalle mutevoli condizioni storiche e sociali. Anche per il proletariato vale che davanti alle difficoltà la spinta al cambiamento si può rovesciare nel suo opposto.
(2) I comunisti erano convinti che la statizzazione integrale dei mezzi di produzione sarebbe sfociata necessariamente nella completa socializzazione e autogestione. Si è verificato invece che il potere è finito presto nelle mani di un ceto dirigente professionale che lo ha utilizzato per imporre la propria supremazia politica e sociale e difendere i suoi privilegi.
(1) I comunisti erano convinti che la classe proletaria possedesse un’intrinseca e spontanea vocazione rivoluzionaria, quindi la capacità di guidare il passaggio al socialismo. Questa vocazione non è invece innata, che essa si manifesti dipende dalle mutevoli condizioni storiche e sociali. Anche per il proletariato vale che davanti alle difficoltà la spinta al cambiamento si può rovesciare nel suo opposto.
(2) I comunisti erano convinti che la statizzazione integrale dei mezzi di produzione sarebbe sfociata necessariamente nella completa socializzazione e autogestione. Si è verificato invece che il potere è finito presto nelle mani di un ceto dirigente professionale che lo ha utilizzato per imporre la propria supremazia politica e sociale e difendere i suoi privilegi.
(3) I comunisti erano convinti che la pianificazione
economica avrebbe non solo evitato gli squilibri tra settori economici ma, ipso facto, soppresso l’economia mercantile, producendo una crescente
eguaglianza sostanziale e abolito ogni forma di oppressione e di antagonismo
sociale. Abbiamo visto invece che la pianificazione può creare nuovi squilibri
sociali, convivere con la produzione mercantile, causare non solo spreco e
distruzione di risorse naturali e sociali, diventando un freno allo sviluppo
sociale ed economico.
(4) I comunisti erano convinti che il “regime
proletario” oltre che di breve durata avrebbe soppresso la stessa democrazia (“borghese”)
lasciando il posto ad un regime libertario integrale e senza Stato. Invece di
questa chimera esso si è pietrificato ben presto in un regime dispotico e
antidemocratico.
(5) I comunisti erano convinti che una volta mutata la
struttura economica della società le sovrastrutture, i modi di vita e la sfera
spirituale si sarebbero adeguate pressoché automaticamente. Costumi, idee,
visioni del mondo, date le loro profonde radici, hanno dimostrato invece una
capacità di resistenza formidabile.
Il socialismo che immaginiamo
Chiamiamo socialismo il sistema che si organizza e si
struttura affinché gli uomini possano ridurre al minimo la durata del tempo di
lavoro, accrescendo invece quello libero, affinché, al di là del riposo, egli
possa dedicare questo suo tempo, una volta soddisfatti i bisogni primari, a
realizzare quelli immateriali, a nutrire il suo spirito, estrinsecando le sue
molteplici facoltà ed attitudini, dedicandosi infine alla cura delle faccende
politiche e comunitarie.
Affinché ciò possa accadere sono necessarie tre condizioni: il massimo sviluppo delle forze produttive materiali e spirituali, ovvero il più alto grado d’automazione e informatizzazione dei processi lavorativi e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica; una nuova e qualitativa gerarchia dei bisogni, quindi nuove concezioni di sviluppo e di benessere, opposte a quelle oggi imperanti, consumistiche e feticistiche; ed infine uno Stato che sia effettiva espressione della sovranità popolare
Grazie a ciò sarà davvero possibile ottenere da ciascuno secondo le sue possibilità, e dare ad ognuno secondo i suoi bisogni, abolendo quindi non solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma ogni forma di oppressione politica e di saccheggio delle risorse naturali.
Questo socialismo implica la proprietà pubblica dei principali settori strategici dell’economia (non quindi non l’abolizione della proprietà privata tout court) ed uno Stato che funga da sentinella del nuovo ordinamento sociale e democratico e che assicuri a tutti i cittadini non solo l’esercizio dei diritti di libertà, ma pure la fruizione di quelli al lavoro, all’istruzione, alle cure sanitarie, nonché quello ad un reddito di base universale.
Non basta l’eguaglianza sul piano economico. La libertà di pensiero, di parola, di associazione politica, di stampa, di fede religiosa sono principi inalienabili della persona. Eguaglianza sociale e libertà individuali e collettive sono indissolubili.
Il socialismo che auspichiamo, contrariamente a quanto hanno utopisticamente immaginato i primi socialisti, Marx compreso, lungi dal fare sparire la democrazia la estenderà, permarrà dunque l’organizzazione statuale, come necessaria espressione politica e amministrativa della comunità.
Affinché ciò possa accadere sono necessarie tre condizioni: il massimo sviluppo delle forze produttive materiali e spirituali, ovvero il più alto grado d’automazione e informatizzazione dei processi lavorativi e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica; una nuova e qualitativa gerarchia dei bisogni, quindi nuove concezioni di sviluppo e di benessere, opposte a quelle oggi imperanti, consumistiche e feticistiche; ed infine uno Stato che sia effettiva espressione della sovranità popolare
Grazie a ciò sarà davvero possibile ottenere da ciascuno secondo le sue possibilità, e dare ad ognuno secondo i suoi bisogni, abolendo quindi non solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma ogni forma di oppressione politica e di saccheggio delle risorse naturali.
Questo socialismo implica la proprietà pubblica dei principali settori strategici dell’economia (non quindi non l’abolizione della proprietà privata tout court) ed uno Stato che funga da sentinella del nuovo ordinamento sociale e democratico e che assicuri a tutti i cittadini non solo l’esercizio dei diritti di libertà, ma pure la fruizione di quelli al lavoro, all’istruzione, alle cure sanitarie, nonché quello ad un reddito di base universale.
Non basta l’eguaglianza sul piano economico. La libertà di pensiero, di parola, di associazione politica, di stampa, di fede religiosa sono principi inalienabili della persona. Eguaglianza sociale e libertà individuali e collettive sono indissolubili.
Il socialismo che auspichiamo, contrariamente a quanto hanno utopisticamente immaginato i primi socialisti, Marx compreso, lungi dal fare sparire la democrazia la estenderà, permarrà dunque l’organizzazione statuale, come necessaria espressione politica e amministrativa della comunità.
Non si giungerà al socialismo con pochi assalti
frontali.
L’esperienza ci consegna numerose evidenze che esso
sarà invece frutto di un lungo e difficile processo fatto di trasformazioni,
successive, grandi e piccole. L’economia capitalistica non può essere abolita
per decreto, così come non potranno essere soppresse dal giorno alla notte le
forze mercantili. Con queste si dovrà convivere a lungo. Per tutto un
periodo, che nessuno può stabilire in anticipo, avremo quindi un’economia
mista, pluralista.
Settori e forme capitalistici coabiteranno con quelli nazionalizzati, con quelli dei beni comuni, cooperativi, nonché quelli socialisti nascenti, che cioè produrranno e si scambieranno i beni non per ricavare un profitto ma come beni diretti a soddisfare i bisogni della comunità, privandoli così della loro forma merce.
Settori e forme capitalistici coabiteranno con quelli nazionalizzati, con quelli dei beni comuni, cooperativi, nonché quelli socialisti nascenti, che cioè produrranno e si scambieranno i beni non per ricavare un profitto ma come beni diretti a soddisfare i bisogni della comunità, privandoli così della loro forma merce.
La politica avrà il posto di comando e lo Stato,
grazie alla nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia e del
sistema bancario, sarà non solo regolatore ma attore economico primario.
L’emissione monetaria sarà monopolio dello stato, che dovrà tendere progressivamente
ad impedire che la moneta, nella forma di denaro, sia tesaurizzabile come
capitale privato. Il sistema fiscale sarà progressivo, finalizzato a sostenere
i comparti quali la scuola, lo sviluppo scientifico, la sanità, la tutela ambientale,
il patrimonio artistico e culturale, e tutti quei cittadini inadatti al lavoro.
La pianificazione economica dovrà procedere per gradi. Pur riguardando direttamente solo i settori nazionalizzati, dei beni comuni e dei servizi, essa dovrà tendere dunque ad armonizzare e sincronizzare i diversi settori economici evitando tra essi una competizione selvaggia, tendendo al massimo equilibrio e al minimo spreco di risorse e lavoro.
Affinché programmazione e pianificazione diano il massimo dei frutti si farà affidamento ad un articolato sistema di consultazione che dal basso salga verso l’alto, mettendo in rete le informazioni e le istanze dei cittadini, organizzati in comitati di base, sia di produttori che di consumatori.
Le forme di produzione e di scambio privatistiche potranno essere vinte solo se saranno superate, solo cioè se le nuove modalità nazionalizzate e socializzate di produzione e di scambio si riveleranno al contempo più efficaci e meno divoratrici di risorse naturali ed umane.
Lo Stato di diritto sarà esteso ed assicurata la divisione tra i poteri dello Stato, con l’eleggibilità di tutte le principali cariche pubbliche, di cui quello supremo è l’Assemblea legislativa, i cui membri, eletti a suffragio universale, saranno revocabili ed eletti con sistema proporzionale.
Nella sfera dei mezzi di comunicazione dovrà essere assicurata la massima pluralità.
Con la conquista del potere da parte delle masse lavoratrici inizierà una lunga “guerra di posizione”, la società sarà un campo di battaglia in cui la posta in palio sarà il futuro stesso della comunità nazionale.
Nessuna vittoria è irreversibile. Il popolo lavoratore, una volta strappato il potere, potrà mantenerlo se saprà assicurarsi, assieme al sostegno della più ampia maggioranza dei cittadini della nazione, l’amicizia e la solidarietà dei popoli di altri paesi.
La pianificazione economica dovrà procedere per gradi. Pur riguardando direttamente solo i settori nazionalizzati, dei beni comuni e dei servizi, essa dovrà tendere dunque ad armonizzare e sincronizzare i diversi settori economici evitando tra essi una competizione selvaggia, tendendo al massimo equilibrio e al minimo spreco di risorse e lavoro.
Affinché programmazione e pianificazione diano il massimo dei frutti si farà affidamento ad un articolato sistema di consultazione che dal basso salga verso l’alto, mettendo in rete le informazioni e le istanze dei cittadini, organizzati in comitati di base, sia di produttori che di consumatori.
Le forme di produzione e di scambio privatistiche potranno essere vinte solo se saranno superate, solo cioè se le nuove modalità nazionalizzate e socializzate di produzione e di scambio si riveleranno al contempo più efficaci e meno divoratrici di risorse naturali ed umane.
Lo Stato di diritto sarà esteso ed assicurata la divisione tra i poteri dello Stato, con l’eleggibilità di tutte le principali cariche pubbliche, di cui quello supremo è l’Assemblea legislativa, i cui membri, eletti a suffragio universale, saranno revocabili ed eletti con sistema proporzionale.
Nella sfera dei mezzi di comunicazione dovrà essere assicurata la massima pluralità.
Con la conquista del potere da parte delle masse lavoratrici inizierà una lunga “guerra di posizione”, la società sarà un campo di battaglia in cui la posta in palio sarà il futuro stesso della comunità nazionale.
Nessuna vittoria è irreversibile. Il popolo lavoratore, una volta strappato il potere, potrà mantenerlo se saprà assicurarsi, assieme al sostegno della più ampia maggioranza dei cittadini della nazione, l’amicizia e la solidarietà dei popoli di altri paesi.
Difendiamo quindi, dagli assalti dei suoi numerosi
nemici, la Costituzione repubblicana del 1948 la quale, raccogliendo l’eredità
delle secolari lotte democratiche contro ogni forma di tirannia politica e
quelle delle classi lavoratrici per la loro definitiva liberazione sociale,
rappresenta per noi, al contempo, un punto d’appoggio ed una bussola per
trasformare la società.
4 commenti:
Tutto giusto. Non si può usare un altro nome che non sia socialismo?
La domanda è molto singolare, strana forse, ma può avere una sua motivazione nel fatto che il vocabolo "Socialismo" è stato purtroppo assai abusato soprattutto nel secolo XX ed è arrivato al punto che, dal punto di vista politico e psicologico evoca un concetto logoro per le troppe occasioni anche improprie nelle quali ha fatto da bandiera. Così il vocabolo rischia di evocare in molti reazioni "di rigetto" anche irrazionali.
Il difficile sarebbe sostituirlo in modo che tali reazioni dii rigetto non avessero luogo.
Un tempo si usava talvolta il concetto di "umanitarismo" che tuttavia potrebbe anche applicarsi alla stessa "filosofia" del Cristianesimo e che, anticamente, poteva adattarsi anche allo stoicismo. Chi rappresenta l'idea dei Socialismo meglio di tanti altri, è forse Gian Giacomo Rousseau . In definitiva il Socialismo sarebbe un'alleanza fra umani che si ispirasse ai concetti di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, concetti tipici dell'Illuminismo.
Anonimo delle 13:04
Bravo, però non è che la parola susciti reazioni irrazionali a me, le suscita al "popolo".
Ora a meno che non vogliate mettere su la solita pirlata di pseudo movimento destinato sin dall'inizio alla più desolante marginalità dovete usare parole che la gente sia disposta ad accettare.
Socialismo, comunismo, lotta di classe sono parole che portano inevitabilmente alla sconfitta.
Metto una didascalia dato che molti di voi non sono famosi per l'elasticità mentale: le parole sono da cambiare i concetti no, ok?
Sono della stessa opinione dei commentatori "Anonimi" che mi hanno preceduto, purtroppo se si intende proseguire non incagliarsi definitivamente nei distinguo (che dividono o che scoraggiano) si necessita trovare un'altra terminologia e ribadisco, non altri concetti.
Il problema della Comunicazione non è secondario ma ha pari peso di quello dei concetti ed obbiettivi che si intendono promuovere e realizzare. Per cui necessita fare uno sforzo creativo per trasmettere un idea che non è mai morta (per fortuna), ma farla vivere nel presente e farla arrivare a più soggetti possibili.
Posta un commento