16 dicembre.
Volentieri pubblichiamo questo bell'intervento dell'amico e compagno Sergio Cesaratto (nella foto)
«Le posizioni che Stefano Fassina ha espresso nelle passate settimane su (a) l’insostenibilità dell’euro a fronte del venir meno delle speranze di un cambiamento delle politiche europee, e (b) il fallimento di una dimensione democratica europea sovranazionale e la necessità di ripristinare una sovranità democratica nazionale, segnano una novità assoluta nel panorama della sinistra italiana. Sinora per ritrovare posizioni simili, la cui elaborazione in questi anni è ascrivibile a una manciata di economisti di sinistra, si doveva andare a cercare nei meandri delle sinistre più estreme, oppure a destra. Esaminiamo i due punti.
L’Europa non cambia
Le radici dell’assenza di speranze di un cambiamento significativo delle politiche europee vanno rintracciate nella costituzione economica tedesca fondata dall’immediato dopoguerra sul neo-mercantilismo. L’asse di questa politica è consistito di politiche distributive e fiscali interne moderate, sì da tenere il tasso di inflazione inferiore quello dei partner/concorrenti, ai quali veniva lasciato il compito di espandere la propria domanda interna seguendo ricette keynesiane. Tutto questo nel quadro di sistemi di cambio fissi che hanno dominato, salvo la parentesi 1971-1978, il secondo dopoguerra, da Bretton Woods, attraverso lo SME, sino all’UME. Questo modello è stato scientemente messo a punto dal ministro delle finanze e poi cancelliere Erhard e dalla Bundesbank (allora Bank deutscher Länder) sin dal 1951. Tale modello ha perfettamente senso dal punto di vista della teoria economica eterodossa secondo cui le esportazioni nette sono un veicolo per realizzare i profitti. In termini semplici, se, da un lato, la moderazione dei salari diretti e indiretti consente il conseguimento di profitti relativamente elevati, dall’altro l’assorbimento domestico del sovrappiù controllato dai capitalisti è insufficiente per la realizzazione dei profitti. La strategia neo-mercantilista prevede di realizzare questi profitti attraverso adeguate esportazioni nette. Questo sono rese possibili dalla strategia sopra illustrata, a cui, naturalmente, si sono aggiunte le tradizionali capacità germaniche di formazione tecnica e innovazione. La società tedesca e i sindacati sono stati tradizionalmente coinvolti in questa strategia che comunque ha pagato in termini di benessere, sicurezza e ordine - i salari reali tedeschi pur costantemente all’inseguimento della crescita della produttività rimangono più alti relativamente al resto dell’Europa, in particolare per il nucleo forte della classe operaia tedesca concentrata nel settore esportatore. La Bundesbank ha svolto il ruolo di “cane da guardia” del modello.
La Germania non desidera dunque mutare tale modello nonostante esso sia tacciabile di manipolazione del cambio reale o di politica del beggar-thy-neighbour e sia fattore destabilizzante per le restanti economie. Le critiche alla Germania, in questi giorni da parte del segretario del Tesoro americano, non sono cosa nuova visto che cominciarono nei primi anni 1950 proseguendo sino alla famosa “teoria delle locomotive” di fine anni 1970.
Sovranità nazionale e conflitto democratico
Quello della sovranità è un punto assai delicato per la sinistra. Essa è infatti stata storicamente combattuta fra l’afflato internazionalista (“il proletariato non ha nazione”) basato sull’idea di una comunanza di fondo degli interessi delle masse popolari persino quando appartengano a paesi con diversi gradi di sviluppo, e l’esperienza storica per cui le masse popolari si sono nei fatti sempre battute per la realizzazione e difesa degli spazi di indipendenza nazionali, sicché esempi storici di “internazionalismo proletario” sembrano nei fatti assenti (se non forse in talune scelte dei paesi del socialismo reale, ma lì il giudizio è complesso). L’assenza totale di una solidarietà socialista e sindacale europea (al di là di proclami retorici, ininfluenti meeting e fantomatici Piani Marshall) ne è l’ulteriore conferma. Alla luce della storia, dunque, lo stato nazionale appare come l’imprescindibile playing field della dialettica democratica, e dunque del conflitto di classe. Questo non ha nulla a che vedere col nazionalismo di destra ed è compatibile con la pacifica e proficua cooperazione politica ed economica internazionale. Né questo ostacola un utile coordinamento internazionale dei movimenti contro questa Europa. Fassina in una lettera al Corriere parla di un “arretramento storico di un sogno”, forse si dovrebbe parlare di superamento di un abbaglio storico e della constatazione, amara forse, che di utopie si vive ma anche si muore.
Il superamento dell’euro non avverrà a freddo
Il
superamento dell’euro non avverrà per l’uscita unilaterale e “a freddo”
di uno o più paesi. Un superamento dell’euro, se avverrà, sarà il
combinato disposto di una serie di eventi che culmineranno nel venir
meno dei presupposti politici della moneta unica. Tale combinato
disposto contiene una crescente insostenibilità sociale delle politiche
di austerità; la palese assenza di prospettive di crescita in
particolare in Italia; una risultante crisi di governabilità politica
anche con l’emergere di forze anti-euro; una conseguente grave crisi di
fiducia dei mercati finanziari. Se e quando questo combinato disposto
entrerà in corto circuito, in quel momento la problematica del
superamento dell’euro si porrà drammaticamente all’attenzione. In un
certo senso più grave la crisi, maggiore sarà la probabilità di una
soluzione rapida e consensuale, nel senso che l’ineluttabilità
dell’esito toglierà spazio politico a ritorsioni politiche ed economiche
internazionali da parte della Germania e suoi alleati.
L’azione politica di una rinnovata sinistra nel nostro paese dovrà accelerare tali processi denunciando l’insostenibilità per il nostro paese di un proseguimento delle attuali politiche europee. Essa dovrà naturalmente anche assumere il compito di prefigurare il durante e il dopo dei possibili drammatici passaggi relativi alla rottura dell’euro. Per questo c’è bisogno di un pensiero forte, l’opposto del mélange di pensiero politico ed economico debole, utopismo europeista e movimentismo che ha contraddistinto le poco convincenti recenti esperienze elettorali a sinistra. Il pericolo maggiore è rimanere stretti fra il localismo movimentista e l’utopismo, lasciando il terreno della sovranità nazionale alla destra. Questo è a mio avviso l’errore maggiore di ciò che si muove alla sinistra del PD. Di qui la novità positiva delle posizioni di Fassina».
(15 dicembre 2014)
* Fonte: MicroMega
Volentieri pubblichiamo questo bell'intervento dell'amico e compagno Sergio Cesaratto (nella foto)
«Le posizioni che Stefano Fassina ha espresso nelle passate settimane su (a) l’insostenibilità dell’euro a fronte del venir meno delle speranze di un cambiamento delle politiche europee, e (b) il fallimento di una dimensione democratica europea sovranazionale e la necessità di ripristinare una sovranità democratica nazionale, segnano una novità assoluta nel panorama della sinistra italiana. Sinora per ritrovare posizioni simili, la cui elaborazione in questi anni è ascrivibile a una manciata di economisti di sinistra, si doveva andare a cercare nei meandri delle sinistre più estreme, oppure a destra. Esaminiamo i due punti.
L’Europa non cambia
Le radici dell’assenza di speranze di un cambiamento significativo delle politiche europee vanno rintracciate nella costituzione economica tedesca fondata dall’immediato dopoguerra sul neo-mercantilismo. L’asse di questa politica è consistito di politiche distributive e fiscali interne moderate, sì da tenere il tasso di inflazione inferiore quello dei partner/concorrenti, ai quali veniva lasciato il compito di espandere la propria domanda interna seguendo ricette keynesiane. Tutto questo nel quadro di sistemi di cambio fissi che hanno dominato, salvo la parentesi 1971-1978, il secondo dopoguerra, da Bretton Woods, attraverso lo SME, sino all’UME. Questo modello è stato scientemente messo a punto dal ministro delle finanze e poi cancelliere Erhard e dalla Bundesbank (allora Bank deutscher Länder) sin dal 1951. Tale modello ha perfettamente senso dal punto di vista della teoria economica eterodossa secondo cui le esportazioni nette sono un veicolo per realizzare i profitti. In termini semplici, se, da un lato, la moderazione dei salari diretti e indiretti consente il conseguimento di profitti relativamente elevati, dall’altro l’assorbimento domestico del sovrappiù controllato dai capitalisti è insufficiente per la realizzazione dei profitti. La strategia neo-mercantilista prevede di realizzare questi profitti attraverso adeguate esportazioni nette. Questo sono rese possibili dalla strategia sopra illustrata, a cui, naturalmente, si sono aggiunte le tradizionali capacità germaniche di formazione tecnica e innovazione. La società tedesca e i sindacati sono stati tradizionalmente coinvolti in questa strategia che comunque ha pagato in termini di benessere, sicurezza e ordine - i salari reali tedeschi pur costantemente all’inseguimento della crescita della produttività rimangono più alti relativamente al resto dell’Europa, in particolare per il nucleo forte della classe operaia tedesca concentrata nel settore esportatore. La Bundesbank ha svolto il ruolo di “cane da guardia” del modello.
La Germania non desidera dunque mutare tale modello nonostante esso sia tacciabile di manipolazione del cambio reale o di politica del beggar-thy-neighbour e sia fattore destabilizzante per le restanti economie. Le critiche alla Germania, in questi giorni da parte del segretario del Tesoro americano, non sono cosa nuova visto che cominciarono nei primi anni 1950 proseguendo sino alla famosa “teoria delle locomotive” di fine anni 1970.
Sovranità nazionale e conflitto democratico
Quello della sovranità è un punto assai delicato per la sinistra. Essa è infatti stata storicamente combattuta fra l’afflato internazionalista (“il proletariato non ha nazione”) basato sull’idea di una comunanza di fondo degli interessi delle masse popolari persino quando appartengano a paesi con diversi gradi di sviluppo, e l’esperienza storica per cui le masse popolari si sono nei fatti sempre battute per la realizzazione e difesa degli spazi di indipendenza nazionali, sicché esempi storici di “internazionalismo proletario” sembrano nei fatti assenti (se non forse in talune scelte dei paesi del socialismo reale, ma lì il giudizio è complesso). L’assenza totale di una solidarietà socialista e sindacale europea (al di là di proclami retorici, ininfluenti meeting e fantomatici Piani Marshall) ne è l’ulteriore conferma. Alla luce della storia, dunque, lo stato nazionale appare come l’imprescindibile playing field della dialettica democratica, e dunque del conflitto di classe. Questo non ha nulla a che vedere col nazionalismo di destra ed è compatibile con la pacifica e proficua cooperazione politica ed economica internazionale. Né questo ostacola un utile coordinamento internazionale dei movimenti contro questa Europa. Fassina in una lettera al Corriere parla di un “arretramento storico di un sogno”, forse si dovrebbe parlare di superamento di un abbaglio storico e della constatazione, amara forse, che di utopie si vive ma anche si muore.
Il superamento dell’euro non avverrà a freddo
Stefano Fassina |
L’azione politica di una rinnovata sinistra nel nostro paese dovrà accelerare tali processi denunciando l’insostenibilità per il nostro paese di un proseguimento delle attuali politiche europee. Essa dovrà naturalmente anche assumere il compito di prefigurare il durante e il dopo dei possibili drammatici passaggi relativi alla rottura dell’euro. Per questo c’è bisogno di un pensiero forte, l’opposto del mélange di pensiero politico ed economico debole, utopismo europeista e movimentismo che ha contraddistinto le poco convincenti recenti esperienze elettorali a sinistra. Il pericolo maggiore è rimanere stretti fra il localismo movimentista e l’utopismo, lasciando il terreno della sovranità nazionale alla destra. Questo è a mio avviso l’errore maggiore di ciò che si muove alla sinistra del PD. Di qui la novità positiva delle posizioni di Fassina».
(15 dicembre 2014)
* Fonte: MicroMega
7 commenti:
Cesaratto dice una cosa abbastanza strana, però..."la sinistra dovrà accelerare tali processi"...
Ho capito, ma la sinistra attualmente non è divisa, è disintegrata.
Figurati poi se la CGIL, unica forza di sinistra con un certo peso, avrà mai il coraggio di dichiararsi per l'uscita o la fine della moneta unica.
Ma avrete lavorato ogni tanto immagino e quindi sapete cosa è un sindacalista CGIL, no?
Poi Cesaratto parla della necessità di un pensiero forte...bella scoperta, il problema della sinistra è stato proprio quello dello screditamento del proprio "pensiero forte" e come si rimedierebbe? Fornendo un pensiero forte...bella idea, non ci avevo pensato...
Il pensiero forte non te lo inventi dall'oggi al domani e presuppone PRIMA un sentimento di grande unità o fratellanza o comunanza nel gruppo.
Siamo ancora nella fase della riscostruzione dell'unità della sinistra, vediamo di spingere su questo piuttosto, che tanto l'euro cadrà da solo.
E non basta: sarà indispensabile avere qualcosa da dire anche al piccolo capitale che è minacciato dalla centralizzazione da parte del grande capitale nella stessa misura di quanto è minacciato il lavoro.
Guardate che se arriviamo al momento della rottura che non siamo ancora riusciti a creare un fronte socialdemocratico che includa il lavoro e la classe media saremo sopraffatti dalla destra becera.
Sono convinto che un pensiero forte di sinistra e rivoluzionario non si possa imbastire finché non si fanno i conti con l' esperienza (non affatto del tutto fallimentare sul piano "locale" e internazionale) e la sconfitta del "socialismo reale", se non la si critica COSTRUTTIVAMENTE nei suoi limiti ed errori e anche nelle sue conquiste (e non distruttivamente, cioé subalternamente agli interessi e all' ideologia delle classi possidenti al potere); e soprattutto finché non riiuscirà ad evitare di cadere nel facile ma sterile utopismo che pretende di avere la botte piena e la moglie ubriaca (fuor di metafora: l' assoluto rispetto della democrazia formale nella lotta contro un nemico fortissimo e ferocissimo, che -balle propagandistiche a parte; di solito anche mal raccontate- non esita, quando é necessario, a ricorrere alla violenza più inaudita, alla tortura, al terrorismo più sfrenato e sanguinario).
Non credo sia possibile se si ignora la lezione di Machiavelli (e per quanto mi riguarda anche di Stalin).
...Anche se bisogna lottare come si può fin da adesso per obiettivi necessariamente limitati ma realmente conseguibili, e che per lo meno "vadano nella giusta direzione", innanzitutto la sovranità nazionale el' uscita da sinistra da euro e UE.
Giulio Bonali
Bagnai fa fuoco e fiamme sul suo blog perché relativamente a un suo (tanto miserello) paper del 1997 è stato preso in castagna sulla flessibilità del lavoro e sull'euro.
Strilla, insulta, puntualizza ma scripta manent e vi faccio un bel copincolla delle "conclusioni" di quel paper il cui link è
http://www.unich.it/docenti/bagnai/research/Eur.pdf
"Si sente spesso affermare che gli effetti dell'EMU saranno almeno nel breve periodo principalmente di natura politica anziché economica (si veda ad esempio Pandolfi, 1997). I dati e le analisi riassunte nelle pagine precedenti confermano la validità di questa asserzione, almeno per quanto riguarda le condizioni del mercato del lavoro europeo e quindi dei lavoratori migranti in Europa. Sul piano strettamente economico, abbiamo visto come i vantaggi derivanti dall'adozione della moneta unica (riduzione dei costi di transazione e maggiore crescita determinata dalla riduzione dei tassi di interesse) abbiano una rilevanza relativamente scarsa in termini quantitativi, soprattutto nel breve periodo. Dalle analisi riportate risulta inoltre che la soluzione del problema della disoccupazione europea va cercata non tanto in politiche di espansione della domanda (le quali, tra l'altro, rischiano oltre certi limiti di confliggere con l'obiettivo di stabilità dei prezzi che costituisce uno dei cardini della costituzione econoica dettata dal trattato di Maastricht), quanto in politiche di incremento della flessibilità del mercato del lavoro. L'adozione dell'Euro non potrà incidere se non in modo al più marginale sulle caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro. Maggiore successo potranno avere politiche di riforma e di armonizzazione delle legislazioni comunitarie in materia di istruzione, lavoro e previdenza sociale, volte a favorire effettivamente la mobilità del fattore lavoro e la flessibilità del suo impiego. Allo stato attuale, è corretto affermare che l'unico contributo dell'EMU alla soluzione del problema della disoccupazione è stato quello di distogliere, speriamo temporaneamente, l'attenzione dei contribuenti e dei politici europei dal disegno delle riforme necessarie per risolverlo. Un altro effetto positivo dell'adozione dell'euro sarà quindi quello di liberare le energie intellettuali attualmente occupate a dibattere dei meriti e dei demeriti della moneta unica"
Bella roba, eh?
Ringrazio i compagni per la pubblicazione del mio intervento. Mi avvedo solo ora di un commento sul mio blog a un mio post su Fassina di mesi fa che non postai fra i commenti e divenne una lettera aperta su questo sito.
http://sollevazione.blogspot.it/2014/09/fassina-il-pd-e-leuro-lettera-sergio.html Me ne scuso, disattenzione, lo posterò come commento a questo articolo sul mio blog.
ottima riflessione di Cesaratto, come al solito; solo una riflessione: Fassina non è nuovo a qs riflessioni, in quanto la famosa lettera sull'agenda Monti di alcuni anni fa, in riferimento alla politica neomercantilista della Germania, causo' una sua quasi espulsione dal Pd, ampie critiche d parte del gotha del Pd. Per il resto la Redazione di Sollevazione continua sul crinale di una ottima divulgazione.
Putin ha perso.
http://www.theguardian.com/business/2014/dec/16/russia-has-lost-economic-war-with-west-rouble-currency
La Russia dovrà aprirsi allo sfruttamento del capitale anglo americano e come nel periodo coloniale l'occidente riverserà le sue contraddizioni sempre sul punto di esplodere sul proletariato dei paesi conquistati e sottomessi riuscendo così a tamponare l'incipiente conflitto di classe al proprio interno.
Questo significa che l'euro non crollerà mai, ovviamente.
Ma significa soprattutto che si aprono nuove insperate fonti di profitto per il capitalismo che sembrava arrivato al punto di avere esaurito la sua spinta propulsiva per avviarsi al corto circuito di tutte le sue aporie, economiche, politiche e sociali.
Non vedremo mai il risveglio politico del popolo, almeno in questa vita....
"l’idea di una comunanza di fondo degli interessi delle masse popolari persino quando appartengano a paesi con diversi gradi di sviluppo".
Senza voler battere sempre sullo stesso chiodo, è questa la medesima identica idea che retrostà alla vostra tetragona difesa d’ufficio degli extracomunitari. E’ evidente come il sole che gl’interessi delle masse popolari italiane sono diametralmente contrapposti a quelli degli extracomunitari; che questi vengono attirati dal padronato per rubare i posti di lavoro, indebolire la forza rivendicativa dei lavoratori e impedire la formazione di una coscienza di classe (che si fonda su parentele culturali, linguistiche, razziali nonché su interessi condivisi).
In che modo la restaurazione delle integrità nazionali perorata da Cesaratto si concilia colla totale movimentazione della forza lavoro e quindi coll’annuale accesso di milioni di disperati sul territorio patrio? Forse lo stato nazionale, finché è esistito e ha avuto una sua dignità, non limitava ugualmente la mobilità del capitale e del lavoro, nell’interesse della manifattura e della manodopera locale? Proprio come i sinistrati euristi non dicono una parola su come pensino di trasformare la dittatura di Francoforte e Bruxelles in una comunità socialmente progressiva, non è dato capire come voi pensiate di combinare il benessere dei lavoratori italiani cogli auspici di tre miliardi di disperati che ci guardano famelici dal terzo mondo (per non parlare dell'avanguardia già presente).
E' un problema che riguarda anche la politica industriale. Gli ottocentomila italiani resi disoccupati dalle delocalizzazioni verso la Romania potrebbero chiedervi se, una volta al potere, costringereste le aziende a rimpatriare, restituendo i romeni alla loro tradizionale miseria, o se le vorreste conservare in loco (tanto gl'italiani mangiano internazionalismo proletario).
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