Abbiamo una delle più belle Costituzioni del mondo. Scritta con il sangue delle vittime della Seconda Guerra Mondiale, nella sua visione originaria si prometteva di offrire a tutti gli italiani la possibilità di vivere in pace in una società libera ed egalitaria. L'istruzione è uno dei punti cardini del pensiero che animò i Padri Costituenti: istruzione obbligatoria e gratuita per svariati anni e diritto al proseguimento dello studio per i più meritevoli anche se privi di mezzi economici.
“La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione “ dirà Piero Calamandrei in un suo discorso storico. [1]
“La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente...non solo nel senso di classe politica..ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti.”
L'istruzione diventa così l'ossatura su cui ricostruire un Paese agricolo devastato dalla guerra che va traghettato verso una radiosa modernità. Persino i poeti, nell'immaginario postbellico, venivano elencati nella futura “classe dirigente”, poeti come Pasolini. Ogni persona ed ogni disciplina dava il proprio contributo nella ricostruzione, nessuna esclusione: lettere antiche ed ingegneria, Mattei e Guttuso. Un'intenzione grandiosa seguita da uno sforzo eccezionale. Basti pensare alla prima vera autobahn italiana che collegava nord e sud: l'autostrada del sole fu realizzata in tempi record. C'era una ineliminabile impellenza: lo Stato italiano voleva scrollarsi di dosso macerie e arretramento, e si lanciava verso il futuro delle industrie, dell'inurbamento che permetteva alla manodopera di vivere accanto alle fabbriche, delle strade (ferrate o meno) che permettevano alle valigie di cartone di arrivare nelle città industriali, dei mezzi di locomozione privati per raggiungere più agilmente i posti di lavoro prima e i luoghi di vacanza poi. Un fermento straordinario.
L'industrializzazione, in quel preciso momento storico, diventava il mezzo che permetteva ad una nazione di imporsi all'attenzione mondiale, ma per farlo bisognava istruire i quadri e contemporaneamente predisporre il territorio. Credo che il più significativo interprete di questo afflato modernista sia stato Stalin: lavori forzati per costruire infrastrutture e modernizzazione a passi rapidi regalarono all'URSS il primato spaziale (sintesi di scienza e tecnica come progetto sociale) negli anni '60. Da Est ad Ovest il mondo si era reso partecipe del sogno modernista e lo stava portando alla sua massima espansione e potenza, e l'istruzione ricopriva un ruolo chiave in tutta questa faccenda.
Faccenda che, vista con l'italica lente, può essere rappresentata come segue
All'epoca della maggiore espansione modernista i parlamentari erano praticamente tutti laureati e pagati niente. Poi succede qualcosa. Il sogno si intasa, il progetto subisce cambiamenti. La mutata composizione del parlamento testimonia la necessità di dare spazio a subentrate esigenze: i quadri sono stati completati e l'istruzione non è più la virtù maggiore. Il capitale, nella sua fase espansiva postbellica, riesce in qualche modo a coalizzare destra e sinistra con il chiaro scopo di spianargli la strada perseguendo apparentemente la necessità “di elevare socialmente il popolo, di assicurare cioè condizioni dignitose di vita a tutti i suoi membri, eliminando ogni ingiusta sperequazione ed ogni sopraffazione”.[2]
Chi pronunciò questo accorato appello fu Aldo Moro, stratega della politica dell'inclusione.
“Tale inclusione cammina di pari passo con il già ricordato abbandono da parte delle citate forze delle loro appartenenze e ideologie..il rinnovamento della società italiana sta nell'armonizzazione di tutti i ceti sociali a un superiore livello economico, capace di emanciparli da ogni servitù e di costruirsi quale premessa per un'ulteriore elevazione culturale e morale. Secondo un'ottica siffatta tutte le forze politiche a largo seguito popolare (DC, PCI, PSI) devono lavorare insieme, accantonando ogni contrapposizione ideologica”. [3]
In effetti i numeri delle votazioni danno ragione a questa politica: sono relativamente pochi i casi in cui il PCI voti contro la maggioranza.
Rosanna
Stai parlando degli anni ’60, quindi è giusto ricordare un’importante riforma della scuola di quegli anni, cioè la Riforma della Scuola Media del 1962. [4] Dopo lunghe trattative venne approvata la legge n.1859 del dicembre 1962, che prevedeva l’abolizione della scuola di “Avviamento al lavoro”, con la creazione di una scuola media unificata che permettesse l’accesso a tutte le scuole superiori. Quella ad opera del ministro Luigi Gui fu sicuramente la più importante riforma scolastica del secondo dopoguerra.
Tutto cominciò con una circolare dell’allora Ministro per la Pubblica Istruzione, Aldo Moro, nei primi mesi del 1959. «A partire dal prossima sessione di esami – recitava la circolare – è abolita dalla prova scritta dall’italiano in latino nell’esame per la licenza della terza media».
Fu proprio allora che ripartì la campagna per “la difesa del Latino” che questa volta sarebbe sfociata, con sommo sconcerto dei suoi fautori, nel cambiamento forse più radicale che il sistema scolastico della Repubblica italiana abbia mai conosciuto. Sintomo forte del profondo cambiamento che stava investendo in quegli anni la società italiana, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue componenti. L’Italia che usciva dalla guerra infatti era un misto di cambiamento e di continuità. La domanda di radicale cambiamento della scuola si concentra su due punti: la sua “defascistizzazione” nella cultura e il ripensamento delle sue stesse funzioni.
Stai parlando degli anni ’60, quindi è giusto ricordare un’importante riforma della scuola di quegli anni, cioè la Riforma della Scuola Media del 1962. [4] Dopo lunghe trattative venne approvata la legge n.1859 del dicembre 1962, che prevedeva l’abolizione della scuola di “Avviamento al lavoro”, con la creazione di una scuola media unificata che permettesse l’accesso a tutte le scuole superiori. Quella ad opera del ministro Luigi Gui fu sicuramente la più importante riforma scolastica del secondo dopoguerra.
Tutto cominciò con una circolare dell’allora Ministro per la Pubblica Istruzione, Aldo Moro, nei primi mesi del 1959. «A partire dal prossima sessione di esami – recitava la circolare – è abolita dalla prova scritta dall’italiano in latino nell’esame per la licenza della terza media».
Fu proprio allora che ripartì la campagna per “la difesa del Latino” che questa volta sarebbe sfociata, con sommo sconcerto dei suoi fautori, nel cambiamento forse più radicale che il sistema scolastico della Repubblica italiana abbia mai conosciuto. Sintomo forte del profondo cambiamento che stava investendo in quegli anni la società italiana, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue componenti. L’Italia che usciva dalla guerra infatti era un misto di cambiamento e di continuità. La domanda di radicale cambiamento della scuola si concentra su due punti: la sua “defascistizzazione” nella cultura e il ripensamento delle sue stesse funzioni.
La richiesta di cambiamento della scuola media, dunque, non è solo culturale, ma anche di funzione sociale. È una richiesta che assume subito una forma precisa: proprio nel 1945, infatti, Concetto Marchesi interviene su Rinascita, la rivista di indirizzo culturale del PCI fondata da Palmiro Togliatti, per proporre a nome del partito la creazione della scuola media unica obbligatoria. L’idea è di realizzare una scuola “aperta a chiunque abbia possibilità di intendere e di apprendere”. Una scuola di massa che accolga anche i figli della “classe generale”: la classe operaia, alleata con la classe contadina. “È l’ora che i portici delle Università sentano passi ancora ignoti: quelli dei più meritevoli figli del popolo lavoratore”.
Del resto la scuola era un tema politico, per eccellenza, e come tale era entrato nell’Assemblea Costituente dove laici e cattolici avevano posto il problema della “riforma globale” della scuola gentiliana più volte ritoccata dal fascismo. Tuttavia l’interesse per la scuola dei laici e dei cattolici muove da esigenze diverse, ha obiettivi diversi e tende ben presto a divaricarsi. In nome della Democrazia Cristiana, Aldo Moro chiede che la “riforma globale” sia fondata sulla libertà d’insegnamento, ovvero sulla sostanziale parità tra scuola pubblica e scuola privata, e dunque sul diritto dei cattolici a organizzare scuole proprie, con propri valori, riconosciute dallo Stato. In nome del PCI, ma più in generale della sinistra laica, Concetto Marchesi insiste invece sul valore assoluto dell’istruzione pubblica, l’unica in grado di assicurare il diritto universale all’istruzione. [5]
Il compromesso trova un’ espressione “alta” negli articoli 33 e 34 della Costituzione, che pongono le basi del sistema scolastico e che riconoscono sia il primato della scuola pubblica, sia il principio della libertà d’insegnamento e il diritto di libertà di scelta dei cittadini. Nell'articolo 33 viene affrontata la libertà di insegnamento, mentre nell'articolo successivo la Costituzione prevede la tutela dell'istruzione durante l'infanzia e la giovinezza. L'articolo in questione tratta del diritto-dovere di ogni bambino e dei ragazzi di iscriversi alle scuole prescelte. Dunque l'istruzione gratuita impartita per almeno otto anni, doveva essere considerata non solo come un diritto, ma anche un obbligo che i genitori erano tenuti ad osservare. L’obbligo scolastico aumentò poi negli anni successivi, fino ad arrivare ai 10 anni di oggi.
Conclusione
Come si vede da questi dati e pensieri, non esisteva contrapposizione tra le varie forze politiche, imprenditoria ed il capitale. Al contrario, tale coesione di idee ed intenzioni fu lo straordinario motore che permise la realizzazione di questo “miracolo italiano” in tempi brevissimi. Passato però il periodo d'oro di questa unione idilliaca, il capitale troverà altri modi per fare facili guadagni, ed abbandonerà tanto l'imprenditoria (che però non se ne renderà immediatamente conto e vivrà di rendita per parecchi anni ancora) che la politica, destinata a diventare semplice comparsa dopo essere stata attrice principale.
La globalizzazione richiede un ripensamento totale dei ruoli politici ed in modo particolare della sovranità nazionale. Tutto questo avverrà a seguito di un fattore determinate: il crollo del muro di Berlino che rappresentava l'ultima paura di uno spostamento politico ad Est. Una volta crollato quel muro e neutralizzato il “pericolo rosso” i piani potevano proseguire secondo lo schema. Il precedente modello statalista dovrà conoscere tempi duri ad iniziare proprio da coloro che, memori della centralità dell'istruzione nel pensiero di Calamandrei, erano i maggiori responsabili del memorabile spostamento di classi nel “secolo breve”: l'istruzione e quindi il corpo insegnati e, per fallout culturale più generale, tutto l'apparato statale. Questo nuovo scenario sarà analizzato nel prossimo articolo.
La globalizzazione richiede un ripensamento totale dei ruoli politici ed in modo particolare della sovranità nazionale. Tutto questo avverrà a seguito di un fattore determinate: il crollo del muro di Berlino che rappresentava l'ultima paura di uno spostamento politico ad Est. Una volta crollato quel muro e neutralizzato il “pericolo rosso” i piani potevano proseguire secondo lo schema. Il precedente modello statalista dovrà conoscere tempi duri ad iniziare proprio da coloro che, memori della centralità dell'istruzione nel pensiero di Calamandrei, erano i maggiori responsabili del memorabile spostamento di classi nel “secolo breve”: l'istruzione e quindi il corpo insegnati e, per fallout culturale più generale, tutto l'apparato statale. Questo nuovo scenario sarà analizzato nel prossimo articolo.
NOTE
[2] A. Moro, “La sinistra italiana” febbraio1945
[3] M. Fotia “Il consociativismo infinito” pg 65 e 87
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