6 maggio. La sera del 25 maggio, al solito, ci azzufferemo per commentare i risultati italiani e sul se questo ha vinto abbastanza o ha deluso mentre quello ha frenato la discesa o è in rotta. Questa volta, però, il risultato italiano sarà quello che conta meno e converrà che gli italiani, per una volta, si convincano che l’Italia non è su Marte e che conviene privilegiare un’ottica internazionale. Dunque, la cosa più importante sarà il voto europeo e, più che la “gara” fra socialisti e popolari, conterà lo scontro fra “europeisti” ed “euroscettici” (uso queste due espressioni convenzionalmente, tanto per capirci).
Dieci giorni fa, un istituto inglese, Open Europe, ha lanciato un allarme: gli euroscettici potrebbero arrivare al 30% conquistando circa un terzo dei seggi del Parlamento Europeo. Però si capisce poco su come abbiano considerato gli “euroscettici”, se questa definizione includa solo i partiti esplicitamente anti Ue ed anti Euro o assommino anche liste “critiche” come la Lista Tsipras.
L’impressione è che abbiano considerato euroscettici tutti quelli che non sono “europeisti” doc (cioè socialisti, popolari, liberali e verdi). Ma questo è secondario. Quello che conta è che tutti i commenti si sono lanciati sul risultato aggregato, senza capire che quello che conterà non sarà tanto il risultato complessivo, quanto quello disaggregato per nazione. Il dato aggregato sarà importante solo per un aspetto: se il successo dei partiti che, per comodità, definiamo “antisistema” sarà tale da costringere popolari e socialdemocratici a coalizzarsi per eleggere le cariche del Parlamento Europeo, questo segnerà la formula della convergenza al centro di cui gli esperimenti di Italia e Germania sarebbero stati l’anticipazione.
Va detto che questo tipo di formula crea scontenti ai due lati della coalizione ed, in genere, danneggia più i contraenti di destra.
Per il resto, quello che conterà, sarà il confronto fra i singoli risultati nazionali. Il dato importante da analizzare sarà il differenziale fra i risultati tedeschi e quelli del resto della Ue. In Germania, salvo i neo nazisti della Npd, i Piraten e poca altra roba, l’unica forza politica “critica” verso la Ue è la Linke che, peraltro, al suo interno ha orientamenti diversi fra i quali prevalgono quelli più moderati. Va detto che né la Linke né i Piraten sembrano in una fase di particolare dinamismo, mentre la Npd è probabile che si collochi sotto il 3%. Dunque, nel complesso è difficile che gli “euroscettici” vadano molto oltre il 10-12%, mentre i partiti classicamente “europeisti”(Cdu-Csu, Spd, Liberali, Verdi) dovrebbero collocarsi intorno al 90%.
Vice versa, sono attesi risultati ben diversi in Inghilterra (con l’Ukip), Francia (Fn), Italia (M5s, Lega e FdI più lista Tsipras), Grecia (Syriza, Kke, Alba dorata), Finlandia (Veri Finlandesi), Ungheria (Fidesz e neo nazisti), Polonia (Diritto e Giustizia), Paesi Bassi (partito per la libertà), Portogallo (Pcp), Spagna (Izquierda Unida). In realtà, in questo elenco abbiamo assommato varie sfumature politiche che vanno dagli anti Europa dichiarati (Fn, Lega, Alba Dorata, Fidesz e nazisti ungheresi, Partito per la Libertà olandese), gli euroscettici nazionalisti ma più moderati (Ukip, FdI, Veri Finlandesi, Diritto e Giustizia polacca), gli anti Ue di sinistra (Kke, Pcp), gli euro critici radicali (M5s), gli euro critici moderati (Syriza, Izquierda Unida, Lista Tsipras).
Ma, ai fini del nostro discorso, conviene considerare, per un momento, complessivamente queste forze come quelle che identifichiamo come “polari” rispetto alla politica dell’austerità e, di riflesso, della Germania che ne è il pilastro.
Infatti, è evidente che, qualora una delle liste anti-austerità (o, se preferite, anti-Germania) dovesse ottenere un clamoroso successo in un paese, le forze di governo di quel paese si troverebbero strette fra la tenaglia del vincolo europeo e la pressione interna anti Ue. Alcuni governi potrebbero essere costretti ad adottare politiche meno arrendevoli verso la Ue, per non essere travolti dalla pressione interna. Altri, invece, potrebbero scegliere la strada opposta, ma con il rischio di una conflittualità sociale ben più aspra del passato. In ogni caso, si determinerebbe una polarità molto più acuta del passato che potrebbe spingere diversi sistemi politici al limite della rottura.
In secondo luogo, un forte divario fra i comportamenti elettorali degli elettori tedeschi e quelli degli altri paesi (soprattutto se l’esito fosse quello di una alleanza fra popolari e socialdemocratici che hanno i loro principali punti di forza in Germania) rafforzerebbe molto di più l’immagine di una “Europa tedesca” con il conseguente inasprimento degli atteggiamenti antitedeschi (e di riflesso anti Ue) negli altri paesi della comunità, determinando una spirale difficilmente controllabile.
Empiricamente, possiamo adottare queste “soglie” per valutare il risultato: considerata la somma delle liste euro critiche o euro ostili in Germania (Linke, Npd e altri minori), se la media degli altri paesi (sommando tutte le diverse espressioni “euroscettiche) dovesse superare del 10% il valore tedesco, inizierebbero serie fibrillazioni del sistema Europa. Ma se il differenziale dovesse superare il 20%, si profilerebbero comportamenti desolidarizzanti potenzialmente distruttivi della stessa Ue.
Il secondo dato da scrutare con attenzione è quello di alcuni paesi. In alcuni paesi come l’Olanda, la Grecia, l’Ungheria, la Finlandia sono possibili successi rilevanti delle forze euro critiche, ma si tratta di paesi troppo piccoli da soli per mettere in crisi l’Unione. Il problema riguarda, nell’ordine, Francia, Inghilterra ed Italia.
In Francia abbiamo la possibilità di un forte successo del Fn (intorno al 25%), cui andrebbero sommati i voti del Parti de Gauche di Melenchon ed altri minori, per cui la somma degli “euroscettici” potrebbe sfiorare il 35%, avviando il paese all’ingovernabilità o, in caso di elezioni politiche, ad un ballottaggio fra gaullisti e Fn, come fu nel 1999. E, per quanto i voti di socialisti e sinistra non si riverserebbero certamente sul Fn, questa volta, non è detto che finisca come 15 anni fa. Potrebbe verificarsi il caso italiano della “maggioranza impossibile”. Sarebbe destabilizzato il secondo paese della Ue con effetti imprevedibili, data anche la scarsa qualità politica del governo socialista vigente.
Questo è certamente il punto più vulnerabile della costruzione europea in questa scadenza.
Poi l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Il punto è che da sempre l’europeismo delle forze politiche inglesi è piuttosto tiepido. E, infatti, l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei. Già Churchill disse che “Se mai dovessimo scegliere fra Europa e mare aperto, sceglieremmo il mare”. Per cui, un forte successo dell’Ukip darebbe una spinta forse decisiva all’Inghilterra a sciogliere gli ormeggi europei ed indirizzarsi verso una navigazione oceanica ancora più filo Usa. C’è poi un’altra coincidenza molto particolare: l’Ukip di Nigel Farage è particolarmente forte nel Galles, un suo forte successo in quella parte del paese potrebbe anche stimolare derive secessioniste, proprio mentre la Scozia sta andando al referendum sulla separazione da Londra. Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi l’Uk, riducendola, di fatto alla sola Inghilterra o poco più. Con effetti che si riverserebbero anche sulla Ue che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi.
Infine, il caso italiano, dove le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Grillo deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico e Renzi è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto. Soprattutto, la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi ed inferiore da quello di Grillo. Infatti, una differenza sotto i tre punti renderebbe il M5s competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche. In soldoni, qui il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa. Se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne.
Ovviamente, se anche in tutti gli altri paesi (Grecia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Spagna, Finlandia, Polonia, Austria ecc.) dovesse registrarsi simultaneamente un’affermazione del cd partiti “populisti” questa sarebbe una ulteriore aggravante che renderebbe i giochi sempre più difficili.
Dieci giorni fa, un istituto inglese, Open Europe, ha lanciato un allarme: gli euroscettici potrebbero arrivare al 30% conquistando circa un terzo dei seggi del Parlamento Europeo. Però si capisce poco su come abbiano considerato gli “euroscettici”, se questa definizione includa solo i partiti esplicitamente anti Ue ed anti Euro o assommino anche liste “critiche” come la Lista Tsipras.
L’impressione è che abbiano considerato euroscettici tutti quelli che non sono “europeisti” doc (cioè socialisti, popolari, liberali e verdi). Ma questo è secondario. Quello che conta è che tutti i commenti si sono lanciati sul risultato aggregato, senza capire che quello che conterà non sarà tanto il risultato complessivo, quanto quello disaggregato per nazione. Il dato aggregato sarà importante solo per un aspetto: se il successo dei partiti che, per comodità, definiamo “antisistema” sarà tale da costringere popolari e socialdemocratici a coalizzarsi per eleggere le cariche del Parlamento Europeo, questo segnerà la formula della convergenza al centro di cui gli esperimenti di Italia e Germania sarebbero stati l’anticipazione.
Va detto che questo tipo di formula crea scontenti ai due lati della coalizione ed, in genere, danneggia più i contraenti di destra.
Per il resto, quello che conterà, sarà il confronto fra i singoli risultati nazionali. Il dato importante da analizzare sarà il differenziale fra i risultati tedeschi e quelli del resto della Ue. In Germania, salvo i neo nazisti della Npd, i Piraten e poca altra roba, l’unica forza politica “critica” verso la Ue è la Linke che, peraltro, al suo interno ha orientamenti diversi fra i quali prevalgono quelli più moderati. Va detto che né la Linke né i Piraten sembrano in una fase di particolare dinamismo, mentre la Npd è probabile che si collochi sotto il 3%. Dunque, nel complesso è difficile che gli “euroscettici” vadano molto oltre il 10-12%, mentre i partiti classicamente “europeisti”(Cdu-Csu, Spd, Liberali, Verdi) dovrebbero collocarsi intorno al 90%.
Vice versa, sono attesi risultati ben diversi in Inghilterra (con l’Ukip), Francia (Fn), Italia (M5s, Lega e FdI più lista Tsipras), Grecia (Syriza, Kke, Alba dorata), Finlandia (Veri Finlandesi), Ungheria (Fidesz e neo nazisti), Polonia (Diritto e Giustizia), Paesi Bassi (partito per la libertà), Portogallo (Pcp), Spagna (Izquierda Unida). In realtà, in questo elenco abbiamo assommato varie sfumature politiche che vanno dagli anti Europa dichiarati (Fn, Lega, Alba Dorata, Fidesz e nazisti ungheresi, Partito per la Libertà olandese), gli euroscettici nazionalisti ma più moderati (Ukip, FdI, Veri Finlandesi, Diritto e Giustizia polacca), gli anti Ue di sinistra (Kke, Pcp), gli euro critici radicali (M5s), gli euro critici moderati (Syriza, Izquierda Unida, Lista Tsipras).
Sondaggio interessante e "interessato".... |
Ma, ai fini del nostro discorso, conviene considerare, per un momento, complessivamente queste forze come quelle che identifichiamo come “polari” rispetto alla politica dell’austerità e, di riflesso, della Germania che ne è il pilastro.
Infatti, è evidente che, qualora una delle liste anti-austerità (o, se preferite, anti-Germania) dovesse ottenere un clamoroso successo in un paese, le forze di governo di quel paese si troverebbero strette fra la tenaglia del vincolo europeo e la pressione interna anti Ue. Alcuni governi potrebbero essere costretti ad adottare politiche meno arrendevoli verso la Ue, per non essere travolti dalla pressione interna. Altri, invece, potrebbero scegliere la strada opposta, ma con il rischio di una conflittualità sociale ben più aspra del passato. In ogni caso, si determinerebbe una polarità molto più acuta del passato che potrebbe spingere diversi sistemi politici al limite della rottura.
In secondo luogo, un forte divario fra i comportamenti elettorali degli elettori tedeschi e quelli degli altri paesi (soprattutto se l’esito fosse quello di una alleanza fra popolari e socialdemocratici che hanno i loro principali punti di forza in Germania) rafforzerebbe molto di più l’immagine di una “Europa tedesca” con il conseguente inasprimento degli atteggiamenti antitedeschi (e di riflesso anti Ue) negli altri paesi della comunità, determinando una spirale difficilmente controllabile.
Empiricamente, possiamo adottare queste “soglie” per valutare il risultato: considerata la somma delle liste euro critiche o euro ostili in Germania (Linke, Npd e altri minori), se la media degli altri paesi (sommando tutte le diverse espressioni “euroscettiche) dovesse superare del 10% il valore tedesco, inizierebbero serie fibrillazioni del sistema Europa. Ma se il differenziale dovesse superare il 20%, si profilerebbero comportamenti desolidarizzanti potenzialmente distruttivi della stessa Ue.
Il secondo dato da scrutare con attenzione è quello di alcuni paesi. In alcuni paesi come l’Olanda, la Grecia, l’Ungheria, la Finlandia sono possibili successi rilevanti delle forze euro critiche, ma si tratta di paesi troppo piccoli da soli per mettere in crisi l’Unione. Il problema riguarda, nell’ordine, Francia, Inghilterra ed Italia.
In Francia abbiamo la possibilità di un forte successo del Fn (intorno al 25%), cui andrebbero sommati i voti del Parti de Gauche di Melenchon ed altri minori, per cui la somma degli “euroscettici” potrebbe sfiorare il 35%, avviando il paese all’ingovernabilità o, in caso di elezioni politiche, ad un ballottaggio fra gaullisti e Fn, come fu nel 1999. E, per quanto i voti di socialisti e sinistra non si riverserebbero certamente sul Fn, questa volta, non è detto che finisca come 15 anni fa. Potrebbe verificarsi il caso italiano della “maggioranza impossibile”. Sarebbe destabilizzato il secondo paese della Ue con effetti imprevedibili, data anche la scarsa qualità politica del governo socialista vigente.
Questo è certamente il punto più vulnerabile della costruzione europea in questa scadenza.
Poi l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Il punto è che da sempre l’europeismo delle forze politiche inglesi è piuttosto tiepido. E, infatti, l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei. Già Churchill disse che “Se mai dovessimo scegliere fra Europa e mare aperto, sceglieremmo il mare”. Per cui, un forte successo dell’Ukip darebbe una spinta forse decisiva all’Inghilterra a sciogliere gli ormeggi europei ed indirizzarsi verso una navigazione oceanica ancora più filo Usa. C’è poi un’altra coincidenza molto particolare: l’Ukip di Nigel Farage è particolarmente forte nel Galles, un suo forte successo in quella parte del paese potrebbe anche stimolare derive secessioniste, proprio mentre la Scozia sta andando al referendum sulla separazione da Londra. Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi l’Uk, riducendola, di fatto alla sola Inghilterra o poco più. Con effetti che si riverserebbero anche sulla Ue che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi.
Infine, il caso italiano, dove le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Grillo deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico e Renzi è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto. Soprattutto, la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi ed inferiore da quello di Grillo. Infatti, una differenza sotto i tre punti renderebbe il M5s competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche. In soldoni, qui il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa. Se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne.
Ovviamente, se anche in tutti gli altri paesi (Grecia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Spagna, Finlandia, Polonia, Austria ecc.) dovesse registrarsi simultaneamente un’affermazione del cd partiti “populisti” questa sarebbe una ulteriore aggravante che renderebbe i giochi sempre più difficili.
* Fonte: Aldo Giannuli
2 commenti:
Oh meno male che è uscito questo illuminante articolo di Giannuli
E sennò come facevamo noi da soli a capire che se Grillo la LePen e Farage ottengono un grande risultato "i giochi si faranno sempre più difficili"
Spero solo che certe ospitate non brillantissime significhino un sotterraneo lavorio di contatti e alleanze
Dai sondaggi in Italia non mi pare ci sono buone prospettive ancora troppi corrotti e complici che votano il PD il partito sfacciatamente di Regime.Nel nostro Paese grazie ai media e alla CORRUZZIONE nulla cambia .Affermare che questi risultati in Italia possono cambiare le sorti del governo attuale e' pura follia considerando che il partito di opposizione non è affatto contro l'euro non vedo perché tanti vogliono illudersi del contrario .La speranza e' nella Francia e nell'Inghilterra con il contributo di Borghi ,pur tuttavia la strada e' lunga a meno di avvenimenti che possono stravolgere il quadro attuale Europeo e non Solo.
Posta un commento