3 aprile. MILANO: EURISTI E ANTIEURISTI A CONFRONTO.
Giovedì 27 marzo, a Milano, presso la Cattolica di Milano, si è svolto un incontro intitolato “Euro: quali scenari per il futuro?”, [nella foto] con la presenza del Professor Claudio Borghi (docente di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), dell’On. Stefano Fassina (parlamentare del Partito Democratico ed ex viceministro dell’economia e delle finanze), del Dott. Diego Fusaro (ricercatore di Storia della Filosofia presso l’Università Vita – Salute San Raffaele di Milano) e del Professor Giacomo Vaciago (docente di Economia Monetaria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
L’incontro è stato estremamente interessante, non soltanto per i temi trattati e per le posizioni dei vari relatori, più o meno conosciute, ma per meglio comprendere come le forze euriste ed antieuriste si stiano schierando in campo.
I temi trattati durante l’incontro sono quelli di cui chi ci legge ha sentito e letto da anni: le cause della crisi dell’eurozona, la crisi dei debiti sovrani, gli squilibri delle bilance commerciali, le politiche di austerità e di svalutazione interna, il ruolo della moneta unica nelle politiche europee.
In questo articolo, come abbiamo anticipato, cercheremo di individuare non tanto le soluzioni economiche alla crisi, ma come il campo eurista ed antieurista si sta muovendo.
Per fare questo inizieremo proprio dal più “piddino” di tutti, il professor Giacomo Vaciago, di cui Alberto Bagnai ci aveva parlato tempo fa. Risparmieremo ai nostri lettori, pazienti ma anche deboli di stomaco, i soliti luogocomunismi: “le cariole”, “l’invasione delle cavallette”, “uscendo dall’euro torniamo al baratto”, “la guerra”. Ci vorremmo, invece, soffermare sugli elementi più interessanti. E quali sono questi elementi interessanti? Che anche un eurista duro e puro come il professorVaciago è costretto ormai ad ammettere alcune “criticità” della moneta unica:
- l’euro non era e non è il paradiso terrestre
- l’austerità, che intende salvare i debitori e non i creditori, è stata sbagliata
- soltanto il settore manufatturiero ha beneficiato dell’euro
- l’euro non è una moneta unica perché le economie europee non sono unificate
Come i nostri lettori certamente sapranno anche in questa lettura critica del Professor Vaciago ci sono delle “lievi imprecisioni”. Una su tutte non comprendere come l’austerità non è stata una scelta sbagliata, ma necessaria in regime di moneta unica. Gli squilibri che rendono necessaria l’austerità sono infatti squilibri determinati dai rapporti di debito e credito estero, che si possono risolvere soltanto rimettendo a posto il saldo delle partite correnti, cioè riducendo il debito estero dei paesi del sud. Di conseguenza, con l’euro (che ha il cambio fisso) l’unica possibilità per ridurre l’indebitamento estero di un paese del sud è quella di un taglio del reddito dei lavoratori. Certo, l’alternativa sarebbe quella di chiedere al resto del mondo di crescere il triplo per poter esportare di più. Ma ci sembra altamente improbabile.
Come avevamo promesso questo articolo, però, non tratterà di argomenti tecnico-economici, quindi ci fermiamo qui e ribadiamo l’elemento importante dell’intervento del professor Vaciago. Nonostante le sue “lievi imprecisioni” e la sua fede eurista, si comincia a dire che l’euro non è “il paradiso terrestre”.
Passiamo ora all’intervento dell’On. Stefano Fassina. Anche in questo caso l’ex responsabile economico del Partito Democratico e sottosegretario al ministero dell’economia del governo Letta afferma che “La ricetta economica che abbiamo seguito anche in Italia non ha funzionato e non funziona”. Ammette inoltre che “Era noto a tutti che l’Eurozona non sarebbe mai stata un’Area Valutaria Ottimale”.
Dunque, ci chiediamo, come mai il partito dell’On. Fassina si è fatto promotore di un progetto destinato al fallimento? L’On.Fassina lo ammette candidamente: “L’Euro non è stata una scelta economica, ma politica, perché la dimensione nazionale era una condanna alla marginalità”.
Tralasciando la stupidaggine della “marginalità della dimensione nazionale” l’On. Fassina confessa, dunque, ciò che noi “populisti antieuropeisti” abbiamo sempre affermato: il progetto europeista è stato un progetto autoritario, che nulla aveva a che fare con l’Europa dei popoli né con la razionalità economica, per la concentrazione dei capitali in un momento di crisi del vecchio modello capitalistico. Sorprende, e un po’ sconcerta, che il promotore di questo progetto sia stato però un partito che ancora si definisce di “sinistra” e che ha avuto come unico effetto quello della svalutazione dei salari.
Di fronte a queste affermazioni di esponenti della sinistra politica e universitaria è arrivato l’intervento del Professor Claudio Borghi (di cui si vocifera una candidatura per la Lega Nord alle prossime elezioni europee) che, paradossalmente, a un certo punto, è sembrata la voce più di “sinistra” in quel consesso. Attenzione però: Borghi non ha detto nulla di rivoluzionario o di sovversivo, ma soltanto ciò che è sotto gli occhi di tutti, evidenziando come i cambi valutari non sono un accidente della storia, ma lo strumento per avere le diverse economie in armonia. Inoltre, ha aggiunto, l’idea che tutti i paesi dovrebbero essere eccellenti è “produttivi”, non solo è sbagliata ma è anche una mentalità “imperialistica”. Non solo perché la “produttività tedesca” è derivata da deflazione salariale e da un aumento della spesa pubblica (a causa della riforma del lavoro Hartz), ma anche perché non è possibile far sì che tutti i paesi che adottano l’euro si trasformino in delle piccole “Germanie”.
Tutto condivisibile? Non proprio. Nell’analisi di Borghi, infatti, oltre la giusta e condivisibile critica della moneta unica e del cambio fisso manca quella nei confronti del mercato unico e degli strumenti di difesa dei lavoratori in un’eventuale uscita dall’euro (controllo sui movimenti di capitali, indicizzazione dei salari, eccetera). Ma per dire questo sarebbe necessaria una “sinistra”.
Vi è stato, infine, l’intervento di Diego Fusaro che, più di tutti, non limitandosi a un’analisi economicistica, ha compreso come la dittatura dell’euro sia parte di una più complessiva dittatura capitalistica, che egli ha definito “Globalitarismo”: un nuovo paradigma totalitario in cui tutto diventa merce e in cui, sciolto da ogni vincolo, vige il monoteismo del mercatocapitalistico. Per questo l’unica via d’uscita è la sovranità nazionale, il ritorno allo Stato Nazione: l’unico luogo in cui la politica riesce a disciplinare l’economia.
Tutto giusto e condivisibile. Proprio per questo non si può, però, ritenere l’uscita dall’euro (e dall’Unione Europea) “apolitica” e non considerare i rischi di un’uscita “gattopardesca” dalla crisi. In altre parole non si può non considerare il rischio che le classi dominanti decidano di “cambiare tutto senza cambiare nulla”: uscire dalla moneta unica senza mettere in discussione il mercato unico, la Globalizzazione, il monoteismo del mercato e della forma merce, il modello mercantilista, la dittatura capitalistica.
Per questo è necessaria la costituzione di una “Sinistra Noeuro” che possa farci uscire dalla crisi dell’euro difendendo i lavoratori e mettendo in campo un'alternativa al mercato unico, all’ideologia liberoscambista e liberista di questi anni, mettendo in primo piano gli interessi del lavoro e dando una nuova centralità all’intervento pubblico nell’economia.
La sinistra, compresa quella a parole antisistema, lo capirà o continuerà a porsi come ormai unico difensore del totemeurista?
L’incontro è stato estremamente interessante, non soltanto per i temi trattati e per le posizioni dei vari relatori, più o meno conosciute, ma per meglio comprendere come le forze euriste ed antieuriste si stiano schierando in campo.
I temi trattati durante l’incontro sono quelli di cui chi ci legge ha sentito e letto da anni: le cause della crisi dell’eurozona, la crisi dei debiti sovrani, gli squilibri delle bilance commerciali, le politiche di austerità e di svalutazione interna, il ruolo della moneta unica nelle politiche europee.
In questo articolo, come abbiamo anticipato, cercheremo di individuare non tanto le soluzioni economiche alla crisi, ma come il campo eurista ed antieurista si sta muovendo.
Per fare questo inizieremo proprio dal più “piddino” di tutti, il professor Giacomo Vaciago, di cui Alberto Bagnai ci aveva parlato tempo fa. Risparmieremo ai nostri lettori, pazienti ma anche deboli di stomaco, i soliti luogocomunismi: “le cariole”, “l’invasione delle cavallette”, “uscendo dall’euro torniamo al baratto”, “la guerra”. Ci vorremmo, invece, soffermare sugli elementi più interessanti. E quali sono questi elementi interessanti? Che anche un eurista duro e puro come il professorVaciago è costretto ormai ad ammettere alcune “criticità” della moneta unica:
- l’euro non era e non è il paradiso terrestre
- l’austerità, che intende salvare i debitori e non i creditori, è stata sbagliata
- soltanto il settore manufatturiero ha beneficiato dell’euro
- l’euro non è una moneta unica perché le economie europee non sono unificate
Come i nostri lettori certamente sapranno anche in questa lettura critica del Professor Vaciago ci sono delle “lievi imprecisioni”. Una su tutte non comprendere come l’austerità non è stata una scelta sbagliata, ma necessaria in regime di moneta unica. Gli squilibri che rendono necessaria l’austerità sono infatti squilibri determinati dai rapporti di debito e credito estero, che si possono risolvere soltanto rimettendo a posto il saldo delle partite correnti, cioè riducendo il debito estero dei paesi del sud. Di conseguenza, con l’euro (che ha il cambio fisso) l’unica possibilità per ridurre l’indebitamento estero di un paese del sud è quella di un taglio del reddito dei lavoratori. Certo, l’alternativa sarebbe quella di chiedere al resto del mondo di crescere il triplo per poter esportare di più. Ma ci sembra altamente improbabile.
Come avevamo promesso questo articolo, però, non tratterà di argomenti tecnico-economici, quindi ci fermiamo qui e ribadiamo l’elemento importante dell’intervento del professor Vaciago. Nonostante le sue “lievi imprecisioni” e la sua fede eurista, si comincia a dire che l’euro non è “il paradiso terrestre”.
Passiamo ora all’intervento dell’On. Stefano Fassina. Anche in questo caso l’ex responsabile economico del Partito Democratico e sottosegretario al ministero dell’economia del governo Letta afferma che “La ricetta economica che abbiamo seguito anche in Italia non ha funzionato e non funziona”. Ammette inoltre che “Era noto a tutti che l’Eurozona non sarebbe mai stata un’Area Valutaria Ottimale”.
Dunque, ci chiediamo, come mai il partito dell’On. Fassina si è fatto promotore di un progetto destinato al fallimento? L’On.Fassina lo ammette candidamente: “L’Euro non è stata una scelta economica, ma politica, perché la dimensione nazionale era una condanna alla marginalità”.
Tralasciando la stupidaggine della “marginalità della dimensione nazionale” l’On. Fassina confessa, dunque, ciò che noi “populisti antieuropeisti” abbiamo sempre affermato: il progetto europeista è stato un progetto autoritario, che nulla aveva a che fare con l’Europa dei popoli né con la razionalità economica, per la concentrazione dei capitali in un momento di crisi del vecchio modello capitalistico. Sorprende, e un po’ sconcerta, che il promotore di questo progetto sia stato però un partito che ancora si definisce di “sinistra” e che ha avuto come unico effetto quello della svalutazione dei salari.
Di fronte a queste affermazioni di esponenti della sinistra politica e universitaria è arrivato l’intervento del Professor Claudio Borghi (di cui si vocifera una candidatura per la Lega Nord alle prossime elezioni europee) che, paradossalmente, a un certo punto, è sembrata la voce più di “sinistra” in quel consesso. Attenzione però: Borghi non ha detto nulla di rivoluzionario o di sovversivo, ma soltanto ciò che è sotto gli occhi di tutti, evidenziando come i cambi valutari non sono un accidente della storia, ma lo strumento per avere le diverse economie in armonia. Inoltre, ha aggiunto, l’idea che tutti i paesi dovrebbero essere eccellenti è “produttivi”, non solo è sbagliata ma è anche una mentalità “imperialistica”. Non solo perché la “produttività tedesca” è derivata da deflazione salariale e da un aumento della spesa pubblica (a causa della riforma del lavoro Hartz), ma anche perché non è possibile far sì che tutti i paesi che adottano l’euro si trasformino in delle piccole “Germanie”.
Tutto condivisibile? Non proprio. Nell’analisi di Borghi, infatti, oltre la giusta e condivisibile critica della moneta unica e del cambio fisso manca quella nei confronti del mercato unico e degli strumenti di difesa dei lavoratori in un’eventuale uscita dall’euro (controllo sui movimenti di capitali, indicizzazione dei salari, eccetera). Ma per dire questo sarebbe necessaria una “sinistra”.
Vi è stato, infine, l’intervento di Diego Fusaro che, più di tutti, non limitandosi a un’analisi economicistica, ha compreso come la dittatura dell’euro sia parte di una più complessiva dittatura capitalistica, che egli ha definito “Globalitarismo”: un nuovo paradigma totalitario in cui tutto diventa merce e in cui, sciolto da ogni vincolo, vige il monoteismo del mercatocapitalistico. Per questo l’unica via d’uscita è la sovranità nazionale, il ritorno allo Stato Nazione: l’unico luogo in cui la politica riesce a disciplinare l’economia.
Tutto giusto e condivisibile. Proprio per questo non si può, però, ritenere l’uscita dall’euro (e dall’Unione Europea) “apolitica” e non considerare i rischi di un’uscita “gattopardesca” dalla crisi. In altre parole non si può non considerare il rischio che le classi dominanti decidano di “cambiare tutto senza cambiare nulla”: uscire dalla moneta unica senza mettere in discussione il mercato unico, la Globalizzazione, il monoteismo del mercato e della forma merce, il modello mercantilista, la dittatura capitalistica.
Per questo è necessaria la costituzione di una “Sinistra Noeuro” che possa farci uscire dalla crisi dell’euro difendendo i lavoratori e mettendo in campo un'alternativa al mercato unico, all’ideologia liberoscambista e liberista di questi anni, mettendo in primo piano gli interessi del lavoro e dando una nuova centralità all’intervento pubblico nell’economia.
La sinistra, compresa quella a parole antisistema, lo capirà o continuerà a porsi come ormai unico difensore del totemeurista?
* Fonte: Bottega Partigiana
3 commenti:
Le cosiddette "classi dominanti" sono tali anche grazie alla loro propensione al camaleontismo o trasformismo come dir si voglia.
In parte dipende da capacità di adattamento specifiche di una certa categoria di classi, molto invece dagli ordinamenti legislativi che dovrebbero essere in razionale feedback con le situazioni sociali ed economiche.
Quando le Leggi vengono fatte da persone sbagliate per finalità ingiuste, ogni via al gattopardismo diventa un'autostrada. Il problema, come al solito, è una questione di governo.
E' difficile capire quale filosofia segua la Sinistra oggi.
Se si pensa come la sinistra italiana abbia condiviso tutte le scelte del Governo Monti senza praticamente fiatare è difficile persuadersi che il PD sia un partito di sinistra; con buona pace dell'on.le Fassina che, sia detto come battuta, assomiglia anche fisicamente e fisionomicamente a Tsipras di Syriza.
Ci si potrebbe anche domandare se ci sia qualche entità superiore o qualche potere metafisico capace di ispirare alle Sinistre comportamenti apparentemente dissonanti da quella che si suppone dovrebbe essere una ideologia di sinistra.
Sinceramente tutto appare così misterioso a cominciare dalla constatazione che tanta gente continui a votare PD.
Se il capitale è spregiudicato, noi lo saremo il doppio. Verso una nuova Costituente!
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