2 dicembre. Fra qualche giorno il Prc celebrerà a Perugia il suo IX Congresso. I delegati saranno chiamati a scegliere tra tre mozioni. Di sicuro vincerà la prima mozione, primo firmatario il segretario Paolo Ferrero. La terza mozione (Targetti), quella che propone l'uscita dall'euro ha ottenuto nei congressi di circolo un sorprendente 19%. C'è poi un gruppo di compagni, capeggiati da Ugo Boghetta (nella foto), che ha presentato al documento n.1 degli emendamenti che propongono anche loro l'uscita dall'euro. Ne dammo notizia il 17 ottobre. Questi emendamenti hanno ottenuto nei congressi di circolo un successo insperato. Se ottenessero la maggioranza al congresso nazionale sarebbe svolta vera. Ugo Boghetta sarà uno dei relatori al Convegno di Chianciano Terme (11-12 gennaio) OLTRE L'EURO.
«Sono terminati i congressi di circolo. Non abbiamo ancora i dati definitivi ma gli emendamenti no-euro hanno avuto un insperato successo di “critica e di pubblico”; ne è avvenuta l'approvazione in quasi tutti i congressi in cui sono stati presentati. Ha tuttavia pesato la scarsa discussione dovuta anche al fatto che l'approfondimento collettivo (congresso lungo?) della questione Europa è stato bloccato dopo il seminario precongressuale. Così come anche altri erano i temi all'attenzione.
Questi ottimi risultati possono derivare dalla combinazione di vari motivi. Alcuni compagni covavano da tempo il dubbio rispetto all'euro ed ai suoi nefasti effetti. Per altri è stata una specie di illuminazione. La proposta no-euro è risultata l'unica l'altezza della straordinarietà dei tempi rispetto a proposte ormai logore contenute in tutti e tre i documenti. Per questo alcuni hanno approvato gli emendamenti affinché il congresso continuasse a discuterne. È dunque utile continuare la discussione anche nei congressi provinciali per coinvolgere chi non ha discusso del tema nel proprio circolo e preparare adeguatamente il congresso nazionale.
Rimangono infatti ancora domande e incomprensioni.
C'è chi sente l'incertezza di una prospettiva di uscita dell'euro rispetto alla più “tranquillizzante” posizione di rottura o disobbedienza ai trattati. C'è chi pensa reazionario il ritorno alle nazione (Falce e Martello e non solo) come se l'Europa sovranazionale fosse di per sé un fatto progressivo, che può permettere l'unità dei popoli, o la costituzione delle repubbliche socialiste europee con rivolte simultanee in tutto il continente. Alla base di queste posizioni c'è l'errore di considerare l'Europa una struttura sovra-nazionale mentre, al contrario, è prosaicamente un inter-stati a guida tedesca. E l'analisi concreta della situazione concreta ci dice che l'euro divide popoli e proletariati con l'effetto di dare spazio alle destre estreme.
C'è chi afferma che il terreno nazionale è il terreno della borghesia. Sfugge che oggi è proprio la dimensione sovra-nazionale, con la sua pletora di organismi tecnocratici, la dimensione ottimale del capitale finanziario e dei poteri forti. Per altro, non ci sembra che i tentativi di superare gli stati nazionali siano opera del proletariato. Come abbiamo più volte affermato il recupero del terreno nazionale invece è necessario per riconquistare un terreno più efficace al conflitto di classe e democratico. Eliminando la scusa:”Lo vuole l'Europa” e lo stritolamento automatico ed occulto dell'euro, può tornare la politica ed il conflitto su opzioni diverse.
Un'altra questione da approfondire riguarda il cosa succede se si esce dall'euro. Domanda sacrosanta e di buon senso se e solo se prima si comprende che l'euro, moneta che lega economie diverse ed in via di ulteriore differenziazione, funziona come una garrota che agisce in automatico e porta ad un inevitabile declino dei paesi più deboli, dei lavoratori e delle classi popolari, dello stato sociale, della stessa democrazia borghese.
L'uscita dall'euro può avvenire per implosione dell'Europa o per scelta del paese. In entrambi i casi è necessario discutere una exit strategy. È su questo terreno che si delinea l'opposizione fra un'uscita da destra o da sinistra. L'uscita da sinistra dell'euro necessita di alcune misure forti: il blocco dei capitali, la nazionalizzazione del credito, la difesa di salari e pensioni dall'inflazione, l'intervento pubblico in economia. Ci sono altri temi da approfondire: come si paga il debito ad esempio, oppure come sia possibile orientare il risparmio al di fuori dell'attuale finanza al fine di rilanciare l'economia ed un'altra idea della medesima.
Tuttavia, se siamo comunisti, dobbiamo capire che solo in una rottura di tale portata le nostre proposte possono acquistare un senso mentre oggi sono mute. E solo in tale contesto ritorna la politica rispetto alla melassa attuale.
Questa opzione, inoltre, ci obbliga ad uscire dal nostro tran tran. Ora anneghiamo in analisi economiciste della crisi o sociologiche riguardo alla composizione di classe. È uno degli effetti dell'incapacità e non volontà di affrontare da sinistra la Questione Nazionale nascondendosi, come le classi dirigenti italiote, dietro ad un più facile quanto astratto internazionalismo proletario o universalismo dei popoli. Non a caso i programmi dei documenti sono simili e sono buoni per ogni occasione (cioè per nessuna) in quanto astratti, ideologici, scolastici. L'uscita dall'euro, comunque avvenga, ci obbliga a ragionare sul blocco sociale, analizzare nel concreto gli interessi dei vari settori di classe popolari ed altri ceti: i vari tipi di lavoro autonomo, artigianato, piccola impresa. Così è per la questione ideologica e culturale o i tanti spezzoni in conflitto con la mercificazione.
Questa opzione propone in modo concreto la costruzione di un fronte ed un'alleanza popolare e del soggetto politico plurale della sinistra. Unire la sinistra contro l'euro non è la stessa cosa che tentare di unirla per sommatorie senza strategie.
Ed ancora: solo in un contesto di tale portata le proposte di uscita a sinistra dalla crisi possono essere incardinate come transizione al socialismo e quindi proporsi come cambiamento dei rapporti sociali di produzione. Leninianamente il socialismo mette i piedi per terra in una possibile frattura storica, e smette di essere una vaga aspirazione.
L'ultimo gruppo di questioni riguarda il tema delle alleanze internazionali dentro il percorso di riconquista della sovranità nazionale. In primo luogo va conquistato il punto di vista no-euro poiché altrimenti la problematica rischia di essere viziata: si può pensare l'Europa a piacere. Non è così.
Questo aspetto ora va approfondito. Ci sono in campo molte opzioni: l'euro sud, l'alleanza dei paesi del sud Europa o euro-mediterranea, il ritorno allo SME, gli euro italiano francese ecc.
Con la costituzione del governo tedesco CDU-SPD la problematica euro viene accelerata. I mass media nazionali cominciano ad accorgersi della questione e a proporre approfondimenti. Forze politiche cominciano ad approcciarla più seriamente. Le elezioni europee incombono. Bisogna decidere, decidere presto al fine di evitare di essere alla coda della storia e dei conflitti reali. E risultare ancora inutili».
Fonte: liberazione.it
«Sono terminati i congressi di circolo. Non abbiamo ancora i dati definitivi ma gli emendamenti no-euro hanno avuto un insperato successo di “critica e di pubblico”; ne è avvenuta l'approvazione in quasi tutti i congressi in cui sono stati presentati. Ha tuttavia pesato la scarsa discussione dovuta anche al fatto che l'approfondimento collettivo (congresso lungo?) della questione Europa è stato bloccato dopo il seminario precongressuale. Così come anche altri erano i temi all'attenzione.
Questi ottimi risultati possono derivare dalla combinazione di vari motivi. Alcuni compagni covavano da tempo il dubbio rispetto all'euro ed ai suoi nefasti effetti. Per altri è stata una specie di illuminazione. La proposta no-euro è risultata l'unica l'altezza della straordinarietà dei tempi rispetto a proposte ormai logore contenute in tutti e tre i documenti. Per questo alcuni hanno approvato gli emendamenti affinché il congresso continuasse a discuterne. È dunque utile continuare la discussione anche nei congressi provinciali per coinvolgere chi non ha discusso del tema nel proprio circolo e preparare adeguatamente il congresso nazionale.
Rimangono infatti ancora domande e incomprensioni.
C'è chi sente l'incertezza di una prospettiva di uscita dell'euro rispetto alla più “tranquillizzante” posizione di rottura o disobbedienza ai trattati. C'è chi pensa reazionario il ritorno alle nazione (Falce e Martello e non solo) come se l'Europa sovranazionale fosse di per sé un fatto progressivo, che può permettere l'unità dei popoli, o la costituzione delle repubbliche socialiste europee con rivolte simultanee in tutto il continente. Alla base di queste posizioni c'è l'errore di considerare l'Europa una struttura sovra-nazionale mentre, al contrario, è prosaicamente un inter-stati a guida tedesca. E l'analisi concreta della situazione concreta ci dice che l'euro divide popoli e proletariati con l'effetto di dare spazio alle destre estreme.
C'è chi afferma che il terreno nazionale è il terreno della borghesia. Sfugge che oggi è proprio la dimensione sovra-nazionale, con la sua pletora di organismi tecnocratici, la dimensione ottimale del capitale finanziario e dei poteri forti. Per altro, non ci sembra che i tentativi di superare gli stati nazionali siano opera del proletariato. Come abbiamo più volte affermato il recupero del terreno nazionale invece è necessario per riconquistare un terreno più efficace al conflitto di classe e democratico. Eliminando la scusa:”Lo vuole l'Europa” e lo stritolamento automatico ed occulto dell'euro, può tornare la politica ed il conflitto su opzioni diverse.
Un'altra questione da approfondire riguarda il cosa succede se si esce dall'euro. Domanda sacrosanta e di buon senso se e solo se prima si comprende che l'euro, moneta che lega economie diverse ed in via di ulteriore differenziazione, funziona come una garrota che agisce in automatico e porta ad un inevitabile declino dei paesi più deboli, dei lavoratori e delle classi popolari, dello stato sociale, della stessa democrazia borghese.
L'uscita dall'euro può avvenire per implosione dell'Europa o per scelta del paese. In entrambi i casi è necessario discutere una exit strategy. È su questo terreno che si delinea l'opposizione fra un'uscita da destra o da sinistra. L'uscita da sinistra dell'euro necessita di alcune misure forti: il blocco dei capitali, la nazionalizzazione del credito, la difesa di salari e pensioni dall'inflazione, l'intervento pubblico in economia. Ci sono altri temi da approfondire: come si paga il debito ad esempio, oppure come sia possibile orientare il risparmio al di fuori dell'attuale finanza al fine di rilanciare l'economia ed un'altra idea della medesima.
Tuttavia, se siamo comunisti, dobbiamo capire che solo in una rottura di tale portata le nostre proposte possono acquistare un senso mentre oggi sono mute. E solo in tale contesto ritorna la politica rispetto alla melassa attuale.
Questa opzione, inoltre, ci obbliga ad uscire dal nostro tran tran. Ora anneghiamo in analisi economiciste della crisi o sociologiche riguardo alla composizione di classe. È uno degli effetti dell'incapacità e non volontà di affrontare da sinistra la Questione Nazionale nascondendosi, come le classi dirigenti italiote, dietro ad un più facile quanto astratto internazionalismo proletario o universalismo dei popoli. Non a caso i programmi dei documenti sono simili e sono buoni per ogni occasione (cioè per nessuna) in quanto astratti, ideologici, scolastici. L'uscita dall'euro, comunque avvenga, ci obbliga a ragionare sul blocco sociale, analizzare nel concreto gli interessi dei vari settori di classe popolari ed altri ceti: i vari tipi di lavoro autonomo, artigianato, piccola impresa. Così è per la questione ideologica e culturale o i tanti spezzoni in conflitto con la mercificazione.
Questa opzione propone in modo concreto la costruzione di un fronte ed un'alleanza popolare e del soggetto politico plurale della sinistra. Unire la sinistra contro l'euro non è la stessa cosa che tentare di unirla per sommatorie senza strategie.
Ed ancora: solo in un contesto di tale portata le proposte di uscita a sinistra dalla crisi possono essere incardinate come transizione al socialismo e quindi proporsi come cambiamento dei rapporti sociali di produzione. Leninianamente il socialismo mette i piedi per terra in una possibile frattura storica, e smette di essere una vaga aspirazione.
L'ultimo gruppo di questioni riguarda il tema delle alleanze internazionali dentro il percorso di riconquista della sovranità nazionale. In primo luogo va conquistato il punto di vista no-euro poiché altrimenti la problematica rischia di essere viziata: si può pensare l'Europa a piacere. Non è così.
Questo aspetto ora va approfondito. Ci sono in campo molte opzioni: l'euro sud, l'alleanza dei paesi del sud Europa o euro-mediterranea, il ritorno allo SME, gli euro italiano francese ecc.
Con la costituzione del governo tedesco CDU-SPD la problematica euro viene accelerata. I mass media nazionali cominciano ad accorgersi della questione e a proporre approfondimenti. Forze politiche cominciano ad approcciarla più seriamente. Le elezioni europee incombono. Bisogna decidere, decidere presto al fine di evitare di essere alla coda della storia e dei conflitti reali. E risultare ancora inutili».
Fonte: liberazione.it
4 commenti:
Io sarò in errore ma la baraonda nasce da lontano. Uno degli scopi principali dell "Europa" è far fuori le sovranità nazionali. E non certo con intenzioni "di sinistra".
Inviterei i confusi a rileggersi certi vecchi "documenti" dove c'è ben chiaro il copione in scena.
All'assemblea nazionale di ROSS@ Cremaschi ha proposto che l'uscita dall'euro sia inserita tra le parole d'ordine dell'associazione.
Ha detto bene il dott. Cremaschi il quale evidentemente ha ben capito che uscire dall'Euro è cpme scampare alle sabbie mobili: parola d'ordine irrevocabile e conditio sine qua non per salvarsi.
Claudio
di quale assemblea di rossa parli?
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