26 dicembre. E' stato appena reso noto l'ultimo aggiornamento del Trade Performance Index a cura dell'International Trade Centre (Itc), braccio operativo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e dell'Unctad. Da esso si evince che l'industria italiana resta seconda in Europa dopo quella tedesca sia per consistenza che per export.
Il Sole 24 Ore, per bocca del suo direttore Roberto Napoletano, prende la palla al balzo per fare l'encomio del capitalismo italiano.
Non solo i "declinisti" avrebbero torto; Napoletano sostiene che, dati alla mano, l'industria italiana grazie alla cura dimagrante imposta dalla grande crisi, avrebbe compiuto le doverose trasformazioni imposte dalla globalizzazione.
Tutto va bene madama la marchesa? Ma neanche per sogno.
I dati strombazzati dal giornale della Confindustria vanno infatti contestualizzati. L'Italia mantiene sì posizioni di leadership, ma in settori per niente strategici. Ha perso da tempo, a causa dello smantellamento deliberato dei settori a partecipazione pubblica, i primati che deteneva in settori chiave come la chimica, la siderurgia di base, l'informatica, la cantieristica, non solo navale. Anche guardando la classifica dei principali paesi esportatori di merci l'Italia è scesa all'ottavo posto, sorpassata da Francia, Olanda e Corea del Sud; esporta per un sesto della Cina, per un terzo degli Stati Uniti e della Germania. [Vedi Tabella n.2]
Il dato dell'export va poi disaggregato. Sono le piccole e soprattutto medie imprese, e per niente quelle grandi, quelle che spiegano le performances dell'export. E' stato infatti grazie alle medie ed alle piccole imprese orientate sui mercati esteri se il capitalismo industriale italiano è riuscito a tenere posizioni di rilievo nella gerarchia mondiale. Quelle grandi negli ultimi decenni hanno infatti preferito darsi al gioco d'azzardo finanziario, gettarsi nelle bische del capitalismo-casinò, dove i facili guadagni da interesse e rendita superano i profitti industriali.
Questo elemento per cui sono le medie e piccole imprese —quelle incardinate su settori di nuova borghesia imprenditoriale a vocazione familiare-territoriale— a costituire la forza motrice del capitalismo manifatturiero, va a sua volta messo accanto all'altro, quello della moria di massa di altrettante piccole medie aziende, nella gran parte dei casi proprio quelle orientate al mercato interno.
E' vero che l'industria italiana ha conosciuto nel 2013 un surplus con l'estero di oltre 100 miliardi, ma tenendo conto che
Il tabù dell'euro non viene violato, ma i confindustriali riconoscono, a scoppio ritardato, che
Ancora una volta a scoppio ritardato Il Sole 24 Ore scopre l'acqua calda:
Sentite infatti come Fortis chiude la sua disamina:
Il Sole 24 Ore, per bocca del suo direttore Roberto Napoletano, prende la palla al balzo per fare l'encomio del capitalismo italiano.
«L'industria italiana —ci dice Napoletano— è prima al mondo nel tessile, nell'abbigliamento, nei prodotti in cuoio e nell'occhialeria. E' seconda al mondo nell'automazione-meccanica (macchine industriali, per gli imballaggi e di precisione), nei manufatti di base (ceramiche, metalli, prodotti in metallo e per l'edilizia) e nei manufatti diversi (articoli di plastica, design-arredo, mobile, attrezzature per la casa). E' sesta al mondo negli alimenti trasformati e custodisce una serie di leadership sui prodotti di qualità della cosiddetta Altagamma».
Tabella n.1: doveva l'export italiano
Non solo i "declinisti" avrebbero torto; Napoletano sostiene che, dati alla mano, l'industria italiana grazie alla cura dimagrante imposta dalla grande crisi, avrebbe compiuto le doverose trasformazioni imposte dalla globalizzazione.
Tutto va bene madama la marchesa? Ma neanche per sogno.
I dati strombazzati dal giornale della Confindustria vanno infatti contestualizzati. L'Italia mantiene sì posizioni di leadership, ma in settori per niente strategici. Ha perso da tempo, a causa dello smantellamento deliberato dei settori a partecipazione pubblica, i primati che deteneva in settori chiave come la chimica, la siderurgia di base, l'informatica, la cantieristica, non solo navale. Anche guardando la classifica dei principali paesi esportatori di merci l'Italia è scesa all'ottavo posto, sorpassata da Francia, Olanda e Corea del Sud; esporta per un sesto della Cina, per un terzo degli Stati Uniti e della Germania. [Vedi Tabella n.2]
Tabella n.2: ottavo paese esportatore |
Il dato dell'export va poi disaggregato. Sono le piccole e soprattutto medie imprese, e per niente quelle grandi, quelle che spiegano le performances dell'export. E' stato infatti grazie alle medie ed alle piccole imprese orientate sui mercati esteri se il capitalismo industriale italiano è riuscito a tenere posizioni di rilievo nella gerarchia mondiale. Quelle grandi negli ultimi decenni hanno infatti preferito darsi al gioco d'azzardo finanziario, gettarsi nelle bische del capitalismo-casinò, dove i facili guadagni da interesse e rendita superano i profitti industriali.
Questo elemento per cui sono le medie e piccole imprese —quelle incardinate su settori di nuova borghesia imprenditoriale a vocazione familiare-territoriale— a costituire la forza motrice del capitalismo manifatturiero, va a sua volta messo accanto all'altro, quello della moria di massa di altrettante piccole medie aziende, nella gran parte dei casi proprio quelle orientate al mercato interno.
E' vero che l'industria italiana ha conosciuto nel 2013 un surplus con l'estero di oltre 100 miliardi, ma tenendo conto che
«Rispetto al gennaio 2008, gli indici destagionalizzati dell'Eurostat ci dicono che il fatturato dell'industria manifatturiera italiana a settembre 2013 risultava caduto del 16,9% contro un calo del 2,8% della Germania. Colpa soprattutto di un autentico crollo del 23% del fatturato domestico italiano rispetto ad una più modesta flessione del 6,3% di quello tedesco».[Il primato industriale italiano, di Marco Fortis. Il Sole 24 Ore del 24 dicembre 2013]Il giornale della Confindustria si guarda bene dal tentare di spiegare questa enorme sproporzione Germania-Italia e non lo fa perché non vuole mettere l'euro sul banco degli accusati. E' un segreto di Pulcinella che, al netto della crisi sistemica globale, la moneta unica e le severe politiche austeritarie imposte dall'Unione e dalla Bce per tenerlo a galla, sono cause primarie della depressione italiana.
Tabella n.3: il surplus della Germania |
Il tabù dell'euro non viene violato, ma i confindustriali riconoscono, a scoppio ritardato, che
«... è del tutto evidente che le cause della crisi attuale dell'economia italiana vanno ricercate non nell'export ma nelle ricette sbagliate, o quantomeno sproporzionate, che ci sono state imposte dall'UE e che hanno falcidiato le capacità di spesa e di consumo degli italiani». [Marco Fortis, Ibidem]Le lacrime di coccodrillo della Confidustria squinziana. Dopo aver sostenuto a spada tratta, a nome di una grande borghesia oramai sostanzialmente parassitaria e rentier, la macelleria austeritaria e recessiva del governo Monti in nome dell'Europa, ora si ammette che si è trattato di un..."errore". E' il segno delle pelose critiche squinziane alla Legge di Stabilità del Governo Letta, l'invito a "battere i pugni sui tavoli europei" nella speranza (vana) di convincere Commissione, Bce e Berlino ad ammorbidire le dure condizioni imposte a Roma.
Ancora una volta a scoppio ritardato Il Sole 24 Ore scopre l'acqua calda:
«Purtroppo la storia degli ultimi trenta anni di tutti i Paesi avanzati e maturi ci dice che se il tuo mercato nazionale non "tira", l'export da solo non basta per far crescere decentemente il Pil. Per capirci, l'export non è sufficiente oggi nemmeno alla super-competitiva Germania, il cui PIL aumenta ormai da tre anni solo grazie alla spinta della domanda interna». [Marco Fortis, Ibidem]Resipiscenza di tipo keynesiano? Allentare i vincoli di bilancio per aumentare la domanda aggregata? Consentire allo Stato di far ripartire gli investimenti e quindi aumentare la spasa pubblica? Ammettere che il Fiscal compact è un cappio al collo dell'economia italiana? Per niente!
Tabella n.4: il ciclo del debito pubblico
Sentite infatti come Fortis chiude la sua disamina:
«Dunque per l'Italia c'è un unico modo per tornare a crescere: riformare e sburocratizzare lo Stato». [Marco Fortis, Ibidem]La montagna ha partorito un microscopico topolino neoliberista! E questi sono i suggeritori di Letta Renzi e compagnia? Viene da sbellicarsi dal ridere.
3 commenti:
I primi dieci paesi dell'economia globale oggi:
1 - United States 2 - China 3 - Japan 4 - Germany
5 - France 6 - United Kingdom 7 - Brazil 8 - Italy 9 - Russia 10 - India
e tra 14 anni (2028)
1 - China 2 - United States 3 - India 4 - Japan 5 - Brazil 6 - Germany 7 - United Kingdom 8 - Russia 9 - Mexico 10 - Canada.
(CEBR World Economic League Table)
Il Sole 24 Ore del 24 dicembre
Simplicius
NO, non viene da sbellicarsi dal ridere, ma da strapparsi i capelli (quelli che restano, ovviamente).
L'azienda Italia ha completamente perso il suo mercato interno, regalato senza contropartite, e perciò quel poco che resta della produzione deve esportare per sopravvivere.
A questa Caporetto i liberisti col culo degli altri (cioè noi contribuenti) hanno risposto con la ricetta sbagliata, imposta peraltro dalla troika prima ancora che dai confindustriali, ma giusto per nascondersi dietro un dito (lo vulole l'europa) alla bisogna.
Visto il doppio fallimento non hanno scelta, devono fingere di credere all'ultima scusa, la riforma del lavoro. Fino a toccare il fondo, il default dello Stato. A quel punto diranno: ecco, visto che era proprio colpa dello Stato! (fuggendo con gli elicotteri).
E' una storia già vista, vecchia di oltre un decennio. Facile anticiparne gli ultimi episodi.
Più difficile individuare un Kirchner all'italiana. Anche perchè chi ci ha provato ha sempre fatto una brutta fine.
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