28 agosto. Nel giugno scorso una delegazione internazionale (di cui faceva parte Moreno Pasquinelli) si recava in Siria, latrice di una proposta di pace concordata con i settori democratici dell'opposizione siriana. Incontri avvenero sia con le autorità siriane che con esponenti delle opposizioni. Ne davamo conto qui. L'impressione che se ne trasse era che né il regime né le ali più oltranziste della rivolta armata fossero interessate ad animare un processo di pace, che dunque la lotta fratricida, fomentata dalle potenze esterne, sarebbe continuata più aspra ancora. L'attacco militare "punitivo" capeggiato dagli Stati Uniti sembra oramai inevitabile. Quale che sarà la sua effettiva portata noi condanniamo quest'attacco, che non avviene per "amore" della pace e delle vite umane, ma solo per riconfermare la supremazia mondiale dell'impero americano.
«Che nel sobborgo orientale di Damasco di al-Ghouta mercoledì 21 agosto siano stati usati gas letali pare non ci sia alcun dubbio. Su chi le abbia usate invece la certezza non c'è. La zona è sotto il controllo di milizie locali che combattono il regime di baathista. Difficile pensare, come ha sostenuto il governo, che i guerriglieri le abbiano usate contro la propria gente. Tuttavia, siccome tra i gruppi guerriglieri non mancano mercenari e agenti provocatori al soldo delle potenze regionali che non nascondono di voler spazzare via Assad (per portare così un colpo fatale a quello che ritengono il nemico principale, l’Iran) non è teoricamente escluso che il gas sia stato da questi ultimi utilizzato proprio per creare il casus belli e costringere Usa e Nato all’intervento.
Viene in mente la cosiddetta “Strage di Racak”, avvenuta il 15 gennaio 1999, che i paesi Nato presero a pretesto per scatenare la infame “guerra umanitaria” contro la Jugoslavia. I morti di Racak furono una quarantina: per l’esercito jugoslavo si trattava di combattenti dell’Uck, per gli occidentali di “civili inermi”.
Nella conferenza stampa di ieri sera il segretario di Stato nordamericano Kerry, tirato per la giacca dai colonialisti imperituri inglesi e francesi, e dai sauditi, ha ufficialmente detto che gli Stati Uniti non staranno alla finestra e che puniranno il regime siriano. Attacchi missilistici sono alle porte. Il Presidente Obama, ha detto Kerry, aveva avvisato Bashar di non superare la “linea rossa”, già nell’agosto 2012 e poi di nuovo nel marzo scorso.
Che possa andare come per il Kosovo è tuttavia altamente improbabile. Allora l’obbiettivo primario della coalizione imperialistica era quello di staccare la regione a maggioranza albanese del Kosovo dalla Jugoslavia. Un obbiettivo realistico se si considera che il governo resistente di Milosevic, indebolito da dieci anni di embarghi, era completamente isolato, mentre si sapeva che la maggioranza dei kosovari, compatta dietro all’Uck, avrebbe accettato, cacciati i serbi, di passare sotto il protettorato Usa-Nato. Solo ad un anno di distanza dallo smacco in Kosovo avemmo a Belgrado il tanto agognato “regime change”, con l’ascesa al potere di satrapi occidentali mascherati da nazionalisti.
Il contesto geopolitico mediorientale non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello balcanico degli anni ‘90. E non solo per la centralità che, causa petrolio, la regione ha per il capitalismo mondiale — le borse come si è visto, temendo che l’escalation spinga all’in su il costo del barile, hanno subito bocciato l’idea dell’attacco Usa-Nato. E hanno ragione. Il conflitto latente tra le principali potenze regionali, in primis Iran, Arabia saudita e Turchia (l’Egitto sembra per ora fuori dalla partita, alle prese con l’anarchia interna), potrebbe degenerare e diventare dispiegato.
Gli imperialisti hanno poi un secondo grande problema. Un attacco devastante potrebbe sì mettere con le spalle al muro il regime del Baath, ma chi prenderebbe il potere? I gruppi guerriglieri sono centinaia e aspramente divisi fra loro, con le frange jihadiste in forte ascesa. L’anarchia militare, inevitabile una volta che cadesse il Baath, rappresenta una minaccia anzitutto per Israele.
Il rischio è dunque che la l’attuale guerra civile siriana, che ha già tutti i caratteri di una fitna intercomunitaria e di clan, invece di assopirsi deflagri in maniera ancora più sanguinosa, coinvolgendo i paesi limitrofi, Libano anzitutto. Forse Iraq, Turchia e Giordania.
I militari statunitensi e la Casa Bianca sono perfettamente al corrente di questi rischi. Se attacco porteranno è probabile dunque che sia “limitato”, come quelli missilistici di Reagan contro la Libia nel 1985, o come i bombardamenti aerei intermittenti contro l'Iraq iniziati nel gennaio 1997.
Che tali attacchi circoscritti possano piegare il regime siriano e obbligarlo a sedersi al tavolo negoziale, staremo a vedere. Che possano determinare un “regime change” ne dubitiamo.
Non dubitiamo affatto, invece, che l’attacco va condannato, perché espressione delle pulsioni necolonialistiche e degli appetiti egemonici degli Usa, che così vogliono riconfermare che loro e solo loro sono i padroni del mondo. Ci auguriamo anzi che le forze militari del regime siriano, che da due anni e mezzo stanno martoriando il popolo, infliggano le più alte perdite agli aggressori, così che possano pagare cara la loro tracotanza.
Ciò non cambia il nostro giudizio sulla guerra civile siriana. Una guerra sporca, senza esclusione di colpi, in cui non ci sono buoni da una parte e cattivi dall’altra, ma banditi, predoni e macellai da ambo i lati.
Se le forze che si stanno combattendo rifiuteranno con ogni pretesto di negoziare il cessate il fuoco e di avviare una transizione verso la pace, la guerra civile continuerà e l’aggressione Usa-Nato non potrà che accentuarla».
* Fonte: Campo Antimperialista
«Che nel sobborgo orientale di Damasco di al-Ghouta mercoledì 21 agosto siano stati usati gas letali pare non ci sia alcun dubbio. Su chi le abbia usate invece la certezza non c'è. La zona è sotto il controllo di milizie locali che combattono il regime di baathista. Difficile pensare, come ha sostenuto il governo, che i guerriglieri le abbiano usate contro la propria gente. Tuttavia, siccome tra i gruppi guerriglieri non mancano mercenari e agenti provocatori al soldo delle potenze regionali che non nascondono di voler spazzare via Assad (per portare così un colpo fatale a quello che ritengono il nemico principale, l’Iran) non è teoricamente escluso che il gas sia stato da questi ultimi utilizzato proprio per creare il casus belli e costringere Usa e Nato all’intervento.
Viene in mente la cosiddetta “Strage di Racak”, avvenuta il 15 gennaio 1999, che i paesi Nato presero a pretesto per scatenare la infame “guerra umanitaria” contro la Jugoslavia. I morti di Racak furono una quarantina: per l’esercito jugoslavo si trattava di combattenti dell’Uck, per gli occidentali di “civili inermi”.
Nella conferenza stampa di ieri sera il segretario di Stato nordamericano Kerry, tirato per la giacca dai colonialisti imperituri inglesi e francesi, e dai sauditi, ha ufficialmente detto che gli Stati Uniti non staranno alla finestra e che puniranno il regime siriano. Attacchi missilistici sono alle porte. Il Presidente Obama, ha detto Kerry, aveva avvisato Bashar di non superare la “linea rossa”, già nell’agosto 2012 e poi di nuovo nel marzo scorso.
Che possa andare come per il Kosovo è tuttavia altamente improbabile. Allora l’obbiettivo primario della coalizione imperialistica era quello di staccare la regione a maggioranza albanese del Kosovo dalla Jugoslavia. Un obbiettivo realistico se si considera che il governo resistente di Milosevic, indebolito da dieci anni di embarghi, era completamente isolato, mentre si sapeva che la maggioranza dei kosovari, compatta dietro all’Uck, avrebbe accettato, cacciati i serbi, di passare sotto il protettorato Usa-Nato. Solo ad un anno di distanza dallo smacco in Kosovo avemmo a Belgrado il tanto agognato “regime change”, con l’ascesa al potere di satrapi occidentali mascherati da nazionalisti.
Il contesto geopolitico mediorientale non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello balcanico degli anni ‘90. E non solo per la centralità che, causa petrolio, la regione ha per il capitalismo mondiale — le borse come si è visto, temendo che l’escalation spinga all’in su il costo del barile, hanno subito bocciato l’idea dell’attacco Usa-Nato. E hanno ragione. Il conflitto latente tra le principali potenze regionali, in primis Iran, Arabia saudita e Turchia (l’Egitto sembra per ora fuori dalla partita, alle prese con l’anarchia interna), potrebbe degenerare e diventare dispiegato.
Gli imperialisti hanno poi un secondo grande problema. Un attacco devastante potrebbe sì mettere con le spalle al muro il regime del Baath, ma chi prenderebbe il potere? I gruppi guerriglieri sono centinaia e aspramente divisi fra loro, con le frange jihadiste in forte ascesa. L’anarchia militare, inevitabile una volta che cadesse il Baath, rappresenta una minaccia anzitutto per Israele.
Il rischio è dunque che la l’attuale guerra civile siriana, che ha già tutti i caratteri di una fitna intercomunitaria e di clan, invece di assopirsi deflagri in maniera ancora più sanguinosa, coinvolgendo i paesi limitrofi, Libano anzitutto. Forse Iraq, Turchia e Giordania.
I militari statunitensi e la Casa Bianca sono perfettamente al corrente di questi rischi. Se attacco porteranno è probabile dunque che sia “limitato”, come quelli missilistici di Reagan contro la Libia nel 1985, o come i bombardamenti aerei intermittenti contro l'Iraq iniziati nel gennaio 1997.
Che tali attacchi circoscritti possano piegare il regime siriano e obbligarlo a sedersi al tavolo negoziale, staremo a vedere. Che possano determinare un “regime change” ne dubitiamo.
Non dubitiamo affatto, invece, che l’attacco va condannato, perché espressione delle pulsioni necolonialistiche e degli appetiti egemonici degli Usa, che così vogliono riconfermare che loro e solo loro sono i padroni del mondo. Ci auguriamo anzi che le forze militari del regime siriano, che da due anni e mezzo stanno martoriando il popolo, infliggano le più alte perdite agli aggressori, così che possano pagare cara la loro tracotanza.
Ciò non cambia il nostro giudizio sulla guerra civile siriana. Una guerra sporca, senza esclusione di colpi, in cui non ci sono buoni da una parte e cattivi dall’altra, ma banditi, predoni e macellai da ambo i lati.
Se le forze che si stanno combattendo rifiuteranno con ogni pretesto di negoziare il cessate il fuoco e di avviare una transizione verso la pace, la guerra civile continuerà e l’aggressione Usa-Nato non potrà che accentuarla».
* Fonte: Campo Antimperialista
6 commenti:
C'èla possibilità che la Russia entri in conflitto aperto con gli USA dando supporto all'esercito siriano?
Caro amico,
no che non c'è. Se non la guerra mondiale ci andremmo vicino. Come il documento del Campo sostiene anche i russi ritengono che l'operazione d'attacco USA sarà circoscritta, anche se ha un alto valore simbolico, che quindi non sarà letale per il regime di Assad. Due giorni di attacchi missilistici non piegheranno il regime del Baath siriano, quindi gli interessi strategici dei russi non saranno seriamante danneggiati.
Beh scusate, e allora per quale ragione fare un attacco missilistico? Perdonate la mia domanda, che forse è un pò ingenua, ma da ciò che capisco questa da parte degli yankees sarà una sorta di operazione dimostrativa per far vedere che l'america ancora vale qualcosa?
Scusate non mi sono firmato
LUIGI
Caro Luigi, se vuoi spiegazioni del genere leggi Aurora il blog di Lattanzio, perchè questo qui è un pò diciamo....equivoco quando si deve schierare contro l'imperialismo occidentale....
Come vedete Obama rilutta ad attaccare, la Francia pure, e gli inglesi anche.
Robert Fisk, notissimo e autorevole corrispondente per il Medio oriente del quotidiano inglese The Indipendent, ha scritto:
«Lo sa Obama che attaccando la Siria di Assad si mette al fianco di al-Qaida?»
Per dire che gli imperialisti, vorrebbero sì punire il regime del Baath di Bashar al-Assad, ma non fino al punto di rovesciralo, per favorire forze che potrebbero essere per loro e per gli israeliani ancor peggiori.
Non andranno oltrea, gli occidentali, ad un'aziomne dimostrativa.
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