4 agosto. DIBATTITO SULLA «SOLLEVAZIONE» (2).
Bonapartismo o Sollevazione? Noterelle a margine di un prevedibile collasso
Sì, la loro lagna è ben retribuita, ma sinceramente fanno un po' pena. Sono gli «stabilisti», i giornalisti della stabilità. In questi giorni si sono dati un gran daffare, senza peraltro azzeccarne neppure mezza. Ma il loro compito non è finito, e quest'anno s'accompagneranno al caldo come le zanzare e i mosconi.
Sono talmente tanti, che fare i loro nomi non è poi così importante. Ma Stefano Folli e Ferruccio de Bortoli vanno senz'altro citati. Senza mai dimenticarsi di quell'Eugenio Scalfari che si era convinto di poter avere, con perfetta simultaneità, la testa del capo ed i voti dei peones dello stesso partito. Troppa grazia Sant'Antonio, le cose sono leggermente più complicate.
Ascoltandoli, nei giorni, ma anche nelle ore, e perfino nei minuti che hanno preceduto la sentenza del 1° di agosto, il ragionamento era sempre uno: vedrete, o popolo bue, che prevarrà la ragione, cioè l'annullamento della condanna dell'innominabile. I giudici della Cassazione non vengono da Marte, conoscono le cose del mondo, ed il loro cellulare è nella rubrica del capo dello Stato. D'altronde, che volete, la giustizia dovrebbe sì esser uguale per tutti, ma gli interessi del Paese vengono prima di ogni altra cosa. Comunque, non siamo mica dei cafoni, vedrete che la soluzione sarà forse un po' complicata, ma giuridicamente raffinata.
Una confessione pressoché perfetta - e di questo li ringraziamo - di come funziona realmente la giustizia, alla faccia dei giustizialisti di tutte le risme. Che, però, dal punto di vista dell'analisi, aveva un difettuccio: l'Italia è sì governata da una casta asservita alle oligarchie euro-atlantiche, ma è anche percorsa da una micidiale guerra per bande. Detto in altri termini: mentre il blocco dominante è assai coeso nello scaricare il costo della crisi sulle classi popolari, esso è corroso al suo interno da violentissime lotte di potere e tra i «poteri». E sottovalutare quello della magistratura è stato davvero un bell'errore d'analisi. Come è stato un errore il non considerare altre pressioni esterne, di segno opposto a quelle quirinalizie, anch'esse senz'altro giunte in piazza Cavour.
Adesso, che tutto gli è andato storto, cercano ancora di correre ai ripari. Il Pdl si compatta attorno al truffatore? Basta che non faccia troppo rumore. Ricatta perfino l'amicone del Colle? Basta che lo faccia con maggiore bon ton. Il governo Letta è in balìa delle onde? Non diciamolo in giro, che la stabilità è il bene supremo.
Se come giornalisti dovrebbero essere semplicemente radiati dall'Albo, come difensori della causa sono perfino commoventi. Forse un po' lenti di riflessi, ma ammirevoli nella loro ingessata fissità. Ci sembra di vederli, dietro i loro computer, a ripetere senza sosta: «stabilità», «stabilità», «stabilità». Un po' come il bis-presidente da loro così osannato. Quel grand'uomo che non è riuscito neppure a farsi ascoltare dai giudici della Cassazione.
E che proprio lui, ovviamente insieme al condannato, sia il grande sconfitto del 1° agosto nessuno riesce a dirlo fino in fondo. Costui ha prima imposto al Paese il vampiro Monti, proprio per togliere di mezzo il disdicevole Buffone, per poi ripescare quest'ultimo nelle nuove vesti «moderate», giusto per assicurarsi il voto a Letta ed il pensionamento dello stralunato Bersani.
Ma non gliene è andata bene neppure una. Con il vampiro al governo l'economia è andata a rotoli e - cosa per lui assai più grave - i consensi della casta dominante sono andati a zero. In quanto all'omuncolo della Bocconi, dopo aver devastato il Paese è ora riuscito anche a disintegrare il suo partitello, riuscendo finalmente a far qualcosa di positivo, sia pure al di là delle sue intenzioni.
E così è andata con Letta. Il pisano è ora impegnato a spiegare che mandarlo a casa sarebbe un delitto. E' forse un senzatetto? In teoria non possiamo escluderlo, dato che questo campione della trasparenza si è caparbiamente rifiutato di dichiarare le sue proprietà immobiliari. E questo mentre l'Agenzia delle Entrate andrà ora a vivisezionare, con il redditometro, anche le spese alimentari degli italiani.
Ma torniamo al povero «comunista» preferito da Kissinger. Aveva accettato il sacrificio del bis, in cambio di grandi promesse. Promesse che si racchiudevano in una parola: stabilità. Quella ancor oggi invocata dagli «stabilisti» da cui siamo partiti. E con i quali vorremmo concludere.
A costoro sfugge una cosa assai semplice semplice. Una cosuccia che talvolta sembra davvero secondaria, ma che tale non è. Perlomeno non nei passaggi storici come quello attuale. E' una cosina che va maneggiata con cura, con prudenza, mai separandola dagli altri elementi in gioco, mai pensando che sia l'unica forza in grado di determinare gli eventi. Essa infatti non riesce a determinarli affatto, almeno non nel senso di prestabilire gli esiti. Ma se questa forza non ha questo potere, ha però quello di determinare le condizioni in cui i grandi rivolgimenti possono infine aver luogo.
Stiamo ovviamente parlando della componente oggettiva dei processi storici, mai separabile dagli elementi soggettivi, mai unicamente dipendente dalle contraddizioni generate nella sfera economico-sociale, anche se ad esse strettamente connessa. Mai sufficiente da sola a decidere lo svolgimento delle cose, ma al tempo stesso necessaria affinché le cose che contano possano davvero accadere.
Bene, signori «stabilisti», amanti dello status quo, fosse anche quello (e per molti lo è già oggi) dell'inferno. E' proprio questo che vi turba: il sentire che il corso delle cose va in un'altra direzione. Voi lo vorreste fermare, ma le vostre costruzioni logiche hanno la stessa forza di un muretto tirato su alla buona per fermare un fiume di lava ben alimentato dal vulcano. Potete prendere tempo, tirare a campare in tutti i modi, ma il muretto non vi metterà mai al riparo della tempesta che si annuncia.
La crisi della classe dirigente italiana, accompagnata da una crisi economica e sociale senza fine, non potrà in ogni caso risolversi con le buone maniere. Lo sbocco sarà comunque il frutto di lotte durissime e di passaggi non indolori, anche se nessuno può dire oggi quale sarà la direzione ultima della lava.
Se la lotta sarà solo nel campo del blocco dominante, con la passività delle classi popolari, lo sbocco non potrà essere che quello di un moderno regime autoritario, all'ingrosso di tipo bonapartista. Se, al contrario, il popolo lavoratore entrerà in scena, se si saranno costruite nel frattempo le condizioni per una direzione politica adeguata, lo sbocco potrà essere quello di una sollevazione. Una sollevazione vincente, non una mera rivolta condotta più nel segno della disperazione che in quello della speranza.
Vi chiederete: tutto questo ragionamento per convincere del loro torto gli «stabilisti» che abbiamo fin qui preso un po' un giro? Ovviamente non è questo che ci interessa, quanto piuttosto un altro problema. Il problema, infatti, è che la logica degli «stabilisti» non alberga solo nelle redazioni mainstream, essendosi in un certo senso installata anche nelle menti di tanta parte di coloro che pure, almeno soggettivamente, vorrebbero lottare per il cambiamento.
Mentre i primi vogliono la conservazione non solo perché coincide con i loro interessi di classe, ma anche con la loro funzione sociale; i secondi vorrebbero il cambiamento ma non ne scorgono più la possibilità. Legati a schemi interpretativi ormai falsificati dall'esperienza storica, vorrebbero il cambiamento, ma non lo ritengono concretamente perseguibile, forse anche perché non riescono a comprendere che la prima cosa da cambiare è proprio il loro modo di vedere le cose.
Capire che la crisi non è solo economica, che il suo svolgimento è destinato a spazzare via molte più cose di quanto si pensi. Capire che il blocco dominante è esso stesso in crisi, e non solo per la caduta tendenziale del saggio di profitto. Capire che in alcuni frangenti questa crisi potrebbe rivelarsi perfino più micidiale di quella finanziaria. Capire la portata del processo disgregativo della vecchia classe dirigente in senso lato. Capire, afferrare tutto questo anche per uscire dal plumbeo pessimismo di tanta sinistra.
Ecco di cosa ci parlano le vicende di questi ultimi giorni, al di là delle loro conseguenze immediate. Abbiamo detto - a volte semplificare è necessario - che l'alternativa è secca: o qualche moderna forma di bonapartismo, o la sollevazione popolare che dischiude la possibilità dell'alternativa politica e sociale. Ovvio che noi siamo per la seconda.
E ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi ci mostra che se la lotta è necessaria, la vittoria è possibile.
Bonapartismo o Sollevazione? Noterelle a margine di un prevedibile collasso
Sì, la loro lagna è ben retribuita, ma sinceramente fanno un po' pena. Sono gli «stabilisti», i giornalisti della stabilità. In questi giorni si sono dati un gran daffare, senza peraltro azzeccarne neppure mezza. Ma il loro compito non è finito, e quest'anno s'accompagneranno al caldo come le zanzare e i mosconi.
Sono talmente tanti, che fare i loro nomi non è poi così importante. Ma Stefano Folli e Ferruccio de Bortoli vanno senz'altro citati. Senza mai dimenticarsi di quell'Eugenio Scalfari che si era convinto di poter avere, con perfetta simultaneità, la testa del capo ed i voti dei peones dello stesso partito. Troppa grazia Sant'Antonio, le cose sono leggermente più complicate.
Ascoltandoli, nei giorni, ma anche nelle ore, e perfino nei minuti che hanno preceduto la sentenza del 1° di agosto, il ragionamento era sempre uno: vedrete, o popolo bue, che prevarrà la ragione, cioè l'annullamento della condanna dell'innominabile. I giudici della Cassazione non vengono da Marte, conoscono le cose del mondo, ed il loro cellulare è nella rubrica del capo dello Stato. D'altronde, che volete, la giustizia dovrebbe sì esser uguale per tutti, ma gli interessi del Paese vengono prima di ogni altra cosa. Comunque, non siamo mica dei cafoni, vedrete che la soluzione sarà forse un po' complicata, ma giuridicamente raffinata.
Una confessione pressoché perfetta - e di questo li ringraziamo - di come funziona realmente la giustizia, alla faccia dei giustizialisti di tutte le risme. Che, però, dal punto di vista dell'analisi, aveva un difettuccio: l'Italia è sì governata da una casta asservita alle oligarchie euro-atlantiche, ma è anche percorsa da una micidiale guerra per bande. Detto in altri termini: mentre il blocco dominante è assai coeso nello scaricare il costo della crisi sulle classi popolari, esso è corroso al suo interno da violentissime lotte di potere e tra i «poteri». E sottovalutare quello della magistratura è stato davvero un bell'errore d'analisi. Come è stato un errore il non considerare altre pressioni esterne, di segno opposto a quelle quirinalizie, anch'esse senz'altro giunte in piazza Cavour.
Adesso, che tutto gli è andato storto, cercano ancora di correre ai ripari. Il Pdl si compatta attorno al truffatore? Basta che non faccia troppo rumore. Ricatta perfino l'amicone del Colle? Basta che lo faccia con maggiore bon ton. Il governo Letta è in balìa delle onde? Non diciamolo in giro, che la stabilità è il bene supremo.
Se come giornalisti dovrebbero essere semplicemente radiati dall'Albo, come difensori della causa sono perfino commoventi. Forse un po' lenti di riflessi, ma ammirevoli nella loro ingessata fissità. Ci sembra di vederli, dietro i loro computer, a ripetere senza sosta: «stabilità», «stabilità», «stabilità». Un po' come il bis-presidente da loro così osannato. Quel grand'uomo che non è riuscito neppure a farsi ascoltare dai giudici della Cassazione.
E che proprio lui, ovviamente insieme al condannato, sia il grande sconfitto del 1° agosto nessuno riesce a dirlo fino in fondo. Costui ha prima imposto al Paese il vampiro Monti, proprio per togliere di mezzo il disdicevole Buffone, per poi ripescare quest'ultimo nelle nuove vesti «moderate», giusto per assicurarsi il voto a Letta ed il pensionamento dello stralunato Bersani.
Ma non gliene è andata bene neppure una. Con il vampiro al governo l'economia è andata a rotoli e - cosa per lui assai più grave - i consensi della casta dominante sono andati a zero. In quanto all'omuncolo della Bocconi, dopo aver devastato il Paese è ora riuscito anche a disintegrare il suo partitello, riuscendo finalmente a far qualcosa di positivo, sia pure al di là delle sue intenzioni.
E così è andata con Letta. Il pisano è ora impegnato a spiegare che mandarlo a casa sarebbe un delitto. E' forse un senzatetto? In teoria non possiamo escluderlo, dato che questo campione della trasparenza si è caparbiamente rifiutato di dichiarare le sue proprietà immobiliari. E questo mentre l'Agenzia delle Entrate andrà ora a vivisezionare, con il redditometro, anche le spese alimentari degli italiani.
Ma torniamo al povero «comunista» preferito da Kissinger. Aveva accettato il sacrificio del bis, in cambio di grandi promesse. Promesse che si racchiudevano in una parola: stabilità. Quella ancor oggi invocata dagli «stabilisti» da cui siamo partiti. E con i quali vorremmo concludere.
A costoro sfugge una cosa assai semplice semplice. Una cosuccia che talvolta sembra davvero secondaria, ma che tale non è. Perlomeno non nei passaggi storici come quello attuale. E' una cosina che va maneggiata con cura, con prudenza, mai separandola dagli altri elementi in gioco, mai pensando che sia l'unica forza in grado di determinare gli eventi. Essa infatti non riesce a determinarli affatto, almeno non nel senso di prestabilire gli esiti. Ma se questa forza non ha questo potere, ha però quello di determinare le condizioni in cui i grandi rivolgimenti possono infine aver luogo.
Stiamo ovviamente parlando della componente oggettiva dei processi storici, mai separabile dagli elementi soggettivi, mai unicamente dipendente dalle contraddizioni generate nella sfera economico-sociale, anche se ad esse strettamente connessa. Mai sufficiente da sola a decidere lo svolgimento delle cose, ma al tempo stesso necessaria affinché le cose che contano possano davvero accadere.
Bene, signori «stabilisti», amanti dello status quo, fosse anche quello (e per molti lo è già oggi) dell'inferno. E' proprio questo che vi turba: il sentire che il corso delle cose va in un'altra direzione. Voi lo vorreste fermare, ma le vostre costruzioni logiche hanno la stessa forza di un muretto tirato su alla buona per fermare un fiume di lava ben alimentato dal vulcano. Potete prendere tempo, tirare a campare in tutti i modi, ma il muretto non vi metterà mai al riparo della tempesta che si annuncia.
La crisi della classe dirigente italiana, accompagnata da una crisi economica e sociale senza fine, non potrà in ogni caso risolversi con le buone maniere. Lo sbocco sarà comunque il frutto di lotte durissime e di passaggi non indolori, anche se nessuno può dire oggi quale sarà la direzione ultima della lava.
Se la lotta sarà solo nel campo del blocco dominante, con la passività delle classi popolari, lo sbocco non potrà essere che quello di un moderno regime autoritario, all'ingrosso di tipo bonapartista. Se, al contrario, il popolo lavoratore entrerà in scena, se si saranno costruite nel frattempo le condizioni per una direzione politica adeguata, lo sbocco potrà essere quello di una sollevazione. Una sollevazione vincente, non una mera rivolta condotta più nel segno della disperazione che in quello della speranza.
Vi chiederete: tutto questo ragionamento per convincere del loro torto gli «stabilisti» che abbiamo fin qui preso un po' un giro? Ovviamente non è questo che ci interessa, quanto piuttosto un altro problema. Il problema, infatti, è che la logica degli «stabilisti» non alberga solo nelle redazioni mainstream, essendosi in un certo senso installata anche nelle menti di tanta parte di coloro che pure, almeno soggettivamente, vorrebbero lottare per il cambiamento.
Mentre i primi vogliono la conservazione non solo perché coincide con i loro interessi di classe, ma anche con la loro funzione sociale; i secondi vorrebbero il cambiamento ma non ne scorgono più la possibilità. Legati a schemi interpretativi ormai falsificati dall'esperienza storica, vorrebbero il cambiamento, ma non lo ritengono concretamente perseguibile, forse anche perché non riescono a comprendere che la prima cosa da cambiare è proprio il loro modo di vedere le cose.
Capire che la crisi non è solo economica, che il suo svolgimento è destinato a spazzare via molte più cose di quanto si pensi. Capire che il blocco dominante è esso stesso in crisi, e non solo per la caduta tendenziale del saggio di profitto. Capire che in alcuni frangenti questa crisi potrebbe rivelarsi perfino più micidiale di quella finanziaria. Capire la portata del processo disgregativo della vecchia classe dirigente in senso lato. Capire, afferrare tutto questo anche per uscire dal plumbeo pessimismo di tanta sinistra.
Ecco di cosa ci parlano le vicende di questi ultimi giorni, al di là delle loro conseguenze immediate. Abbiamo detto - a volte semplificare è necessario - che l'alternativa è secca: o qualche moderna forma di bonapartismo, o la sollevazione popolare che dischiude la possibilità dell'alternativa politica e sociale. Ovvio che noi siamo per la seconda.
E ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi ci mostra che se la lotta è necessaria, la vittoria è possibile.
1 commento:
Al momento l'avvento di una dittatura più o meno dolce, più o meno tecnocratica sembra la soluzione di gran lunga più verosimile. E' la direzione verso cui tendono già adesso le élites politiche di ogni ordine e grado, a parte il M5S, e anche quella postulata dall'eclatante indifferenza delle masse.
Come alternativa, la vostra "sollevazione popolare" è solo una delle numerose possibilità. Ci possono essere sollevazioni di destra, sinistra, indipendentiste o altro, ovvero lo sgretolamento dell'impero statunitense può sfociare in un'era di conflitti internazionali vecchio stile.
Stanno per arrivare tempi interessanti...
Posta un commento